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lunedì 19 settembre 2016

E seguo il ritmo..

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post datato 24/8/2016

"La settimana scorsa ero in macchina, di sera, e guardavo una splendida e luminosa luna piena alzarsi in cielo dietro le colline della savana. Un attimo era qui, l’attimo dopo era da un’altra parte. Eravamo in movimento, ma non ho capito più in che direzione stessimo andando (ma tranquilli, non guidavo io!).

Mannaggia, è l’ennesima volta che non ci capisco niente!

Eppure la natura mi ha dotato di un discreto senso dell’orientamento! Ricordo ancora la lezione di geografia di terza elementare sui punti cardinali, me la ricordo l’immagine del sussidiario con un omino, di spalle, al centro di una croce per terra: il braccio destro ad est, dove sorge il sole e di conseguenza nord, sud ed ovest dovrebbero essere facilmente riconoscibili.
E vogliamo parlare dei punti di riferimento? Dovrebbe essere facile poi orientarsi avendo dei punti di riferimento. Beh, nelle vaste distese della savana, nelle strade polverose di terra rossa, nella caotica e disordinata Mombasa - che è un’isola e ha due ponti e un traghetto, più una serie di strade fatte di vicoli senza apparente senso – valli a trovare i punti di riferimento. Diciamo che ci ho messo un po’!
qualche sera è anche andata via osservando la luna e domandandoci: “ok, la luna è lì, allora il mare dovrebbe essere da quella parte, ma allora perché il sole sorge di là?!” e neanche google maps aveva la risposta.
Ma poi, li avrò trovati davvero i punti di riferimento? Qui le cose cambiano ad una velocità impressionante. Oggi c’è una struttura che ieri non c’era, domani il negozio a cui andavo sempre potrebbe essere chiuso..

Ecco come spesso mi sono sentita qui: DISORIENTATA, geograficamente e non.

Già per il solo fatto di vivere sotto l’equatore, le stagioni sono invertite rispetto a noi, le stelle sono diverse e la luna cambia posizione (prendete la vostra mano e con pollice e indice formate una C: da noi la luna è una C che guarda a destra e a sinistra.. qui la luna è una C che guarda sopra e sotto.. e quindi che forma una U).  


Insomma, già solo la natura invita a cambiare prospettiva!

Ma il disorientamento è soprattutto associato al perdersi, allo spaesamento..
Poi c'ho pensato e mi sono chiesta: ma è veramente un pericolo perdersi?
Devo ammetterlo: non poche volte mi sono sentita persa qui.
Ma è necessariamente un male? Forse.. no!

Innanzitutto mi piace pensare che non mi perdo mai – (ma come, ho appena detto che mi sono persa più volte?!) – perché preferisco parlare di .. esplorazione!

Spesso mi è capitato di andare a zonzo con amici in città sconosciute, e quando m’incolpavano di averli fatti perdere rispondevo, un po’ da paraculo, “no no, non ci siamo persi, stiamo solo.. esplorando!!” e ripensandoci, molte volte, grazie proprio a queste deviazioni dall’itinerario consigliato, ho scoperto angoli nascosti e bellezze inaspettate, forse anche più vere e reali.

E allora voglia proiettarlo sulla mia vita interiore.
Diciamo che mi è stato insegnato, e forse mi è più utile, vedere questo disorientamento, questo perdersi, come possibilità. La possibilità di esplorare, di esplorarmi. Una possibilità di senso, che mi porta a rivedere i punti di riferimento e le coordinate della vita.
Quante volte mi sono chiesta quest’anno: ma quali sono i miei punti di riferimento (anche lette come “cosa ho fatto finora? cosa ho lasciato a casa ? cosa ritroverò?) e le mie coordinate (lette anche : ma chi sono io? Cosa voglio fare, ma soprattutto, che persona voglio essere? Che tracce voglio seguire e quali voglio lasciare?).  

