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giovedì 13 settembre 2018

Moldova - Bosnia: racconto di un'esperienza

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Le emozioni e le impressioni di Dorina (volontaria sedicenne dell’associazione Misiunea Socială "Diaconia", Moldova) circa le due settimane di avventura e scoperta della Bosnia Erzegovina.

Otto volontari moldavi hanno avuto la possibilità di vivere due settimane di scambio in Bosnia ospiti delle associazioni locali Youth for Peace e Ivan Pavao II, due realtà impegnate nel dialogo interreligioso e nella ricostruzione post conflitto
Per questi otto volontari l`esperienza ha rappresentato diversi primi e nuovi incontri e scoperte: prima volta in un paese straniero, primo approccio con diversi credi religiosi... 
La complessità del paese con la sua storia, le testimonianze ascoltate, i luoghi visitati ed il volontariato svolto con i migranti e i ragazzi dell’orfanotrofio a Banja Luka hanno contribuito a rendere ”l’esperienza sconvolgente” come dice la stessa Dorina nell’articolo sotto riportato.


Un'esperienza sconvolgente, che in pratica ci ha cambiati tutti. La semplicità, la bellezza, le emozioni provate, le persone diverse incontrate, il divertimento, il dramma della guerra che abbiamo conosciuto, queste parole non riescono a descrivere quello che abbiamo vissuto nel corso della nostra esperienza in Bosnia e Herzegovina. 

Religione, una parola così semplice ma che allo stesso tempo racchiude così tanti significati, luoghi religiosi affascinanti e sorprendenti, diversi gli uni dagli altri, persone appartenenti a credi differenti ma alla fine, non conta, perchè accomunate tutte dalla fede in un solo Dio.

Uno stato non molto grande, ma con una storia ricca di avvenimenti, tra cui una tragica guerra  di cui le persone si ricordano ancora e capita che lo facciano attraverso l'ironia e l'umorismo nero.
Uomini con una storia bella e piena di eventi che riescono a guardare al futuro nonostante il passato doloroso. 

Oltre agli abitanti della Bosnia ho avuto l'opportunità di incontrare persone provenienti da altri paesi tra cui alcuni rifugiati a cui abbiamo distribuito un pranzo caldo e un bicchiere di thè svolgendo volontariato con una mensa moblie. In questa occasione  ho conosciuto per esempio un ragazzo cinese, Maks, che sta facendo il giro il mondo e che, giunto a Sarajevo, ha deciso di rendersi utile alla mensa mobile. Ciascun giorno, ciascun luogo visitato durante queste settimane ha arricchito le nostri menti e colmato le nostre lacune con molte nuove informazioni.
Durante il servizio alla mensa abbiamo chiaccherato con altri volontari meravigliosi che nonostante non  parlassero bene inglese cercavano di fare per il possibile per riuscire a comunicare con noi.
Abbiamo visitato città quali Mostar, Jaice, Banja Luka ed alcuni musei come, ad esempio, il War Childhood Museum. Mostar, famosa per il suo ponte incantevole ricostruito dopo la fine del conflitto, sotto al quale scorre un fiume che attraversa la citta’ e la città di Jaice con la sua cascata. 
Il Child War Museum ci ha emozionati con i ricordi dei bambini cresciuti durante il periodo della guerra che vengono presentati con una piccola descrizione dell'oggetto e del proprietario, descrizione che spesso non mi ha fatto trattenere le lacrime.

