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lunedì 4 dicembre 2017

A Madina. Che quasi sempre i dolori arrivano così, all'improvviso.

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Quando si va in bici, da soli o in gruppo, c'è un momento in cui devi stare al vento.
In gruppo, si fanno i turni. Darsi il cambio, si dice in gergo. Sei il primo e copri con il tuo corpo tutti gli altri dietro di te. Tu fatichi un po' di più, e permetti a chi sta dietro di faticare po' di meno.
Dai quello che riesci, poi tocca ad un altro, a sua volta secondo le sue possibilità.
Marxismo a due ruote.
Ma in realtà se ci penso è la naturale azione che si applica a tutti i contesti e in tutti i luoghi, almeno in quelli sani. Ci si aiuta, o comunque ci si prova.
È relazione, è solidarietà, è chourmo, immischiarsi.
E' talmente azione normale che si dà per scontata. Così come si danno per scontate le possibilità.
Avere la seconda occasione è ciò che muove il mondo, almeno questo pezzo di mondo. E poi aver la terza, la quarta, infinite occasioni. Chiamala speranza, chiamalo desiderio, chiamalo sogno, c'è chi la chiama provvidenza. C'è pure chi, nella fatica quotidiana, lo chiama “andare avanti”.
Andiamo avanti. Sempre avanti, cazzo.
Io, nel mio percorso, l'ho chiamata utopia. La carota da inseguire, da raggiungere sapendo che non è lì per essere raggiunta, ma per stimolo, per alzare il culo, per muoversi, per cercarsi le occasioni e agguantarle e per rimuoversi e così via, con la libertà deliberata pure di non coglierle, certe possibilità.
Domani andrà meglio. Domani ci saranno altre chance, altre avventure, altri pezzi da mettere insieme.
- E pensare che domani sarà sempre meglio – Lo canta pure Vasco, cazzo, più vero di così.
E poi l'assolo di chitarra. Sublime.
A Madina sono mancate occasioni e mischia.
Madina non ha sperimentato la seconda occasione, perchè non ha raggiunto la prima.
Nessuno è stata al vento per lei. Sì, la sua famiglia, pochi altri.
Madina era una sveglia e furba bambina afghana. L'ho incrociata in agosto, in Serbia, in un centro di transito per richiedenti asilo, nel mio rozzo (e saltuario) tentativo di star al vento per qualcun'altro. La superavo di qualche centimetro e di trent'anni. Mi superava in inglese, in serbo, e probabilmente pure nelle esperienze vissute.
Io, l'ho superata in occasioni.
Con la sua famiglia cercava di entrare in Croazia, qualche giorno fa. Croazia vuole dire Europa, vuole dire asilo politico, per una bimba afghana.
E' il tentativo dei molti rimasti imbrigliati tra le frontiere chiuse. E' il carpe diem, l'attimo da cogliere. E' il game, la scommessa da fare. Superare il limite, il border, il cazzo di border.
We go game.
Chiamala speranza, chiamalo desiderio, chiamalo sogno, è il faro nella notte, è l'idea che domani sarà sempre meglio, saremo al di là di questo filo spinato che ora ci sbarra il passo, faremo ciao con la mano ai poliziotti di confine, faremo ciao dando loro le spalle.
A volte capita però che son loro a far ciao a noi. E che sì, le spalle gliele diamo, ma per tornare indietro. Il più delle volte, a dir la verità. Game over, scommessa persa. Niente di nuovo, ci saranno altre occasioni.
E anche oggi Welcome Europe domani.
Madina tornava indietro assieme a mamma e fratelli, di notte, rimbalzata da polizia e filo spinato. Erano lungo la ferrovia, - Tornate indietro da lì – gli han detto. Solo che ferrovia non è solo binari, a volte è anche locomotiva e vagoni. E' Treno. Treno? Cazzo, un treno!! Nel buio, tutti si sono scansati per evitare l'espresso in arrivo. Tutti? Tutti. Tutti tutti? Ma sì certo, ti ho detto tutti!
Ed invece non andò proprio così. Non tutti. Madina, sveglia e furba, a questo giro non è stata abbastanza rapida.

