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venerdì 28 ottobre 2016

Haiti: impressioni di settembre (molto inoltrato)

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Lo so, pochi giorni ancora e siamo a novembre.
Vuoi un po' perchè i pensieri che volevo condividere sono stati messi per iscritto nel mese del nostro ritorno, vuoi un po' perchè la voglia di citare la famosa canzone della PFM era troppo forte...il titolo che ne è uscito fuori è questo qua !

In realtà, tra la scrittura del pezzo e la sua pubblicazione si è messo di mezzo un altro evento che, purtroppo, ha riportato Haiti sotto i riflettori di tutto il mondo. Questa volta, al contrario del terremoto del 2010, che ha avuto il suo epicentro nei pressi della capitale, a farne le spese maggiori del passaggio dell'uragano Matthew sono state le zone di provincia, sud e nord del paese.
Per me è stata anche l'occasione per mettere a confronto le notizie provenienti dal grande mondo delle agenzie dell'informazione e quello che ci veniva raccontato dai contatti in loco, trovando ritardi e discrepanze.

Viene proprio da pensare che piova sul bagnato, in tutti i sensi.
Sfogliando Internazionale del 14 ottobre trovo un articolo del Nouvelliste, il quotidiano haitiano con più anni di storia alle spalle, e leggo: "[...] come tutte le catastrofi che ci hanno colpito negli ultimi decenni, Matthew ci ha messo in una brutta posizione. Il paese è guidato da un governo provvisorio e da ministri praticamente inesistenti. Un governo che anche prima della catastrofe faceva fatica ad occuparsi delle strade, a lottare contro il colera, a garantire il funzionamento degli ospedali pubblici e la protezione delle vite umane e dei beni materiali dovrebbe diventare improvvisamente efficiente dopo Matthew?". Una domanda che ha in sè anche la risposta.


Tornando all'origine di questo post, faccio un breve salto indietro nel tempo condividendo qualche impressione scritta a caldo, dopo il rientro avvenuto nel mese di settembre, per il bollettino parrocchiale del mio paese:
 
Dèyè mon gen mon”. Proverbio in creolo haitiano che significa “dietro ad un monte ci sono altri monti”. È proprio quello che accade se dal caos della capitale ci si avventura sulle strade che portano fuori città e si inizia a camminare su qualche sentiero. Quando si pensa di essere giunti al punto più alto per poter godere di una buona visuale, di aver terminato la dolce fatica dell’ascesa, scopri che non è così; c’è da camminare ancora un po’. D’altronde il nome dato all’isola – Ayiti – da parte dei primi abitanti significa proprio “terra dalle alte montagne”. Sappiamo benissimo che spesso, il significato dei proverbi, non si ferma ad una semplice considerazione di quello che la realtà presenta ma possono in qualche modo alludere o riferirsi a qualcosa di più profondo.


Rientrato da poche settimane dal servizio civile ad Haiti, con ancora un po’ di termini in creolo che scorrono nella testa, faccio fatica a trovare le parole per descrivere cosa è stato questo anno. Ricordo il primo periodo: era come se fossi finito in una Babele del nuovo millennio. Una lingua incomprensibile, modi di fare differenti, gesti e usanze sconosciute. Bisognava pur cominciare da qualche parte! Le prime frasi che avevo cercato di imparare a memoria in creolo erano dei proverbi. Dall’apprendere a memoria si è poi passati al comprendere il significato delle parole, provando a decifrare il veloce flusso di suoni che mi veniva rivolto mentre parlavo con qualcuno e cercando di creare frasi che avessero un minimo di senso.
 