Forse fa bene rifarsi tutte queste domande per scardinare o riconfermare quelle che sono quelle poche certezze che uno si porta dietro. Forse guardare tutto con un'altra luce ti apre nuove prospettive, belle o meno belle. Forse, per crescere, serve."
qualche porto

Sono rientrata da quasi 20 giorni. Ad accogliermi tante braccia aperte, 
porto sicuro di ogni viaggio.


Abbiamo avuto la formazione, ci siamo rivisti con tutti i civilisti, condiviso esperienze e domande, abbiamo espletato le ultime pratiche burocratiche.
Il servizio civile è dunque concluso.

Invece quelle domande di senso restano aperte e me le tengo lì, perché come per ogni fine di grandi avvenimenti, c'è bisogno di tempo per rimettere insieme i pezzi. E questo tempo bisogna concederselo. 
E' stato un anno complesso il cui senso ancora mi sfugge. O forse è dentro e bisogna solo dargli forma. Ma, appunto, probabilmente non è ancora l'ora. Nel frattempo riprendo il cammino, e va bene così.

Concludo con una licenza poetica. 
Durante le mie letture di quest'anno, c'è stata la frase di un libro che mi ha molto colpito e che forse si dovrebbe ripetere ogni sera. Chi scrive dice: "Epilogo di questa giornata: la vita è buona, in ogni caso".
Bene, mi prendo la libertà di parafrasarla così:
"Epilogo di questa esperienza: il servizio civile è buono, in ogni caso".

Angela

Vabbè, sulla scia degli ultimi post musicali anche io una canzone di fine SCE
Bacii





lunedì 29 agosto 2016

Dall’altra parte della barricata

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N.B. Questo post nasce a giugno, è stato poi modificato a luglio, trova luce adesso.

"Da sconfinati.. ad accoglienti!
Per chi sconfina, c’è sempre qualcuno che accoglie (o almeno si spera così) per ogni cantierista che parte, c’è sempre un coordinatore che lo aspetta e che ha preparato i lavori.

Scrivo da Mombasa, a poche ore di distanza dall’arrivo dei cantieristi, anche se è un post che nasce dopo un paio di settimane dal rientro milanese per la formazione cantieri, appunto..  e mi trovo a buttare giù qualche ricordo di quei giorni e qualche considerazione personale..

esemplare di SCE durante il duro lavoro d'ufficio in preparazione ai cantieri
Cosa ricordo della formazione? Dopo aver lavorato in ufficio alla formazione dei cantieristi stessi, finalmente si sono palesati i giovani che stiamo per accogliere nei paesi di cui noi siamo ancora ospiti.
Tra giochi di ruolo, domande, prove comunicazione, risposte, una coordinatrice persa nel cuore della notte nella provincia milanese mentre si provava a darle indicazioni stradali, qualcuno che ha avuto il coraggio di giocare a pallavolo dalle 7.45 di domenica mattina, i sermoni del buon don Daniele, chiamate intercontinentali notturne, e chipiùnehapiùnemetta, circa 60 giovani si sono messi in discussione.  



Gli OLP che provano a dare indicazioni stradali nel cuore della notte

Ho provato a scambiare due chiacchiere con un po’ di cantieristi.. chi tra una pausa e l’altra studiava per la maturità (ed è anche uscita una traccia sui confini!!), chi fantasticava sul suo cantiere, chi ha puntato a fare gruppo, chi a conoscere gli altri.. veramente una grande varietà di giovani. Di una gioventù BELLA e curiosa. L’ho percepita quest’ansia di partenza. Ognuno ha le sue motivazioni, ciascuno si metterà in gioco per quello che vorrà dare, ma tutti accumunati da questa voglia di partire. Da un’estate diversa, che non dico cambierà la vita, ma che getterà un semino se lo si vorrà coltivare.

