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sabato 14 settembre 2019

Moldova. Siete casa

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Multumesc, Grazie! È la prima parola moldava che abbiamo imparato, quella che più abbiamo ripetuto, una delle poche parole che riconoscevamo tra i tanti discorsi e chiacchierate con le persone del posto, quella parola che ci è entrata così in testa da sostituirla con il nostro “grazie” italiano nei momenti in cui c’era bisogno di dirla (e non solo!), quella parola che mi son portata a casa e nel cuore. Quella parola che mi ripeto ripensando ai tanti volti incontrati, agli sguardi incrociati, agli abbracci ricevuti e donati, alle trecce fatte sui capelli bellissimi e biondi delle bambine dagli occhi blu come il mare, alle facce buffe cercando di imitare e simulare ciò che in moldavo non sapevamo dire, alle sere sotto le stelle insieme ai compagni di viaggio in compagnia di una chitarra e alcuni pacchi di semi di girasole, ai sorrisi belli, sinceri e innocenti dei tanti, tantissimi bambini che abbiamo incontrato.


Andrea, Vica, Dorina, Ghiena, Sofia, Sasha, Gabriela, Darius, Rebeca… Quanti volti, quante storie! Loro e tantissimi altri, con dei nomi un po’ buffi, ma dei veri e grandi sognatori. Sofia, sempre con dei vestiti lunghi e fiorati, con il suo cappello di paglia rigorosamente abbinato alla borsetta, con due trecce e la riga dei capelli sempre perfettamente centrale. Una mattina mi avvicino a lei e cerco di farle capire, con le poche parole in moldavo che ero riuscita ad imparare, che mi piacevano davvero tanto i suoi vestiti dai mille fiori e colori. Lei mi guarda, accenna un sorriso e con naturalezza fa una giravolta, sta qualche secondo in punta di piedi, si toglie il cappello e si accarezza le sue lunghe trecce, poi mi prende le mani e insieme facciamo una giravolta, mi riguarda e cerca di dirmi qualcosa, cerca di scandire le parole per facilitarmi nella comprensione, non capisco tutto e non so bene per quale preciso motivo, ma è come se mi sentissi partecipe di un suo grande sogno: diventare una ballerina.


Tutti avevano occhi profondi desiderosi di immaginare. Come Dorina e Ghiena, fratello e sorella, non mancavano mai, spesso si avvicinavano silenziosamente e guardavano da lontano senza giocare, ma erano in prima linea nel giorno del laboratorio delle barchette di carta. Con occhi curiosi e manine rapide costruirono ben cinque, sei, sette barchette. Li guardavo, le tenevano strette controllando che nessuno potesse copiare la forma della loro bandierina. Forse abbiamo dato loro un’opportunità, un’occasione per immaginarsi il mare lì sotto i loro piedi, vicino a casa. Quel mare blu profondo che era racchiuso nei loro occhi.


Oppure le due piccole Andrea, stesso nome, stesso colore di capelli e occhi. Ci spiavano dalla porta aspettando che uscissimo con le loro amate perline colorate per fare collane e bracciali, così tanti che sembrava quasi dovessero fare la scorta per tutto l’anno. Le guardavo mentre infilavano una perlina alla volta, canticchiando le canzoncine ballate in cerchio tutti insieme.


Gabriela, che ti guardava storto se aggiungevi una elle in più al suo nome. Otto anni e tanta dolcezza. Sempre per mano al suo fratellino a cui dava sempre per primo il bicchiere d’acqua fresca e solo dopo beveva lei. 


Quanti gesti inaspettati, quante storie intrecciate, quanti incontri con il “diverso”, che poi forse così diverso non è. Diverso da chi? Mi son riscoperta diversa quanto così simile. Ed è strano sentirsi e scoprirsi così a chilometri di distanza da casa. Scoprirsi tutti dei grandi sognatori, bisognosi di sorridere e vivere, desiderosi di amare ed essere amati anche e nonostante in mezzo a tanta povertà, in un piccolo villaggio senz'acqua, con le strade polverose e i carretti trainati dai cavalli. Lì dove la povertà era fatta di gesti disarmanti come quello di Darius, che al secondo giorno di visita al centro per minori ci corre incontro con in mano una foglia strappata dall'albero dell’immenso giardino (credo sia stata la prima cosa che ha recuperato simile a un pezzo di carta), voleva farci vedere quanto avesse studiato la magia che la settimana prima gli avevamo mostrato. L’aveva imparata, se la ricordava alla perfezione, comprese le smorfie e la corda invisibile nella tasca dei pantaloni. Sembrava sereno anche se non era facile sopportare l’assenza dei suoi occhi che parlavano di abbandono e solitudine.

Floritoaia Veche, il piccolo villaggio moldavo a due ore dalla capitale, è stato tutto questo e molto, molto di più. È proprio vero che certe emozioni, sensazioni, odori e sapori non si possono spiegare, né dimenticare.


È un po’ come quando ti senti “ricco” e poco dopo ti accorgi di essere a “mani vuote”. Sì, perché quelle tre settimane sono state la prova e la conferma che ciò che ricevi è tanto più superiore a quello che dai. E così sei disarmato di fronte a ogni singolo gesto, ogni carezza, ogni smorfia, ogni sorriso, ogni palloncino usato come corona o spada imitando regine e cavalieri, di fronte a ogni bambino che si ricorda il tuo nome e lo sussurra nell'orecchio, ogni volta che la cancellata del centro per minori si riempie di tante piccole testoline e manine alzate per salutarci. Lì, proprio in quei momenti, ti senti così povero, così “piccolo” in confronto a tutta quella pienezza gratuita che ti è stata appena donata. Lì dove gli schemi vengono ribaltati, dove inaspettatamente sei senza difese, senza maschere, sei vera, perché quella povertà non può che metterti a nudo. Lì dove ogni volto ha un nome e una storia che custodirò. Lì dove il linguaggio dell’amore ha preso il sopravvento con abbracci, carezze, strette di mano e sguardi, senza la pretesa di dire niente. Lì dove il guardare l’altro si nutre della certezza che chi dona non si impoverisce mai. 
Tre settimane dove gli occhi, la mente e il cuore si sono riempiti di quel profumo di casa che ancora ora rivivo. Compagni di viaggio, mitici volontari locali, bambini bellissimi della tabara e dei centri, generosissime signore dalle cene con tavoli imbanditi in compagnia di musica e danze intorno a un falò… Voi per me siete stati una grande occasione, un’opportunità, un incontro vero. Siete casa. 

