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lunedì 19 agosto 2013

Libano - Fili invisibili

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Tornare a casa dopo un viaggio è difficile. Tornare a casa dopo un'esperienza che ti segna come quella che abbiamo vissuto noi diventa veramente complicato.

Un giorno, tornando dal campo profughi palestinese di Dbayeh, ho trovato la "parola del giorno" e la trovo perfetta anche adesso. La parola è FILO. Questo perché percorrendo le quattro strade all'interno del campo non si potevano non vedere. Fili della corrente, fili per il bucato, fili ovunque. Anche a Rayfoun avevamo i nostri fili: per stendere, quello spinato che limita lo shelter, i fili per le collane e i braccialetti... Alla fine anche noi abbiamo tracciato i nostri fili. Le relazioni che abbiamo instaurato con le donne, con i bambini, con le persone che abbiamo incontrato e con le quali abbiamo condiviso anche solo un sorriso, come per esempio le donne siriane con i loro figli a Beirut, con cui l'incapacità di comunicare era evidente, ma, con un semplice gesto, siamo riuscite a scattare una foto insieme, sono i nostri fili, invisibili agli occhi, ma visibili con i gesti, i sorrisi, con il cuore.



È stato un cantiere particolare. Intenso, profondo, purtroppo breve. Un cantiere dove i fili tra le persone sono così stretti che la felicità e la tristezza degli altri diventano anche le proprie, dove anche un piccolo gesto ti fa sentire accolto, a casa.

Allo shelter ho avuto la possibilità di sperimentare un miscuglio di sensazioni così diverse tra di loro, ma di così profonda intensità che il filo che partiva da me sembrava così corto e poco forte rispetto a tutto. Solo riconoscendo il fatto di essere uguale agli altri, senza pregiudizi e barriere mi sono resa conto che il mio filo è forte solo se ci sono gli altri. Le donne che vivono allo shelter hanno una forza incredibile che traspare da tutto quello che fanno. Una forza che non è facile da descrivere, che accoglie senza paura, che dona senza timore, che combatte per la dignità e per la propria vita e quella dei figli. Ripensando ai giorni passati, rivivo quei momenti insieme di condivisione delle loro vite, ma anche di gioco, risate, balli, della giornata del salone di bellezza e della presentazione dei propri Paesi, la preparazione della pizza… Tra tutti gli esempi di quanto questi fili siano forti ce n'è uno che mi emoziona in modo particolare: l'accoglienza, la gioia, gli abbracci dopo una giornata passata fuori. È stato un momento unico, come se noi fossimo ritornati a casa e loro non aspettassero altro che rivederci.


Posso dire di aver ricevuto tanto, molto di più di quello che avrei mai potuto immaginare. I fili che ho lasciato lì, li porto nel cuore con la speranza che un giorno la vita ci faccia ritrovare. Altri, come quelli con le mie compagne di viaggio, so che li potrò rendere ancora più forti perché abbiamo veramente vissuto un'esperienza incredibile, unica, che ha lasciato qualcosa dentro a ciascuna di noi. Ringrazio tutti per aver avuto la possibilità di vivere questo cantiere… le mie compagne di viaggio, le donne i bambini… tutti. Grazie!
Giulia




sabato 15 maggio 2010

62 anni

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Oggi sono 62 anni. Il 15 maggio del 1948 gli eserciti di Egitto, Siria, Libano e Transgiordania entrano in Palestina invadendo il neo-proclamato Stato di Israele, dando il via a una guerra regionale che risulterà nella sconfitta delle forze arabe, nell’espansione del territorio di Israele e nella fine di ogni proposta di spartizione fatta dalle Nazioni Unite.

Oggi i Palestinesi e tutto il mondo arabo ricordano l’inizio della
Nakba, la catastrofe - Il giorno in cui i più di 700mila persone sono diventate improvvisamente una nazione di rifugiati.

Parlare di Palestina in Giordania significa parlare di oltre il
60 percento* della popolazione del regno, una testimonianza vivente di quello che hanno significato gli eventi del ’48 e dei decenni successivi. Ma ora i Palestinesi sono stanchi, rassegnati, hanno paura per il loro futuro. Dopo 62 anni di sofferenze, umiliazioni e rabbia la speranza se n’è quasi completamente andata.





Fayrouz

Sanarji'u (We shall return)


We shall return to our village one day
and drown in the warmth of hope
we shall return
though time passes by
and distances grow between us.