Che la vita distribuisce dolore all'improvviso ma non esiste il marxismo del dolore. C'è chi lo riceve a volte, chi mai, chi sempre, chi ben distribuito, chi tutto assieme.
- Ciascuno secondo le proprie possibilità – è falso per chi nel dolore ci sguazza.
È falso per Madina, che si è spenta lungo una cazzo di ferrovia a ridosso di un confine.
E' falso per tanti altri come lei, bambini e non, costretti a scappare, ad aspettare il cibo, ad elemosinare un cazzo di visto, o un timbro.

Ed io? Io proprio non so altro fare se non maledire le mie scontate occasioni ed imparare a stare al vento. Ed a pensare che il mondo, senza Madina, sia sempre più guasto.
Che la terra ti sia lieve bimba, amica mia.

Hai visto Madina, volevi un cane, eccolo! Bello vero?
Ora però non scassare ancora, non ci sei solo tu.
No un altro palloncino no Madina. 
Please, Daniel!
No, te l'ho detto, non ci sei solo tu.
Domani, magari.

Daniele

giovedì 8 settembre 2016

Italia: Milano, mosaico del mondo

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“Ciao, tu da dove vieni?”
“Io vengo dal mondo”
Scambio di battute al centro diurno La Piazzetta, domanda prevedibile con una risposta assolutamente inaspettata… questa risposta al momento mi ha fatto sorridere, poi la provocazione è rimasta della mente.


Durante il Cantiere della Solidarietà, forse, sono riuscito a comprendere davvero cosa significa difendere “la Patria”, obiettivo del Servizio Civile, un anno che ormai si sta concludendo.
Qual è la mia patria?
Milano, dove presto il mio servizio?
L’Italia, con tutte le sue bellezze?
L’Europa, verso una comunità (si spera) non solo di facciata?
Nessuna di queste, la mia Patria è l’Umanità, ogni uomo e ogni donna costituiscono la mia Patria… “Io vengo dal mondo”!

Milano, è la mia città, ma è anche la nostra città, è di tutte le persone che per i motivi più disparati hanno messo qui la loro impronta, non solo oggi, ma da sempre… è una città cresciuta come un mosaico, ogni persona è come un tassello, che magari non sa cosa ci faccia qui e si sente fuori posto: perché non accettato, non compreso, sfruttato, non visto… come un tassello nero in mezzo ad una moltitudine di tasselli bianchi!
Questo tassello nero che può essere un povero, uno straniero, un emarginato, un “diverso”, uno che non ha più nulla se non se stesso.

È qui che diventa importante l’ Accoglienza da parte di tutti gli altri tasselli diversi da lui, è NECESSARIA perché questo tassello nero possa essere parte di un progetto che va oltre…che sconfina!
Attenzione a non sfociare nel buonismo del dire “poverino, mi dispiace”, è il modo migliore per creare ancora più distanza.
È necessario prendersene cura (I care), solo così gli altri tasselli possono restituire la dignità al tassello nero, a restituire ad esso il ruolo che davvero è suo in questo mondo, per potersi riscoprire come parte FONDAMENTALE del mosaico...

...la pupilla nera dell’occhio dell’umanità, perché l’umanità (la mia Patria) possa vedere e guardare avanti, migliorandosi ogni giorno!

La diversità è ricchezza!

Daniele



lunedì 20 ottobre 2014

SCATTA IL CANTIERE: PRIMI PIANI

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1° classificato
I colori fanno la forza, Valentina Carozzi (Libano)


2° classificato

In fondo in fondo, saltar la mosca al naso,
Daniele Maldera (Gibuti)

3° classificato ex aequo
Occhi da leone, Matteo Passafaro (Moldova)

3° classificato ex aequo

Piti, Francesco Canella (Haiti)

venerdì 17 ottobre 2014

SCATTA IL CANTIERE: #UNASOLAFAMIGLIAUMANA

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Una sola famiglia umana, cibo per tutti: è compito nostro!

1° classificata
Confidenze ad Ali Sabieh, Silvia Castelli (Gibuti)

2° classificata
Tienimi la mano, Martina Pennetta (Libano)

3° classificata
Questione di mani, Daniele Maldera (Gibuti)

giovedì 16 ottobre 2014

SCATTA IL CANTIERE 2014: #FOOD4ALL

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Come tradizione vuole, pubblichiamo le foto vincitrici del Concorso "Scatta il Cantiere" giunto alla edizione numero 8.

Oggi, 16 ottobre 2014, è la Giornata mondiale dell'alimentazione e così, nel bel mezzo della week of action, partiamo dalla categoria #food4all.


