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martedì 27 marzo 2018

LE PALME di MOMBASA

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FAITH BEFORE FEAR

Domenica anche noi a Mombasa abbiamo celebrato la Domenica delle palme; l'ufficio per la pastorale giovanile ha organizzato una processione e una messa con tutti i giovani dell'Arcidiocesi di Mombasa. Quale modo migliore per aprire la Settimana Santa, una enorme folla di giovani, qualche bambino e qualche famiglia che si sono riuniti alla Makupa Primary School in attesa del Vescovo e per la successiva benedizione delle palme.
In un passamano i ragazzi hanno iniziato a far girare le foglie di palma fino a quando ognuno ne aveva una da reggere.
C'era chi la sventolava, chi invece l'ha usata per costruirci una croce, chi semplicemente la teneva alta come una bandiera.
Dopo la preghiera del Vescovo Martin la folla si è trasformata in un lunghissimo serpente che si è fatto strada per le vie di Mombasa, passando anche dalla grande rotonda che porta alla strada per Nairobi e bloccando per una mezz'ora il traffico.

La processione attraversa la grande rotonda di Makupa

I giovani in processione che bloccano il traffico di Tudor

La processione che avanza verso il centro pastorale

Tra le macchine, i tuk tuk, i matatu, i carretti e le persone ai bordi delle strada sedute ai negozietti c'era chi ci guardava sorridente ed incuriosito, chi si lamentava perché stavamo creando disordine, chi ci scrutava con uno sguardo accigliato probabilmente chiedendosi quale fosse il senso di tutto questo.
Sì perché a Mombasa non è scontato essere cristiani, non é nemmeno scontato essere cattolici e soprattutto non è scontato che una folla di giovani blocchi il traffico di una città fondamentalmente musulmana per celebrare l'arrivo di Gesù a Gerusalemme e l'inizio della Settimana Santa.
Per me è stata un'emozione grandissima, poter essere parte di questi giovani che fieri della loro fede hanno attraversato senza paura le strade della città, cantando, quasi correndo per essere in testa alla processione e indossando maglie con i messaggi più disparati, dal "Proudly Catholic" al "Keep calm and sing", dal " Faith before fear" al " Don Bosco pray for us".


Alla fine questa folla rumorosa e accaldata (domenica c'erano 33 gradi, percepiti 50!!!) si è riunita al centro pastorale dove abbiamo celebrato la messa, completamente animata e preparata dai giovani, che hanno cantato, ballato, pregato, portato offerte all'altare, tutto con una grande gioia che era davvero palpabile e che ti coinvolgeva naturalmente.
Durante la messa, poi, il Vescovo ha parlato di pace, di accoglienza, del compito della Chiesa di accompagnare i giovani sulla giusta Via, delle tentazioni che li circondano e mi è sembrato proprio di partecipare a una delle tante messe italiane dove si parla dei giovani (e a volte non AI giovani), posto diverso, ma stesse sfide e stesse speranze...forse un po' più di giovani all'ascolto, anzi, tolgo il forse, molti ma molti più giovani!

Alcuni giovani della parrocchia di Kongowea

Ora tutti noi abbiamo raccolto e conservato le parole del Vescovo e la gioia di questa domenica per prepararci ai tre giorni di celebrazione della passione di Cristo, pronti a farla riesplodere la domenica di Pasqua!!!!




P.s. A Pasqua ci sarà il mio debutto con il coro giovanile di Kongowea, è da due settimane che ci prepariamo provando tutti i giorni della settimana..canti in kiswahili e ritmi incalzanti....Non vedo l'ora!!!!hahahahahaahahha


Chiara Galla


martedì 13 febbraio 2018

La ragazza senza un'identità - SCE Mombasa

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Il Lunedì pomeriggio dopo il nostro rientro abbiamo ricominciato con le attività al Mahali Pa Usalama, un Rescue Centre dove vengono accolti bambini e ragazzi allontani dalle famiglie,o perché vittime di abusi o perché provenienti dalla strada. 
Dopo un po’ d'incertezza sull' attività da svolgere, se proporla proprio quel giorno oppure aspettare ancora un po’, alla fine una storia (debitamente tradotta in inglese) ha dato il via alle nostre attività.