O heart don't drop wearied
on the path of our return
how it wounds our pride
that birds tomorrow will return
while we are still here.

There are hills
sleeping and waking on our pledge
and people who love
their days comprised of waiting
and nostalgic songs
places where willows fill the eye
Bending over the water
while afternoons in their shade
drink in the perfume of peace.

We shall return
the nightingale told me
when we met on a hill
that nightingales still
live there on our dreams
and that among the yearning hills
and people there is a place for us
0 heart then
how long has the wind scattered us.
Come, we shall return
let us return.
* Questo dato comprende anche seconde e terze generazioni di palestinesi ma si tratta di una proporzione di massima non esistendo, com'è ovvio, statistiche precise a riguardo.

sabato 20 febbraio 2010

L'uomo del fare

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INTERVISTATORE: “In questi primi dieci anni di regno Lei ha radicalmente trasformato l’economia della Giordania. Si tratta di un Paese senza risorse naturali che è riuscito a crescere in modo costante e consistente. Come ci è riuscito? Quali sono le lezioni che Lei ha imparato da questa esperienza?”

RE: “Prima di tutto, mai arrendersi. Non accettare “no” come risposta. Ci sono settori della società giordana che alle mie proposte di riforma sociale non fanno che rispondermi “tsk”, che questa cosa non potrà mai accadere perché è impossibile, perché non ci sono i soldi, ecc.. Ma non bisogna lasciarsi intimidire dai “no” che arrivano dalla società. Si cade, ci si rialza e si continua a provare. Io sono quel tipo di persona che vuole che le cose siano fatte oggi, e non domani. Dobbiamo dare un futuro alle giovani generazioni, bisogna dar loro un’istruzione, e la Giordania può davvero rappresentare un modello per l’intero Medio Oriente. Bisogna avere coraggio, non accettare la sconfitta e non accettare un “no” come una risposta ai nostri tentativi di cambiare le cose”.

Un uomo del fare, di quelli che piacciono tanto anche a noi in Italia. Così re Abd’Allah di Giordania ha cercato di presentarsi all’opinione pubblica internazionale. In questa intervista, condotta da Fareed Zakaria di Newsweek International in occasione del World Economic Forum di Davos di qualche giorno fa, Abd’Allah non si è risparmiato, parlando per oltre mezz’ora sui grandi temi della politica interna e regionale del suo Paese: la questione palestinese, le relazioni regionali e internazionali con l’Iran, la promozione di riforme economico-sociali in Giordania e lo stato del processo democratico nel suo Paese. Dimostrando anche doti di eccellente comunicatore.




I temi dell'intervista

La Questione Palestinese

Abd’Allah è da tempo un convinto sostenitore della soluzione dei due Stati, secondo le linee guida della
Arab Peace Iniative formulata dalla Lega Araba nel Summit di Beirut del 2002. Le ipotesi circolanti su un possibile impegno politico o militare del suo Paese in Cisgiordania, alimentate da alcuni politici israeliani, vengono invece smentite con forza: è lo stesso re a riconoscere che i territori sulle due rive del Giordano sono ormai due entità politico-nazionali ben distinte, e gli stessi palestinesi rimasti in Cisgiordania non sarebbero favorevoli a un ritorno di fiamma pre-1988. Senza contare che il suo Paese, già in difficoltà sotto la pressione di oltre 3 milioni di palestinesi (tra rifugiati e non) e di 400mila rifugiati iracheni, non sarebbe in grado di farsi carico di un territorio economicamente e socialmente devastato.

Il re ha sottolineato la scarsa credibilità di cui godono gli USA in questo momento presso gli stati arabi. Anni di politiche scriteriate da parte dell’amministrazione Bush, così come un’azione ancora timida e inefficace da parte del governo Obama hanno suscitato seri dubbi sulla capacità degli Americani di favorire un processo di pace duraturo tra Israele e Palestina. Abd’Allah è però ben cosciente che rinnovati negoziati di pace senza il sostegno attivo degli Stati Uniti sono semplicemente impraticabili. L’auspicio è che Obama cominci finalmente a esercitare una leadership forte e illuminata, e che i primi progressi possano già vedersi in occasione del prossimo summit della Lega Araba (in programma in Libia nel mese di marzo). Altrimenti anche la soluzione dei due Stati diventerà presto un miraggio, condannando la regione mediorientale alla perenne instabilità.