Che bello.. e che responsabilità!
Definirei il mio ruolo come meta servizio: il servizio nel servizio e a servizio (sì, se non s’è capito “servizio” mi piace un sacco!!).
Sono dall’altra parte della barricata e le emozioni per certi versi sono simili.. anche qui ci sono attese, aspettative, entusiasmo, qualche paura..

E sono grata per quest’opportunità, perché sarà un mettersi alla prova ulteriormente, sarà un rivedersi nei ragazzi, perché se uno parte ha sempre un motivo, e spesso i motivi si assomigliano, ma poi si perdono, diventano sfumati. Sarà un rileggersi.

Non saprei dare una definizione di accoglienza. Per me accogliente è chi mi fa sentire a casa, è chi non mi sta davanti come se fossi all’esame di procedura penale pronto a bocciarmi; è chi mi ascolta e un po’ mi coccola; chi mi fa sentire considerato, amato.
“Ci vuole un giardiniere che ama per far sbocciare una rosa”.
Ecco, penso che in questa occasione io sia chiamata ad essere un po’ il giardiniere, con una grande responsabilità. Perché questi ragazzi mi sono stati affidati. Non ci siamo scelti. Ma non per questo il valore diminuisce.
Allora, pronti a sconfinare!!” 
                                          








Sono passate due settimane dalla fine del cantiere, e mancano tre giorni al mio rientro definitivo in Italia. Leggo i post dei cantieristi oramai tornati alla base e mi sembra che ci siano ancora tante emozioni in circolo, tante domande aperte, entusiasmo per quanto vissuto e un pizzico di malinconia.

Il tempo è tiranno, devo scrivere le valutazioni del cantiere e i report.
Le idee sono tante, confuse.

Il cantiere Mombasa è stato ricco di emozioni, di tante domande a cui chissà se ci sarà risposta, di confronti, di sane risate, di discorsi profondi e meno intensi, di lavoro e fatica, di novità. 
Ognuno ha saputo metterci del suo per costruire insieme ed in armonia questo cantiere. 
cantieristi Mombasa stremati dalle fatiche africane
E ne sono felice.   



Ancora non c’è stato tempo di far sedimentare il vissuto e dargli la giusta collocazione.
Non so se ciascuno ha ritrovato le sue motivazioni, se si è riuscito a dare qualche risposta.. ma, poi col tempo (perché le cose belle richiedono tempo!!) si saprà dare a questa esperienza il valore ed il significato che più si ritiene appropriato.

illustrazione di Maria Silva

Tuttavia, io spero -  ma lo so quasi per certo - che per tutti i cantieristi sia stata un’esperienza indelebile, di quelle che lasciano il segno, nel bene e nel male, e che a loro volta si trasformano in segno tangibile: il segno di una presenza, nella realtà in cui ci si trova, che ha sperimentato – seppur per un brevissimo tempo – la diversità, che ha provato ad andare oltre, per mettersi a servizio gratuitamente, che ha sconfinato e ha ancora gli occhi pieni di bellezza.
Mi auguro che sia stata una di quelle esperienze che, anche a distanza di tempo, possa dare quel sapore di buono alla vita. 
Mi auguro che restino naviganti in grado di guardare le cose un po' in su, un po' in giù, e tutto intorno. 
Mi auguro che possano sbocciare tante rose in grado di effondere profumo intorno..

Angela



martedì 19 luglio 2016

E' tutto un equilibrio sopra al..volemose bene!

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Carissimi, dato che mi piace partire sempre da fatti realmente accaduti neanche questa volta mi esimerò dal cominciare con questa modalità.. per un post bello lungo e po' pesante - ma d'altronde ho la pesantezza dentro.. e fuori! :)

Sabato scorso sono stata a trovare padre Angelo, un missionario della Consolata di 93 anni, che è quasi una leggenda qui a Mombasa. Si definisce più keniota che italiano considerando che è nel Paese da ben 53 anni!
Parla ancora perfettamente tre lingue (inglese, Kiswahili e italiano) e ha esordito dicendomi: "ma secondo te che lingua si parla nell’aldilà?! Sai, ci penso spesso all’aldilà, alla mia età, ma non mi affanno mica!”.
Amorevolmente dico che i missionari fanno parte di una categoria antropologica a parte.. e ne sono sempre più convinta! J