1° classificata
senza titolo, Federico Migliavacca (Etiopia)


 2° classificata

"Pozzo colorato", Daniele Maldera (Gibuti)

 3° classificata


"Batti un cinqu-olato!!!", Federico Sartori (Libano)



domenica 7 settembre 2014

Djibouti, dalla fine. Impressioni, squarci e spiragli.

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Djibouti non è un discorso semplice. Non fila liscio. Non è l'arringa di un avvocato, logica, chiara e concisa. Non è il testo di un politico famoso, pieno di promesse e pathos. Non è una poesia né una bella canzone. Non è un saggio sui massimi sistemi e non è la barzelletta del comico del momento. Non è un discorso semplice perchè, semplicemente, forse discorso non è.

Djibouti è balbuzia.
Un paese che rimbalza la vita con siccità, polvere, deserto e calore, è balbuzia.

Terzo anno per me a Djibouti. Tre anni di parole sconnesse, faticose, dure come le sue pietre e difficili da digerire. Tre anni di sillabe soffocate, amate ripetute pensate maledette bestemmiate. Tre anni in cui sillaba pù sillaba non crea parola e parola più parola non produce frase. Il filo che cuce i legami di questa grammatica non è presente, oppure è rimasto nella tasca del mio sarto immaginario.

Tre anni di balbuzia. E di paradossi.

A volte penso di essermi stancato. Stancato delle immagini che ho in testa in questo momento e delle parole che escono e che compaiono sullo schermo. Mi dà fastidio ricordare e pensare a quel ragazzino, soprannominato Pritt, perchè sento nel naso il suo alito al solvente e i suoi occhi lucidi e fatti. Detesto lo sguardo di quella donna con il bimbo in grembo che mi fissa. Detesto i suoi occhi, perchè conosco perfettamente la loro forma e la loro pena. Odio il poliziotto con il bastone, alzato a minacciare la mazzata al bimbo che lo sfida. Odio il bimbo che lo sfida, perchè domani il suo bastone sarà un sasso, da scagliare ad un altro bimbo. Provo rabbia nell'immaginare Asma in marcia per chilometri e chilometri dopo l'arresto e la deportazione al confine. Mi fa pena il soldato francese/americano/tedesco/italiano/spagnolo/giapu in libera uscita e in libero ormone, ma in libertà mia di chiamarlo puttaniere. Sono nitidi nella memoria i miei occhi lucidi nel vedere il bimbo accucciato dietro il locale da serata, o nel vedere la donna immobile e senza un gemito stesa a pancia in sù dopo la caduta. Mi viene il vomito a ricordo del mio primo pensiero mentre corro in suo aiuto.

Meglio mettersi un paio di guanti.

'Meglio mettersi un paio di guanti' non è una frase. È una sillaba ripetuta, sempre la stessa. È balbuzia.

Ho vissuto Djibouti cercando di comporre frasi e discorsi ma mi rendo conto di aver balbettato parole, senza logica e nesso.

Ho vissuto la balbuzia come un balbuziente.

Eppure, eppure.

Eppure Djibouti ha l'arte di sgamarti lo stesso. Ogni anno un po' di più. Ti spoglia e ti lascia nudo. Apre il vasetto in cui è soffiata l'anima e ne rovescia il contenuto. E lo fa con gesti semplici. Una lacrima, un sorriso, una ferita, una ciabatta, un flauto, una scodella, una pacca sulla spalla, un pallone e una spiaggia, una musica e una danza, una macchina fotografica, un palloncino, un cammello, un gioco di carte, uno squalo alle cinque, uno yogurt a pranzo, del pane appena sfornato, del pane buonissimo. Lo fa con bimbi che ti vengono all'assalto e con le magliette fradicie di sudore, con i chili persi e i piedi devastati. Lo fa con gli autoscatti impossibili e i suoi personaggi improbabili.

E poi quel contenuto rovesciato rientra nel vasetto leggero e veloce. E mi piace pensare che rientri anche un pochino più felice.

Eppure, eppure.

Eppure ti salvo Djibouti. Ogni volta stravolgi la mia vita e ti prendi pezzi di carne e litri di sudore, ma ti salvo.
Ti salvo perchè ti lasci portare a casa, anche con i tuoi ricordi che mi stancano. Ti salvo perchè sei un paradosso, e credo che il paradosso sia un filo conduttore della natura umana, più dell'intrapendenza, più della curiosità.