Recita così:

C’era una volta una bambina che aveva un nome, come tutti i bambini del mondo: era allegra, vivace e spensierata e andava spesso a giocare in un bel giardino verde. Un giorno lanciò la palla al di là di una siepe e quando andò a cercarla, non la trovò. Cerca qua, cerca là, la palla non c’era: la bambina era stupita e anche un po’ spaventata. Ad un tratto sentì una vocina, in alto: “E’ tua questa bella palla, piccolina?”.
La bambina guardò su e vide un ometto magro seduto a cavallo di un ramo: aveva la palla fra le mani.

– “Certo che è mia. Dammela!” disse la bambina
– “E tu, cosa mi dai in cambio?” 
– “Niente! La palla è mia!”
– “Ma adesso ce l’ho io!”
– “Non ho niente da darti!” disse la bambina
– “Si che ce l’hai: dammi il tuo nome!”.
Pensando che l’ometto scherzasse, la bambina gli disse: “Va bene, te lo do: butta la palla!”. Quello sorrise, lasciò cadere la palla, lei la prese e tornò a casa.
Ma, dopo poco, inizio’ a sentirsi strana. E più strana si senti’ quando si accorse che la salutavano senza più dire il suo nome: poi, pensandoci, si accorse che nemmeno lei lo ricordava. 

– “Mamma, come mi chiamo io?” disse allora la bambina a sua madre. 
– “Tu? Non hai nessun nome!”– disse la mamma. 
La bambina andò a guardare i suoi libri, i suoi quaderni, i suoi giochi e vide che non c’era nessun nome. 
– “Tu, scendi a fare merenda!” gridò la mamma di sotto. 
«La mamma mi ha sempre detto di non chiamare nessuno con un Tu…l’avrà fatto proprio perché io un nome non ce l’ho più…» pensò con tristezza. Allora, piangendo, la bambina prese la palla, andò al giardino e si fermò proprio sotto l’albero. L’ometto era ancora lassù, con la mano chiusa e sorrideva. 

– “Ridammi il mio nome! Ti darò la palla, se vuoi!” gridò la bambina. 
– “Tieniti la palla, piccolina, e anche il tuo nome: e un’altra volta, non darlo a nessuno, capito?”.
L’omino aprí la mano; all’improvviso la bambina ricordò di chiamarsi Antonella e si mise a saltare per la gioia! Corse a casa e la mamma le chiese: 
– “Dove sei andata, Antonella?”
– “Avevo perso una cosa importante, mamma” disse la bambina e lo disse così seria che la mamma le diede un bacio di quelli che fanno rumore.


Roberto Piumini – estratto dal libro “C’era una volta, ascolta”


Una volta terminata la lettura della storia, abbiamo chiesto ai bambini cosa avevano ascoltato … timidamente prima a voce molto bassa, poi con più coraggio abbiamo ripercorso insieme tutti i passaggi della storia. E allora era arrivato il momento di chiedersi: "ma un nome è davvero così importante?", "sì, certo!"; "a te piace il tuo nome?", "si mi piace molto" è la risposta di tutti. "Allora siamo tutti d’accordo che il nostro nome è bello e importante …. ma perché?"; un po’ di silenzio, poi qualcuno dice: "il nostro nome serve per essere chiamati, per non essere solo un TU". "Vero, verissimo … quindi cosa potremmo dire, che il nostro nome è bello e importante ed è prezioso per ognuno di noi perché..."; e una delle ragazze più grandi aiuta tutti dicendo "perché ci fa essere delle PERSONE, ci dà un' IDENTITA'!". 

WOW, che bello sentire questi pensieri uscire dalla mente dei bambini e vederli capire e realizzare che sì, avere un nome e’ più che importante: è un DIRITTO di ogni bambino. Così, come attività finale, ognuno di loro ha colorato e decorato il proprio nome, stampato in lettere doppie,con cura e creatività, cercando di renderlo il più bello possibile!




Torniamo a casa contente e soddisfatte dell'attività e lasciamo trascorrere i giorni della settimana che ci vedono impegnate in ufficio. Giovedì torniamo al Mahali e durante la mattinata aiutiamo nelle lezioni scolastiche della mattina che ci inglobano completamente, perché i più piccoli stanno davvero lottando contro addizioni e sottrazioni! Le ragazze più grandi compaiono ogni tanto, non sono in classe perché stanno aiutando in cucina. Così per tutta la mattina non mi accorgo che manca Jo., la ragazza più grande del centro, colonna portante e guida per i più piccoli, aiuto per le mamas e responsabile della custodia delle chiavi: una ragazza sveglia, brava, curiosa e sempre disponibile a giocare con noi e ad aiutarci con le traduzioni in kiswahili."Jo. dov'è?" chiedo ingenuamente alla mama all'ora del pranzo; "Jo. non c'è. E' andata via!". 