Questione iraniana e lotta al terrorismo

Il re è convinto che il conflitto israelo-palestinese sia la principale causa delle relazioni tumultuose tra il mondo arabo e il mondo musulmano da una parte, e il mondo occidentale, di cui Israele rappresenta una sorta di avamposto, dall’altra. Come sottolineava già in una precendente
intervista, sono infatti ben 57 gli Stati che ancora oggi non riconoscono Israele (quasi un terzo delle Nazioni Unite), più di quelli che non riconoscono la Corea del Nord. Da questo peccato originale, secondo Abd’Allah, discenderebbero anche le tensioni tra l’Occidente e l’Iran – quest’ultimo fattosi protettore dei diritti dei palestinesi e dei libanesi sciiti in chiave anti-israeliana – oltre che la diffusione del terrorismo di matrice islamica in diversi Paesi, tra cui la Giordania.

La lotta al terrorismo rappresenta una priorità del Paese da parecchi anni, addirittura da prima degli eventi del 11/9. La necessità di garantire la sicurezza interna - anche questo angolo di Medio Oriente ha avuto il suo 11 settembre di sangue, rappresentato dagli attentati di Amman nel novembre 2005 – è il presupposto che legittima il governo giordano a intervenire in diverse aree del mondo per combattere Al-Qaeda. Spesso lavorando in stretta collaborazione con gli americani, come rivelato di recente dalla
morte di un agente dell’intelligence giordana, impegnato in Afghanistan a fianco di alcuni agenti CIA.

La Giordania, la modernità e il processo democratico*

Il re tenta in ogni modo di accreditare l’immagine di una Giordania lanciata verso la modernità, stabile ago della bilancia in Medio Oriente. Un Paese musulmano “moderato”, di mentalità aperta e tollerante, che condanna apertamente l’estremismo islamico e gli atti terroristici, che si spende per il dialogo interreligioso - come sottolineato dall’iniziativa “
A Common Word” e dalla recente visita del Papa ad Amman – che cerca di incoraggiare un ambizioso programma di riforme interne per favorire la partecipazione democratica. Abd’Allah è convinto che un sistema non possa diventare democratico solo grazie a riforme istituzionali calate dall’alto, quanto piuttosto in ragione di un maggiore coinvolgimento dal basso delle forze progressiste della Giordania. Per questo è necessario incoraggiare la creazione di una middle class attenta ai problemi del Paese, rispettosa degli interessi della collettività e competente nella gestione della cosa pubblica. Per questo è necessario coinvolgere le comunità locali nel processo decisionale, secondo una strategia di decentralizzazione dei poteri che si vorrebbe maggiormente rispettosa delle diverse tessere identitarie che compongono il mosaico giordano (la divisione del Paese in governatorati va in questa direzione).

*Gli analisti politici non sono concordi nel giudicare l’azione riformatrice della monarchia, soprattutto a livello politico. In particolar modo, il recente scioglimento del Parlamento e la decisione di posticipare le elezioni alla fine del 2010 sembrano mettere in dubbio la veridicità dell'attuale processo di democratizzazione.

venerdì 22 gennaio 2010

A 150 chilometri da Amman

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Il mio primo pensiero è stato di uscire dalla sala. Una bambina viene mostrata in primissimo piano, su un letto di ospedale. Viene circondata da due medici, che le praticano iniezioni, che le infilano dei tubi su per le narici del naso, che tentano disperatamente di rianimarla. La videocamera si avvicina morbosamente ancora di più, si ferma sui suoi occhi vitrei spalancati. Ma la bambina è già morta. L’inquadratura cambia, va a riprendere un padre di famiglia disperato. Davanti a lui il corpo esanime del figlio di tre anni, colpito da una bomba nei pressi del parco giochi del suo villaggio.

Gennaio 2009, Striscia di Gaza. Israele ha appena lanciato l’operazione Cast Lead (“Piombo fuso”), con l’obiettivo di colpire le infrastrutture militari di Hamas e assestare un duro colpo all’organizzazione palestinese. Gaza, uno dei territori a più alta densità di popolazione del mondo, viene prima bombardata e poi invasa da truppe di terra, subendo nell’arco di tre settimane di conflitto pesanti perdite civili.