Anna



lunedì 2 settembre 2019

Moldova. Campo estivo a Ștefan Vodă

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(Versione tradotta in italiano)

Le impressioni di Victoria Preguza, volontaria di Young Diaconia Chisinau, dopo il Cantiere della solidarieta' a Stefan Voda.

2 settimane Molti sentimenti ed emozioni che non possono essere riprodotti con l'aiuto delle parole. Ho creato nuove amicizie che dureranno sicuramente. Ho incontrato persone straordinarie e, naturalmente, ho portato centinaia di sorrisi sui volti di dozzine di bambini. Ho imparato a lavorare in gruppo, a svegliarmi la mattina dopo solo 4-5 ore di sonno e a fare ogni sforzo in modo che la stanchezza non fosse visibile sul mio viso, in modo da non condividere quella spossatezza con i bambini, cercando di essere pieno di energia e con un sorriso sulle labbra. Ho anche imparato che le regole di un gioco non sono così importanti quando i bambini sono felici e godono appieno di quel gioco.

Abbiamo permesso ai bambini di sorridere e divertirsi con noi. Abbiamo lavorato ore di fila per preparare un programma che i bambini avrebber adorato il giorno successivo. Ho ridotto il sonno e le ore personali solo per far sorridere e apprezzare davvero il nostro lavoro. Durante le attività sociali ho visto comevivono alcune persone e ho capito quanti problemi esistono effettivamente. Ho aiutato le persone che ne avevano davvero bisogno e ho dato loro un sorriso dopo tanto tempo.

E poi l'esperienza nel retroscena della tabara per bambini e' stata vermante bella. Con i volontari italiani siamo diventati una vera famiglia, che si sostiene a vicenda e sempre pronta ad aiutarti, indipendentemente dalla situazione. Ho imparato che le condizioni non sono importanti finché hai intorno a te persone straordinarie con cui ti senti a casa. Abbiamo cucinato insieme, abbiamo riso insieme, pianto insieme, tutto ciò che abbiamo fatto lo abbiamo vissuto insieme. È stata un'esperienza unica e straordinaria che non può essere riprodotta con le parole, devi solo sentire e vivere questi momenti per capirle. Ringrazio tutti per questa opportunità e per le 2 settimane più belle di questa estate !!!


(Versione originale, in rumeno)

2 săptămâni. O sumedenie de trăiri și emoții ce nu pot fi redate cu ajutorul cuvintelor. Am creat noi prietenii ce cu siguranță vor dura. Am cunoscut persoane extraordinare și ,desigur, am adus sute de zâmbete pe chipul a zeci de copii. Am învățat cum e să lucrezi în echipă, cum e să te trezești de dimineață dupa doar 4-5 ore de somn și să faci tot posibilul ca oboseala să nu fie vizibilă pe chipul tău, pentru a nu împărtăși acea stare copiilor, încercând să fim plini de energie și cu zâmbetul pe buze. De asemenea, am învățat că regulile unui joc nu sunt atât de importante atâta timp cât copiii sunt fericiți și savurează din plin acel joc. 

Am făcut tot posibilul ca copiii să zâmbească și să se distreze alături de noi. Am muncit ore în șir pentru a pregăti un program pe care copiii să-l adore următoarea zi. Am redus orele de somn și cele pentru interesele personale doar pentru a face pe cineva cu adevarat să zâmbească și să aprecieze munca noastră. În timpul activităților sociale am vazut cât de greu trăiesc unii oameni și am realizat cât de multe avem de fapt. Am ajutat persoanele ce cu adevărat aveau nevoie și le-am oferit un zâmbet după foarte mult timp. Iar, povestea din spatele taberei a fost una cu adevărat frumoasă. 


Cu voluntarii italieni am devenit o adevărată familie, ce se susține reciproc și care este gata mereu să te ajute indiferent de situație. Am învățat că condițiile nu sunt importante atâta timp cât ai persoane extraordinare în jurul tău alături de care te simți ca acasă. Am gătit împreună, am râs împreună, am plâns împreună, totul am facut împreună. A fost o experiență unică și extraordinară ce nu poate fi redata cu ajutorul cuvintelor, trebuie doar să simți și să trăiești aceste momente pentru a le înțelege. Le mulțumesc tuturor pentru această oportunitate și pentru cele mai frumoase 2 săptămâni din această vară!!!

martedì 23 luglio 2019

Chi è un migrante?

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S. ha 4 anni, ha sempre voglia di giocare e abbraccia tutti dicendo "me want to play";
K. , quasi 14 anni , mi fa gli agguati con i gavettoni;
K. ,11 anni, partecipa a tutte le attività e aspetta con ansia i cantieri della solidarietà;
S. 8 anni ha paura di nuotare ma si fida di me e degli altri volontari e ci prova lo stesso;
S. 14 anni, ha la fidanzatina serba con cui esce a mangiare il gelato;
M. ha 40 anni, ma gioca come se ne avesse ancora 10.;
F. fino all'anno scorso viveva in un campo e adesso lavora per l'iom nello stesso campo come traduttore;
S. , 30 anni , mi ha convinta a fare il bagno in un fiume serbo gelato tenendomi per mano.


Che cosa hanno tutte queste persone in comune ? Sono tutti in Serbia. Sono tutti fuori dal loro paese. Sono migranti o richiedenti asilo. Alcuni di loro aspettano da anni in un centro in Serbia o solo il momento giusto per provare il "the game". Per cosa? Per entrare in Europa?Perché ?

Perché la ruota della fortuna non è girata dalla loro parte questa volta. Fossero nati in un paese dell'area shengen avrebbero, come un cittadino qualunque, potuto scegliere un altro paese dell'unione dove andare a vivere. Invece il destino , la vita , ha deciso che queste persone dovevano nascere in un paese che non rispetta i loro diritti umani, non gli permette di vivere una vita dignitosa, che magari ha la guerra o che più semplicemente è invivibile per colpa del cambiamento climatico.



