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martedì 24 maggio 2016

¡¡¡Mochilleras Nica Sce!!!

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Le vie del Norte: 
Esteli, Somoto, Matagalpa, 
Jinotega, Chinandega 
e il Golfo de Fonseca

Partenza da Managua al mattino presto: mangeremo del gallo pinto in un ranchon per strada, ma prima togliamoci dalla metropoli! Direzione Nord, abbiamo in mente di goderci qualche giorno di fresco, di fare un bagno nel cañon di Somoto e di passeggiare nelle riserve forestali.


Nel primo pomeriggio arriviamo ad Esteli, niente a che vedere con Managua: strade pulite impreziosite da murales colorati, un bel parco di fronte al museo di archeologia (chiuso, perché nel fine settimana e nei giorni di festa la maggior parte dei musei è chiusa) e qualche bel locale con birra fresca e buona musica. 

Lasciamo gli zaini in ostello, riempiamo le borracce e andiamo verso il Salto della Estanzuela che rimane appena fuori città, dopo una breve passeggiata arriviamo alla cascata: non è imponente come dev’essere durante la stagione delle piogge e decidiamo di non fare il bagno, ridiamo per gli spruzzi e le grida di due ragazzi più intraprendenti di noi.
La mattina dopo saliamo sul nostro fuoristrada e ci avventuriamo verso la Reserva de Miraflor dove ci aspetta Juan de Dios, il fattore di una delle numerose comunità contadine della riserva, e dopo quasi tre ore di sterrato arriviamo alla sua finca e partiamo insieme a lui e al suo cane per una passeggiata sui sentieri che attraversano la comunità. Il paesaggio è da fiaba, con pastes (piante rampicanti simili a barbe di mago) che pendono dai rami, alberi dalle radici enormi, sciami di farfalle scure e una vista mozzafiato su una foresta che si perde a vista d’occhio.  



Una volta rientrate alla finca la moglie di Juan ci serve un pranzo goloso cucinato con e verdure coltivate dalla famiglia, riposiamo sull’amaca, 

nos echamos un pelòn 

e ripartiamo verso Esteli.




Rinfrancate dalla bella passeggiata, terminiamo con una Victoria Clasica bien helada in un baretto a due quadre dal nostro ostello, scherziamo su quanto ci mancassero le passeggiate nella natura e stabiliamo la mossa successiva: sveglia presto (ma dai!) e via verso Somoto, famosa per il suo canyon e le falesie verticali.

Somoto è piccola, si gira in fretta e così dopo pranzo pensiamo di salire a Las Sabanas per vedere il tramonto sulla croce in cima al monte, compriamo due sacchetti di tajadas di yucca e ci rimettiamo su strada, diamo un passaggio a una famiglia di contadini che rientrano a casa e chiacchieriamo insieme mentre, tornante dopo tornante, la vetta si avvicina. Nello spiazzo sotto la croce dei ragazzi improvvisano una partita a pallone, restiamo fino a che non ci assale un certo languorino.
La mattina dopo siamo pronte per risalire il canyon con Fausto e la sua cagnolina temeraria che passerà tutta la mattina accoccolata sulle nostre schiene mentre nuotiamo tra una pozza e l’altra di acqua verde e fresca.

Da Somoto a Matagalpa. 




...E in questa città ci abbiamo lasciato un pezzetto di cuore... 


Un saliescendi continuo incastonato nella selva, pulperias e locali colorati, un ufficio turistico che non sa che informazioni dare ed un museo del caffè dove, inspiegabilmente, i pannelli su Ruben Dario superano di gran lunga quelli sui chicchi  e sulla loro lavorazione. Ce la godiamo tutta, in lungo, in largo e soprattutto in alto e in basso, nonostante non siamo più abituate alle salite, praticamente assenti a Managua. 




L’ennesimo ostello e l’ennesima sveglia presto, un salto ai banchi per riempire lo zaino di frutta, pomodori e tortillas e via verso la Selva Negra dove perdersi tra sentieri che, se inizialmente sembrano facili, si inerpicano in salite di fango, sembra di risalire un toboga! Sconvolte dalle risate (e dalle culate)  




ci godiamo ogni passo nella selva umida, stupite, ancora una volta, dalla quantità di sfumature che può assumere il verde!!!