To Shoot an Elephant, documentario proiettato nei giorni scorsi alla Royal Film Commission di Amman, è un resoconto visivo scioccante di quei 21 giorni. Nato dalla collaborazione tra il freelance spagnolo Alberto Arce e l’attivista palestinese Mohammad Rujailah, To shoot an Elephant segue le eroiche operazioni di soccorso prestate alla popolazione civile da parte di medici, infermieri e personale paramedico di ogni sorta, mostrando come si possa fare embedded journalism anche al fianco della Mezzaluna Rossa. Il risultato sono quasi due ore di immagini crude, sgradevoli, in certi punti insostenibili. Ma che rimangono una delle poche testimonianze dirette di ciò che è accaduto, e che non deve essere dimenticato.

Qui potete scaricare gratuitamente il documentario (in licenza Creative Commons). Per chi volesse approfondire la questione segnalo lo speciale di Al-Jazeera (l’unico grande media network ad avere dei corrispondenti sul posto durante gli eventi) e il corposo rapporto stilato dal Consiglio dell’Onu per i diritti umani.

domenica 17 maggio 2009

Nakba

1 commento:
Ieri, 15 maggio 2009, i Palestinesi hanno commemorato il 61esimo anniversario della Nakba, la "castrofe", per il loro popolo a seguito della creazione dello Stato ebraico nel 1948.



Circa 500 rifugiati palestinesi in Libano si sono recati alla frontiera israeliana, a Kfar Kila vicino alla Porta di Fatima, sventolando bandiere libanesi, palestinesi e quelle di Hezbollah.La Porta di Fatima, muro in cemento e reti che accompagna il confine per alcune decine di chilometri, è diventato nel 2000 il simbolo del ritiro israeliano dal sud del Libano dopo 22 anni di occupazione. La manifestazione è stata organizzata dal Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina (FDLP), il cui responsabile Khaled Younès ha dichiarato il rifiuto di qualsiasi insediamento palestinese (tawtin) nei Paesi ospiti per rivendicare il diritto al ritorno.



Nessuna celebrazione al campo di Dbayeh invece.



L'identità palestinese qui è molto meno forte rispetto ad altri campi. Mi chiedo da mesi quale sia il fattore decisivo per questa assenza e cerco di elaborare teorie proprio a partire dal termine "identità" definito mille volte, tuttavia sempre in maniera insoddisfacente. Il ragionare a proposito di questo soggetto lo lascio a giorni migliori quando forse tutto sarà chiaro anche nella mia mente.



Nessuna celebrazione al campo di Dbayeh quindi.



"Allora via si va, via si va, si va via", al campo palestinese di Bourj el-Barajneh. All'ingresso veniamo accolti dai faccioni di Arafat e Nasrallah, il nostro interesse è tuttavia diretto all'acquisto delle buonissime e ipercaloriche noccioline (mi dico che va bene, posso, ho mangiato solo una banana del resto!). Un po' in inglese e un po' in arabo chiediamo dove si celebra la Nakba e veniamo accompagnate nella piazzetta dove, a turno, ragazzi, adolescenti e bambini cantano e danzano per non dimenticare l'inizio della fine, l'inizio dell'essere rifugiato.




Oggi siamo ritornate per assistere a un incontro dove alcuni anziani hanno raccontato ai giovani i ricordi della loro terra, delle loro case, dei loro sogni. Alcuni occhi ancora si commuovono dopo 61 anni. Uno degli anziani scopendro che sono italiana mi ha chiesto un favore: "ti prego, se puoi. La Palestina è il mio paradiso, è la mia terra, è il luogo dove voglio morire. Quando tornerai in Italia racconta a tutti questa storia e quello che desidero. Il ritorno". Invitate da Iman, una bellissima ragazza conosciuta ieri, mi ritrovo sulla terrazza di casa sua a fumare il narghilé gusto enab (uva), parlare, ridacchiare. E' strano pensare che queste persone vengono considerate dalle comuni generalizzazione come dei "terroristi". Il terrore non è certo la sensazione provata e quindi presto torneremo per una cena tipicamente palestinese e per continuare ad ascoltare. Il favore che mi ha chiesto l'anziano di oggi non sarà facile senza orecchie interessate, ma io ci proverò anzi ci provo, ho iniziato ora.

giovedì 26 marzo 2009

ancora un po' di informazione sul...