Ma perché sono alle porte dell' Europa e vogliono entrare illegalmente con questo game ? Non si possono comprare un biglietto aereo? No. Magari hanno un passaporto inutile debole che non gli permette di viaggiare in nessun paese se non in Dominica e St.Vincent and the Grenadines (ndr: io non sapevo neanche dell'esistenza di questi paesi) .

Al campo di Principovac

Ebbene. Mentre io negli ultimi tre anni ho conseguito una laurea, fatto un Erasmus,sono partita per il servizio civile S. ha iniziato la sua adolescenza nel campo di Bogovadja. Ha visto molte persone trasferirsi a vivere nella stanza accanto alla sua nel centro, e ogni giorno con la sua famiglia attende che venga accettata la richiesta d'asilo. E non può fare un semplice sleepover con le sue amiche, perché non avrebbe dove ospitare le sue amiche. Q., invece, non può mangiare quando vuole il suo piatto preferito, perché nel campo non puoi cucinare quello che vuoi tu, è la mensa che da cibo a tutti. Ma sostiene di essere un gran cuoco.

Mentre tutte queste vite scorrono, ai confini dell' Europa ... Nell' Europa si discute su come gestirle, su chi fare entrare e chi no. C'è chi c'è l ha con loro solo per il fatto che esistono .

Ma poi chi sono quessti migranti? Migrante è semplicemente chi vuole vivere una vita dignitosa, che vuole avere e vedere un futuro per se e per i propri figli. Migrante sei anche tu, italiano , che leggi questo articolo da Londra mentre fai il pizzaiolo o che lavori in Svizzera per mantenere la famiglia. Migrante sono anche io, che da Reggio Calabria sono andata a studiare a Milano, e probabilmente a "casa " non ci tornerò mai.



In questi giorni in Serbia, tra un gavettone e un piede nel fango ho capito che il destino può farti nascere privilegiato. Ma tu con le tue azioni puoi fare girare la ruota, ripararla o addirittura sostituirla con quella di scorta aiutando qualcun'altro.

lunedì 22 luglio 2019

Looking for a future

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Have you ever been grateful for your present and what you have? If not, it's the rightful moment to do it. Our world is so diverse and at the same time controversial: on the one hand, we live great technological progress through which we can aspire for new peaks. On the other hand, we are so limited by the issues of our material world and constantly chasing money without having a look at the world we leave behind. Every single move we make, every action has an impact not only on our planet but on people as well.
Bans with children of Bogovadja 
You've probably noticed the wave of migrants that have taken up entire Europe and I reckon that you've complained a lot about them. However, they are not to blame for being born with another skin color, in a different religion and country. Serbia deals with a great number of migrants from all around the world. Imagine losing your home and your beloved. Wouldn't you look for the hope of a better life or would you be mentally and physically stuck in the past? Think about the background and the circumstances these people were exposed to before judging. The experience I shared in Serbia in its camps for refugees has given me a larger prospect of life and the obstacles one may encounter. It's a purpose or barely the strong will to live that encourages them to wake up every morning and find forces to go on and never back. They are also people with the same rights and responsibilities as me, like my neighbor, as you, dear reader.
'I want to live, I want to play' is the phrase of the child from the camp of Bogovadja that shook up my inner world. It made me understand the real purpose of me there: through little actions, I can bring big smiles. Actually, it is everybody's duty to have a contribution and take attitude. Step out of your comfort zone and realize that the world you live isn't smooth or pink. Be grateful for what you have today, but don't forget you have the privilege of a decent future just thanks to fate and the country you have been born in. Be the change and give others the choice have a home, a family and live the life they want without the fear that tomorrow may never come. Help them build the future everybody deserves.




This article was written by:

Gabriela Țurcanu, volunteer of "young Diaconia Chisnau", who took part in this experience in Serbia.

lunedì 17 giugno 2019

Preparando le "Tabbbare"

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Cari cantieristi,
pensavate che ci fossimo dimenticate di voi ? MAI !!

In questi giorni le vostre coordinatrici stanno lavorando come delle  albine (api operaie) solo per voi!
Oltre alle attività e incontri che stiamo mettendo a punto in capitale abbiamo visitato i villaggi dove
andremo a fare i Cantieri… non senza un minimo di imprevisti ! Grazie alla (secondo mestudiata)
disattenzione del nostro collega-navigatore abbiamo avuto l’opportunità di vedere il villaggio di
Calfa Noua.
 Abitanti:197
Strade: ...

Dopo questa esperienza un po' into the wild siamo giunte al villaggio desiderato.
Che dirvi ragazzi, l’accoglienza è stata veramente positiva e non possiamo lamentarci!

Classico esempio di accoglienza moldava:
grano saraceno, kompott, anguria sott'aceto, pesce con verdure, vino. 

Dopo una ardua contrattazione siamo riuscite a farvi avere addirittura un bagno vero!
E ho personalmente richiesto al prete locale di mettere da parte abbastanza anguria sott’olio
per saziare tutti quanti.
Mancano 42 giorni alla “Tabara” (Campo estivo, in romeno) e io non vedo l’ora di rivedervi
e iniziare questa avventura insieme. So che avete tutti voglia di partire, mi immedesimo come
ex-cantierista. Ricaricate le batterie al massimo prima di partire perchè ne avrete bisogno.
Ma soprattutto, quando arriverete, cercate di fare tesoro di tutto quello che vedrete e imparerete
di nuovo e ricordate “be quick to observe but slow to judge”, perchè anche se siamo a due passi
da casa, le differenze culturali ci sono.
Spero che questo cantiere vi possa emozionare e, almeno un po’, farvi innamorare della Moldova
come ha fatto con me !

A presto !

ps: vi allego un po' di dolcezza dei cantieri passati per farvi vedere cosa vi aspetta !