...Da Matagalpa a  Jinotega


ma costeggiando il lago con l’idea di trovare un bel posto dove passare la notte. Ahinoi! Quando, secondo i nostri calcoli, avremmo dovuto essere già sulla sponda opposta ci accorgiamo che la strada costeggia il lago, ma su un solo lato. non ci resta che ritornare sui nostri passi, confuse su che rumbo dare al nostro itinerario… si vedrà, ora meglio cercare una litera… e la pancia sta già gorgogliando! E quindi

¿che direzione prendere?

Gli ultimi sono stati giorni di foreste, laghi e cascate… e setentassimo di rispondere all’annosa questione “mare o monti”? 


¿Ma dai non ricordi?
¡¿Ci hanno parlato del Golfo de Fonseca 
se facessimo questa follia e andassimo lì?! 

Dai, un bel tuffo al tramonto, no? Detto-fatto, si parte rumbo a Chinandega e poi da lì si vedrà! Ore di strada immensa, la mente divaga sulle leggende panamericane mentre noi vaghiamo sulla mitica carretera panamericana cercando senza sosta una stazione radio che non balbetti.


Chinandega quindi e da Chinandega a Jiquilillo. Una levataccia in montagna e la promessa di un bagno in mare alla sera, cosa volere di più? Affittiamo una capanna di lamiera in riva al mare ad un prezzo stracciato e corriamo verso l’acqua! Dopo il bagno una doccia salata, un paio delle solite Victoria Clasica bien e una serata in veranda a chiacchierare con Danilo, il giovanissimo proprietario del lodge.

La mattina dopo decidiamo di andare verso il Volcán de Cosigüina dalla cui cima si dovrebbero vedere tre paesi, Nicaragua, Honduras e Salvador. Si vedono davvero? È una leggenda? Non abbiamo la risposta… dopo quasi tre ore su uno sterrato di sabbia e polvere abbiamo desistito e, dopo una faticosa manovra, siamo ritornate sui nostri passi. E dire che tutti ci dicevano che era giusto per di là! (E dire che tutti ci chiedevano se fossimo matte ad andarci sole!)

Questi giorni di Nicaragua on the road si chiudono così, con l’incognita del Volcán de Cosigüina e la certezza di ritornare, di ritentare ed essere più fortunate. Per amor di cronaca, s’intende!

Vamos a la playa (o- ooo-o!) 
Las Peñitas, Pochomil, San Juan del Sur e la Costa Caribeña

In Nicaragua fa caldo, a Managua sembra faccia ancora più caldo, dev’essere per lo smog e la polvere, ma il caldo si percepisce di più, è addirittura materico: pastoso e vischioso! Ma soprattutto a rendere il caldo così caldo e l’aria polverosa così fastidiosa è la lontananza del mare. D’accordo, può essere che stia esagerando, ma io sono nata sulla riva del mare e respiro meglio quando lo annuso.
Il Nicaragua ha laghi, lagune e laghetti, “…hermosa tierra de agua y volcanes…” ma si allunga tra due oceani che, non me ne vogliano i sostenitori del canale, non si toccano, non l’attraversano, non si mischiano ed è bene così.

Ma non divagherò! ed evitando di salpare per chissà quali ragionamenti, eccoci su alcune delle spiagge nicaraguensi... Lunghe e sabbiose, strisce color ocra che si snodano tra la vegetazione e l’immensità di un oceano che, a dispetto del nome che porta, Pacifico non lo è mai: a volte alza e sbuffa onde altissime, delle altre srotola correnti sottomarine che a malapena increspano la superficie ma insidiose come sgambetti. 