In queste due settimane abbiamo avuto l’opportunità di avvicinarci a molte persone, tra cui i bimbi e i ragazzi dell’orfanotrofio di Banja Luka, gli anziani del centro diurno Drevnii davvero difficili da battere a carte, vista la loro astuzia! 
Negozi, parchi, ristoranti, passeggiate, mercati… Abbiamo visitato così tanti luoghi...entusiasmo e curiosità ci hanno sempre accompagnati, Qualcuno è anche riuscito ad imparare un po’ di inglese e assieme siamo riusciti ad oltrepassare le paure che avevamo all’inizio e abbiamo scoperto cosa significhi essere una vera squadra, magari  piccola ma unita e forse siamo riusciti ad essere piu’ di una squadra… Siamo diventati una famiglia. 
Grazie di cuore a chi ci ha dato l’opportunità di vivere quest’esperienza perchè ci ha permesso di aprire il nostro sguardo e di cambiare prospettive rispetto a tanti aspetti e abbiamo imparato davvero tanto, diventando persone piu’ consapevoli e mature. Neanche il divertimento è mancato…  Dal primo all’ultimo giorno! Siamo stati accolti con amore, abbracci, parole e regali che ci siamo scambiati a vicenda
Ci mettiamo la firma che in futuro non ci faremo assolutamente scappare la possibilità di vivere un’esperienza di questo genere e siamo pronti per accoglierne una nuova in qualsiasi momento!
Nuove idee, progetti ed eventi… La voglia e il desiderio di impegnarci e di aiutare sono cresciute dentro di noi… dentro a quegli 8 piccoli esploratori circondati da persone meravigliose e piene di bellezza. 
Vogliamo ringraziare le persone che ci hanno accompagnato in quest’avventura: la nostra coordinatrice Nadia e le volontarie italiane Lisa Thibault, Faustina Yeboah, Diana Cossi!! 

Grazie Caritas!

Il bene, alla fine, torna sempre indietro e la fatica viene sempre ripagata!

sabato 30 giugno 2018

Chisinau-Sarajevo

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L’inizio vero e proprio del viaggio è rappresentato dalla preparazione dello zaino, è il momento in cui ti trovi a decidere che cosa portare, cosa lasciare, cosa reputare indispensabile e cosa superfluo. E mentre si consuma il rituale del bagaglio si materializzano le aspettative, le paure e l’attesa per la partenza diventa quasi insopportabile. La meta è certa, è Sarajevo, il tragitto quindi Chisinau-Vienna-Sarajevo.

Non parto sola, i compagni di viaggio sono piuttosto insoliti, otto adolescenti moldavi provenienti da Chisinau (capitale della Repubblica Moldova) e dai villaggi limitrofi. Sono i volontari dell’associazione in cui lavoro, volontari che nel corso dei mesi si sono fatti il mazzo con dedizione e devozione, al punto che spesso con la collega di servizio civile ci siamo trovate a sollecitarli  ad andare a casa alla fine delle attività, accompagnandoli letteralmente alla porta. Il viaggio  per i volontari è il  riconoscimento per l’impegno dimostrato nel corso dei mesi, per alcuni nel corso degli anni, per l’associazione significa dare loro l’opportunità di uscire dal paese, prendere un aereo per la prima volta, fare una vacanza e vivere un’ esperienza di incontro. 
È capovolgere il paradigma per cui “l’estero”, “l’altrove” non sono solo mete di emigrazione ma anche di scambio e riscoperta.




La meta è certa, Sarajevo, non un luogo a caso, non un luogo di facile lettura, luogo di fratture  e suture. La partenza è già di per sé evento, il piccolo aeroporto di Chisinau con un sottofondo di lavori in corso ci congeda assieme al saluto dei genitori con il vestito buono ed il selfie di gruppo d’ordinanza.

Sarajevo ci accoglie con un freddo inaspettato e una pioggerellina sottile, sembra autunno. I ragazzi sono colti di sorpresa dal canto del Muezzin, per tutti è la prima volta e chiedono immediatamente spiegazioni, è un inizio in media res. L’intreccio di culture e di storia li investe e da subito iniziano a capire la complessità e la bellezza della terra che li ospita, le informazioni della formazione pre-partenza prendono forma, consistenza ed assumono colori, volti e storie. A traghettarci in questa scoperta sono i ragazzi dell’associazione bosniaca “Youth for peace”, ragazzi di confessioni religiose e gruppi etnici diversi che assieme svolgono attività di volontariato promuovendo il dialogo interreligioso in un’ottica di riconciliazione. Sono tante le emozioni che in questi primi giorni ci coinvolgono, il War Childhoodmuseum ci colpisce dritti allo stomaco, tocca le nostre corde più deboli ed ancora una volta ci mette di fronte alla storia di questa terra.
Il museo è una raccolta di giochi, portafortuna e ricordi dei bambini cresciuti durante la guerra in Bosnia, ci sono un peluche, un abbecedario,un portapenne, involucri di cioccolato, gli oggetti parlano attraverso una didascalia, sono le esperienze e le storie dei piccoli proprietari… Il primo oggetto in mostra è però il cappottino di una bimba siriana è di panno verde e la taglia è piccola, molto piccola.  Allargo lo sguardo ai miei otto compagni di viaggio e li vedo commuoversi,all’uscita del museo ci  scambiamo le impressioni e le sensazioni e mi sembrano diversi da quegli otto che al mattino chiedevano insistentemente di connettere Justin Bieber e Ed Sheeran al cavetto della “Volkswagen Combi”.