Abbiamo parlato un’oretta (ha parlato più lui a dire il vero) e poi mi ha portato in giro, con un certo orgoglio, per mostrarmi la nuova chiesa di Timbwani.. affabile, salutava e scherzava con tutti -“vedi, qui i bambini ti salutano.. mamma mia, sono stato in Italia per le vacanze l’anno scorso e ognuno va per la sua strada, nessuno ti saluta!”- camminava spedito.. un vecchietto arzillo e ancora lucido (che manda un sacco di email!!).

p. Angelo 

Nel discorso a ruota libera che abbiamo avuto, mi hanno colpito un paio di cose che padre Angelo ha detto e che vorrei condividere.
Insomma, uno da un missionario di 93 anni di cui più della metà spesi in Kenya (dove peraltro vuole finire la sua vita, come ogni missionario che si rispetti) si aspettava grandi discorsoni.
E invece mi ha messo davanti due "verità" all'apparenza banali, ma che invece.. più che altro si sono inserite in alcune riflessioni che mi porto dietro da un po’ e che partono da prima, fermentano in Africa con me e ritorneranno in Italia perché si possono applicare a tutti i luoghi della vita. 
Qualcuno potrà definirle un po' buoniste, altri provocatorie, molti potranno non condividerle ma sicuramente sono riflessioni sincere e personali.
  
1) “Ci vuole tanta pazienza.. bisogna volergli bene!”

Non c’è molto da aggiungere. Mi sembra abbastanza chiara come frase.. Ma non è un po' troppo semplicistica? .. eppure, quant’è difficile?! Quant’è difficile voler bene a chi ti trovi davanti solo per il suo essere umano alla pari di te?! c'avete mai provato? 
Non voglio sconfinare nel patetismo.. ma davanti a quelli che non riesco a capire, davanti a quelli che alcune volte proprio mi fanno girare le scatole, quando vedo limiti insuperabili e quando sentimenti negativi stanno per insinuarsi in me – perché lavorare con altri non è mai facile, figurarsi farlo in un contesto culturale totalmente diverso – il voler bene incondizionatamente è quello che mi ripeto spesso; e mi piacerebbe saperlo fare, perché forse è il metodo che salva la mia umanità e mi tiene con i piedi a terra.

Attenzione però!!! Voler bene per me non significa lasciar passare proprio tutto – questo potrebbe essere anche indifferenza o sintomo di una lusinghiera superiorità –  ma vuol dire cercare il confronto, dialogare sulle cose che secondo me sono sbagliate, o giuste, per cercare una ragione, almeno per provare a capire. E vuol dire anche correggere a volte, cosa che spesso fa male, da entrambe le parti, perché c'è il rischio di prendersi delle sberle clamorose e, poi perché chi è l’altro per potermi dire cosa devo o non devo fare?! Forse però, se l'accogliamo, questa sberla può anche farci crescere o quanto meno aiutarci nella riflessione, sempre in maniera biunivoca.

Insomma pazienza e bene richiedono un grande lavoro, ci si arriva per tentativi e fallimenti, tanti.. e credo sia un grande, lungo, mai finito esercizio umano!


E ci colleghiamo al secondo punto
  
2)“ è difficile, ma bisogna accettare le cose”

Le accettiamo nel senso che prendo l’accetta e rompo tutto?!? Ogni tanto capita di fare anche questi pensieri.. L’accettazione è una delle cose più difficili. Credo che ci voglia veramente un grande sforzo e una grande maturità umana. Anche qui, bisogna sempre fare i conti con se stessi. Frustrazione, rabbia, delusione. Quando penso di esserci, ci ricasco ogni volta. 
Ci sono obiettivamente delle cose che non dipendono da me ma che sono lì e posso solo accettare. Posso arrabbiarmi, posso strepitare, ma il dato oggettivo non cambia. E non l’ho deciso io. Allora veramente posso solo farmi mettere in discussione e lavorare su me stessa.