"COME??????" pensa la mia testa "non è possibile, non abbiamo nemmeno potuto salutarla, non si parlava che avesse dovuto andarsene a breve…come mai? E poi non abbiamo nemmeno potuto consegnarle il lavoro del suo nome…si era impegnata così tanto!!". Tutti questi pensieri si manifestano in un: "AH, davvero? Come mai?". La mama mi risponde che nessuno lo sapeva, neanche Jo., la Sister le ha detto la sera per il giorno dopo che sarebbe dovuta tornare a casa e lei ha fatto le valigie e se ne è andata. Le domande nella mia testa arrivano ad una velocità estrema…perché se ne è dovuta andare proprio adesso? Ma è stata reinserita in famiglia? E' da sola? E' in un altro centro? Sta bene? Non resisto e cerco di capirne di più andando a chiedere alla consulente del centro. E così ecco la risposta: Jo. è dovuta tornare a Nairobi per cercare di avere i suoi documenti d'identità

Quando Jo. è arrivata al centro nessuno sapeva da dove provenisse e come si chiamasse. Così all'inizio lei ha detto di chiamarsi con un altro nome e di provenire dal Sud Africa, ma poi la suora ha chiesto di lei al governo del Sud Africa e della sua identità non c'era traccia … era ovvio che non provenisse da lì e che quello non fosse il suo vero nome.

"Ma come, penso io, lei, Jo., la ragazza così brava e affidabile che abbiamo conosciuto che mente sulla sua identità e sulla sua origine?!". Forse un motivo per mentire lo aveva … 

Scopriamo che investigando e facendole molte domande mirate la suora ha capito che Jo. arrivava da Nairobi, da una famiglia molto povera che viveva in strada in una delle baraccopoli di Nairobi. Ora Jo. è dovuta tornare là, a Nairobi, per cercare di ottenere un documento d'identità che le permetta di affrontare gli esami scolastici (senza documento d' identità ti viene negato l'accesso) e trovare qualcuno che le sponsorizzi gli studi e le permetta dunque di tornare a scuola.
E qui un'ultima domanda mi sorge spontanea: "ma Jo. è da sola o c'è qualcuno che la aiuta in tutto questo?". "No, è da sola".

OK, ora io mi immagino Jo., una ragazza di 13/14 anni, che porta sul corpo i segni delle violenze subite e probabilmente nel cuore il macigno di tutto quello che ha passato, da sola, nella baraccopoli, per strada, con una famiglia che non ha niente, nel tentativo di procurarsi dei documenti e un benefattore.
Vorrei correre a Nairobi per aiutarla, cercarla ovunque, chiamarla al telefono, dire alla suora di andarla a riprendere e aiutarla in tutto questo perché da sola non so se ce la farà … ma ovviamente tutto questo è impossibile.
Proprio in quel momento mi torna in mente la storia che abbiamo letto tre giorni prima insieme, sull'importanza di avere un nome, di avere un'identità e mi viene un groppo alla gola … certo che la vita a volte è proprio strana! Chissà cosa avrà pensato Jo. mentre ascoltava quella storia e chissà se potrà esserle d'aiuto nella ricerca della sua identità … io ora posso solo sperare che sia così, pregare per lei e augurarle da lontano buona fortuna!

Chiara Galla  

mercoledì 24 gennaio 2018

KARIBUNI MOMBASA...di nuovo!

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SCE KENYA 2017- RIENTRO DI GENNAIO

Eccoci qua...finalmente dopo tre aerei (troppi), siamo ritornate alla nostra casa in Kenya...Mombasa!


È strano per la prima volta ritornare in un posto lontano dove ho fatto servizio...le altre volte anche se lo avrei tanto voluto è stato impossibile, ma diciamo che è andata bene così! 
Però, questa volta, ritornare mi ha suscitato emozioni che non avevo mai provato...la bellezza e lo stupore di atterrare in un areoporto a 6.200 km di distanza dall'Italia e sapere perfettamente dove andare, trovare all'uscita un volto amico e salutarlo, chiamandolo per nome davanti allo stupore di tutti...essere accolta con un sorriso e una stretta di mano che dicono "bentornata"; salire in macchina e dirigermi verso la città conoscendo perfettamente la strada che stiamo percorrendo e riconoscere i luoghi che incontriamo...
Che bello e che grande fortuna poter avere il privilegio di vivere e provare tutto questo!