La fedele “Combi”ci accompagna tra le strade di Sarajevo, è un saliscendi non indifferente, saliamo fino al monte Trebevic (postazione di lancio dei colpi di mortaio durante l’assedio) per poi scendere verso la città. I cellulari dei ragazzi sembrano impazziti, c’è un’altra prima volta o quasi da immortalare, le montagne. Il numero di scatti è impressionante, le foto vengono inviate la sera alle famiglie che aspettano la cronaca della giornata. Il nostro viaggio assume una dimensione collettiva, la nostra esperienza raggiunge i villaggi della Moldova e i luoghi della diaspora moldava, ci sentiamo a metà tra Neil Armstrong e il carosello serale. I genitori e i nonni rimasti in Moldova sono parte del viaggio, è un racconto intergenerazionale.

I volontari di “Youth for Peace”, ci prendono e per mano e con loro visitiamo la Gazi- Husrev- beg Mosque, è un’altra prima volta emozionante, di quelle che ti spiazzano, le pareti dipinte, la quiete e il tono gioviale dell’imam, leggo negli occhi dei ragazzi una sensazione di spaesamento, non è quello che si aspettavano, l’incontro non corrisponde all’immaginario. A rendere il tutto più surreale è Emina, indossa un paio di Stan Smith bianche, dei jeans a sigaretta e una t-shirt  con la stampa “I’m a vegeterian”, ci spiega della sua religione, è una di turbomuslim (mussulmana praticante) femminista e vegetariana, è un ossimoro in carne ed ossa, parla a mitraglia e non riusciamo a staccarle gli occhi di dosso. Ci guarda dritta negli occhi consapevole di tutti i nostri pregiudizi, sorride e risponde a mitraglia a tutte le nostre domande, metà delle quali inopportune; siamo curiosi, ascoltiamo disorientati e ancora una volta ci ritroviamo un po’ cambiati.

Attraversiamo Sarajevo, dalla parte ottomana a quella Austro-ungarica, siamo lenti, molto lenti guardiamo le vetrine, ci sono le catene dei negozi di abbigliamento, oltrepassiamo Mango, più avanti c’è Zara, sorrido tra me e me..sembriamo dei campagnoli. 
È  tempo di un’altra prima volta la cattedrale cattolica e la sinagoga. 


Per tre pomeriggi di fila siamo impegnanti con la distribuzione dei pasti ai migranti accampati in Stazione centrale (da Gennaio infatti si è riaperta la rotta balcanica questa volta passa dalla Bosnia), ci sono anche dei bambini. I ragazzi si infilano i guanti ed assieme ad altri volontari si danno da fare, ascoltano le indicazioni dei volontari più esperti ed iniziano a consegnare i pasti. Alcuni di loro parlano inglese e comunicano con le persone in coda. Alla fine del servizio A.e J. mi raccontano che hanno fatto amicizia con alcuni ragazzi afgani, mi raccontano la storia di queste persone e sono molto provati,  né A e J né i ragazzi afgani parlano inglese e non riesco a capire in quale lingua possano essersi parlati «Abbiamo parlato in russo! »mi dicono candidamente. 