Quello che però mi chiedo è: qual è il limite tra l’accettazione reale e la rassegnazione?

Mi spiego. 

C’è sempre il forte rischio di partire con la presunzione di cambiare le cose: è la malattia del narcisismo e dell’autocompiacimento.
“Ma quanto sono bravi questi civilisti che vanno in giro per il mondo a salvare gente?!”
E' una delle frasi che mi fa venire abbastanza l’orticaria. Perché poi uno se ne convince.
E perché io sarei più brava, o moralmente superiore, di un commesso che fa il suo lavoro con passione e dedizione e in maniera egregia?!?! Chi li decide questi parametri?!
Spesso la realtà ci dice che torniamo a casa con la coda tra le gambe perché non è cambiato niente, ma anzi, prevale il senso d’inutilità ed è già tanto se almeno avvertiamo dentro qualche cambiamento.

Dato per scontato che riusciamo ad accettare la situazione così com'è, a ridimensionare le nostre aspettative rispetto al cambiamento, mi chiedo se però devo accettare incondizionatamente anche quello che ritengo moralmente inaccettabile, o che comunque mi turba molto.

Si parla spesso di cambiamento, ma se in nome dell’accettazione non si avvia mai un processo, allora questo cambiamento ci sarà mai? 
Non è un po’ arrendersi alla logica del “ma tanto le cose si fanno così, ma tanto il mondo va così…”?!
Dietro questo tipo di ragionamento potrebbe celarsi il pericolo dell’assuefazione ad un mondo ingiusto, il rischio dell’arrendevolezza e della rassegnazione che potrebbero sconfinare nell’indifferenza. O, ancora potremmo rassegnarci per pigrizia. A volte avviare processi è molto faticoso, perché richiede tempo, tanto tempo, energie, forse lotte contro i mulini a vento senza alcun minimo progresso.. mentre spesso  vorremmo tutto e subito ( magari più per appagare il nostro ego).  

Qualcuno potrebbe obiettarmi: ma chi sei tu/chi siamo noi per dire cosa è giusto e sbagliato?!
Verissimo!! Ma almeno sollevare la questione senza la pretesa di insegnare niente a nessuno.. almeno ragionarci insieme.. si può fare?!

Quando ancora mi arrabbio davanti a certe cose e poi ci ripenso, prima mi arrabbio di nuovo perché non ho saputo accettare la situazione, ma poi un po' sono contenta, perché, per come sono fatta, vuol dire che non sono assuefatta; magari sbaglio, ma lo trovo un bene. Forse non mantengo i modi da principessa (che comunque non mi appartengono molto.. ma non preoccupatevi perché non ho picchiato nessuno!!) ma dentro vuol dire che si smuove qualcosa. E mi fa sorridere quando i miei amici si arrabbiano ancora.. non perché sia sadica, ma perché mi dà speranza! 
(ovvio, poi bisogna imparare a gestire con serenità la cosa, però intanto intravedo la speranza di chi ci crede ancora).

Allo stesso tempo ho imparato a fare i conti col fatto che non si possa aiutare a tutti i costi chi non vuole essere aiutato, ma credo comunque che le porte debbano sempre restare speranzosamente aperte, non per insegnare ma per accogliere, senza giudicare. 

Belle parole, eh?! Ma difficile nei fatti, perché è sempre un equilibrio tra chi sono e cosa non sono, tra cosa vorrei e cosa non c'è, tra i miei limiti e le mie speranze, tra me e il resto del mondo.
Però alla fine, mi dico anche che se uno mai si mette in cammino mai raggiunge la meta.. 


