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giovedì 12 maggio 2016

Un viaggio tra tradizioni e credenze indigene

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Ieri sera, mentre ero prossima a lasciarmi cullare tra le braccia di Morfeo, un articolo di Internazionale ha attirato la mia attenzione: “La Bolivia ricorre ad ostetriche indigene per ridurre la mortalità”.
Nell'articolo si parla del timore delle donne indigene di partorire negli ospedali e della preferenza per il parto in casa e tecniche tradizionali: Alla base del ricorso alla medicina tradizionale non c’è infatti solo la fiducia nelle pratiche naturali, ma anche la vergogna delle donne aymara a farsi vedere e toccare da un uomo proveniente della città”; inoltre il parto in ospedale viene percepito come “un elemento traumatico in un ambiente ostile”.
Per avvicinarsi ai bisogni della popolazione, nella cittadina di Patacamaya, si è cercato di mettere in atto un modello di intervento interculturale che prevede da un lato un lavoro fianco a fianco tra curanderos tradizionali e dottori professionisti e dall'altro la creazione di sale parto diverse dalle solite camere d'ospedale e più vicine ad un ambiente familiare: pareti che richiamano i colori della natura, mobilio in legno, piccola cucina per i parenti ecc.
Insomma un bell'esempio di interculturalità!

In generale, la tradizione in Bolivia è molto forte.
In questi otto mesi di servizio civile mi sono scontrata numerose volte con pratiche e credenze indigene così lontane dalla nostra cultura, ma sicuramente affascinanti!

Una delle cose che più ho apprezzato è il fatto che la medicina tradizionale è una medicina naturale, nel senso che utilizza solo elementi che si trovano in natura. Ho scoperto che esistono erbe per ogni male: emicrania, mal di stomaco, diarrea e febbre.
Zenzero, camomilla, limone, cannella, maizena, rosmarino ecc hanno delle proprietà che neanche immaginavo!

Per esempio, sapevate che maizena e coca cola aiutano per la diarrea?!? Altro che Imodium!

La visione principale della medicina indigena si basa sul concetto che la vita è l'unione di corpo, sentimenti, mente, anima, natura. La salute viene vista come uno stato di benessere fisico, mentale, sociale, morale e spirituale ed equilibrio cosmico. Per questo motivo, una malattia non po' essere trattata in maniera frammentata!
Nella cultura aymara la malattia è il risultato evidente della perdita di equilibrio, di stabilità della relazione uomo e natura, ed è per questo che la soluzione bisogna cercarla nel mondo naturale

Ma la di là della medicina, esistono delle vere e proprie pratiche di “guarigione”. Una è il richiamo dell'anima.
Parlando con le mamme dei bambini del centro di nutrizione dove svolgo il servizio, ho scoperto che, quando un bambino sta male per parecchio tempo e non si riesce a soluzionare ( span-Italian: " trovare una soluzione!") il problema, si cerca di richiamarne l'anima attraverso un campanello, sussurrando il nome del bambino malato e frasi in lingua quechua...anche la mia assistente sociale ha detto che funziona! Non si sa mai, meglio prenderla in considerazione!

Ma sono molte le occasioni nelle quali è necessario richiamare l'anima. Altro esempio: si pensa che quando una persona si spaventa una parte di anima si allontana dal corpo per la sorpresa...meglio richiamarla prima di perdere un pezzo di sé!

Insomma...volete davvero sottovalutare tutte queste credenze e conoscenze? Non si sa mai, io continuo a informarmi!




sabato 21 novembre 2015

Mi si è riempito il cuore

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                                                                                                               MELGA, 18 NOVEMBRE 2015.



A volte si vivono delle emozioni così forti e improvvise che non si riesce neanche a capire cosa sono, perché sono arrivate e come si chiamano.
Soprattutto per la maggior parte di noi, analfabeti emotivi, non abituati a parlare di ciò che si prova.
Ma non importa, perché già viverle è qualcosa, lasciano il segno.

Oggi mi si è riempito il cuore.

Andiamo con ordine. Nelle ultime due settimane un gruppo di ragazzi dell’Università Cattolica Boliviana si è impegnata a raccogliere viveri di ogni genere da portare alla comunità di Melga e proprio oggi siamo andati a consegnare il tutto.

Melga è un vasto territorio ubicato in mezzo alle montagne, a circa un'ora dalla città di Cochabamba. Ad accoglierci il Padre Ramiro, un grande uomo boliviano, calmo e silenzioso, ma con una forza d’animo che si percepisce solo guardandolo.
Un vero grande uomo.

Dopo aver scaricato una quantità di cibo apparentemente infinita per noi “operai” fuori forma, ci siamo sentiti in dovere di accettare l'invito di una suora polacca a bere un caffè, o meglio…ad abbuffarci in una seconda colazione!
Succede sempre così: “solo un cafesito!” e invece…pane , burro, marmellata, dulce de leche, formaggio! Tante, tante chiacchiere, moltissime risate, altrettanti spunti di riflessioni.