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...conflitto israelo-palestinese. Ogni tanto è necessario rinfrescare la mente con nuovi pensieri, aggiornamenti anche al fine di ri-conoscere tutte le sfaccettature di una realtà complessa come quella mediorientale. Per non dimenticare così in fretta quello che è successo a Gaza nei mesi invernali, per non dimenticarlo ora che comincia ad arrivare la primavera. E perchè non tutte le voci israeliane appoggiano la guerra e le scelte del proprio governo e anzi da anni invocano la pace, la fine dell'occupazione e il diritto al ritorno dei Palestinesi. Tutte nozioni fondamentali che si mescolano nei miei pensieri con la situazione palestinese in Libano in queste ultime settimane, dalla notizia della ricostruzione del campo di Nahr al Bared a quella della morte di Kamal Medhat, leader dell’OLP e stretto collaboratore di Arafat negli anni 70, nei pressi del campo di Mieh Mieh vicino alla città di Sidone (Saida). E la continua definizione dei campi come delle bombe pronte a esplodere. E la continua miseria nei campi. Penso: everything is connected.
Ecco il link all'articolo che vi consiglio di leggere per avere una più ampia visione, l'intervista di Irene Panighetti ad Adam Keller, uno dei fondatori di Gush Shalom.
Israele: “Il potere è in mano alle destre perché non crediamo nella pace”
di Irene Panighetti
Liberazione, 25 marzo 2009
Adam Keller, nato a Tel Aviv nel 1955 in Tel Aviv-Yafa, è tra i fondatori di Gush Shalom, che in ebraico significa Blocco della Pace. Si tratta di una organizzazione indipendente dai partiti che si propone di esercitare influenza sull'opinione pubblica e spingerla alla pace e alla riconciliazione con il popolo palestinese. I principi sono la fine dell'occupazione, il diritto dei Palestinesi di avere uno stato indipendente nei confini stabiliti dalla Linea Verde del 1948, Gerusalemme capitale dei due stati, quella est (inclusa la Spianata delle Moschee) dello stato palestinese, quella ovest dello stato israeliano; riconoscimento del diritto al ritorno dei profughi. Keller è stato più volte incarcerato perché si è rifiutato di prestare servizio militare da riservista nei Territori Occupati.[...]

sabato 14 marzo 2009

Closed Zone...alias Gaza strip

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...nelle prime settimane di gennaio si è concluso l'attacco israeliano alla striscia di gaza!
generoso dono natalizio per tutte quelle persone, per lo più di confessione musulmana, che non avevano niente di meglio da fare che cercar di sopravvivere in un lembo di terra allo stesso tempo conteso ed ostracizzato.
Ormai siamo tornati tutti bambini, e la realtà preferiamo vederla attraverso i cartoni animati, perchè in fondo della realtà abbiamo proprio paura...perchè lo sappiamo che quella violenza ci riguarda un pò tutti....e così vi aggiungo un link. Un nuovo cartone animato, ancora Gaza... http://www.closedzone.com/!

mercoledì 4 marzo 2009

Proposta agli sce 2009

3 commenti:
Bella l'idea che ci ha fatto conoscere Benedetta nel suo post. Perchè non facciamo una colletta tra noi SCE 2009 e facciamo fare una scritta sul muro di Ramallah del tipo:"SCE 2009 - Giordania, Bolivia, Nicaragua, Moldova, Kenya, Libano - 13 ragazzi al servizio del prossimo".

Oppure qualsiasi altra scritta.

Possiamo lanciare un concorso per chi scrive la frase piu bella da pintare sul muro....chiunque potra lasciare un post con la scritta e prima o poi decideremo quale fare...cheddite??

sabato 14 febbraio 2009

San Valentino

1 commento:
Il 14 febbraio 2005 veniva ucciso Rafiq Hariri, ex Primo Ministro libanese, in un attentanto nel centro di Beirut in pieno giorno. Questo, il detonatore di tutto quello che ha vissuto il Libano negli ultimi anni: le manifestazioni per l'indipendenza, il ritiro delle truppe siriane, il ritorno di Geagea e Aoun sulla scena politica libanese, il proseguimento di attentati rivolti a uomini politici anti-siriani e giornalisti, la guerra del luglio 2006, Nahr al Bared, la guerra di maggio 2007 ecc...moltissimi eventi. Oggi la strada era bloccata, mille auto questa mattina andavano verso la capitale per le manifestazioni e al ritorno in direzione opposta era impossibile muoversi. Bandiere delle Forze Libanesi, della Corrente del Futuro, partiti cristiani e musulmani (sunniti), tutti appartenenti allo schieramento del 14 Marzo.