Ecco allora che le montagne, citate come incipit dell’articolo, non rimangono solamente scenari di qualche passeggiata, ma rimandano ad una lettura più profonda. Quel monte che finisce e che fa spazio ad un altro monte diventa immagine e metafora dello “stare” in terra straniera, prendono la forma della relazione con l’altro, immersi in una cultura differente. 
Ci sono momenti della salita in montagna che ti entusiasmano, che ti fanno crescere la passione, ti fanno aumentare l’attesa di quello che ci sarà oltre quel pendio aprendo la possibilità a nuovi orizzonti. Ci sono anche altri momenti invece in cui è la fatica ad avere la meglio, dove il passaggio in ferrata che credevi al tuo livello si trasforma in qualcosa di quasi invalicabile, quando ormai pensi di conoscere bene quelle valli…ma una volta arrivato in cima ti accorgi che ti sei sbagliato, c’è ancora da camminare!

Ecco allora il passaggio dall’apprendere a memoria al comprendere. Il più grande compagno in questo processo non può essere che il tempo. Darsi tempo, cercando di accettare i limiti legati al contesto insieme ai nostri limiti personali che emergono quando siamo messi un po’ alle strette, quando ci chiediamo se è giusto quello che ci si presenta davanti gli occhi. Troppo abituato a ricevere richieste di “fare”, è stato difficile rispondere a chi invece mi offriva la possibilità di “stare”.

Termino questo lunghissimo post citando la conclusione dell'articolo del Nouvelliste a proposito dell'uragano: "Se prima del passaggio dell'uragano il compito del governo era garantire lo svolgimento delle elezioni, oggi il suo dovere è ridare vita alle regioni messe in ginocchio dall'uragano e assicurare una buona gestione degli aiuti internazionali, evitando che si ripeta quello che è successo nel 2010 e neutralizzando i professionisti nazionali e internazionali del dirottamento di fondi. Ecco il miracolo che il governo deve realizzare".
Lo speriamo in tanti.

Matteo

lunedì 19 settembre 2016

E seguo il ritmo..

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post datato 24/8/2016

"La settimana scorsa ero in macchina, di sera, e guardavo una splendida e luminosa luna piena alzarsi in cielo dietro le colline della savana. Un attimo era qui, l’attimo dopo era da un’altra parte. Eravamo in movimento, ma non ho capito più in che direzione stessimo andando (ma tranquilli, non guidavo io!).

Mannaggia, è l’ennesima volta che non ci capisco niente!

Eppure la natura mi ha dotato di un discreto senso dell’orientamento! Ricordo ancora la lezione di geografia di terza elementare sui punti cardinali, me la ricordo l’immagine del sussidiario con un omino, di spalle, al centro di una croce per terra: il braccio destro ad est, dove sorge il sole e di conseguenza nord, sud ed ovest dovrebbero essere facilmente riconoscibili.
E vogliamo parlare dei punti di riferimento? Dovrebbe essere facile poi orientarsi avendo dei punti di riferimento. Beh, nelle vaste distese della savana, nelle strade polverose di terra rossa, nella caotica e disordinata Mombasa - che è un’isola e ha due ponti e un traghetto, più una serie di strade fatte di vicoli senza apparente senso – valli a trovare i punti di riferimento. Diciamo che ci ho messo un po’!
qualche sera è anche andata via osservando la luna e domandandoci: “ok, la luna è lì, allora il mare dovrebbe essere da quella parte, ma allora perché il sole sorge di là?!” e neanche google maps aveva la risposta.
Ma poi, li avrò trovati davvero i punti di riferimento? Qui le cose cambiano ad una velocità impressionante. Oggi c’è una struttura che ieri non c’era, domani il negozio a cui andavo sempre potrebbe essere chiuso..

Ecco come spesso mi sono sentita qui: DISORIENTATA, geograficamente e non.

Già per il solo fatto di vivere sotto l’equatore, le stagioni sono invertite rispetto a noi, le stelle sono diverse e la luna cambia posizione (prendete la vostra mano e con pollice e indice formate una C: da noi la luna è una C che guarda a destra e a sinistra.. qui la luna è una C che guarda sopra e sotto.. e quindi che forma una U).  


Insomma, già solo la natura invita a cambiare prospettiva!

Ma il disorientamento è soprattutto associato al perdersi, allo spaesamento..
Poi c'ho pensato e mi sono chiesta: ma è veramente un pericolo perdersi?
Devo ammetterlo: non poche volte mi sono sentita persa qui.
Ma è necessariamente un male? Forse.. no!