A pancia decisamente piena, il padre ha voluto portarci a conoscere un po’ il suo pueblo.
Siamo saliti in macchina e via! Campi coltivati,boschetti, lagune, tanta polvere, qualche casa, mucche e pecore. Una scuola.


Appare come una casetta in mezzo ad un vasto prato, in cima ad una collina.
Ad accoglierci, un bimbo, poco vestito, che gioca con l’acqua, vicino ad un canale.
Cerchiamo di capire se è solo o se i suoi genitori lavorano nei paraggi, ma parla solo quechua e ci accorgiamo che è piccolissimo.

Entriamo nella scuola: un edificio modesto, in pratica un’unica aula; 18 bambini, di differenti età, sono occupati nei test di fine anno. Sono divisi in tavoli, che rappresentano i diversi “livelli” scolastici: ci sono i bambini più piccolini di circa sei anni, occupati a disegnare; quelli di 7- 8 anni impegnati nel compito di matematica; poi i ragazzini di 9- 10 anni anche essi immersi nei calcoli e infine i più grandicelli di 12 -13 anni, che controllano la scena.
C’è un solo maestro, a cui, si vede , i bambini sono molto affezionati.






Ci fermiamo a parlare un po’ con loro.
Belen impiega circa un’ora di cammino per arrivare alla scuola; all’inizio le facevano male i piedi, ma ora non più.
Il bambino là fuori è il fratellino di un suo compagno: lo porta a scuola perché a casa non c’è nessuno, sono tutti nei campi a lavorare.
A Rodrigo non piace la matematica, perché è difficile.
In realtà non piace quasi a nessuno, povera matematica, sempre poco apprezzata ,ma di notevole utilità!
I più piccolini sono i più timidi, ma i più curiosi. Vorrebbero delle foto e si mettono in posa.

Tanti volti, tante storie.
È quasi ora per loro e per noi di andare, ma prima testano le nostre abilità col pallone! Naturalmente, vengo rimandata.


Ci allontaniamo tra saluti e sorrisi.
Ripartiamo e torniamo alla base, allungando però un po’ la strada.
Passiamo per altri campi, altri boschetti, altre lagune, tanta polvere, qualche casa, mucche e pecore.
I paesaggi sono mozzafiato, ma qualcosa mi pesa sul cuore e mi rattrista.




Arriviamo alla casa del padre che ci offre di pranzare insieme.
Come spesso accade, il menù propone sopa de mani: zuppa di arachidi, con pasta, verdure, pollo, patate lesse e patatine fritte, piatto unico.

Siamo nel comedor della parrocchia, dove le suore preparano da mangiare per i bambini che escono dal collegio.
Come ci spiega il padre, nella maggior parte delle famiglie, i genitori sono a lavorare nei campi tutto il giorno e spesso per più giorni, avendo più terreni da coltivare sia qui, sia più in basso, nel Chapare. I bambini rimangono soli a casa, senza però essere in grado di badare pienamente a se stessi. I più piccoli non sanno cucinare e rischiano di rimanere senza mangiare per giorni. Altri, semplicemente, non hanno abbastanza cibo.

Il comedor è aperto dal lunedì al sabato e accoglie tra i 30 e i 60 bambini al giorno.

Dopo un’ora abbondante, lo schiamazzare di qualche ragazzino ci fa capire che forse è arrivata l’ora di lasciare libera la tavola!
Ringraziamo le suore, salutiamo i bambini, ci dirigiamo verso le macchine, ma ad un certo punto, riconosciamo in lontananza la voce della nostra cara amica suora polacca che ci chiede: ” Gradite un cafesito?!?”.
Come rifiutare? Altro giro, altra corsa!

È arrivata proprio l’ora di andare. Ringraziamo, salutiamo, scattiamo le ultime foto e ci auguriamo buona fortuna con il solito : “Que te vaya bien!”.
Ma qualcosa pesa sul cuore.







venerdì 13 novembre 2015

Fino a quanto possiamo essere relativi?

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Quanto è difficile essere RELATIVI?
Si dice sempre di affrontare la differenza con relatività, ma fino a QUANTO possiamo essere relativi?
Partiamo con un bagaglio di certezze difficilmente sradicabili che ci rende complicato incontrare l’altro o conoscerlo.
Volontariamente non parlo di CAPIRE e comprendere.
Mi fermo ad un livello inferiore che semplicemente è avere la CONSAPEVOLEZZA che esiste un altro e ACCETTARNE l’esistenza, al di là di moralismi e attribuzione di valore.

…e anche chi cerca di incorporare questo relativismo con atteggiamenti e parole, rischia di essere presuntuoso nel definire l’altro “assolutista” e percepire se stesso come “relativista”. Si ricade nel circolo del pregiudizio e della sensazione di superiorità che ti trasforma in un “assoluto relativista”.

Sembra un pensiero contorto , o forse lo è.
La cosa strana è che questi TRIP MENTALI non nascono dallo scontro- incontro fra la cultura boliviana e quella italiana, come sarebbe più facile pensare!
Questi pensieri confusi e disordinati mi affiorano alla mente dopo una semplice cena, guarda un pò…tra tre italiani.