Ti salvo perchè sempre parto con l'io, e sempre torno col noi.

Ti salvo e chissà se ti rincontrerò Djibouti, perchè le emozioni, anche quelle contrastanti, sì. L'abitudine mai.

Ti salvo e ti abbraccio Djibouti, stringo forte ciò che contieni, soprattutto i figli che hai lasciato per strada.

Ti salvo e ti ringrazio Djibouti, perchè balbetti, e lo fai esattamente come me.


Daniele


venerdì 11 ottobre 2013

Scatta il Cantiere 2013: "Tagga l'armadillo"

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Lo sport ufficiale dell'anno.
L'hanno messo in frigorifero, a pascolare insieme alle mucche, a lottare con uno scorpione.
Ha giocato, condiviso, ha ascoltato storie, si è commosso e ha saputo sorridere davanti alle difficoltà.
E' l'amico che tutti vorremmo: ascolta silente le difficoltà e sa stare in disparte quando serve...

Per i risultati del concorso quantitativo rimandiamo alla visione delle foto che si trovano nel profilo FB  di Scheletri www.facebook.com/scheletri.nellarmadillo

La commissione, commossa per la partecipazione di critica e pubblico, ha deciso di premiare la foto più simpatica. Ecco la classifica:

1° classificata
Marco Povero (Moldova) - ritira il premio...il cupido ritratto
(alias Mariarosa Bettiga)

2° classificata
Marco Povero (Moldova)

3° classificata
Daniele Maldera (Gibuti)

giovedì 10 ottobre 2013

Scatta il Cantiere: Primi piani

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1° classificata
La palla è mia e decido io..., Daniele Maldera (Gibuti)


2° classificata
Sorrisi contagiosi, Anna Pulici (Libano)


3° classificata  - ex aequo
Chiedimi se sono felice, Andrea Bianchessi (Etiopia)


3° classificata  - ex aequo
Lezioni di vita, Desiree Luini (Gibuti)


3° classificata  - ex aequo
Battaglia di tempera, Marco Povero (Moldova)

lunedì 26 agosto 2013

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A sto giro ciabbiamo pure la foto!!!

- RICETTA DJIBOUTINA -

Ingredienti:
  • 130 bambini di strada, in strada, in attesa
  • 7 cantieristi accaldati, già sudati, anche se appena lavati
  • 4 educatori pazzi e pazienti
  • 1 infermierina francese comica e determinata
  • 1 direttore pacifico e tutto sorriso
  • un campo di terra e pietre bruciato dal sole opprimente
  • musica da tutto il mondo
  • materiale vario (copertoni di macchina, macchina fotografica, corde per saltare, palline palloni palloncini, colori a dita, a piede e a tutte le parti del corpo più una, calcetto balilla dalle stecche imbalsamate da sole sale e tempo ecc ecc)
  • tanta tanta voglia di mettersi in gioco

Procedimento:
Prendi i 7 cantieristi, svegliali a gavettoni di acqua calda e salata, controlla che abbiano delle belle occhiaie, guidali dietro l'angolo di casa, fai attenzione che la videocamera sia accesa e aspetta che 130 sorrisi in corsa si mescolino con i loro abbracci.
All'apertura del grande cancello blu aggiungi un po' d'acqua e sapone quanto basta per la pulizia del dì, accendi la musica a tutto volume, sbatti le ali, muovi le antenne e lasciati prendere dalle loro zampine.


Separa i piccoli o grandi litigi di bastoni e pietre con un sonoro “kalas” e tenta l'impresa di animare un gioco di squadra, non più complicato di un intuitivo “spaarvierooo!”.
Con l'aiuto degli educatori, fai rispettare una linka (=fila) per la dstribuzione sgomitata di palloncini e trucchi creativi.
Scuoti chi ancora riposa in equilibrio precario su alberi, tavoli e vecchi televisori.
Impasta con le mani e gocce di sudore l'unico pasto della giornata, distribuiscilo a bocche affamate e mettilo al sicuro prima che il più forte lo rubi.
Cuoci tutto a temperatura ambiente (basta quella) al dondolio di un'altalena fatta da corde, cartoni e copertoni.
Vola di qua, vola di là....questo è il cantiere della vita.....QUESTA É FELICITÁ!!!

p.s. Occhio a non cuocere troppo i cantieristi, sono già cotti in partenza!!! :))

martedì 20 agosto 2013

Gibuti:girogirotondocascailmondo

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Hai presente quell'albero secolare, il più veccho di Gibuti, quello che ha 400 anni? Ma sì quello dove i dromedari fanno la siesta e i babbuini dal culetto rosso si cotonano i capelli, capito?

