sabato 14 settembre 2019

Moldova. Siete casa

Multumesc, Grazie! È la prima parola moldava che abbiamo imparato, quella che più abbiamo ripetuto, una delle poche parole che riconoscevamo tra i tanti discorsi e chiacchierate con le persone del posto, quella parola che ci è entrata così in testa da sostituirla con il nostro “grazie” italiano nei momenti in cui c’era bisogno di dirla (e non solo!), quella parola che mi son portata a casa e nel cuore. Quella parola che mi ripeto ripensando ai tanti volti incontrati, agli sguardi incrociati, agli abbracci ricevuti e donati, alle trecce fatte sui capelli bellissimi e biondi delle bambine dagli occhi blu come il mare, alle facce buffe cercando di imitare e simulare ciò che in moldavo non sapevamo dire, alle sere sotto le stelle insieme ai compagni di viaggio in compagnia di una chitarra e alcuni pacchi di semi di girasole, ai sorrisi belli, sinceri e innocenti dei tanti, tantissimi bambini che abbiamo incontrato.


Andrea, Vica, Dorina, Ghiena, Sofia, Sasha, Gabriela, Darius, Rebeca… Quanti volti, quante storie! Loro e tantissimi altri, con dei nomi un po’ buffi, ma dei veri e grandi sognatori. Sofia, sempre con dei vestiti lunghi e fiorati, con il suo cappello di paglia rigorosamente abbinato alla borsetta, con due trecce e la riga dei capelli sempre perfettamente centrale. Una mattina mi avvicino a lei e cerco di farle capire, con le poche parole in moldavo che ero riuscita ad imparare, che mi piacevano davvero tanto i suoi vestiti dai mille fiori e colori. Lei mi guarda, accenna un sorriso e con naturalezza fa una giravolta, sta qualche secondo in punta di piedi, si toglie il cappello e si accarezza le sue lunghe trecce, poi mi prende le mani e insieme facciamo una giravolta, mi riguarda e cerca di dirmi qualcosa, cerca di scandire le parole per facilitarmi nella comprensione, non capisco tutto e non so bene per quale preciso motivo, ma è come se mi sentissi partecipe di un suo grande sogno: diventare una ballerina.


Tutti avevano occhi profondi desiderosi di immaginare. Come Dorina e Ghiena, fratello e sorella, non mancavano mai, spesso si avvicinavano silenziosamente e guardavano da lontano senza giocare, ma erano in prima linea nel giorno del laboratorio delle barchette di carta. Con occhi curiosi e manine rapide costruirono ben cinque, sei, sette barchette. Li guardavo, le tenevano strette controllando che nessuno potesse copiare la forma della loro bandierina. Forse abbiamo dato loro un’opportunità, un’occasione per immaginarsi il mare lì sotto i loro piedi, vicino a casa. Quel mare blu profondo che era racchiuso nei loro occhi.


Oppure le due piccole Andrea, stesso nome, stesso colore di capelli e occhi. Ci spiavano dalla porta aspettando che uscissimo con le loro amate perline colorate per fare collane e bracciali, così tanti che sembrava quasi dovessero fare la scorta per tutto l’anno. Le guardavo mentre infilavano una perlina alla volta, canticchiando le canzoncine ballate in cerchio tutti insieme.


Gabriela, che ti guardava storto se aggiungevi una elle in più al suo nome. Otto anni e tanta dolcezza. Sempre per mano al suo fratellino a cui dava sempre per primo il bicchiere d’acqua fresca e solo dopo beveva lei. 


Quanti gesti inaspettati, quante storie intrecciate, quanti incontri con il “diverso”, che poi forse così diverso non è. Diverso da chi? Mi son riscoperta diversa quanto così simile. Ed è strano sentirsi e scoprirsi così a chilometri di distanza da casa. Scoprirsi tutti dei grandi sognatori, bisognosi di sorridere e vivere, desiderosi di amare ed essere amati anche e nonostante in mezzo a tanta povertà, in un piccolo villaggio senz'acqua, con le strade polverose e i carretti trainati dai cavalli. Lì dove la povertà era fatta di gesti disarmanti come quello di Darius, che al secondo giorno di visita al centro per minori ci corre incontro con in mano una foglia strappata dall'albero dell’immenso giardino (credo sia stata la prima cosa che ha recuperato simile a un pezzo di carta), voleva farci vedere quanto avesse studiato la magia che la settimana prima gli avevamo mostrato. L’aveva imparata, se la ricordava alla perfezione, comprese le smorfie e la corda invisibile nella tasca dei pantaloni. Sembrava sereno anche se non era facile sopportare l’assenza dei suoi occhi che parlavano di abbandono e solitudine.

Floritoaia Veche, il piccolo villaggio moldavo a due ore dalla capitale, è stato tutto questo e molto, molto di più. È proprio vero che certe emozioni, sensazioni, odori e sapori non si possono spiegare, né dimenticare.


È un po’ come quando ti senti “ricco” e poco dopo ti accorgi di essere a “mani vuote”. Sì, perché quelle tre settimane sono state la prova e la conferma che ciò che ricevi è tanto più superiore a quello che dai. E così sei disarmato di fronte a ogni singolo gesto, ogni carezza, ogni smorfia, ogni sorriso, ogni palloncino usato come corona o spada imitando regine e cavalieri, di fronte a ogni bambino che si ricorda il tuo nome e lo sussurra nell'orecchio, ogni volta che la cancellata del centro per minori si riempie di tante piccole testoline e manine alzate per salutarci. Lì, proprio in quei momenti, ti senti così povero, così “piccolo” in confronto a tutta quella pienezza gratuita che ti è stata appena donata. Lì dove gli schemi vengono ribaltati, dove inaspettatamente sei senza difese, senza maschere, sei vera, perché quella povertà non può che metterti a nudo. Lì dove ogni volto ha un nome e una storia che custodirò. Lì dove il linguaggio dell’amore ha preso il sopravvento con abbracci, carezze, strette di mano e sguardi, senza la pretesa di dire niente. Lì dove il guardare l’altro si nutre della certezza che chi dona non si impoverisce mai. 
Tre settimane dove gli occhi, la mente e il cuore si sono riempiti di quel profumo di casa che ancora ora rivivo. Compagni di viaggio, mitici volontari locali, bambini bellissimi della tabara e dei centri, generosissime signore dalle cene con tavoli imbanditi in compagnia di musica e danze intorno a un falò… Voi per me siete stati una grande occasione, un’opportunità, un incontro vero. Siete casa. 

Anna



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