Cantiere Ratus 2017
Cantiere Hincesti 2017

venerdì 5 aprile 2019

Iaşi-Chişinău

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Un paio di settimane fa sono andata in Romania a visitare la citta di Iaşi.
Da Chișinău a Iaşi ci sono circa 160km, che sara mai, ho pensato io. Due orette in macchina, massimo tre all'andata e un altro paio al ritorno. Mi sembrava un viaggio da nulla.
Questo perché non avevo mai fatto i conti prima d'ora con la frontiera.
Non ci avevo mai pensato prima, però adesso mi sono resa conto di aver viaggiato solo in Europa, sono nell area schengen. Non ho mai visto o vissuto una frontiera, solo cartelli che dicono ''benvenuti'' in Francia, Germania, Italia... accanto a quelli, gabbiotti vuoti ormai in disuso.
Quindi ero ignara di quanto questo viaggio sarebbe durato. I primi dubbi sull'effettiva durata del viaggio mi sorgono al mattino, quando vedo i miei compagni di viaggio in macchina arrivare pieni di buste con frutta, biscotti, bottiglie di succhi e acqua per un esercito. Pero', ho pensato, hanno portato il pranzo al sacco!
e invece no!

4 ore alla frontiera. Questo è il tempo che abbiamo aspettato per un controllo dei passaporti per entrare in Europa per un totale di 6 ore e mezza di viaggio. Europa, che geograficamente è qua, vicina, non e in un altro continente o a miliardi di km di distanza, ma proprio a due passi.
Vedevo la fila delle macchine con i passaporti europei che scorreva velocemente in entrata e in uscita mentre la nostra restava ferma.
Chiedo informazioni ai miei compagni di viaggio, tutti moldavi. Alcuni di loro hanno il passaporto rumeno spiegano, ma altri no quindi dobbiamo per forza metterci in coda nella fila dei passaporti misti.
La cosa mi incuriosisce un po... come fa un moldavo ad avere la cittadinanza rumena? saranno mica nati là? invece scopro che molte persone in moldova fanno richiesta per un passaporto rumeno… basta avere avuto una nonna o un nonno o un lontano parente che è nato o ha vissuto in romania. Mi spiegano che è molto più conveniente per i viaggi, per trovare lavoro e per altre tante cose ...
La cosa mi ha fatto molto pensare. Mi ha fatto riflettere sull identita’ di questo paese e questo popolo. chi sono i moldavi ?  e chi sono i rumeni? sono due popoli distinti o sono vermamente fratelli come molte persone sostengono?
I moldavi e i rumeni condividono la stessa lingua, quasi praticamente la stessa bandiera e, addirittura , la regione più a est della Romania si chiama Moldova, proprio come lo stato con cui confina.
A me per il momento sembra che l’ unica cosa che li separa sia una frontiera, un muro. non so se gli intenti di riunificazione riusciranno mai, la questione e' molto piu complessa, ma nel frattempo la popolazione, la lingua e la tradizione rimangono le stesse, come anche i passaporti.
Dalla Moldova (per ora) è tutto ... la revedere !
Clara 💕


mercoledì 6 febbraio 2019

-5 e si parte

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30.01.2019
Ciao a tutti !
Mi chiamo Clara e da oggi inizia la mia avventura da blogger.  Vedo che ci sono tante aspettative per i miei futuri racconti ... spero di essere all'altezza (ma soprattutto costante...).

Ma veniamo al dunque ! Mancano solo 5 giorni alla partenza  per il mio SCE! Come ogni fase pre-viaggio, sono in fibrillazione e non la smetto di correre da una parte dall'altra della casa a prendere cose da mettere in valigia e a creare liste assurde di prodotti da comprare (ma ci sarà il mio shampo preferito al profumo di gelsi lì? ma devo prendere altre paia di calzini? magari mi porto dietro un po' di pasta, non si sa mai...).

Accanto a questa iperattività fisica stanno prendendo forma nella mia testa tanti pensieri e sentimenti contrastanti. Due settimane fa, all'inizio della formazione, ero spaurita e confusa. Vedevo gli altri sce pronti a partire per mete diverse, sotto alcuni punti di vista più "appetibili" per un anno di servizio civile (Kenya, Nicaragua e Libano), ma soprattutto li vedevo partire in coppia, trio o addirittura quartetto. Invece io quest'anno partirò da sola e all'inizio, vedendo soprattuto come gli altri iniziavano a  fare gruppetto mi sono sentita un po' indietro rispetto alle dinamiche relazionali, un po' menomata a partire senza compagno o compagna.
 Nel corso dei giorni ho poi scoperto delle cose che mi hanno fatta rallegrare ancora di più. Anzitutto, ho scoperto che in realtà una compagna di viaggio, almeno per un pezzo di strada la avrò e questo mi ha dato più sicurezza. Poi, entranto nel vivo della descrizione dei progetti e della formazione, scoprendo più cose la confusione ha lasciato posto alla curiosità e alla voglia di immergermi subito in questa nuova esperienza. 

In tutto questo scrivere scrivere mi sono dimenticata di presentare la mia meta!
(rullo di tamburi)

LA MOLDOVA


Magari i più assidui lettori del blog o gli amanti della geografia sapranno dov'è situata la Moldova, o almeno sapranno che esiste. Almeno, perchè fin'ora nel 90% delle conversazioni in cui  ho pronunciato le  parole "vado un anno in Moldova" ho ricevuto come risposte sguardi confusi e domande come "ma esiste veramente?". Quando parlo della Moldova a volte ho la sensazione di riferirmi al fittizio stato di Genovia del film Pretty Princess. Del resto sono entrambi stati piccolini in europa sconosciutì a molta gente.
In ogni caso,  sia per coloro che sono più o meno ferrati in materia, vi mostro dove andrò a passare un'anno della mia vita:


Mi sembra di aver detto abbastanza, anche troppo per un primo post. 
Per oggi è tutto, la revedere 😃

Clara

giovedì 13 settembre 2018

Moldova - Bosnia: racconto di un'esperienza

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Le emozioni e le impressioni di Dorina (volontaria sedicenne dell’associazione Misiunea Socială "Diaconia", Moldova) circa le due settimane di avventura e scoperta della Bosnia Erzegovina.