Ecco, bravo. Lì al bivio tieniti a sinistra e inventati una strada tra rocce sassi e faglie continentali. Se continui così alla terza mucca a destra (mi raccomando conta solo quelle con le costole bene in vista, gozzo sul groppone e corna paraboliche) ti aspetta una gazzella per indicarti la via. Capra dopo capra, come d'incanto...bienvenue à Ripta!

Capanne di pietra, cimitero di sassi, cisterna a forma di mastio non utilizzata da 10 anni, pozzo seccato dal vento tempestoso del deserto, scuola vuota e impolverata ferma al suono dell'ultima campanella di giugno. Insomma, solo noi, Clint Eastwood ed Ennio Morricone nelle orecchie.

All'improvviso, la sensazione di essere osservati, cresce piano piano. Tanti piccoli occhi curiosi sbucano da ogni direzione e fanno capolino. Stoppa Ennio, saluta Clint ed eccoti arrivato: un villaggio gibutino sperduto nel deserto e nel tempo. Dall'orizzonte una camicia bianca si avvicina. Passo africano, portamento elegante, come i pantaloni neri che la accompagnano. 

È il mayor, che ti apre le porte di questo piccolo mondo. 

Dispensario, mensa, dormitorio tutto all inclusive, tranne tetti e porte, ancora working in progress. Poi la visita finisce, ed inizia il gioco. Una palla azzurra tra le tue mani è la novità per il primo gruppo di bimbi intmorito ma in avvicinamento. 

Piano piano prende forma il cerchio della vita, e basta girogirotondocascailmondo a mettere in moto la giostra. Tra versi di animali locali e bans improvvisati i sorrisi che accendono il viso svelano la semplice ingenuità di una vita tra pietre e capre.

Ora devi andare. L'ultima gazzella è in partenza. Saluta e fotografa gli ultimi istanti, prendi le tue cose ma non tutto. Alla prima pausa gazzella, voltati. Guarda quella piccola parte azzurra di te, rimbalzare di mano in mano. Saprai che anche domani accenderai i loro sorrisi. 

mercoledì 14 agosto 2013

Gibuti: dove rompere il ghiaccio è un gioco da ragazzi

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Ciao. Stiamo bene.Causa difficoltà nel reperire internet e internet che funge male non riesco a postare sul blog.Ti allego file e una foto da postare al nostro posto, ma se avete altri posti dove postarla, noi siamo a posto.

post scriptum:mi sa che posticiperemo il ritorno :)".

Detto fatto, ma la foto si è persa nel cyberspazio gibutiano.


La porta si apre e subito ci investono un'aria fredda e odore di marmocchietto equatoriale. Occhi sgranati, facce da ebeti, bavetta dalla bocca aperta in espressione attonita, sudore che si asciuga sulla pelle morbida, voglia di nascondersi sotto la gonna della mamma o sotto qualsiasi altro nascondiglio, mani alla ricerca di sicurezza che annaspano tra i milioni di peluche, groppo in gola pronto a scoppiare per l'emozione, ogni singolo muscolo del corpo irrigidito dall'imbarazzo ingenuo per la sorpresa dell'INCONTRO...insomma nient'altro che bimbi di fronte a degli sconosciuti. Ma questi bambini siamo noi.

Siamo in un orfanotrofio della città di Djibouti, nel corno d'Africa dove il tempo scorre lento, umidità alle stelle e temperature mai sotto i 45°. A rompere il ghiaccio – che qui si scioglie in pochi secondi - sono stati una ventina di bellissimi bambini, vivaci e pronti a saltarci addosso come fossimo giganti giocattoli animati. Finalmente, grazie al loro primo passo, anche noi siamo riusciti a sbloccarci e, come ogni volta che ci si diverte, il tempo è passato inconsapevolmente tra coccole, abbracci, bolle di sapone, palloncini volanti, strillanti risate contagiose.
Esperienza toccante, e per alcuni nuova, imboccare, cambiare pannolini e metter a nanna queste piccole simpatiche meraviglie.
Momenti carichi di emozioni, destinati a rimanere impressi nella mente di chi li vive.
Se è vero, come canta Battisti, che capire tu non puoi, lasciati emozionare dall''immagine di un bambino che ti tende la mano non per farsi guidare ma per guidarti nel suo mondo fatto di imprevedibilità, stupore e bisogno di affetto.
Però tu chiamale, se vuoi.
E se ce la fai.