Li guardo e sono due diciassettenni provenienti dalla Moldova  e due ragazzi afgani che si raccontano e scambiano informazioni in russo di fronte alla stazione dei treni di Sarajevo.
Saliamo nella nostra Combi, piove e concedo senza fiatare il cavetto per la musica, posso senza dubbio sopportare un’altra compilation di Ed Sheeran.

lunedì 5 febbraio 2018

NUDO

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Racconti di permessi di soggiorno


Negli ultimi giorni mi è capitato spesso di dover raccontare, il più delle volte con piacere altre con fatica, l’esperienza in Moldova di questi primi mesi.
L’episodio più ricorrente, l’anedotto che ha scalato la top ten è stato sicuramente quello riguardante la lunga trafila per il permesso di soggiorno. Non si è trattato certo della mia prima richiesta di permesso di soggiorno. Solo al  compimento dei  18 anni infatti, dopo essere nata in Italia sono riuscita ad ottenere la cittadinanza, con tanto di festeggiamenti e squilli di tromba. Pur non essendo la prima volta l'episodio mi ha dato davvero da pensare. Negli ultimi due anni e mezzo di lavoro accanto a persone richiedenti asilo il tema del permesso di soggiorno è stato al centro di tutto, perché puoi organizzare l’orto sinergico più rigoglioso del mondo, il laboratorio di falegnameria creativa e pure il corso di alfabetizzazione più interattivo e all’avanguardia ma se ti rinnegano la richiesta, poche sono le vie di uscita.

Ma andiamo con ordine:
Dopo qualche settimana di soggiorno io e la mia collega di servizio civile siamo state sollecitate dall’associazione Moldava “ Misiunea Sociala Diaconia” in cui prestiamo servizio a presentare domanda per il permesso di soggiorno.
Oltre a tutta una serie di documenti, la stipulazione di una polizza assicurativa, il notaio, il casellario giudiziario vidimato, il gruppo sanguigno…
 La cosa che più mi ha stupita è stato il numero di visite mediche a cui ci siamo dovute sottoporre. Nell’ ordine rx torace, marcatori e test Hiv, visita dal geriartra e visita ginecologica.
Capite bene il disagio di sottoporsi a tutti questi accertamenti senza capire bene la lingua, perché sì il rumeno è facile se poi hai pure fatto latino al liceo è una passeggiata, dicevano. Ma quando ti trovi a dover spiegare ad un medico incredulo perchè nella tua vita tu non abbia mai fatto una radiografia al torace o a far fronte allo sguardo incuriosito della dottoressa che mai nella sua vita ha visitato una persona di colore, allora la storia cambia.
Seduta sul lettino del medico  in deshabillè al piano terra di un ambulatorio di un ospedale di  Chisinau, con le tende aperte e le teste dei passanti così vicine da poterne scorgere i volti e le espressioni mi sono ricordata…
Giardino interno ospedale di Chisinau


Mi sono ricordata la sensazione prima delle file in Questura per il rinnovo del permesso di soggiorno in Italia, poi di tutte quelle volte che  ho accompagnato i ragazzi del centro di accoglienza in cui lavoravo a fare le vaccinazioni, rx, mantoux, esami del sangue e visite mediche. Chiaro  nei centri più virtuosi c’è il mediatore che spiega prima, l’attenzione e il sorriso dell’operatore, ma la sensazione di spaesamento data dal  non capire che cosa stiano realmente dicendo le persone accanto a te mentre tu sei nudo è pesante.
È ancora più pesante perché ad essere nudo sei solo tu, toccato, controllato e scrutato perché diciamocelo quello che interessa è scoprire se sei o non sei un untore. 

Reggersi in piedi, spogliati, nudi per essere riconosciuti e poi accettati è un qualcosa che fatico a digerire.  Si potrebbe discutere sul fatto che ci siano interessi più alti, il bene comune, discutere sul fatto che non sia la procedura ad essere sbagliata ma il metodo e la freddezza con cui viene applicata.. Ma quando sei là nudo mentre l’altro è vestito la prospettiva cambia.
Il senso di miseria che ti si attacca addosso in queste situazioni quando devi rimbalzare da un ufficio all’altro, da un timbro ad un altro timbro che è uguale a quello di prima ma è necessario per avere il timbro successivo, da un ambulatorio all’altro è un po’ come lo sporco sotto il tappeto. Appena prendi il documento butti tutto lo schifo sotto il tappeto ma poi al primo rinnovo, all’ulteriore richiesta di accertamenti tutto torna in superficie. Lo sporco riemerge perché non importa quanto tu abbia studiato ti sia impegnato, abbia imparato la consecutio temporum meglio di qualsiasi altro funzionario che ti siede davanti, la tua è sempre una richiesta e per ottenerla è bene che inizi a spogliarti mentre io ti guardo.