Otto volontari moldavi hanno avuto la possibilità di vivere due settimane di scambio in Bosnia ospiti delle associazioni locali Youth for Peace e Ivan Pavao II, due realtà impegnate nel dialogo interreligioso e nella ricostruzione post conflitto
Per questi otto volontari l`esperienza ha rappresentato diversi primi e nuovi incontri e scoperte: prima volta in un paese straniero, primo approccio con diversi credi religiosi... 
La complessità del paese con la sua storia, le testimonianze ascoltate, i luoghi visitati ed il volontariato svolto con i migranti e i ragazzi dell’orfanotrofio a Banja Luka hanno contribuito a rendere ”l’esperienza sconvolgente” come dice la stessa Dorina nell’articolo sotto riportato.


Un'esperienza sconvolgente, che in pratica ci ha cambiati tutti. La semplicità, la bellezza, le emozioni provate, le persone diverse incontrate, il divertimento, il dramma della guerra che abbiamo conosciuto, queste parole non riescono a descrivere quello che abbiamo vissuto nel corso della nostra esperienza in Bosnia e Herzegovina. 

Religione, una parola così semplice ma che allo stesso tempo racchiude così tanti significati, luoghi religiosi affascinanti e sorprendenti, diversi gli uni dagli altri, persone appartenenti a credi differenti ma alla fine, non conta, perchè accomunate tutte dalla fede in un solo Dio.

Uno stato non molto grande, ma con una storia ricca di avvenimenti, tra cui una tragica guerra  di cui le persone si ricordano ancora e capita che lo facciano attraverso l'ironia e l'umorismo nero.
Uomini con una storia bella e piena di eventi che riescono a guardare al futuro nonostante il passato doloroso. 

Oltre agli abitanti della Bosnia ho avuto l'opportunità di incontrare persone provenienti da altri paesi tra cui alcuni rifugiati a cui abbiamo distribuito un pranzo caldo e un bicchiere di thè svolgendo volontariato con una mensa moblie. In questa occasione  ho conosciuto per esempio un ragazzo cinese, Maks, che sta facendo il giro il mondo e che, giunto a Sarajevo, ha deciso di rendersi utile alla mensa mobile. Ciascun giorno, ciascun luogo visitato durante queste settimane ha arricchito le nostri menti e colmato le nostre lacune con molte nuove informazioni.
Durante il servizio alla mensa abbiamo chiaccherato con altri volontari meravigliosi che nonostante non  parlassero bene inglese cercavano di fare per il possibile per riuscire a comunicare con noi.
Abbiamo visitato città quali Mostar, Jaice, Banja Luka ed alcuni musei come, ad esempio, il War Childhood Museum. Mostar, famosa per il suo ponte incantevole ricostruito dopo la fine del conflitto, sotto al quale scorre un fiume che attraversa la citta’ e la città di Jaice con la sua cascata. 
Il Child War Museum ci ha emozionati con i ricordi dei bambini cresciuti durante il periodo della guerra che vengono presentati con una piccola descrizione dell'oggetto e del proprietario, descrizione che spesso non mi ha fatto trattenere le lacrime.

In queste due settimane abbiamo avuto l’opportunità di avvicinarci a molte persone, tra cui i bimbi e i ragazzi dell’orfanotrofio di Banja Luka, gli anziani del centro diurno Drevnii davvero difficili da battere a carte, vista la loro astuzia! 
Negozi, parchi, ristoranti, passeggiate, mercati… Abbiamo visitato così tanti luoghi...entusiasmo e curiosità ci hanno sempre accompagnati, Qualcuno è anche riuscito ad imparare un po’ di inglese e assieme siamo riusciti ad oltrepassare le paure che avevamo all’inizio e abbiamo scoperto cosa significhi essere una vera squadra, magari  piccola ma unita e forse siamo riusciti ad essere piu’ di una squadra… Siamo diventati una famiglia. 
Grazie di cuore a chi ci ha dato l’opportunità di vivere quest’esperienza perchè ci ha permesso di aprire il nostro sguardo e di cambiare prospettive rispetto a tanti aspetti e abbiamo imparato davvero tanto, diventando persone piu’ consapevoli e mature. Neanche il divertimento è mancato…  Dal primo all’ultimo giorno! Siamo stati accolti con amore, abbracci, parole e regali che ci siamo scambiati a vicenda
Ci mettiamo la firma che in futuro non ci faremo assolutamente scappare la possibilità di vivere un’esperienza di questo genere e siamo pronti per accoglierne una nuova in qualsiasi momento!
Nuove idee, progetti ed eventi… La voglia e il desiderio di impegnarci e di aiutare sono cresciute dentro di noi… dentro a quegli 8 piccoli esploratori circondati da persone meravigliose e piene di bellezza. 
Vogliamo ringraziare le persone che ci hanno accompagnato in quest’avventura: la nostra coordinatrice Nadia e le volontarie italiane Lisa Thibault, Faustina Yeboah, Diana Cossi!! 

Grazie Caritas!

Il bene, alla fine, torna sempre indietro e la fatica viene sempre ripagata!

giovedì 6 settembre 2018

Ricordi di Moldova

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Quando ho saputo che sarei partito per la Moldova ero molto scettico, vedevo i nomi delle altre destinazioni dei Cantieri di Caritas: Kenya, Bolivia, Haiti, nomi certamente esotici che generalmente si crede abbiano bisogno degli aiuti maggiori, e pensavo “Cos’è la Moldova? Cosa ci vado a fare lì?”. Nonostante le perplessità iniziali, il colloquio con Sergio, le giornate di formazione e i racconti delle nostre coordinatrici sul posto, Faustina e Lisa, hanno fatto crescere in me l’interesse verso questo campo e, con il senno di poi, a ragione.

La parola d’ordine di queste 2 settimane è stata ADATTAMENTO: con i miei compagni di viaggio ci siamo ritrovati in una realtà, quella dei villaggi, tanto interessante quanto complessa e contraddittoria. Se da un lato le strade sono per la quasi totalità sterrate e piene di buche, la gente si muove con cavalli e carretti, i bagni non hanno le fognature, l’acqua viene ancora presa dai pozzi e si fa fatica ad arrivare a “fine mese”; dall'altro, però, le scuole sono dotate di Wi-Fi e a volte di lavagne multimediali, e i bambini, seppur con vestiti e scarpe consumati, hanno gli ultimi modelli smartphone, che purtroppo sono necessari per mantenere i contatti con i genitori molto spesso lontani per lavoro in Italia o in Russia.