p.s.: Anche la “Canzone del SOLE” puoi cantare, qua a Gibuti. A qualsiasi ora del giorno, e della notte."




mercoledì 1 luglio 2009

colore sbiadito

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La stanza è di medie dimensioni, ma ben curata. La luce filtra poco e la lampadina, che dovrebbe essere il centro dell’attenzione di un lampadario mancante, è accesa. Due ventilatori girevoli sparati al massimo creano una brezza piacevole, anche perché discontinua, a meno che uno non decida di assecondare il movimento del ventilatore, facendo tre passi in su e tre in giù. Ma quando i ventilatori sono due ed il loro fuoco è incrociato, allora è meglio evitare figuracce e aspettare il vento costruito fermo sul posto.

Il colore alle pareti è chiaro, e tende al giallo, probabilmente per enfatizzare la luce artificiale. Finestre nessuna. La stanza è in realtà un piccolo soggiorno, trasformata temporaneamente in camera da letto. Così, su alcuni tavolini in legno e vetro poggiano dei cuscini; la camicia da notte è piegata sul divano e di fronte a quello stesso divano, un letto da una piazza e mezza. Alcune tigri in peluche osservano dalla loro posizione privilegiata la scena, e sembrano un po’ infastidite dal momentaneo contrattempo. Su una parete, un quadro. Una bambina con due fiocchetti azzurri tra i suoi capelli a caschetto, gli occhi grigio-verdi. Piange, mentre guarda una bandiera della Palestina.

Accanto al letto, i trentatré grani di un rosario in legno gigante, una Madonna con bambino e qualche foto. Dei fiori rossi in un vaso, su un mobiletto. Sembrano finti in realtà, troppo rossi, troppo perfetti. Dietro, altre foto. Yasser Arafat e Hassan Nasrallah, che si guardano e si sorridono. Paradossi medio orientali.

Le urla sibilate, quasi timide, si diffondono un po’ dappertutto. Se si avesse il tempo di ascoltarle bene, probabilmente entrerebbero nelle ossa, probabilmente trasformerebbero la pelle in brivido. Un urlo se viene estrapolato dal contesto, è solo un rumore, più o meno forte. Se ad un urlo invece associ uno sguardo, degli odori, del sudore, allora non è un rumore.

È vita. È resistenza.

Tant Jamìle è sdraiata sul letto, due bende bagnate sui piedi nudi, un asciugamano in testa, agli occhi, le lacrime. E urla. E sembra di ascoltare attraverso questo suo urlo, così debole e sottile, ma anche così intenso e potente, la voce di tutto un popolo. L’operazione è riuscita, ma è ritornata dall’ospedale con alcune infezioni su una gamba. Ma d’altra parte se vinci decine e decine di punti sulla coscia per ricostruire il tuo femore rotto in una banale caduta, non hai diritto a lamentarti, se nel frattempo accadono alcuni imprevisti. Ma per Tant Jamìle, gli imprevisti saranno sempre più spesso quotidianità. Il suo passo lento ma sicuro, sarà una sedia a rotelle, o un walker, se le andrà bene. Il suo prendere l’iniziativa, sarà un per favore. Forse nelle sue urla l’umiliazione contava più del dolore. Forse le sue lacrime mentre veniva pisciata, lavata, e vestita erano umiliazione. E forse era umiliazione il chiedermi una mano per alzarla, per tenerla mentre le veniva pulito il culo, mentre le venivano disinfettate le piaghe, mentre le veniva tolto il pannolone. Non c’è niente di peggio che conoscere persone umiliate appartenenti ad una società umiliata.

Scopro gli anziani in un campo profughi, nonostante abbia vissuto tutta la mia vita in una zona dove la media di decessi è di due alla settimana, nonostante sia italiano, from Italy, la patria dei vecchi per definizione ormai, battuta solo dal paese dei giapu. E nel campo profughi mi accorgo che il mondo non è solo nord-sud, poveri e ricchi. È anche vecchiaia e giovinezza, salute e malattia.

