mercoledì 14 agosto 2013
Libano - Abbraccio di nuvole
giovedì 6 maggio 2010
Noi non vogliamo affatto immatricolare una galera
non stiamo a raccontarvi in quanti uffici siamo stati, con quanti prefetti abbiamo parlato, quanti sorrisi abbiamo fatto, quanti taxi abbiamo preso, quante carte abbiamo riempito, ma alla fine, io e Davide siamo orgogliosissimi possessori di carta di identità giordana...ora potete dimenticarci qui fino al 4 maggio 2011!!
sabato 27 febbraio 2010
Un fiorino!
Dove i volontari italiani provano a fare le cose per bene, con metodo, informandosi prima. Dove decidono che ne sanno a sufficienza per richiedere il permesso di soggiorno, e allora ci provano davvero.Prima tappa. Stazione di polizia di Jabal Hussein.
Poliziotti all’entrata.
- Cosa volete?
- Siamo stranieri, dobbiamo rinnovare il permesso di soggiorno. Siamo italiani. La nostra ambasciata ci ha detto di venire qui per il rinnovo del visto.
- Dove abitate?
- Jabal al-Lweibdeh.
- Di che nazionalità siete?
- Siamo italiani.
- Ok, prego. Terza porta sulla destra.
Rapidità encomiabile. Stai a vedere che la cosa si risolve in un attimo. Altro che la burocrazia italiana.
Terza porta sulla destra. Sono dentro in quattro.
- Siamo italiani, vorremmo rinnovare il permesso di soggiorno e…
Nessuno dei quattro apre bocca, solo uno muove leggermente la testa verso destra. Un movimento rapido e impercettibile – solo chi è stato nei Paesi arabi sa di cosa parlo – ma inequivocabile: abbiamo sbagliato porta, dobbiamo andare nell’ufficio a fianco.
Quarta porta sulla destra. Tre poliziotti, un uomo e due donne.
- Cosa volete?
- Vorremmo fare il rinnovo del permesso di soggiorno per tre mesi e..
- Da dove venite?
- Italia.
- Dove abitate?
- Jebel al-Lweibdeh. Ci hanno detto di venire qua e…
- Uhm, al-Lweibdeh. No, non è qua che dovete venire.
- Ma veramente.. l’ambasciata ci ha detto…
- Tsk, Tsk. Dovete andare alla stazione al-Madina.
- Ma questa stazione è più vicina a casa nostra. Davvero dobbiamo andare là?
- Si, sicuro.
Seconda tappa. Stazione di polizia al-Madina.
Wasat al-Balad, città vecchia di Amman. La parte più bassa e più inquinata della città, la più incasinata, la più affascinante. Il taxi ci mette un’ora per fare il chilometro di strada che separa il nostro ufficio dalla downtown ammanita.
Eccoci alla stazione al-Madina. Un poliziotto ventenne in tuta mimetica, la carnagione scura tipica dei giordani di origine beduina, ci accoglie.
- Cosa volete?
- Siamo italiani. Siamo qui per il permesso di soggiorno. Ci hanno mandato da Jabal Hussein e…
- Prego. Di sopra.
Mentre saliamo andiamo incontro a una nuvola di polvere. Degli operai stanno tirando giù dei calcinacci dai muri. Arriviamo al secondo piano. Due stanze sono completamente sventrate, non si riesce nemmeno a respirare per la quantità di polvere. Guardando meglio intravediamo degli agenti. La stazione di polizia è proprio su questo piano.
Entriamo in uno degli uffici appena rinnovati. L’odore di vernice è veramente fastidioso, devono aver ridipinto la stanza qualche ora prima.
- Cosa volete?
- Siamo italiani. Siamo venuti qui per fare il rinnovo del visto e..
- Dove abitate?
- Abitiamo a al-Lweibdeh.
- Ah. Ma allora non dovete venire qui.
Ecco. Lo sapevo che dovevamo insistere a Jabal Hussein. E noi che ci siamo fidati..
- Ma come? Ci hanno mandato qua da Jabal Hussein. Hanno proprio specificato di venire qua.
- Un attimo. Prego, sedetevi.
- Veramente stiamo volentieri in piedi. E’ tutto il giorno che stiamo seduti.
- Prego, sedetevi.
La stazione è un brulicare di gente in divisa. Nella stanza accanto alla nostra ci sono cinque poliziotti, forse sei. E una gabbia metallica con dentro un ragazzino. Sembra di vedere una di quelle serie americane degli anni settanta-ottanta, dove c’è sempre un borseggiatore che viene portato in centrale per “accertamenti”.
Diverse persone si avvicendano nel “nostro” ufficio. Io e Marta ci rialziamo, non ne possiamo più di stare seduti. Io faccio per appoggiarmi al muro, giusto il tempo di impiastricciarmi la giacca di vernice bianca ancora fresca. Arriva un altro agente. Confabula con quello di prima, poi si rivolge a noi.
- Cosa volete?
- Siamo italiani. Siamo qui per il permesso di soggiorno..
- Dove abitate?
- Stiamo a Jabal al-Lweibedeh..
- Sicuri che dovevate venire qua?