E noi siamo andate in molte spiagge: a nord e a sud di Managua, a Las peñitas e a Pochomil. E siamo andate ancora più a sud, svalicando il Crucero (dove congiungono tutti gli sfiati dei vulcani di Managua e il cielo è sempre nuvoloso e l’aria sempre fresca), attraversando Diriamba, Jinotepe, Nandaime e Rivas, sempre giù fino a San Juan del Sur, una cittadina di bed&breackfast e surfisti con ville enormi e lussuose sulle colline che scintillano per i riflessi di luce sulle vetrate e sulle piastrelle azzurre delle piscine. 

Ma se, al bivio del Palì, si gira a sinistra, si supera la cancha de béisbol, si attraversano i barrios che non luccicano affatto e si segue lo sterrato si arriva a Playa hermosa e alla vicina Playa el coco, dove una sera abbiamo visto una 

tartaruga di mare deporre le sue uova… 

e dei pescatori rubargliele da sotto, infidi e meschini sotto al naso delle guardie della riserva che, pochissime su chilometri di spiaggia, non hanno potuto fare nulla.  


 Non c’è Pacifico senza Atlantico.

Il RAAS e il RAAN (Región Autónoma del Atlántico Sur e Región Autónoma del Atlántico Norte) sono due regioni molto estese, coprono dal centro del paese al Mar del Caribe, la natura la fa da padrona incontrastata e sono poco popolate ma multietniche: vi si incontrano diverse popolazioni indigene, i Miskytos soprattutto, ma anche molti Creoles afro discendenti.

Purtroppo non è affatto semplice muoversi per queste zone, i collegamenti via terra sono apparentemente inesistenti, con un breve volo aereo da Managua abbiamo raggiunto Corn Island e da lì, dopo ore di attesa al porto, siamo salite su una lancia per raggiungere l’isola piccola dove abbiamo oziato per un intero fine settimana. 
 Tutto su questo lato è diverso. Diversa la lingua, diversa la musica, diversi i volti, diverso il pane. Little Corn Island ha molti turisti, perlopiù mochilleros, ma non sembra aver perso molto della sua autenticità.  Si vanta d’essere isola verde, ha politiche ecologiche brillanti, non vende acqua perché è bene universale, riduce, riutilizza e ricicla, rinuncia ad alcune comodità in nome dell’ambiente. 


Leon

Interessantissima pe la sua architettura coloniale e per la storia, qui c’è uno dei più importanti musei della Rivoluzione sandinista.

Ben collegata a Managua da bus e pulmini, si raggiunge in un paio d’ore di sorpassi spaventosi. Città a misura d’uomo, dà la possibilità di passeggiare per le strade del centro storico, scoprendo ogni volta nuovi dettagli. 

Abbiamo avuto la fortuna di poter salire sul tetto del museo per vederla dall’alto, può sembrare banale, ma è stato emozionante salire oltre il quarto piano di un palazzo in un paese dove, per ovvie ragioni, la maggioranza di case e palazzi supera i due piani di altezza. C’è un bel mercato coperto, dove si incontrano moltissimi tipi di frutta e di verdura, 

repollos guanabana, zapote, chayote, camote, quequisque, popote, remolacha, narajas, granadilla, pitaya

Masaya e Granada

A pochi chilometri da Managua, Masaya è una piccola città con un bel mercato di artigianato, ma la sua attrattiva principale resta senza dubbio, il vulcano da cui prende il nome.


Durante il giorno, dopo una breve salita, offre una bella vista di Masaya e di Managua, ma è di notte che dà il meglio di sé regalando scenari pazzeschi: il cratere si incendia e splende nel buio, uccelli e pipistrelli volano tra gli sbuffi di zolfo e, quasi invisibili a Managua, si accendono migliaia di stelle.

A breve distanza da Masaya si può visitare la Laguna de Apoyo, formatasi dentro un cratere estinto. L’acqua è piuttosto calda e le spiagge sono sempre molto frequentate: su una sponda abbondano bar e locali, regnano la cumbia e il merengue mentre sull’altra, non raggiungibile, la folta vegetazione arriva fino al bagnasciuga e si confonde nel verde della laguna. 