Innanzitutto mi piace pensare che non mi perdo mai – (ma come, ho appena detto che mi sono persa più volte?!) – perché preferisco parlare di .. esplorazione!

Spesso mi è capitato di andare a zonzo con amici in città sconosciute, e quando m’incolpavano di averli fatti perdere rispondevo, un po’ da paraculo, “no no, non ci siamo persi, stiamo solo.. esplorando!!” e ripensandoci, molte volte, grazie proprio a queste deviazioni dall’itinerario consigliato, ho scoperto angoli nascosti e bellezze inaspettate, forse anche più vere e reali.

E allora voglia proiettarlo sulla mia vita interiore.
Diciamo che mi è stato insegnato, e forse mi è più utile, vedere questo disorientamento, questo perdersi, come possibilità. La possibilità di esplorare, di esplorarmi. Una possibilità di senso, che mi porta a rivedere i punti di riferimento e le coordinate della vita.
Quante volte mi sono chiesta quest’anno: ma quali sono i miei punti di riferimento (anche lette come “cosa ho fatto finora? cosa ho lasciato a casa ? cosa ritroverò?) e le mie coordinate (lette anche : ma chi sono io? Cosa voglio fare, ma soprattutto, che persona voglio essere? Che tracce voglio seguire e quali voglio lasciare?).  

Forse fa bene rifarsi tutte queste domande per scardinare o riconfermare quelle che sono quelle poche certezze che uno si porta dietro. Forse guardare tutto con un'altra luce ti apre nuove prospettive, belle o meno belle. Forse, per crescere, serve."
qualche porto

Sono rientrata da quasi 20 giorni. Ad accogliermi tante braccia aperte, 
porto sicuro di ogni viaggio.


Abbiamo avuto la formazione, ci siamo rivisti con tutti i civilisti, condiviso esperienze e domande, abbiamo espletato le ultime pratiche burocratiche.
Il servizio civile è dunque concluso.

Invece quelle domande di senso restano aperte e me le tengo lì, perché come per ogni fine di grandi avvenimenti, c'è bisogno di tempo per rimettere insieme i pezzi. E questo tempo bisogna concederselo. 
E' stato un anno complesso il cui senso ancora mi sfugge. O forse è dentro e bisogna solo dargli forma. Ma, appunto, probabilmente non è ancora l'ora. Nel frattempo riprendo il cammino, e va bene così.

Concludo con una licenza poetica. 
Durante le mie letture di quest'anno, c'è stata la frase di un libro che mi ha molto colpito e che forse si dovrebbe ripetere ogni sera. Chi scrive dice: "Epilogo di questa giornata: la vita è buona, in ogni caso".
Bene, mi prendo la libertà di parafrasarla così:
"Epilogo di questa esperienza: il servizio civile è buono, in ogni caso".

Angela

Vabbè, sulla scia degli ultimi post musicali anche io una canzone di fine SCE
Bacii





martedì 13 settembre 2016

Cosa resterà

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Rientrato a Milano. Come stai? Come è andata? Tutto bene, grazie. Piaciuto? Sì, molto.
Vorrei dire qualcosa di più ma come si fa a riassumere tutto un anno in un colloquio da saluto? Ed è difficile anche in un dialogo non da saluto, ad essere sinceri.
Sorgono domande spontanee su quest’anno, di cosa è stato e, soprattutto, di cosa resterà. Il momento emozionante della partenza, i saluti che al momento sembrano addii ma che, in realtà, sono solo degli arrivederci. Tutti i momenti, le conoscenze, le avventure e disavventure. I momenti belli e quelli difficili, le parole, i gesti, le attenzioni e tutto quello che ne consegue.
Non so darmi una risposta e non so nemmeno quali domande pormi, adesso. È un momento di transizione, un groviglio di emozioni da sciogliere. Cosa resterà di quest’anno?
Difficile immaginarlo e, ancora di più, dirlo. Per questo ho scelto di farmi aiutare da una canzone che ha accompagnato il mio ultimo periodo in Moldova, la quale, in parte, rende molto bene il caos di sensazioni ed emozioni che in questo momento provo. Lascio a lei questo difficile compito…per ora.