Alla luce di queste riflessioni, mi risuonano dentro le parole di Annalena Tonelli, il cui libro mi sta accompagnando in questo ultimo periodo in Kenya. 
Annalena è stata una missionaria laica cattolica che ha speso la sua vita nel deserto con i musulmani, da sola, lavorando e curandone migliaia, senza voler convertire nessuno. E stata uccisa mentre faceva quello che amava. Lei ha avuto il coraggio e l’umiltà di dire “Io sono nessuno”, nonostante il grande lavoro,  riconosciuto anche a livello internazionale. 
Tra l’altro p. Angelo l’ha conosciuta personalmente ed ero molto gasata!

Tra le tante cose che scrive c'è questo:

“Il più grande sbaglio, il più grave delitto è quello di pretendere di risolvere i problemi, di presumere di avere le capacità di farlo, bisogna accettare di fare un poco per pochi, per quei pochi che il Signore ha messo sul nostro cammino, ma quel poco bisogna farlo bene, con la massima dedizione, con la più rigorosa onestà, con tutto l’amore possibile del proprio cuore”


Ecco, forse è così. In Kenya, a Milano o ovunque.

E mentre continuo a ragionarci, aspetto che p. Angelo mi invii una delle sue email.. :)
Angela 

lunedì 4 luglio 2016

"Vi farò pescatori di uomini.. e di donne"

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Giovedì scorso mi sono fermata nella comunità di padri marianisti nostri vicini di casa per pregare insieme a loro il vespro. Ero l’unica donna insieme a quattro consacrati. Niente di strano, se non che verso la fine della preghiera c’era un versetto che diceva più o meno "come Simone, che Egli fece pescatore di uomini…" e dopo un paio di secondi di esitazione, il giovane brother, incaricato della lettura, ci ha tenuto ad aggiungere “pescatore di uomini.. e di donne!”.
Questo gesto ha suscitato un po’ l’ilarità generale perché sapevamo bene che in quel momento men significava genere umano piuttosto che uomini (intesi come sesso maschile), ma ho apprezzato la volontà del giovane novizio che, un po’ ingenuamente, ha deciso di aggiungere quella parola, “women”, in virtù della mia presenza femminile lì.. Non so se perché altrimenti mi sarei potuta offendere, o semplicemente per cortesia.. ma comunque l'ha fatto e l'ho ringraziato!

Andando oltre l’episodio in sé, s’intuisce come la questione del genere in Kenya sia molto importante e molto sentita, almeno dal punto di vista formale. Grazie alla Costituzione del 2010 sono state istituite nel Paese, specialmente in alcuni settori (come quello della politica, da sempre ambiente solo per uomini) le quote rose, e l'attenzione al cosiddetto gender balance e gender parity è sempre molto alta, specialmente negli uffici pubblici. È sancito dalla Costituzione, quindi è sacro. 
Però - e non voglio scatenare l'ira dei giuristi - una costituzione protegge le minoranze; una legge è creata per riempire un vuoto normativo o per regolare (in questo caso tutelare) qualcosa che in natura non è regolamentato. Quindi le donne sono tutelate dalla Costituzione. Il che, porta alla conclusione che qui, ma come altrove nel mondo (e non pensiamo che nel nostro Paese occidentale civilizzato spesso sia tanto diverso) le donne siano ancora una minoranza da tutelare.
Non sto partendo con un’arringa femminista (e pure se fosse considerata tale, amen), ma ci sono delle cose che veramente mi fanno incazzare - e concedetemi questa parola perché rende meglio il mio stato d'animo!!!
La cosa più recente è che stamattina, nel matatu, mentre dicevo al conducente che mi doveva del resto perché mi aveva fatto pagare ingiustamente di più, lui letteralmente mi ha IGNORATO. Io parlavo, e lui faceva finta di niente, come se io non esistessi.. e perché?! Perché ero una donna!!
Così come quando, in questi mesi, moderando dei workshop sul gender tra i giovani, ho sentito che la donna deve occuparsi della casa e dei bambini, che deve andare a prendere la legna per il fuoco perché per l’uomo sarebbe uno scherno agli occhi della società, che si paga la dote alla famiglia della donna per averla in moglie, che un uomo deve sposare una donna molto religiosa perché le preghiere delle donne arrivano prima di quelle degli uomini, che se anche una donna si smazza dalla mattina alla sera, si sveglia prima del marito e va a letto dopo, è lui che porta la pagnotta a casa e che quindi è meritevole di maggiore rispetto.
In alcune tribù, se nasce un maschietto si fa festa per giorni, ad una femmina non sono riservate altrettante attenzioni. Se sei una donna e fai parte di una famiglia povera, probabilmente i tuoi genitori ti spingeranno a prostituirti (ma qui possiamo aprire un capito a parte) per portare un po’ di soldi a casa. Se non ci sono abbastanza soldi, tra un fratello e una sorella, il prescelto per la scuola è l’uomo. In alcune parti del Kenya è ancora alto il livello di matrimoni precoci, le donne sono ancora sottoposte alle cosiddette mutilazioni genitali tipo l’infibulazione, la moglie serve a procreare, è di proprietà della famiglia dello sposo (perché se muore tuo marito vai a vivere sotto lo stesso tetto di tuo suocero) e la lista potrebbe essere ancora più lunga..