Una leggenda racconta che sul fondo del lago ci sia una finca fantasma e che chiunque vi faccia il bagno dovrà raggiungerla, una volta morto, e lavorarvi cento anni prima di riprendere il suo viaggio.

Proseguendo di poco verso sud si raggiunge Granada, altra città coloniale dai colori sgargianti e dai molti mercaditos. Schiacciata sul Lago Cocibolca guarda al Volcán Mombacho e alla miriade di isolotti che sono nati da una delle sue esplosioni. 



Paese di laghi, vulcani, spiagge e selve il Nicaragua offre una grande varietà di paesaggi e di realtà. Appena fuori Managua, poco lontano dalle sue strade ampie e caotiche, si ritrova una natura potente e rigogliosa che andrebbe sicuramente più curata e rispettata, ma che resiste e prospera. Non troppo lontano dai centri commerciali, dai fast food e dai quartieri troppo densamente abitati della capitale, ci si imbatte nei più autentici ranchon e mercaditos, le persone sono generalmente più ciarliere e bendisposte nei confronti dei viaggiatori ficcanaso ed è facile rintracciare l’entusiasmo e la curiosità per esplorarlo e per laciarsene attraversare.



e, a proposito di attraversare, scriviamo buttando sempre un occhio alle carte, prossima meta, Ometepe! 

...per mestiere aver scelto il mestiere di Vento... 




venerdì 29 aprile 2016

METABLOG... il blog nel blog! LA SEMANA DEL LIBRO Y DEL PLANETA TIERRA

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Solidaridad y experiencias desde Ciudad Sandino, Nicaragua

Semana del Libro y de la Tierra en Redes de Solidaridad, con María López Vigil

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El Día de la Tierra y el Día del Libro se celebran los días 22 y 23 de abril, respectivamente, en muchos países del mundo. Y en Redes de Solidaridad hemos querido unir ambas celebraciones en una Semana llena de actividades, cultura, diversión y educación ambiental.
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A Blancanieves se le perdieron los enanos
Sopa de Cuentos” es una obra de teatro breve organizada por el personal del Centro Escolar de Redes de Solidaridad que busca sensibilizar a los niños y niñas sobre el disfrute de la lectura y la importancia de cuidar los libros. Cuando arrancamos una hoja de un cuento, los personajes se pierden, se cambian de cuento y aparecen donde no se les espera. Los personajes perdidos terminaban siendo los mismos niños o docentes que asistían como público, lo que hacía todo más divertido e interactivo. ¡Gracias a Elisa Marenco por trabajar en el imaginativo guion de esta obra!
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Cuentos proyectados
Los niños y niñas de todos los cursos (preescolar y primaria) disfrutaron de cuentos breves en formato audiovisual, siempre con temáticas relacionadas con la lectura y el medio ambiente. Esta actividad fue acogida con entusiasmo por los niños y niñas.
semana del libro 04
Festival del Libro
Durante el miércoles 20 el Club de Amigos/as de la Biblioteca (conformado ahora por unos 70 niños y niñas) organizaron recorridos por la Biblioteca y tres “Rincones” específicos: el primero, de actividades de presentación de la Biblioteca; el segundo, de exposición de libros; y el tercero, para recibir donaciones de libros, en la que participaron niños/as, madres y padres, docentes y voluntarias de Redes.
semana del libro 05
María López Vigil y su Guía del Pipián
Por tercer año consecutivo, la escritora María López Vigil nos alegró con su visita, lectura y comentarios sobre su último cuento, “La Guía del Pipián”. Su cuento nos muestra el pasado, el presente y el futuro de Nicaragua, con una visión crítica pero esperanzada, a través de los ojos de los dos niños protagonistas, Nayita y Guayo. En Redes nos encanta el libro, por lo que fue un auténtico placer tener aquí a María. ¡Gracias!
semana del libro 06

sabato 21 novembre 2015

prima che la sveglia suoni

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Mi sveglio quasi sempre prima che la sveglia suoni, questa sì che è una notizia degna di nota. Nessun gemito di disperazione, nessuna smorfia di fatica: non resto ad arrotolarmi tra le lenzuola nel tentativo di restarvi intrappolata. Ma nemmeno scatto in piedi canticchiando, certo. E' che qui il sole tramonta molto presto: la Luce giovane delle sei del mattino ha già avuto abbastanza tempo per camuffarsi in modo da sembrare un po' più vecchia di quello che è, ma per fortuna il Caldo non l'ha notata, non si pavoneggia e tarda ancora un poco. Diciamo che è un buon momento per alzarsi.
 