Ma essere poveri, vecchi e storpi umilia il sangue, e scolorisce il bianco degli occhi, come le troppe centrifughe di una maglietta usata.

Ed in questo bianco sbiadito, non riconosco, e mai riconoscerò giustizia.

sabato 18 aprile 2009

Italy

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Da Internazionale n.791, anno 16, 17/23 aprile 2009
Di Giovanni De Mauro

Italy
Evviva il made in Italy! Apprezzato in tutto il mondo per il suo stile inconfondibile. Come nel settore delle armi, che rappresenta “un patrimonio tecnologico e produttivo non trascurabile per l’economia del paese”. E che sfida la crisi segnando un incredibile +222 per cento nell’ultimo anno. Sono dati del rapporto della presidenza del consiglio. Tra i nostri clienti ci sono un po’ tutti. In cima alla lista la Turchia. Ma anche l’India e il Pakistan, l’Algeria e la Libia, la Nigeria e Israele. Al Kosovo le aziende italiane forniscono “agenti tossici, chimici o biologici, gas lacrimogeni e materiali radioattivi”. Al Messico, insanguinato dalla guerra tra narcos e governo, abbiamo venduto armi leggere e pesanti per 10 milioni di euro. Siamo all’ottavo posto tra i paesi esportatori di armi, ma per l’Archivio disarmo potremmo arrivare al sesto. Finmeccanica è l’azienda leader: quinta nel mondo per profitti legati al settore militare, prima in Europa.
E chi è il principale azionista di Finmeccanica?
Lo stato italiano.



A proposito di stato italiano...
In questo giorni è in corso un "contenzioso" con Malta per quanto riguarga una nave mercantile che ha raccolto 154 migranti da due barconi alla deriva, al largo delle coste di Lampedusa, ma in acque territoriali maltesi. Attualmente la nave, con a bordo feriti e qualche cadavere, è ferma, a ridosso delle acque territoriali italiane. Nessuno la vuole, e si stanno rimbalzando la "palla".
Sì, siamo arrivati a pensare (TUTTI!) che 154 persone siano un fastidio, una seccatura, un costo. I ricchi arabi che vengono a fare shopping a Milano, i giapponesi o i cinesi che fotografo Venezia, i tedeschi gli inglesi o gli americani per le strade di Roma, quelli sì che sono gente a posto. Benvenuti, coccolati, ospitati. Non è più una questione di pelle e di colore, il razzismo. E' questione di portafoglio. Si dovrebbe chiamare "soldismo" o "denarismo"...
E gli altri, nel frattempo, vengono chiamati da tutti (TUTTI!) clandestini, extracomunitari, immigrati, diperati quando va bene.
Invece sono solo uomini.

Auguri Sergio!

sabato 14 marzo 2009

giovedì 5 febbraio 2009

Nel covo dei pirati

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Martedì mattina ero al centro. Pioveva e faceva freddo. Così Daniele ed io insieme ai nostri amici "grandi" eravamo rannicchiati nella sala con la stufetta accesa e le notizie in arabo da sottofondo. Scorrevano le immagini dei preparativi per una nave libanese che avrebbe lasciato il porto di Tripoli per portare aiuti umanitari a Gaza. Sami(r), uno dei pochi anziani che parlucchia inglese, traduceva le parole del cronista. Ho domandato come avrebbe fatto la nave a portare i soccorsi. Acque internazionali. Sfondare il blocco. I medicinali, il cibo, i vestiti e i giocattoli destinati a Gaza tuttavia non sono arrivati. La "Barca della Fratellanza" è stata fermata, sequestrata e scortata verso il porto israeliano di Ashdod. Il portavoce israeliano ha dichiarato che il materiale consegnato alle autorità arriverà nella striscia via terra.

Possiamo solo sperarlo. Fare appello alla comunità internazionale sarebbe inutile come sempre.

Ecco il Link dell'articolo di Claudio Accheri per Osservatorio Iraq:
http://www.osservatorioiraq.it/modules.php?name=News&file=article&sid=7097

p.s= titolo preso dalla canzone di E. Bennato. Molto bella tra l'altro ne consiglio l'ascolto.

Schifo..