Ma andiamo ai fatti. 2 settimane passate nei villaggi di Voloviţa e Floriţoaia Veche, durante le quali la nostra attività principale prevedeva al mattino l’organizzazione di giochi, balli, scenette e lavoretti con i bambini, mentre nel pomeriggio, dei lavori socialmente utili alla comunità del villaggio come pulire la chiesa o andare ad assistere gli anziani con qualche lavoro in casa.
Il campo con i bambini è stato ricco di sorrisi, gioia e divertimento, ma anche di molta fatica, ripagata però dalla felicità che gli occhi dei bambini esprimevano nel momento in cui incrociavi il loro sguardo, mentre erano impegnati nelle varie attività. Intenso è stato l’incontro con Roman, un bambino che un giorno si è presentato in stampelle e, nonostante le sue difficoltà nei movimenti ha insistito per partecipare a tutti i giochi e le attività con grandissimo entusiasmo. Ma quello che mi ha colpito veramente è stata la fiducia che i bambini riponevano in noi: nonostante fosse la prima volta che ci vedevano, fin da subito si sono fidati ciecamente di quello che proponevamo, spingendoci a dare ancora di più per cercare di non lasciarli delusi.

Durante i lavori sociali, invece, abbiamo avuto degli incontri molto toccanti: a partire da quello con un uomo che aveva perso una gamba e cercava come meglio poteva di curare da solo la sua casa, dal momento che tutta la sua famiglia era all'estero, oppure quello con una signora che abbiamo aiutato a pulire le noci che voleva vendere, per cercare di integrare la pensione bassissima. Situazioni di grande povertà che mi hanno permesso di capire un po’ più dall'interno la comunità nella quale ero ospitato e sentirmi in qualche modo parte di quel mondo che mi ha permesso di fare un salto indietro nel tempo, a quella che, secondo i racconti dei nonni poteva essere l’Italia pre-guerre.

Mi sono trovato faccia a faccia con una povertà, una rassegnazione che mai mi sarei immaginato di trovare in un paese europeo a 2 ore d’aereo dall'Italia e spesso mi chiedevo come questo paese potesse rialzarsi, migliorare le condizioni di vita dei propri abitanti, quale futuro ci potesse essere per i giovani, ma non sono riuscito a trovare una risposta. L’incontro con Igor, presidente di Diaconia ha confermato la peggiore sensazione: non c’è futuro per Moldova se non quello di essere in futuro annessa alla Romania o alla Russia e ho pensato a come i volontari moldavi potessero sentirsi nell'ascoltare queste parole. Nonostante tutto, abbiamo comunque sperimentato una generosità, un’ospitalità e una voglia di festa incredibili e ti rendi conto che “Sono sempre i più poveri a donare di più” non è più solo una delle tante frasi fatte, ma qualcosa che si può toccare realmente con mano. Questo mi ha fatto ricordare quanto bello possa essere sentirsi veramente accolti, anche da qualcosa o qualcuno completamente diverso da te, ed è allora che riesci a entrare nella relazione con l’altro, perché non ci sono più barriere, sei solo tu e il bambino che sorride per il gioco appena concluso, tu e l’anziana che ti ringrazia perché le hai dato un piccolo aiuto in casa.


Emanuele Bosetti

giovedì 23 agosto 2018

Moldova: un tuffo nel Medioevo tra contraddizioni e bellezza

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30 Luglio 2018 – Volovița
Moldova. 
Quasi tutti noi conosciamo il nome di questo Stato o l’aggettivo ad esso collegato “moldavo/a”, magari utilizzato proprio in riferimento a qualche colf o alla badante di qualche nostro parente o conoscente. Ma cosa vi è dietro a questo vocabolo? 
L’esperienza dei Cantieri mi ha permesso di andare oltre la superficie e oltre gli stereotipi correnti, troppo semplicistici e semplificatori, per immergermi e penetrare in un contesto sociale ricco e complesso, ma anche contraddittorio. Ricco di culture, presenti e passate, di cui ancora si vedono le tracce: a Chișinău, la capitale moldava, block sovietici coesistono con le tradizionali casette basse ed edifici fatiscenti fanno da contraltare a ville e chiese maestose. Quest’ultime, anch’esse divise e facenti capo a due Credo differenti ed indici di un’influenza rumena ed una russa, presenti con tutte le loro problematiche. I cartelli pubblicitari e le insegne sono inoltre scritti in rumeno e a carattere cirillico. 
Ciò che apparentemente può sembrare un’accozzaglia di culture, istituzioni e lingue è in realtà uno zibaldone ricco di fascino, che mi ha conquistata sin dal primo giorno. Ricordo il momento esatto ho sentito di trovarmi all’ingresso di un una realtà nuova e avente molto da raccontarmi: mi trovavo sull’auto che dall’aeroporto mi stava conducendo nel cuore di Chișinău e al limitare della città ho scorto due edifici maestosi e simmetrici al lato della strada, le cosiddette “porte della città”. 
Mi sono parse pronte ad accogliermi, con il loro aspetto così simile alle “Vele” di Scampia, e cariche di promesse.

30 Luglio 2018 – Volovița
La mia esperienza in Moldova ha avuto luogo in particolare in due villaggi, Volovița e Florițoaia Veche. Entrambe realtà molto piccole, isolate e povere ma pronte e desiderose di accogliere me e il gruppo di cui ho fatto parte, e di raccontarsi. Villaggi isolati dunque, ma caratterizzati da tanto calore umano. Quel calore umano e quell’umanità che nella vita di tutti i giorni sento che vengono a mancare; giocoforza la frenesia, la cieca focalizzazione sui propri bisogni e obiettivi e un contesto globale, frammentato e competitivo come quello in cui viviamo.