Arianna è già in piedi (dico in piedi, non sveglia) che traffica ai fornelli con la padella per il tè (dico padella perchè non abbiamo ancora trovato un pentolino, ma solo calderoni!) io mi avvicino, le biascico un buongiorno in quella lingua ibrida che ormai abbiamo cominciato a parlare e mentre taglio il pane mi chiedo se sia meglio mettere prima il pomodoro o il sale. Si, il pomodoro e sopra il sale, lo sanno tutti... ma guardate che non sono nemmeno le sei del mattino, che volete!?
 
Dopo aver armeggiato per un po' con i lucchetti del giardino riusciamo ad uscire: un saluto a Dolores, la vicina e uno a Josè Francisco, il guardiano dell'isolato, prima di svoltare l'angolo e trovarsi sulla strada che collega Managua a Ciudad Sandino. Gli autobus e i camion sollevano la polvere mentre alcuni cavalli brucano a bordopista e le pecore del serraglio qui vicino scampanellano mentre salgono la collina.
Nel frattempo il Caldo ha notato la sua signorina.

Arriva la ruta 133 e saliamo.
 
 
 
A destra, sul limitare di asfalto ed erba, un uomo pedala e spinge avanti una bicicletta scassata.
Alla sua sinistra lo supera un carro trainato da un cavallo grigiobianco, una moto lo affianca, gli taglia la strada e va oltre incurante d'essersi infilata nel mezzo del sorpasso di una camionetta nel cui cassone sonnecchiano sobbalzando alcuni operai.
All'estrema sinistra di questa matrioska di infrazioni passa il nostro bus: un vecchio scuolabus giallo smaltato decorato di scritte, preghiere ed adesivi. Ma lo sprint dura poco, la Cuesta del Plomo non ha mai risparmiato nessuno e non lo fa nemmeno la salita che porta fino a lì, così ci ritroviamo ad arrancare dietro al ciclista che ci eravamo lasciati alla spalle poco fa.

Raggiunta Ciudad Sandino scendiamo per cambiare con la 113, direzione Nueva Vida...la strada ora è sconnessa, devastata da buche e dossi.
Il paesaggio cambia. I muri delle case basse sono dipinti con i colori sgargianti delle pubblicità di biscotti, lubrificanti, compagnie telefoniche... alcuni bambini giocano scalzi per strada, fanno regate di sacchetti di snack vuoti nei rigagnoli di acque nere mentre altri vanno verso scuole e collegi, vestiti con le loro divise biancoblu e con i capelli raccolti in trecce e chignon o petttinati all'indietro con dosi massicce di gel, si attardano per comprare un fresco dal colore brillante e lo bevono mordicchiando un angolino del sacchettino di plastica. Dei polli razzolano legati a dei picchetti di legno, i cani randagi ciondolano da un lato all'altro della strada. Sotto l'insegna di un'officina di saldatura tre uomini forgiano barbecue e cancelli. Una signora cammina sotto una grossa cesta piena di tortillas, grida la sua merce ed elargisce sorrisi. Una giovanissima mamma spinge un'asse di legno a ruote su cui ha inchiodato una cesta, porta a spasso una bimba piccolissima che chiacchiera con un bambolotto. Alcuni ragazzi impigriscono appoggiati a un muro, probabilmente resteranno lì fino a sera.