- Si si, ci hanno proprio detto così..
- Un attimo. Prego, sedetevi.
- No grazie, rimaniamo in piedi.
- No, per favore. Sedetevi.
Torniamo a sederci. Fuori dalla stanza gli operai stanno stuccando il corridoio sotto gli occhi di mezza centrale. Il ragazzino nell’altro ufficio è sempre nella gabbia, però ora sta sorseggiando una Mirinda (tipica bevanda giordana al gusto di zucchero).
Chissà chi tra noi uscirà prima da qua.
Ritorna il primo ufficiale che avevamo incontrato. Lavora al computer, ci chiede i passaporti, ci chiede il test dell’AIDS che abbiamo appena fatto per poter chiedere il rinnovo. Forse ci siamo. Ci fa segno di seguirlo. Bisogna incontrare il mudir, il comandante della stazione. Ripassiamo di nuovo attraverso la nebulosa di polvere e ci troviamo in una sala molto elegante. Ci accoglie un uomo sulla quarantina, con fare cordiale. Scribacchia i nostri nomi su un promemoria. Torniamo nell’ufficio di prima. Riconsegniamo il passaporto e il test dell’AIDS. L’impiegato tira fuori un timbro da una cassetta di sicurezza.
Questa volta è fatta. Oso chiedere conferma.
- Questo è il visto per i tre mesi giusto?
- Si, cioè..no.
- In che senso?
- Questa è l’attestazione di residenza. Non posso farvi il permesso di soggiorno.
- E quindi?
- Dovete andare alla stazione di polizia Filadelfia. Domani però, perchè adesso l'ufficio è chiuso.
- Ma quindi qui non avete fatto..cioè non è possibile fare…dobbiamo proprio tornare…
- Stazione Filadelfia. Bukra (domani).
Terza tappa. Stazione di polizia Filadelfia.
Questa volta ci portiamo rinforzi. C’è con noi Amin, il responsabile logistica del nostro ufficio, uno di quei personaggi che difficilmente avrebbero un senso fuori da un Paese mediorientale. Questa volta la stazione di polizia è situata dalla parte opposta del centro città, verso l’antico Teatro Romano. Ci ributtiamo nel traffico, facendo lo slalom tra i taxi clacsonanti e i camioncini del gas.
La stazione di polizia Filadelfia sta sopra un negozio di vestiti.
Mi vien da pensare che non sia un buon segno.
Al piano terra ci sono due agenti.
- Salve. Siamo qui per il permesso di soggiorno. Siamo italiani e dovremmo fare il rinnovo dei tre mesi..
- Si. Dove abitate?
- Abitiamo a Jabal al-Lweibdeh.
- Perché siete venuti qua?
- Ci hanno detto di venire qua. Siamo andati a Jabal Hussein e ci hanno detto di andare nella stazione di al-Madina. Da al-Madina ci hanno mandato qua.
- Di che nazionalità siete?
- Italiani.
- E dove avete detto che abitate?
- A al-Lweibdeh.
- Un attimo. Prego.
La guardia ritorna al suo gabbiotto. Alza la cornetta del telefono, discute animatamente col suo interlocutore. Si gira verso di me.
- Mi spiace. Oggi non si può.
Gelo.
- Perché non si può?
- Non si può. Il computer è rotto. Non si può fare niente fino a domenica prossima. Tornate settimana prossima.
- Come rotto? Ma non possiamo tornare domenica! Abbiamo bisogno di farlo ora!Ma c’è solo un computer in tutto l’ufficio?
- Mi spiace.
- Non possiamo andare da qualche altra parte?
- No.
- Non c’è nessun posto dove possiamo andare per il rinnovo del permesso di soggiorno?
- No. Però se volete potete andare alla stazione di Marka. Magari lì ve lo fanno, insh'allah.
Beato fatalismo. Ritorniamo da Amin, che ci aveva atteso in macchina. Ormai la giornata è persa, tanto vale provare anche Marka. Nel frattempo si alza il vento, trascinandosi dietro delle minacciose nuvole nere. Tutto congiura contro il nostro permesso di soggiorno. Amin chiama qualcuno per avere indicazioni su dove sia la stazione di polizia. Dal tono concitato della telefonata sembra che stia utilizzando il suo aiuto da casa, e non voglia assolutamente sprecarlo.
Quarta tappa. Stazione di polizia di Marka.
Marka, zona di periferia, una delle aree di Amman a più alta densità di popolazione palestinese, a mezz’ora di macchina dal nostro ufficio. Questa volta Amin entra con noi. Andiamo dritti al secondo piano, ci dirigiamo verso una stanza dove due ufficiali stanno amabilmente conversando. Lasciamo le presentazioni ad Amin, per cinque minuti buoni è lui a condurre il gioco. Poi uno degli agenti si gira verso di noi e sorride.
- Italiani? Conosco l’Italia.. sono stato a Vicenza, molto bello.. voi di dove siete?
- di Milano.
- Ah, bella città. E cosa volete?
- Abitiamo a Jabal al-Lweibdeh, volevamo chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno per tre mesi e..
- A Jabal al-Lweibedeh?