Tuttavia si sa che le donne sono più responsabili degli uomini ed è ampiamente riconosciuto, almeno nella cooperazione internazionale, che molti progetti riescono meglio se gestiti da donne. Ma, spesso,  purtroppo, le stesse donne, non sono coscienti dei loro diritti.




L’8 marzo ho marciato con alcune di loro per strade di Mombasa. Non sono solita a espormi così tanto: in Italia non ho mai partecipato ad una manifestazione, perché probabilmente non ne sentivo l’urgenza, per quanto, e chi mi conosce lo sa, sia sensibile a certi temi.
Ma qui.. qui tutto ha assunto un altro significato.!!



Quest’anno l’ho sperimentato più volte sulla mia pelle: se parlo, spesso non mi ascoltano, o mi ascoltano dopo, e non perché parli troppo e risulti fastidiosa (potrei capirlo e anche condividerlo) ma perché sono una donna, e, a volte, mi salva solo l’essere bianca.. 
E per me il diritto di espressione è sacrosanto!



Qui ho incontrato molte donne valide, che si battono per il loro diritti e non hanno paura ad esporsi. Però nascere donna in molte parti del mondo è ancora considerata una sfortuna e io proprio non ce la faccio ad accettare questa idea!


Mi piacerebbe che la forma istituzionale diventasse sostanza; mi piacerebbe che le tante parole di cui si riempie la bocca, ovunque, fossero realmente tradotte in azione; e non pretendo di essere eguagliata a un uomo, perché per me la diversità è ricchezza, ma io pretendo, o quanto meno mi auspico, di avere le sue stesse possibilità.

Insomma, qui si sconfina e si va in un discorso più ampio che riguarda un valore per me fondamentale: quello della LIBERTA'! Io vorrei semplicemente vivere in una società dove ci sia la libertà di poter scegliere per me che donna essere. 
E, ancora oggi, questa libertà è spesso negata. 
Non cerco vittime e colpevoli e non ne faccio una questione puramente di genere maschile o femminile, quanto piuttosto una questione di.. umanità!! La strada è ancora lunga e, appunto, non riguarda solo le donne o gli uomini come entità separate: riguarda tutti, indistintamente. 
Io di risposte non ne ho, ma come donna, come cittadina, come cristiana e cattolica, mi sento di affermare che, probabilmente, solo educandoci reciprocamente al rispetto della DIGNITA' UMANA possiamo sperare in una società più equa, dove per equità, intendo, ancora una volta, l’accesso alle stesse possibilità. Sta poi a me decidere, cosa farne. Ma a queste possibilità devo poterci arrivare.

Angela