Guardando la città dal finestrino dell'auto vedo un mondo conosciuto ma improvvisamente mi scopro sorpresa che possa esistere davvero...per un attimo per la mia mente sembra quasi impossibile che questa realtà, questo mondo altro che scoppia di vita esista nello stesso tempo in cui esiste il mio piccolo mondo in Italia...
Sembra così lontano e diverso dall'ordine, dalle regole, dalla routine europea che davvero mi chiedo come queste due realtà possano coesistere...eppure è così! Mentre in Italia la gente si starà sedendo ad un tavolo imbandito per la cena, qui persone si aggirano per le strade alla ricerca di chissà cosa, dormono per terra placando le fatiche della giornata, i banchetti di legno dei mercati sono chiusi e stranamente tetri senza la calca che li circonda di giorno, la discarica come al solito brilla dei piccoli focolari che bruciano l'immondizia e mandano un odore pungente ed inconfondibile...

Poi, piano piano, ci addentriamo sempre più nella città, superiamo il ponte di Nyali passando sopra l'oceano, svoltiamo per Kongowea e proseguiamo verso Nyali...la strada è ora libera...sfrecciamo su Links Road, guardando la fila ordinata di hotel lungo la spiaggia..."The voyager"; "Bahari beach",..."Mombasa beach"...ed eccoci arrivate!!!
Scendiamo qui...le guardie ci aprono il portone sorridenti e...siamo a casa!!!
KARIBUNI MOMBASA, di nuovo...e tranquilla Chiara...esiste davvero...e per altri 9 mesi è tutta da vivere!

Chiara Galla

giovedì 26 ottobre 2017

SERVIZIO CIVILE: come ci si arriva?!

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In Cammino verso la scelta del Servizio Civile


Ciao a tutti!

Mi presento, sono Chiara, per gli amici, Chiara Galla. 
Da una settimana ho compiuto 28 anni e tra qualche giorno prenderò un aereo che mi porterà in Kenya, precisamente a Mombasa, per iniziare un anno di Servizio Civile con Caritas Ambrosiana.
Aspetto la partenza con gioia e trepidazione, curiosità e voglia di mettermi in gioco, vorrei che fosse già domani, ma prima ci sarà bisogno di un mese intero di formazione qui a Milano.
Anche se, ripensandoci, il mio cammino di formazione inizia ormai qualche anno fa.
Infatti quello che mi ha spinto a fare domanda per il Servizio Civile sono state le esperienze di volontariato che da sempre ho vissuto nel mio Oratorio, a Castelleone e che negli ultimi quattro anni ho fatto in diversi paesi del mondo, sempre con Caritas Ambrosiana.


L' Oratorio è il luogo in cui sono cresciuta e dove è nata ed è stata coltivata la mia passione per il servizio agli altri… la lista delle attività è lunga: dall'animatrice all'educatrice, da catechista a responsabile del Grest e attrice della compagnia teatrale. Insomma, il pacchetto completo. Ma c'è di bello che ognuna di queste attività mi ha insegnato a lavorare con gli altri, spendermi per loro e sentirmi parte di una comunità che poi è quella cristiana.



A un certo punto, però, in me è scattato qualcosa, volevo vedere se tutto ciò che avevo imparato a  casa era valido anche da qualche altra parte, in altri contesti, lontani, magari anche più difficili… e allora da lì è nato il desiderio di partire e di cercare un'associazione che mi permettesse di farlo rispettando l'idea che io avevo dello stare con e per gli altri.
E' stato così che ho incontrato la Caritas Ambrosiana e ho  partecipato ai "Cantieri della Solidarietà".
Mi ricordo che una delle frasi che mi aveva colpito di più agli incontri di presentazione era lo "STILE DELLO STARE", un'espressione con cui si teneva a sottolineare come Caritas intendeva lo stare in mezzo agli atri, in un contesto straniero, diverso e che ospita… uno stare rispettoso, in punta di piedi, uno stile che predilige l'incontro, il dialogo, il vedere l'altro come persona, come una ricchezza e come un fratello. 
Era così che Caritas proponeva ai giovani di partecipare ad un Cantiere della Solidarietà, che, nel concreto, consiste in 3 o 4 settimane di servizio, in contesti di povertà, vulnerabilità e disagio.