 


Cosa resterà – Bassi Maestro 
Metà rapper, metà uomo
cosa resterà della mia storia e di ciò che bramo
vivo parte delle mie giornate immerso dentro uno scenario che mi fa da pavimento e da soffitto stretto dentro me stesso resto ironico
senza un rammarico
tengo gli occhi saldi sopra il monitor
corico sulla mia branda ogni punto di domanda
segno appuntamenti sull'agenda
fiducioso ma inconsapevole
capo famiglia ineccepibile o spregevole all'inverosimile
con la scusa di essere in partenza, saranno ormai dieci anni che accumulano esperienza
faccio a pugni come Rocky per difendere la tesi che gli esami rimasti non sono così pochi
fermo l'immagine per chi dopo di me verrà.

Rit.
Cosa resterà della gente che mi è stata accanto
delle amicizie a cui più tengo
del tempo che ho trascorso
la strada che ho percorso per arrivare a tutto questo
cosa resterà di quello che ho vissuto
di quello che ho creato
delle cose per le quali ho faticato
forse solo poco ma voglio ricordarlo.

Anni come giorni volano
buoni propositi che riaffiorano a contatto col mondo svaniscono
dall'inizio dei novanta, quello che mi sono concesso non sempre è stato per merito di me stesso
mille tentativi
lavori di squadra e progetti da solista tuttora vivi
schermi interminabili e visioni appassionate
la semplice bellezza di Bologna e delle sue serate
nel tentativo di mantenere il resto del mio mondo vivo
chiedi a Garzon se sono un buon amico
mi sono accorto subito constatare che le cose possono cambiare è inutile ed in fondo è stupido
vivo e vegeto, spesso attonito
per ogni attrito provo un senso fisico di scomodo
guardo avanti, provo ad immaginarmi quello che sarà.

Rit.
Cosa resterà della gente che mi è stata accanto
delle amicizie a cui più tengo
del tempo che ho trascorso
la strada che ho percorso per arrivare a tutto questo
cosa resterà di quello che ho vissuto
di quello che ho creato
delle cose per le quali ho faticato
forse solo poco ma voglio ricordarlo.

Mi vedo grande con da parte soddisfazioni e pace
milioni di serate strapagate
costate su una brace
raduno intorno ad un tavolo gli amori di una vita, prima che mi mandi al diavolo
calici di rosso della mia cantina per una foto di gruppo definitiva
le immagini da copertina lasciano posto alla mia alternativa quando deciderò della mia vita
esercizi di stile facce note con un futuro breve ma ricco di prospettive
chi vivrà verrà, vedrà, saprà.

Rit.
Cosa resterà della gente che mi è stata accanto
delle amicizie a cui più tengo
del tempo che ho trascorso
la strada che ho percorso per arrivare a tutto questo
cosa resterà di quello che ho vissuto
di quello che ho creato
delle cose per le quali ho faticato
forse solo poco ma voglio ricordarlo.


giovedì 1 settembre 2016

Bolivia: è giunta l'ora di (ri)partire!

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Partire è anzitutto uscire da sé.
Rompere quella crosta di egoismo che tenta di imprigionarci nel nostro “io”.
Partire è smetterla di girare in tondo intorno a noi, come se fossimo al centro del mondo e della vita.
Partire è non lasciarsi chiudere negli angusti problemi del piccolo mondo cui apparteniamo: qualunque sia l’importanza di questo nostro mondo l’umanità è più grande ed è essa che dobbiamo servire.
Partire non è divorare chilometri, attraversare i mari, volare a velocità supersoniche.
Partire è anzitutto aprirci agli altri, scoprirli, farci loro incontro.
Aprirci alle idee, comprese quelle contrarie alle nostre, significa avere il fiato di un buon camminatore.
E’ possibile viaggiare da soli. 
Ma un buon camminatore sa che il grande viaggio è quello della vita ed esso esige dei compagni.
Beato chi si sente eternamente in viaggio e in ogni prossimo vede un compagno desiderato.
Un buon camminatore si preoccupa dei compagni scoraggiati e stanchi.
Intuisce il momento in cui cominciano a disperare. Li prende dove li trova. Li ascolta, con intelligenza e delicatezza, soprattutto con amore, ridà coraggio e gusto per il cammino.
Camminare è andare verso qualche cosa; è prevedere l’arrivo, lo sbarco.
Ma c’è cammino e cammino: partire è mettesi in marcia e aiutare gli altri a cominciare la stessa marcia per costruire un mondo più giusto ed umano”.
Helder Camara