4 commenti:
Ma questa cazzo d'italia vi piace?
Vi trovate bene?
Come faremo domani a guardare in faccia un ragazzo senegalese, o una donna peruviana, o un barbone?
Ci vergogneremo per quello che sta succedendo? Ci schiferemo, per quello che sta succedendo?
No, domani sarà indifferenza, o paura, o odio.
No, domani quando salirà sul nostro autobus qualcuno col taglio degli occhi diverso dal nostro, qualcuno col vestito più logoro del nostro, più puzzolente, qualcuno che risponde al telefono con parole diverse dalle nostre, il nostro primo pensiero andrà al portafoglio, poi al cellulare, e poi a come costui è entrato in questa italia del cazzo.
No, domani sarà uguale a oggi ed io questa cosa proprio non riesco a mandarla giù.
Domani sarà uguale ad oggi e mi fa proprio schifo schifo schifo il fatto che sia così.
Ci stanno dicendo che una vita umana, vale più di un’altra vita umana, e noi li crediamo.
Ci stanno dicendo che un cazzo di passaporto, è più importante della vita umana, e noi li crediamo.
Ci stanno togliendo pure l’indignazione, e le mie sono parole nel vento...

venerdì 16 gennaio 2009

E leggerò domani...

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Sì lo so che dovrei scrivere poco, scrivere di altro, pubblicare fotografie, dire cose simpatiche e divertenti. Mi piacerebbe un sacco condividere delle ricette, anche per farmi e suggerire qualcosa di buono; mi piacerebbe parlare di musica, di film, di ragazze. E lo farò. Sì, anche parlare di ragazze, perchè no?!! E, tra l'altro, ce ne sarebbe da dire...
Ma poi, poi.
L'urgenza, oggi, è far conoscere e diffondere questa lettera aperta, di Moustafa Barghouthi, medico e parlamentare palestinese, uno di quelli che da anni percorre la strada dell'opposizione nonviolenta e attiva all'occupazione israeliana dei Territori...
Ho riportato solo la prima parte, il resto della lettera è "linkata". Vi prego di fare lo sforzo di leggere tutto, è molto interessante, reale, drammatico, fa pensare.
A me ha fatto pensare all'enorme differenza che esiste tra le parole "neutrale" e "equilibrio"...

Moustafa Barghouthi e Francesca Borri:

Gaza: e leggerò domani sui vostri giornali...


E leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua. Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di concentramento falciato dalla fame e dalla sete. E da cosa dipende la differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti? E i bambini consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano? Muore di guerra o di pace, chi muore perché manca l’elettricità in sala operatoria? Si chiama pace quando mancano i missili, ma come si chiama, quando manca tutto il resto?

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continua al link:
http://www.misna.org/news.asp?a=1&IDLingua=2&id=234642


Daniele

martedì 9 dicembre 2008

Rachel...

1 commento:
Vi propongo il testo di una canzone della Casa del Vento, ispirata da una poesia che Rachel scrisse alla madre pochi giorni prima di morire.
Rachel Corrie, ragazza pacifista statunitense di 23 anni, voleva impedire, facendo scudo col proprio corpo, che i alcuni bulldozer abbattessero degli insediamenti lungo la striscia di Gaza, Palestina. Si adagiò in traiettoria del Bulldozer di 9 tonnellate, disarmata e chiaramente visibile. La ruspa guidata da un soldato, sotto gli ordini del suo comandante, la travolse. Era il 16 marzo del 2003.



Rachel and the Storm
(Casa del Vento feat Elisa)

È arrivato il momento
Io non posso aspettare
È un momento perfetto
Per decidere di andare.

Vorrei farvi vedere
L'arida terra su cui cammino
Tutti i segni del fuoco
E dove crescono i loro bambini.

Not in some distant place
Not a far away day
If I stuble and fall down
I will stand up again.

In the light of the dawn
I'll see the birds soar beyond the wall
I'll give them my strenght
I cannot believe in the end of the world.

And so I shall go
In the rage of the storm
'cos only on earth
I find heaven.

Rachel hold her head high
Against the storm.

Come il cielo e la terra
Noi ci incontreremo
Dopo il sogno e la veglia
Noi ci incammineremo.

We dance on the edge
We challenge the fear of the void
We cannot allow
This fall towards the end of the world.

And so I shall go
In the rage of the storm
'cos only on earth
I find heaven.

Rachel hold her head high
Against the storm.

Rachel hold her head high
Against the storm.


Un abbraccio.