Ed io a 23 anni sono partita per il mio primo cantiere.
E' stata la Bolivia la prima terra che mi ha accolto, nel 2013, dove ho prestato servizio in una comunità per minori orfani e abbandonati, la "Ciudad de los niños". Li si giocava, si aiutava nei compiti, si condivideva tutto, dagli spazi al cibo e ho avuto anche la fortuna di lavorare ogni mattina nella panetteria che preparava il pane per tutta la comunità. Questa esperienza per me è stata come amore a prima vista...dopo, infatti, non sono più riuscita a farne a meno.
Nel 2014 sono stata in Nicaragua, dove mi ha accolto la comunità di Nueva Vida, nella periferia di Managua. Qui studiavano e trovavano un luogo sicuro i bambini e i giovani di strada, così come le donne vittime di violenza, veramente molte in quel quartiere.

Nel 2015 Haïti, nella zona rurale del nord dell'isola, lontana da Port-au-Prince, dove abbiamo organizzato con un gruppo di giovani Animatori haitiani, due "Grest" per i bambini dei villaggi e aiutato in una comunità di monaci benedettini.

Dopo Haїti ho preso un anno di pausa dai Cantieri per partecipare alla Giornata Mondiale della Gioventù a Cracovia, in Polonia, con Papa Francesco e 2.500.000 giovani cristiani da tutto il mondo. Mi ricordo che nonostante tutto quell'anno mi era spiaciuto moltissimo non partire e che le parole del Papa che invitata i giovani all'accoglienza dell'altro, all'essere costruttori di ponti e non di muri, a "scendere dal divano" e a mettersi in cammino verso l'altro, io le sentivo proprio dirette a me e non potevo ignorarle.


Dunque dopo un anno intero di servizio in Oratorio, quest'estate sono ripartita con Caritas in Serbia, nel campo profughi di Bogovadja. Lì ho vissuto per due settimane e ho condiviso sorrisi, giochi, storie e pensieri con 250 profughi provenienti da Iran, Afghanistan, Pakistan, Iraq,Siria, Cuba, Africa e Macedonia. Oggi se ripenso a quello che ogni anno mi ha spinto a ripetere questa esperienza lo trovo nel profondo senso di comunità, rispetto, fratellanza, unità e riconoscenza che ogni volta si creava con i ragazzi che partivano con me e con le persone che incontravamo ogni giorno.



Durante ognuno di questi Cantieri si è fatto, per me, sempre più chiaro, visibile e palpabile cosa significhi essere TUTTI delle persone, TUTTI fratelli, TUTTI figli di Dio; ho vissuto la grande famiglia della Chiesa che è presente in tutto il mondo, ho sperimentato il grande potere dell'Amore che si manifesta nei piccoli e grandi gesti o semplicemente nell'essere a fianco di chi ha bisogno.
Dopo aver vissuto tutto ciò non ho potuto non lanciarmi in questa grande scuola di vita e di amore che è il servizio per gli altri... e dunque nel Servizio Civile, proprio con Caritas!
Quindi dite una preghiera per me...e...ci sentiamo dal Kenya!
Chiara

martedì 29 agosto 2017

Serbia: Storie da Bogovadja

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Potrei iniziare questo racconto parlandovi di numeri, di quante persone ospitava il campo profughi di Bogovadja, in Serbia, ma non voglio farlo, perché non ho incontrato numeri, ho incontrato persone, volti, storie e questo è quello che mi è rimasto nel cuore.
Nel campo ho incontrato famiglie intere, ragazzi e giovani che arrivavano da diversi paesi e diversissime tradizioni culturali, c'era chi arrivava dall’Iran, dall’Afghanistan, dal Pakistan, dall’Iraq, chi arrivava dalla Siria o dalla Macedonia, chi addirittura da Cuba o da qualche paese africano, tutti riuniti li, in attesa, infinita attesa, di poter entrare in Europa passando dalla Serbia e poi dall’Ungheria.


Nel campo si incontrano volti sorridenti, soprattutto quelli dei bambini, ma non tutti, e altri volti stanchi, preoccupati, tristi…accusano la mancanza della famiglia, di un padre, di una madre, di un marito, la mancanza di una casa che sia loro e di un paese dove potersi sentire a casa.