Il complesso di Redes è un'oasi in mezzo a questa Nueva Vida, che dopo 17 anni tanto nuova non lo è più. Incontriamo Sergio che apre il cancello e spalanca un sorriso: Buenas Dìas Muchachas.
Danilo e Roger: salopette, cappellino con visiera e stivaloni di gomma, rastrellano il cortile e curano le piante: Buenas Dìas Muchachas. Dal despacho del Centro Escolar tuona la risata di Felix, il direttore: Buenas Dìas! E buongiorno a Brenda, a Catarina, a Marta, a Raquel, a Jasmina, ad Haydee e ad Armando.
Nell'ufficio di O.P.C. Marcel ed Edwjin hanno già preso posto davanti al pc: Entonces Muchachas? Que tal amaneceste hoy?
 
Come ci siamo svegliate questa mattina? Bene, prima che la sveglia suonasse, Arianna ha preparato il caffè, ma io l'ho scordato sul tavolo in cucina.
 
Elsa

giovedì 12 novembre 2015

Sulle sfumature del verde

2 commenti:
Quanti verdi esistono in natura? 

Secondo Wikipedia sono 35, di cui tre sono asparago, mirto e polpa di lime... Beh, fino ad ora non mi ero mai posta il problema, nonostante il verde sia sempre stato uno dei miei colori preferiti.

Poi sono piombata a Nueva Vida, baraccopoli di lamiere e mattoni, nuova vita e speranza per quasi 10.000 persone: famiglie fuggite dalle sponde allagate del Lago di Managua. Madre Natura che si nutre: in quel caso con un uragano, novembre 1998, Mitch lo hanno chiamato. Sono passati 17 anni e la gente di Nueva Vida è ancora là, in attesa di un futuro migliore.

Ma il mio primo ricordo del barrio non sono le condizioni precarie delle case e delle persone; non l'immondizia e sporcizia in mezzo alla quale i bimbi giocano scalzi; non le strade di terra battuta circondate da rigagnoli d'acqua di un colore indefinito e a volte interrotte da pozze enormi; non la discarica e le donne e i bambini che vi si recano ogni giorno a dividere “l'ancora vendibile” dal “per sempre perduto”; e nemmeno la puzza, certi giorni fortissima, di fogna e di cose andate a male.
Il mio primo ricordo di Nueva Vida sono gli alberi. Alberi altissimi e forti, palme di ogni tipo, cespugli dai colori sgargianti, tipi di cactus mai visti prima. Certe stradine sembrano vere e proprie gallerie nella giungla con piante che si intrecciano a formare un tetto, non c'è casa che non abbia un arbusto o un cespuglio particolare a protendere la sua ombra sulla porta d'entrata.

Il verde, o meglio, i verdi sono ovunque in questo paese. Enrique, il direttore di Redes de Solidaridad, dice che in Nicaragua la Natura nasconde la povertà. Ha usato un'espressione molto bella per descrivere il concetto: “el verde que se come todo”. Il verde che si mangia tutto. Me lo immagino un po' come il Nulla che ne “La Storia Infinita” inghiotte territori e spazi ad una velocità spaventosa, lasciando gli abitanti di Fantàsia impotenti difronte alla sua forza. Solo che nel caso del Nicaragua l'effetto è piacevole.

Tutti i martedì e giovedì pomeriggio io ed Elisa apriamo la biblioteca del Centro Escolar di Redes perché anche chi non studia nel Centro possa usufruire dei libri. Tutti i martedì e giovedì pomeriggio, terminati i compiti, i bambini ci chiedono di poter disegnare. Tutti i martedì e giovedì pomeriggio mi ritrovo a collezionare disegni di vulcani e foreste, fiumi e laghi, fiori e alberi. A volte ci sono case e persone, ma la natura è immancabile, come lo sono le diverse sfumature di verde.




Il primo pomeriggio di biblioteca spiavo i piccoli artisti aggirandomi per la stanza; uno di loro teneva due pastelli verdi in mano, uno più scuro e l'altro più sgargiante, e li fissava, pensieroso e concentrato. In quel preciso momento, per la prima volta in vita mia, mi sono chiesta: “quanti verdi esistono in natura?”