In un paese in cui un fetta impressionante di popolazione emigra all’estero, e vanta il primato più alto tra i paesi europei in materia di emigrazione questo tema ricorre e scandisce le vite di ciascuna delle persone che  ho incontrato. Questa nudità, quest’esame continuo lo vive più di un  quarto della popolazione moldava costretta alla dispora.
In Repubblica di Moldova tutti hanno un parente stretto che vive in un altro stato e che sostiene la famiglia in patria. Legami famigliari costretti a diventare elastici, a deformarsi e a tendersi da una frontiera all’altra.
Ed eccoci, tutto sembra tornare come un circolo vizioso dalla mia storia personale a quella lavorativa da una emigrazione ad un’altra, da un permesso di soggiorno all’altro, un fil rouge che mi accompagna. 

Faustina Yeboah

sabato 28 ottobre 2017

Torni a casa?

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Venerdì 29  Settembre 2017 durante il mio ultimo giorno di lavoro come operatrice  presso un centro di accoglienza per richiedenti  asilo si è consumato un delitto.
Nel  bel mezzo dei saluti ai colleghi, agli ospiti della struttura con cui ho condiviso gli ultimi due anni, un volontario incuriosito dal momento toccante e straziante mi chiede perché mi sia licenziata; la risposta è semplice , la so, la accendo; rispondo che  un paio di mesi di prima avevo fatto domanda per il servizio civile internazionale  e stavo per partire per la Moldova con Caritas Ambrosiana!

Ed è a questo punto che accade il fattaccio! Augurandomi  in bocca al lupo, il volontario, mi chiede che effetto mi faccia tornare a casa, tornare a casa in Moldova? Rimango basita ed incredula  cerco lo sguardo complice di qualcuno, ma si sa che quando sei nel momento del bisogno c’è sempre quel fuggi fuggi generale e ti tocca fare i conti con te stessa e le tue risorse. Decido di rimanere in silenzio in un primo momento poi  di sorridere ed infine ringrazio per l’augurio.
La prima reazione è  quella di guardarmi il dorso della mano,  non si sa mai magari ho subito una mutazione genetica , magari ho pure perso una taglia…ma no…sono sempre io! e sono ancora nera! è chiaro allora che sto per partire per un posto più esotico di quanto possa immaginare e difficile ai più da collocare geograficamente. Figata!


Una reazione anomala l’avevo vissuta qualche settimana prima quando avevo comunicato la mia partenza agli ospiti del centro che mi avevano chiesto perché mai mi fosse anche solo balenata l’idea di andare in Moldova.  “Faustina…”,  mi dice Sekou  scherzando, “ le persone normali  vanno in America, in Europa ma non in Moldova!” 
“ Ca…  Sekou  almeno tu…la Moldova E’ in Europa!!”.


È il 26 di Ottobre e la prossima settimana parto per Chisinau per un anno, il progetto è corposo, ben costruito e la parte che più mi affascina  è il lavoro con le donne che incontrerò che sono anche il motivo principale per cui ho aderito.  Spero davvero  di  sentirmi  un po’ a casa come mi ha augurato il volontario… BENTORNATA A CASA FAU! 

Per le donne che incontrerò:

Deve essere a scelta.
Cambiare, purché niente cambi.
È facile, impossibile, difficile, ne vale la pena.
Ha gli occhi, se occorre, ora azzurri, ora grigi,
neri, allegri, senza motivo pieni di lacrime.
Dorme con lui come la prima venuta, l’unica al mondo.
.
Gli darà quattro figli, nessuno, uno.
Ingenua, ma è un’ottima consigliera.
Debole, ma sosterrà.
Non ha la testa sulle spalle, però l’avrà.
Legge Jaspers e le riviste femminili.
Non sa a che serva questa vite, e costruirà un ponte.
Giovane, come al solito giovane, sempre ancora giovane.
.
Tiene nelle mani un passero con l’ala spezzata,
soldi suoi per un viaggio lungo e lontano,
una mezzaluna, un impacco e un bicchierino di vodka.
.
Dove è che corre, non sarà stanca?
Ma no, solo un poco, molto, non importa.
O lo ama, o si è intestardita.
Nel bene, nel male, e per l’amor di Dio.

Ritratto di donna, Wislawa Szymborska.