Ma perché sono scappati dal loro paese? Quante volte questa domanda ci ronzava in testa, quante volte avremmo voluto chiederlo ma non era il caso, alcune volte, invece, la risposta ci e’ stata regalata senza doverla chiedere.

Un pomeriggio caldissimo durante il beauty saloon per le donne del campo, chiediamo a Katy una splendida ragazza afghana quanti anni ha… “quindici” ci dice lei…strano, pensiamo, sembra più grande, già donna!
Poi sottovoce, per non farsi sentire dagli altri, un po' in imbarazzo, ci rivela il segreto: “Sapete, in realtà ho 17 anni, ma da quando sono arrivata qui, tutti mi dicono di mentire sulla mia età, di dire che sono più piccola, perché fino a quando siamo minorenni abbiamo più tutele, ma a dire il vero non mi piace mentire, e’ una cosa che non faccio mai!  Anzi io e la mia famiglia siamo estremamente grati per tutto quello che stiamo ricevendo qui, per come ci stanno trattando da quando siamo partiti, e pensare che chi ci aiuta così non è nemmeno il nostro paese ma altri! Mi piacerebbe davvero tanto poter vivere in un paese più libero come l’Italia o i paesi europei, poter studiare e fare politica per aiutare poi la gente del mio paese…sapete io e mia sorella stiamo tenendo un video diario per raccontare tutto quello che stiamo vivendo durante il nostro viaggio!”
Katy e’ arrivata al campo da due mesi, e’ partita dall’Afghanistan con sua mamma, le sue sorelle Eve di 19 anni, Fatima di 15, Tina di 8 e suo fratello Mohammed, di 10 anni.
Il loro papà li controlla dall’Afghanistan, gli invia i soldi per gli spostamenti e si accerta sempre di essere in contatto con loro; li raggiungerà quando saranno al sicuro, in Svizzera o in Svezia, ma non ora, adesso deve continuare a lavorare per assicurargli la possibilità di compiere il loro viaggio.
Hanno dovuto lasciare la loro città tormentata dalle bombe, ma non solo per quello…il loro stile di vita probabilmente non era ben accetto…si, perché né Katy né le sue sorelle portano il velo, vestono all’occidentale, conoscono alla perfezione Arabo, Pharsi e Inglese, hanno studiato in scuole all'avanguardia e il loro papà non pratica nessuna religione in particolare e lavora per un'azienda informatica internazionale.

Per questo hanno ricevuto delle minacce anche nel campo. La loro mamma un giorno ha aperto la porta e si è sentita dire di stare attenta alle sue figlie, di non metterle troppo in mostra, per questo ora non si vedono più molto girare per le attività…
Qualche giorno dopo Katy si avvicina di nuovo a me e nell’orecchio mi sussurra “we go Game”… se ne vanno dal campo. Il Game e’ quando cerchi di passare la frontiera, illegalmente, quando il tempo d'attesa e’ troppo e quando non ne puoi più di lasciare la tua vita in stand-by per uno, due o più anni.
Zaini in spalla, vestiti comodi, lacrime negli occhi e la mamma di Katy ci ringrazia per quello che abbiamo fatto per loro, ci saluta e ci stringe per ricevere conforto e coraggio…quanto che ne ha questa donna…ha attraversato da sola con 5 figli Afghanistan, Iran, Turchia, Grecia, Macedonia e Serbia e stanotte cercheranno di passare il confine della Croazia in un camion o attraverso il bosco o il fiume, evitando la frontiera, per poi arrivare in Italia e dirigersi verso la Svezia.
Da qual giorno, anche se ci siamo scambiati i numeri, non li ho più sentiti, non so dove sono, al campo non hanno più fatto ritorno, e io mi auguro con tutto il cuore che stiamo bene e che siano al sicuro…
Per qualcuno potranno essere profughi o clandestini, o peggio, ma per me sono Eve, Katy, Fatima, Tina e Mohammed. Non li ringrazierò mai abbastanza, loro, come tutti gli altri nel campo, per avermi aperto il cuore anche a quei popoli e a quegli stati del mondo che tanto ci stanno insegnando ad odiare.



Chiara


⟹⟹⟹THIS IS PEKARA'S TEAM!!!