Poi mi sono resa conto che nonostante la semplicità della domanda sono dovuta arrivare fino in Nicaragua per poterla formulare. E la cosa mi strappa un sorriso, che sicuramente almeno una delle 35 sfumature di verde la contiene.

mercoledì 28 ottobre 2015

9.500 km dall'Italia

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Managua, dunque.
Per l'esattezza: barrio Valle Dorado, de donde fue el restaurante Aragon, una cuadra abajo, dos al lago, dos abajo, costado sur del parque. Claro, no?!

Beh, ripetetelo ad un taxista qualunque e vedrete che saprà trovarci. Se poi una volta là doveste avere difficoltà nell'individuare la casa giusta, potete sempre chiedere informazioni al guardiano della quadra. Lo riconoscerete come l'omino sorridente che, armato di manette e seggiolina di plastica, vi sta osservando dall'ombra di un mango. Attenti che, nonostante l'aria da bimbo sperduto nel Paese delle Meraviglie, sa e vede tutto.

La mia prima regola d'orientamento è sempre stata imparare a memoria il nome della mia via e in che direzione si trova il centro rispetto ad essa. Ma, dal momento che a Managua un centro non esiste e che il mio indirizzo è lungo quasi due righe, mi trovo costretta a rivedere la mia bussola di riferimento, a riconsiderare ciò che mi è sempre risultato più facile, insomma a rimettermi in discussione. Che poi forse è ciò che stavo cercando.

Per fortuna le mappe, per quanto rare, esistono anche qui. Per fortuna forme e colori aiutano, anche quando le parole per definire sono troppe, o mancano del tutto.



giovedì 15 ottobre 2015

Nicaragua: esperando a Godot

4 commenti:
Avete presente quando vi dicono che il tempo vola? Beh, ma certo che si! A me lo hanno detto molte volte e credo di averlo ripetuto anche io ogni tanto.  Bene, il tempo, si sa, vola. Però non si può evitare di rimuginarci un po' su ... il tempo, insomma, non lascia il tempo che trova! 
Qualche anno fa ho letto una frase di Sepulveda che mi ha colpita, era più o meno così: anche gli orologi si guastano ma essi, così come i motori perdono olio, perdono tempo.  L'ho trovata geniale e da quel momento in avanti, non ho perso occasione di interrogarmi sul tempo, di giocarci, di perderlo, di rincorrerlo, di guardarlo passare, di maledirlo quando ne ho avuto poco, di cercare di trovarne un po' di più, di desiderare di riavvolgerlo o di mandarlo avanti veloce... di viverlo!

Credete che stia cercando di prenderne un po'? Lo ammetto. 

Ari ed io siamo qui da una settimana. Qui in Nicaragua, a Managua (evito di darvi coordinate più precise perchè, credetetmi, tra cuadras a lago e cuadras abajo non ci si capisce un granchè!). Da qualche giorno stiamo andando a Ciudad Sandino nel barrio di Nueva Vida per raggiungere la sede di Redes de Solidaridad dove lavoreremo per i prossimi mesi. Sono giorni stimolanti, colmi di aspettative e buone premesse, promettenti! 
… però aspettate, sto divagando! Tutto questo dilungarmi sullo spazio quando invece è stato il Tempo a sconvolgermi, a disorientarmi, a mettermi alla prova!  E dire che credevo d'essere preparata! Me lo avevano detto, l'avevo letto, in piccolissima parte mi c'ero già scontrata con tantissimi concittadini genovesi... ma, nulla da dire, il tempo qui scorre diversamente, ha un altro passo lui, il tempo qui non ha quasi mai altro da fare oltre all'essere se stesso!

Non si lascia misurare dalla fretta, mai dalla  fretta, nemmeno dalla fretta di fare niente che altrove assilla così tante persone. Le scadenze ci sono, ci sono gli appuntamenti, ci sono gli orari di apertura e di chiusura, a renderlo diverso è l'attitudine con la quale lo si affronta. Anzi, non lo si afffronta, non gli si va incontro, non si cerca di addomesticarlo. Proprio no. Il tempo qui lo si aspetta e  poi ci si cammina accanto. 