- Si.
- Ma non dovreste farlo qua.
- Ci hanno detto di venire qua. Siamo andati a Jabal Hussein, poi alla stazione di Madina, poi a quella di Filadelfia ma c’era il computer rotto.
Ormai è diventata una questione di principio. Sono pronto ad andare a chiedere il rinnovo anche ad Aqaba se necessario. Invece succede l'impensabile.
- Dovevate venire subito da me. Anzi, d’ora in poi venite sempre qua, ve lo faccio io. Mi piace molto il vostro Paese. Si mangia davvero bene.
- Grazie, ma..
- Datemi i passaporti, faccio in un attimo.
Dopo un minuto ci restituisce i passaporti. Non crediamo ai nostri occhi, il rinnovo effettivamente c'è.
Usciamo dalla stazione ancora rintronati, chiedendoci se tutto ciò abbia avuto un qualche senso. Forse è il caso di berci sopra del te'...
sabato 16 gennaio 2010
Il sole a strisce.0
Siamo nella sezione femminile del carcere di Juweideh, periferia meridionale di Amman. Qui si trova l’unico carcere femminile della Giordania, con tanto di sezione per le cosiddette detenute temporanee. Qui vengono condotte le donne immigrate clandestine con permesso di soggiorno scaduto.
Riesco a parlare con una ragazza filippina. Con la voce rotta dal pianto mi racconta di esser venuta in Giordania per lavorare come collaboratrice domestica, e di esser stata trovata dalla polizia sprovvista di permesso di soggiorno. Non si può permettere di pagare la multa, così le autorità la trattengono in carcere. Un’altra ragazza mi dice di aver già pronti i soldi per potersi “comprare” l’uscita dal Paese, e di aver ancora abbastanza denaro per il viaggio di ritorno nelle Filippine, ma per qualche ragione è ancora in carcere. Qualcosa deve essersi inceppato ed è ancora qui, da più di due mesi.
Sono partito da questa piccola esperienza per raccontare il dramma delle lavoratrici domestiche straniere in Giordania. La stragrande maggioranza di queste provengono dall’Asia Meridionale e Orientale, soprattutto da Indonesia, Filippine e Sri Lanka. Lasciano il Paese di origine sperando di trovare qui un lavoro dignitoso, contribuendo così a sostenere la famiglia rimasta in patria, ma finiscono spesso in una spirale interminabile di sfruttamento: sono vittime di abusi e maltrattamenti – se non di veri e propri pestaggi - da parte dei propri datori di lavoro; lavorano dalle 16 alle 19 ore giornaliere, spesso dovendo aspettare mesi per ricevere lo stipendio o parte di esso (a volte sono le agenzie di reclutamento a trattenere parte dei soldi); vengono tenute segregate nella casa dove lavorano per impedirne la fuga.
A volte, anche quando le ragazze riescono a fuggire, l’amara sorpresa è dietro l’angolo. Impossibile lasciare il paese: il datore di lavoro, responsabile per legge dell’adempimento, non ha mai provveduto all’estensione del loro permesso di soggiorno. Non potendo pagare la multa – ogni giorno di presenza irregolare in Giordania costa alla persona un dinaro e mezzo – le ragazze finiscono così in carcere, senza sapere se e quando riusciranno a uscire. In alcuni casi la situazione è ancora peggiore: non volendo rischiare conseguenze penali o amministrative per l’irregolarità, alcune famiglie cercano di liberarsi delle lavoratrici denunciandole alla polizia per maltrattamenti o per furto (è recente la notizia di una collaboratrice cingalese imprigionata, e poi rilasciata per mancanza di prove, in seguito all’accusa di aver rubato alcuni gioielli e aver abusato della bambina della famiglia presso cui lavorava).
Del resto, come mi dice una terza ragazza a Juweideh, la fuga può anche essere sorprendentemente breve. Una volta raggiunto il miraggio del rimpatrio, molte sue connazionali hanno ripreso subito la strada della Giordania, finendo nuovamente in carcere. Lei però non ci potrà riprovare: sul passaporto le hanno messo un timbro recante la scritta “Denied Entry”, che verosimilmente le impedirà di rivedere le colline di Amman per almeno cinque anni.
Secondo Amnesty International sarebbero oltre 70.000 le collaboratrici domestiche presenti in Giordania, di cui circa 30.000 non registrate. Diverse organizzazioni, tra cui Human Rights Watch, hanno denunciato questa pratica, in contrasto con le stesse leggi giordane. Lo stesso governo si sarebbe impegnato a emendare la propria legislazione del lavoro, promettendo di dedicare un’attenzione specifica ai diritti delle lavoratrici domestiche.
Per chi volesse ulteriormente approfondire la questione:
Report di Amnesty International;
Analisi di Human Rights Watch sulla nuova legislazione del lavoro in Giordania;
Articolo del Jordan Times a proposito di un recente caso di maltrattamento.
giovedì 10 dicembre 2009
Permesso di soggiorno: ultimo episodio!
La foto illustra la nostra felicità ieri sera…
giovedì 29 ottobre 2009
Permesso di soggiorno: episodio 1