...ma non era questo che volevo dire. Martedì 10 febbraio hanno avuto luogo le elezioni israeliane. L'assetto del medioriente dipende da tutte le forze in campo, in Iran, in Israele, in Siria, in Libano, in Palestina. Anno di elezioni, il 2009. E abbiamo cominciato con Israele. Alcuni pensano che massacri e guerre spesso si compiono in funzione delle elezioni...ma noi non vogliamo crederlo, vero? noi vogliamo rimanere ingenui e puri di cuore e lasciare questo cinismo ad altri. Scusate il sarcasmo. Ecco il link per un articolo esaustivo su queste elezioni e la recente e futura politica israeliana.


Il sionismo può giustificare qualsiasi atto di violenza e ingiustizia?

di Gideon Levy
Haaretz, 12 febbraio 2009

La sinistra israeliana è morta nel 2000. Da allora il suo corpo è rimasto insepolto fino a che non è stato redatto il suo certificato di morte, firmato, sigillato e spedito martedì. Il boia del 2000 è stato anche il becchino del 2009: il ministro della difesa Ehud Barak. L'uomo che è riuscito a spargere la bugia riguardo la non esistenza di partner ha raccolto il frutto delle sue malefatte in queste elezioni. Il funerale è stato celebrato due giorni fa. [...]

giovedì 5 febbraio 2009

Nel covo dei pirati

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Martedì mattina ero al centro. Pioveva e faceva freddo. Così Daniele ed io insieme ai nostri amici "grandi" eravamo rannicchiati nella sala con la stufetta accesa e le notizie in arabo da sottofondo. Scorrevano le immagini dei preparativi per una nave libanese che avrebbe lasciato il porto di Tripoli per portare aiuti umanitari a Gaza. Sami(r), uno dei pochi anziani che parlucchia inglese, traduceva le parole del cronista. Ho domandato come avrebbe fatto la nave a portare i soccorsi. Acque internazionali. Sfondare il blocco. I medicinali, il cibo, i vestiti e i giocattoli destinati a Gaza tuttavia non sono arrivati. La "Barca della Fratellanza" è stata fermata, sequestrata e scortata verso il porto israeliano di Ashdod. Il portavoce israeliano ha dichiarato che il materiale consegnato alle autorità arriverà nella striscia via terra.

Possiamo solo sperarlo. Fare appello alla comunità internazionale sarebbe inutile come sempre.

Ecco il Link dell'articolo di Claudio Accheri per Osservatorio Iraq:
http://www.osservatorioiraq.it/modules.php?name=News&file=article&sid=7097

p.s= titolo preso dalla canzone di E. Bennato. Molto bella tra l'altro ne consiglio l'ascolto.

martedì 20 gennaio 2009

La tregua dopo la tempesta?

3 commenti:
Anche questa fase del conflitto israelo-palestinese è terminata. Nessuna tregua invece per il dolore dei vivi che continueranno a piangere i loro morti.

Posto questo articolo firmato da Amira Hass che è tratto dall'edizione online di "Haaretz" del 19.01.09.

Norwegian doctor: Israel used new type of weapon in Gaza

Some Palestinian casualties in the Gaza Strip were wounded by a new type of weapon that even doctors with previous experience in war zones do not recognize, according to Dr. Erik Fosse, a Norwegian cardiologist who worked at Gaza's Shifa Hospital for 11 days, during Operation Cast Lead. However, he added in a telephone conversation from Oslo, most casualties were people hit by shrapnel from conventional explosives. Fosse, a department head at a university hospital in Oslo, worked in Afghanistan during the Soviet occupation and several times in Lebanon, also in 2006. That was when he first heard about the new kind of weapon, but did not see any such wounds with his own eyes.
The unknown weapon appears to mainly affect the body's lower part, he said. It severs the legs, leaving burns around the stump, small punctures in the skin and internal bleeding. According to Fosse, these injuries appear to be caused by a pressure wave generated when a missile hits the ground. His best guess, he said, is that the pressure wave is caused by a dense inert metal explosive, or DIME, a type of bomb developed to minimize collateral damage. A military expert working for Human Rights Watch also told Haaretz that the nature of the wounds and descriptions given by Gazans made it seem likely that Israel used DIMEs. Fosse and a Norwegian colleague, Mads Gilbert, arrived in Gaza on December 31 and remained until January 10. They were financed by the Norwegian government. On his return, Fosse submitted a report to his government in which he accused the IDF of deliberately targeting civilians. Fosse said he believes Israel deliberately chose to attack while Westerners working for international organizations were back home for the Christmas vacation. "The Palestinian witnesses, as medical workers, are very accurate in their reports, but if we hadn't been there to confirm their testimony, it would all have been presented as Hamas propaganda," he said.