Sono pronta a partire
e questa partenza, oggi, si chiama "ritorno".

Consapevole che il mio stare in Bolivia avrebbe avuto un inizio e una fine - temporalmente parlando -
sono però certa che ciò che mi resta di quello che ho vissuto non potrà starsene ben riposto in confini di spazio e di tempo,
e che crescerà insieme a me, man mano che io cresco, perchè ora sì: fa parte di me.

Gratitudine,
entusiasmo,
responsabilità:
tre ingredienti che mi porto nello zaino, insieme a dei colori fantastici con cui non vedo l'ora di poter iniziare a dipingere il mio futuro prossimo! 

Hasta pronto,
LuCi

lunedì 29 agosto 2016

Bolivia: quando un Hogar è una Famiglia!

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Ormai mancano pochissimi giorni alla partenza 
(o al ritorno, in base a come lo si voglia vedere!)
Ecco come abbiamo passato la giornata di ieri, fra giochi, risate, saluti e quel pizzico di commozione che rende tutto agrodolce...
L'hogar dove vivono queste bambine è gestito dalle suore della Virgen del Rosario ed è davvero una Famiglia: per quei pochi giorni che lo abbiamo vissuto, ci siamo sentite anche noi parte di ciò.
 
Ed ora non resta che riporre in una tasca del mio cuore tutto quello che questa bellissima giornata mi ha donato...
...aspettando di trovare le parole per scrivere il mio ultimo post!

P.S.: le bambine sono le autrici della maggior parte delle riprese del video, anche se erano convinte di star scattando foto: non si erano rese conto che la macchina fotografica era in modalità "video"...!
Solo una volta a casa io e Francesca ci siamo rese conto di ciò...! Ed è stato simpaticissimo! 

Hasta luego,
Luci

Dall’altra parte della barricata

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N.B. Questo post nasce a giugno, è stato poi modificato a luglio, trova luce adesso.

"Da sconfinati.. ad accoglienti!
Per chi sconfina, c’è sempre qualcuno che accoglie (o almeno si spera così) per ogni cantierista che parte, c’è sempre un coordinatore che lo aspetta e che ha preparato i lavori.

Scrivo da Mombasa, a poche ore di distanza dall’arrivo dei cantieristi, anche se è un post che nasce dopo un paio di settimane dal rientro milanese per la formazione cantieri, appunto..  e mi trovo a buttare giù qualche ricordo di quei giorni e qualche considerazione personale..

esemplare di SCE durante il duro lavoro d'ufficio in preparazione ai cantieri
Cosa ricordo della formazione? Dopo aver lavorato in ufficio alla formazione dei cantieristi stessi, finalmente si sono palesati i giovani che stiamo per accogliere nei paesi di cui noi siamo ancora ospiti.
Tra giochi di ruolo, domande, prove comunicazione, risposte, una coordinatrice persa nel cuore della notte nella provincia milanese mentre si provava a darle indicazioni stradali, qualcuno che ha avuto il coraggio di giocare a pallavolo dalle 7.45 di domenica mattina, i sermoni del buon don Daniele, chiamate intercontinentali notturne, e chipiùnehapiùnemetta, circa 60 giovani si sono messi in discussione.  