É stata dura: abbiamo trascorso un'intera giornata a casa e senza chiavi aspettando di firmare il contratto d'affitto, ci siamo svegliate distrutte dal fuso orario alle otto del mattino per aspettare l'idraulico che ci aveva dato appuntamento alle nove  per poi presentarsi alle 15.30! Siamo state due ore appoggiate allo sportello di una compagnia di internet per avere un paio di informazioni, aspettiamo da qualche giorno che vengano ad installare la linea per il wifi e continuiamo a sentirci ripetere “ahorita, ahorita! Estamos llegando!” … ora dopo ora, giorno dopo giorno. 

Abbiamo sbuffato. Siamo uscite per non restare a casa ad aspettare invano, siamo tornate speranzose, siamo uscite di nuovo per ribellarci all'impotenza: passi lunghi e ben distesi a misurare le vie del nostro barrio. Abbiamo cucinato pentole di fagioli a fuoco basso, fatto il bucato a mano, ripulito quasi ogni anfratto della casa, dato un nome ad ogni geko... ci siamo destreggiate per impegnare il tempo dell'attesa, delle attese! Siamo uscite in esplorazione, in perlustrazione, in ricognizione! La panetteria di fiducia, il banco di frutta e verdura preferito, la pulperia (la drogheria!) più simpatica, la fermata dell'autobus all'ombra, la tienda che prepara i frescos naturales e non con acqua, zucchero e coloranti, il teatro nacional Ruben Dario, le esercitazioni di marcia dell'esercito, il capolinea sbagliato, l' artesania sgargiante, l'esoscheletro della vieja catedral  e anche la primera, la segunda, la tercera, la cuarta y la quinta etapa de Nueva Vida. 

Un po' scoraggiate e anche un pochino risentite: “Ma come? Siamo a Managua, una città nuova per entrambe, ci saranno milioni di cose da fare, da vedere,  da assaggiare... e a noi tocca stare qui ad aspettare! Ad aspettare Godot!!” 


Avete presente quando vi dicono che il tempo vola? Beh, ma certo che si! A me lo hanno detto molte volte e credo di averlo ripetuto anche io ogni tanto.  Bene, il tempo, si sa, vola.
Non ho più indossato un orologio da quando ho imparato a leggere l'ora, non so cosa succeda agli orologi quando si guastano, non so se perdano o se guadagnino tempo.  

Ma oggi, in piedi alla fermata della ruta 133, tra la polvere e l'umidità, mi sono arresa. 
Mi sono consegnata a questo tempo e a questo spazio nuovi, sono pronta a camminargli accanto, ad attraversarli e a lasciarmi attraversare. 

hasta prontito
Elsa

martedì 29 settembre 2015

ნახვამდის, a costruire nuovi ricordi

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Gennaio 2014

Sono in salotto, in piedi tra il divano e le finestre. Sto fissando i grigi grattaceli sovietici che circondano il mio, specchi del mio. Dal settimo piano ho una visuale perfetta di quei vecchi blocchi che, come solidi scogli, emergono da quel mare verde di alberi e viti, che sono le strade del mio quartiere.
E poi all'improvviso arriva il vento, forte, troppo forte. I grattaceli iniziano a sgretolarsi; pezzetto per pezzetto si disperdono nell'aria, crollano su se stessi. So che tra pochi secondi succederà lo stesso al mio palazzo, al mio appartamento con me dentro e incomincio ad avere paura. Paura, ma anche voglia di scoprire cosa accadrà, come tutto cambierà. Allora mi convinco che sopravviverò, so che saprò ricostruirmi e mi rilasso perché questo sogno l'ho già fatto, più di una volta, ieri o secoli fa.




Mi sveglio e capisco che è arrivato il momento di partire, ri-partire, di lasciare Tbilisi, la Georgia, il Caucaso, e che dovrò lasciare qui una parte di me e che farà male.

Mi sveglio e capisco che inizierò un nuovo viaggio, una nuova avventura e che ci saranno nuovi ricordi da costruire e posti nuovi da lasciare.