sabato 17 gennaio 2009

Satirica_mente Gaza

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Il lato tragicomico della guerra a Gaza secondo un vignettista arabo: Emad Hajjaj, co-fondatore e direttore creativo di un sito web dal nome Abu-Mahjoob. Se al titolo corrisponde una promessa ("il padre del nascosto", questo il titolo tradotto) potrete deciderlo voi stessi. Il sito, sia in arabo che in inglese, ha una sezione archivio succulenta, per chi avesse voglia di guardarsi un pò di satira.


venerdì 16 gennaio 2009

E leggerò domani...

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Sì lo so che dovrei scrivere poco, scrivere di altro, pubblicare fotografie, dire cose simpatiche e divertenti. Mi piacerebbe un sacco condividere delle ricette, anche per farmi e suggerire qualcosa di buono; mi piacerebbe parlare di musica, di film, di ragazze. E lo farò. Sì, anche parlare di ragazze, perchè no?!! E, tra l'altro, ce ne sarebbe da dire...
Ma poi, poi.
L'urgenza, oggi, è far conoscere e diffondere questa lettera aperta, di Moustafa Barghouthi, medico e parlamentare palestinese, uno di quelli che da anni percorre la strada dell'opposizione nonviolenta e attiva all'occupazione israeliana dei Territori...
Ho riportato solo la prima parte, il resto della lettera è "linkata". Vi prego di fare lo sforzo di leggere tutto, è molto interessante, reale, drammatico, fa pensare.
A me ha fatto pensare all'enorme differenza che esiste tra le parole "neutrale" e "equilibrio"...

Moustafa Barghouthi e Francesca Borri:

Gaza: e leggerò domani sui vostri giornali...


E leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua. Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di concentramento falciato dalla fame e dalla sete. E da cosa dipende la differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti? E i bambini consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano? Muore di guerra o di pace, chi muore perché manca l’elettricità in sala operatoria? Si chiama pace quando mancano i missili, ma come si chiama, quando manca tutto il resto?

[......]

continua al link:
http://www.misna.org/news.asp?a=1&IDLingua=2&id=234642


Daniele

martedì 13 gennaio 2009

il fardello dell'uomo israeliano di Barbara Spinelli

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Leggo la “mia” Sarella e sono sempre più orgogliosa di Lei. Entra piano nel blog, la ragazza, con delle immagini, dei colori, gente che danza. Per poi arrivare a colpirti il cuoricino, per commuoverti e, per chi è capace di provare certe emozioni, ti fa sentire - come dici Sara? ah già - «mortificata» per via della parte di mondo nella quale siamo nate e cresciute. Lei ed io che già abbiamo faticato per...

Penso al mio arrivo qui in Libano oggi. Volevo aprire quella maledetta bottiglia di vinello rosso - solo perché non abbiamo acqua potabile - e mi taglio (leggermente) il polpastrello di una falange o falangetta dell'indice...indica che? che sono in arrivo dei disturbi. La corrente salta. Daniele ed io rimaniamo al buio proprio mentre stavamo per azzannare un bel piatto di pasta con il tonno per poi ingoiare selvaggiamente fagioli e cipolla di contorno. Ci alziamo, andiamo verso i contatori e sento la voce del proprietario, Baschir, in giro per il palazzo. Lo afferro: “Happy New year....but we don't have the light!”. Non c'è luce, Bashir, dov'è la luce? Per chiarificare un po', quindi, per rendere consapevoli chi lo desidera, ecco un bell'articolo che spero possa in parte illuminarvi su quello che sta succedendo a Gaza...perchè, Gente, sta succedendo qualcosa. Il link:
Ora abbiamo la luce, ma salta in continuazione. Non possiamo accendere il riscaldamento stasera...e fa un gran freddo...perché come dice la mia Sarella...«le parole alle spalle hanno lasciato il gelo».

P.S= gli accenti sono giusti questa volta? :-P