Eppure Volovița e Florițoaia Veche, nella loro povertà e sottosviluppo più estremi, mi hanno ricordato il significato dell’essere accolti e quello della parola speranza. Speranza, che ho letto negli occhi dei bambini ma anche dei Părinți di riferimento delle comunità, impegnati a conoscere e riconoscere ogni persona nella propria singolarità e a conservare quel legame sociale tra persone e tra persone e territorio, credendo fermamente che questa sia la sola chiave per andare avanti. Sono partita con l’idea di accogliere i bambini e le persone che avrei incontrato; invece ho sperimentato l’essere io stessa accolta. Accolta dai miei compagni di avventura, i volontari italiani e quelli moldavi, accolta dalla comunità, con sorrisi e con l’immancabile vino fatto in casa, conservato in bottiglie di plastica. Accolta anche dai bambini, nella loro semplicità. Per loro tutto è un gioco. Non importa da dove tu venga o il tuo status socio economico; loro non si pongono domande di troppo ma accolgono con il loro desiderio di vita e la loro più pura loro vivacità. 
I bimbi, loro si che mi sono entrati nel cuore insieme all’insegnamento che mi hanno trasmesso: basta poco, basta ricordarsi della Meraviglia e di meravigliarsi, basta la bellezza per salvare questo mondo. La domanda che dunque mi è sorta spontanea è stata: “chi accoglie chi?”

3 Agosto 2018 – Volovița
Pochi giorni fa, ho assistito ad una scena che mi ha fatto riflettere. Mi trovavo in una macelleria con la mia famiglia per acquistare la carne in vista della tipica grigliata di Ferragosto. C’era in coda una mamma con un bambino che avrà avuto 4/5 anni che piangeva poiché il papà si era allontanato. In quel momento, ho realizzato che in due settimane in Moldova non ho mai sentito un bambino piangere, se non al momento dei saluti. Da un lato reputo ciò una cosa molto bella, ma dall’altro penso sia davvero strano che bimbi anche molto piccoli non abbiano mai pianto. Ritengo dunque che essi siano temprati dalla vita, che debbano imparare a cavarsela e ad essere autonomi.. così come Asia, bimba di 8 anni che doveva prendersi cura del fratellino più piccolo poiché i genitori sono in Italia e loro a Volovița con i nonni. Lei mi ha insegnato a lavare gli indumenti a mano, cosa fuori dal mio mondo, e nonostante la sua forza e schiettezza, mi ha trasmesso l’idea di una bimba senza il diritto di essere bimba. 
Tutto ciò è il villaggio, ma lo sono anche i pozzi, le tipiche casette azzurre, le galline che pascolano libere e le capre legate agli alberi sul ciglio della strada per le corna, i crocifissi in stile ortodosso presenti a quasi ogni incrocio e lo è anche il giro che ho fatto su un carretto cigolante trainato da un cavallo, insieme al Părinte di Florițoaia Veche e ai miei compagni di viaggio. Tutto questo è la vita di villaggio; è un ritorno indietro nel tempo, è riscoperta.

2 Agosto 2018 – Volovița
In conclusione, sono partita per la Moldova curiosa, desiderosa di incontrare, scoprire, turbarmi, meravigliarmi, riflettere e scoprirmi. Nel mio cuore non c’era spazio per la paura; lasciarmi andare alle emozioni non è stato dunque difficile. Piena, ricca di gioia, sorrisi, colori: ecco come sono tornata a casa. È con tanta voglia di raccontare, certo. Una cosa l’ho imparata: l’importanza e la bellezza del fidarsi. Ho imparato a fidarmi dei bambini, del carretto fatiscente con cui ho percorso strade accidentate in mezzo alla natura più incontaminata, dei miei compagni di viaggio e ho così riscoperto come solo riponendo fiducia nell’altro si può costruire qualcosa di davvero bello, qualcosa da cui partire, qualcosa con cui costruire la vita. 


15 Agosto 2018
Lidia Biondi



martedì 7 agosto 2018

Moldova. Vicini ma lontani: wi-fi gratuito ma acqua dai pozzi

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Prima settimana
Dopo una breve visita a Chisinau, ci siamo diretti al nostro primo villaggio, Volovița. Parola chiave: ADATTAMENTO! Doccia sotto le stelle e bagni da urlo... e che urlo! Però la tecnologia avanza... scuola con Wi-Fi ma acqua presa dai pozzi, lavagne multimediali ma strade sterrate, bambini con l'overboard ma bagni senza fognature.
Siamo stati catapultati in una realtà contraddittoria dove i bambini hanno gli ultimi modelli dei telefoni, ma vestiti e scarpe vecchi e rovinati.
Cellulari di ultima generazione, certo, ma necessari per mantenere i contatti con i genitori "ahi noi" troppo lontani, che spesso si trovano in Italia o in Russia per lavoro.
Ma sospendiamo il giudizio e dedichiamoci ai ragazzi!
La nostra tabăra con i bambini é stata ricca di sorrisi, gioia e divertimento... ma che fatica!
Abbiamo organizzato attività come "jocul mare, "atelier de creație" e soprattutto la mitica "scenetta" (da pronunciarsi: sssssciennèèètttta) insieme ai nostri compagni moldavi.


L'incontro con i nostri coetanei è stato molto intenso e ci ha fatto prendere coscienza su diverse tematiche. Ascoltiamo tutti la stessa musica (la Trap russa però no), abbiamo gli stessi idoli, e condividiamo gli stessi sogni: viaggiare, scoprire, realizzarsi...
Sono ragazzi che crescono con la consapevolezza che nel loro paese non ci sia futuro per loro e che quindi si sacrificano quotidianamente per crearsi, per vivere come vorrebbero, per sentirsi ed essere liberi.


To be continued alla prossima tabăra...

sabato 30 giugno 2018

Chisinau-Sarajevo

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L’inizio vero e proprio del viaggio è rappresentato dalla preparazione dello zaino, è il momento in cui ti trovi a decidere che cosa portare, cosa lasciare, cosa reputare indispensabile e cosa superfluo. E mentre si consuma il rituale del bagaglio si materializzano le aspettative, le paure e l’attesa per la partenza diventa quasi insopportabile. La meta è certa, è Sarajevo, il tragitto quindi Chisinau-Vienna-Sarajevo.