Gli OLP che provano a dare indicazioni stradali nel cuore della notte

Ho provato a scambiare due chiacchiere con un po’ di cantieristi.. chi tra una pausa e l’altra studiava per la maturità (ed è anche uscita una traccia sui confini!!), chi fantasticava sul suo cantiere, chi ha puntato a fare gruppo, chi a conoscere gli altri.. veramente una grande varietà di giovani. Di una gioventù BELLA e curiosa. L’ho percepita quest’ansia di partenza. Ognuno ha le sue motivazioni, ciascuno si metterà in gioco per quello che vorrà dare, ma tutti accumunati da questa voglia di partire. Da un’estate diversa, che non dico cambierà la vita, ma che getterà un semino se lo si vorrà coltivare.

Che bello.. e che responsabilità!
Definirei il mio ruolo come meta servizio: il servizio nel servizio e a servizio (sì, se non s’è capito “servizio” mi piace un sacco!!).
Sono dall’altra parte della barricata e le emozioni per certi versi sono simili.. anche qui ci sono attese, aspettative, entusiasmo, qualche paura..

E sono grata per quest’opportunità, perché sarà un mettersi alla prova ulteriormente, sarà un rivedersi nei ragazzi, perché se uno parte ha sempre un motivo, e spesso i motivi si assomigliano, ma poi si perdono, diventano sfumati. Sarà un rileggersi.

Non saprei dare una definizione di accoglienza. Per me accogliente è chi mi fa sentire a casa, è chi non mi sta davanti come se fossi all’esame di procedura penale pronto a bocciarmi; è chi mi ascolta e un po’ mi coccola; chi mi fa sentire considerato, amato.
“Ci vuole un giardiniere che ama per far sbocciare una rosa”.
Ecco, penso che in questa occasione io sia chiamata ad essere un po’ il giardiniere, con una grande responsabilità. Perché questi ragazzi mi sono stati affidati. Non ci siamo scelti. Ma non per questo il valore diminuisce.
Allora, pronti a sconfinare!!” 
                                          








Sono passate due settimane dalla fine del cantiere, e mancano tre giorni al mio rientro definitivo in Italia. Leggo i post dei cantieristi oramai tornati alla base e mi sembra che ci siano ancora tante emozioni in circolo, tante domande aperte, entusiasmo per quanto vissuto e un pizzico di malinconia.

Il tempo è tiranno, devo scrivere le valutazioni del cantiere e i report.
Le idee sono tante, confuse.

Il cantiere Mombasa è stato ricco di emozioni, di tante domande a cui chissà se ci sarà risposta, di confronti, di sane risate, di discorsi profondi e meno intensi, di lavoro e fatica, di novità. 
Ognuno ha saputo metterci del suo per costruire insieme ed in armonia questo cantiere. 
cantieristi Mombasa stremati dalle fatiche africane
E ne sono felice.   



Ancora non c’è stato tempo di far sedimentare il vissuto e dargli la giusta collocazione.
Non so se ciascuno ha ritrovato le sue motivazioni, se si è riuscito a dare qualche risposta.. ma, poi col tempo (perché le cose belle richiedono tempo!!) si saprà dare a questa esperienza il valore ed il significato che più si ritiene appropriato.

illustrazione di Maria Silva

Tuttavia, io spero -  ma lo so quasi per certo - che per tutti i cantieristi sia stata un’esperienza indelebile, di quelle che lasciano il segno, nel bene e nel male, e che a loro volta si trasformano in segno tangibile: il segno di una presenza, nella realtà in cui ci si trova, che ha sperimentato – seppur per un brevissimo tempo – la diversità, che ha provato ad andare oltre, per mettersi a servizio gratuitamente, che ha sconfinato e ha ancora gli occhi pieni di bellezza.
Mi auguro che sia stata una di quelle esperienze che, anche a distanza di tempo, possa dare quel sapore di buono alla vita. 
Mi auguro che restino naviganti in grado di guardare le cose un po' in su, un po' in giù, e tutto intorno. 
Mi auguro che possano sbocciare tante rose in grado di effondere profumo intorno..

Angela