Non parto sola, i compagni di viaggio sono piuttosto insoliti, otto adolescenti moldavi provenienti da Chisinau (capitale della Repubblica Moldova) e dai villaggi limitrofi. Sono i volontari dell’associazione in cui lavoro, volontari che nel corso dei mesi si sono fatti il mazzo con dedizione e devozione, al punto che spesso con la collega di servizio civile ci siamo trovate a sollecitarli  ad andare a casa alla fine delle attività, accompagnandoli letteralmente alla porta. Il viaggio  per i volontari è il  riconoscimento per l’impegno dimostrato nel corso dei mesi, per alcuni nel corso degli anni, per l’associazione significa dare loro l’opportunità di uscire dal paese, prendere un aereo per la prima volta, fare una vacanza e vivere un’ esperienza di incontro. 
È capovolgere il paradigma per cui “l’estero”, “l’altrove” non sono solo mete di emigrazione ma anche di scambio e riscoperta.




La meta è certa, Sarajevo, non un luogo a caso, non un luogo di facile lettura, luogo di fratture  e suture. La partenza è già di per sé evento, il piccolo aeroporto di Chisinau con un sottofondo di lavori in corso ci congeda assieme al saluto dei genitori con il vestito buono ed il selfie di gruppo d’ordinanza.

Sarajevo ci accoglie con un freddo inaspettato e una pioggerellina sottile, sembra autunno. I ragazzi sono colti di sorpresa dal canto del Muezzin, per tutti è la prima volta e chiedono immediatamente spiegazioni, è un inizio in media res. L’intreccio di culture e di storia li investe e da subito iniziano a capire la complessità e la bellezza della terra che li ospita, le informazioni della formazione pre-partenza prendono forma, consistenza ed assumono colori, volti e storie. A traghettarci in questa scoperta sono i ragazzi dell’associazione bosniaca “Youth for peace”, ragazzi di confessioni religiose e gruppi etnici diversi che assieme svolgono attività di volontariato promuovendo il dialogo interreligioso in un’ottica di riconciliazione. Sono tante le emozioni che in questi primi giorni ci coinvolgono, il War Childhoodmuseum ci colpisce dritti allo stomaco, tocca le nostre corde più deboli ed ancora una volta ci mette di fronte alla storia di questa terra.
Il museo è una raccolta di giochi, portafortuna e ricordi dei bambini cresciuti durante la guerra in Bosnia, ci sono un peluche, un abbecedario,un portapenne, involucri di cioccolato, gli oggetti parlano attraverso una didascalia, sono le esperienze e le storie dei piccoli proprietari… Il primo oggetto in mostra è però il cappottino di una bimba siriana è di panno verde e la taglia è piccola, molto piccola.  Allargo lo sguardo ai miei otto compagni di viaggio e li vedo commuoversi,all’uscita del museo ci  scambiamo le impressioni e le sensazioni e mi sembrano diversi da quegli otto che al mattino chiedevano insistentemente di connettere Justin Bieber e Ed Sheeran al cavetto della “Volkswagen Combi”.



La fedele “Combi”ci accompagna tra le strade di Sarajevo, è un saliscendi non indifferente, saliamo fino al monte Trebevic (postazione di lancio dei colpi di mortaio durante l’assedio) per poi scendere verso la città. I cellulari dei ragazzi sembrano impazziti, c’è un’altra prima volta o quasi da immortalare, le montagne. Il numero di scatti è impressionante, le foto vengono inviate la sera alle famiglie che aspettano la cronaca della giornata. Il nostro viaggio assume una dimensione collettiva, la nostra esperienza raggiunge i villaggi della Moldova e i luoghi della diaspora moldava, ci sentiamo a metà tra Neil Armstrong e il carosello serale. I genitori e i nonni rimasti in Moldova sono parte del viaggio, è un racconto intergenerazionale.

I volontari di “Youth for Peace”, ci prendono e per mano e con loro visitiamo la Gazi- Husrev- beg Mosque, è un’altra prima volta emozionante, di quelle che ti spiazzano, le pareti dipinte, la quiete e il tono gioviale dell’imam, leggo negli occhi dei ragazzi una sensazione di spaesamento, non è quello che si aspettavano, l’incontro non corrisponde all’immaginario. A rendere il tutto più surreale è Emina, indossa un paio di Stan Smith bianche, dei jeans a sigaretta e una t-shirt  con la stampa “I’m a vegeterian”, ci spiega della sua religione, è una di turbomuslim (mussulmana praticante) femminista e vegetariana, è un ossimoro in carne ed ossa, parla a mitraglia e non riusciamo a staccarle gli occhi di dosso. Ci guarda dritta negli occhi consapevole di tutti i nostri pregiudizi, sorride e risponde a mitraglia a tutte le nostre domande, metà delle quali inopportune; siamo curiosi, ascoltiamo disorientati e ancora una volta ci ritroviamo un po’ cambiati.

Attraversiamo Sarajevo, dalla parte ottomana a quella Austro-ungarica, siamo lenti, molto lenti guardiamo le vetrine, ci sono le catene dei negozi di abbigliamento, oltrepassiamo Mango, più avanti c’è Zara, sorrido tra me e me..sembriamo dei campagnoli. 
È  tempo di un’altra prima volta la cattedrale cattolica e la sinagoga. 


Per tre pomeriggi di fila siamo impegnanti con la distribuzione dei pasti ai migranti accampati in Stazione centrale (da Gennaio infatti si è riaperta la rotta balcanica questa volta passa dalla Bosnia), ci sono anche dei bambini. I ragazzi si infilano i guanti ed assieme ad altri volontari si danno da fare, ascoltano le indicazioni dei volontari più esperti ed iniziano a consegnare i pasti. Alcuni di loro parlano inglese e comunicano con le persone in coda. Alla fine del servizio A.e J. mi raccontano che hanno fatto amicizia con alcuni ragazzi afgani, mi raccontano la storia di queste persone e sono molto provati,  né A e J né i ragazzi afgani parlano inglese e non riesco a capire in quale lingua possano essersi parlati «Abbiamo parlato in russo! »mi dicono candidamente. 


Li guardo e sono due diciassettenni provenienti dalla Moldova  e due ragazzi afgani che si raccontano e scambiano informazioni in russo di fronte alla stazione dei treni di Sarajevo.
Saliamo nella nostra Combi, piove e concedo senza fiatare il cavetto per la musica, posso senza dubbio sopportare un’altra compilation di Ed Sheeran.