Ora, potrei andare avanti all’infinito a costruire castelli filosofici, ma non credo sia il caso…mi ritroverei in men che non si dica nel centro di cura psichiatrico più vicino! Se qualcuno vuole continuare dopo di me, si faccia avanti e mi faccia avere la risposta!
VI PREGOOO

Almeno da tutto sto disastro di flussi di neuroni possono nascere delle riflessioni un po’ più concrete!

Per esempio, posso partire dicendo che mettersi in contatto con l’altro non è mai facile. A volte lo è un po’ di più, magari per sensazioni di “pelle”, a volte lo è di meno.
È difficile l’incontro e non credo esista una modalità scientificamente provata essere adatta per tutti, con tutti e in qualsiasi momento ( A.A.A. cercasi risolutore di conflitti!).
Forse, partendo dall’esperienza personale, ciò che penso si possa fare è provare a essere APERTI e a LASCIARSI VIVERE dalle cose, dalle situazioni, dalle persone; SOSPENDERE IL GIUDIZIO di pancia, EVITARE INUTILI PARAGONI, RIFUGGIRE LE CRITICHE.
Almeno in un primo momento, nella fase dell’incontro.
Accogliere tutto; così come un computer, registrare “dati”.

Poi però, ritorniamo ad essere UMANI, non ancora immuni da ragioni, sentimenti ed emozioni.


Bene. Ora il mio cervello ha bisogno di zuccheri…ARRIVO BISCOTTI!!!!

Ps. Mettete in pausa il cervello con le prossime immagine e state solo a guardare­­­.

Una giovane artista di strada nel centro di Cochabamba
Mercato di Santa Barbara
A volte Chiesa, a volte scuola
Dia de los muertos. Desaparecidos.

 
Case nella zona Sur de Cochabamba


sabato 17 ottobre 2015

Mission Impossible O.S.C.d.C.

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Consapevoli dello smarrimento iniziale che potreste avere nel vedere questo video
vi diciamo "state sereni, qui si fa così!"


Buona visione
buon divertimento
p.s. NON RIPETERE A CASA!














                                                             Luci e Fra

giovedì 15 ottobre 2015

Molle-Molle chiama....Luci e Fra rispondono!

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Videoracconto del fine-settimana dedicato alla Virgen del Rosario a Molle-Molle, Cochabamba!


riprese e foto di Fra e Luci
montaggio di Luci
comparse:
- Hermana Bruna, Silvia, Emiliana, Hermana Dunia, Hermana Sabina (suore del Rosario)
- pueblo di Molle-Molle
- noi i primi giorni in terra boliviana





A presto!
Luci e Fra

giovedì 8 ottobre 2015

Somewhere over the rainbow

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6 Ottobre 2015.
E' il giorno della tanto desiderata partenza per la Bolivia e non sto più nella pelle!
Ma...Francesca, devi finire ancora la valigiaaaaa...sei sempre la solita (monologo).
Mi alzo alle 7.30, faccio colazione e mi metto sotto a risistemare i bagagli.
Mi faccio accompagnare all'aeroporto da Alessandro, aspetto la mia compagna Lucia e inizia il viaggio della speranza!
Prime agitazione al check in:
Stuart: “ Ragazze, potrei inviarvi i bagagli direttamente a Cochabamba, ma francamente c'è il rischio che non arrivino...”.
Panico.
Quello che intendo è che vi consiglio di ritirare i bagagli a Madrid e poi reinbarcarli in seguito per il secondo volo...con così tante ore di scalo, non si sa mai dove possono andare a finire...”.
EDDILLOSUBBITOOO!



Prima tappa: aereo per Madrid.
Pilota:“ Tempo instabile, possibile turbolenze”. EDDAI! Ma proprio a noi?!?
Io e Lucia non abbiamo il posto una di fianco all'altra, ma in file diverse.
E a questo punto solitamente nei film, ti capita di sederti accanto a un modello svedese, pure simpatico. Nella vita reale, invece, i tuoi “vicini” saranno sicuramente una coppia di vecchietti o un panzone con i peli che escono dal naso e dalle orecchie, possibilmente anche malaticcio ( scientificamente provato!).
E invece no, ragazzi... avevo due giovincelli anche carini!
Sono felicemente fidanzata, eh...ma una bella vista fa sempre piacere! Peccato non basti: uno di questi cari ragazzi, 5min dopo il decollo, ha approfittato di un posto libero per sedersi accanto ad una bionda stangona ( ho qualche speranza che fosse sua moglie!); l'altro ha dormito dall'inizio alla fine del viaggio, impedendomi anche di alzarmi a prendere qualche libro da leggere, tanto per far passare il tempo.

E così sola soletta l'unica cosa che mi rimane da fare è lasciarmi cullare dalla mia fantasia.
E penso che SOMEWHERE OVER THE RAINBOW c'è un posto per me, per i miei sogni, per ciò in cui credo...c'è la Bolivia, il mio servizio civile, ci saranno le persone che conoscerò.
Ma sono ancora lontana..
E con questa consapevolezza affronto la turbolenza!
Per fortuna ero a stomaco vuoto...

Atterriamo, ritrovo Lucia e noto che ha un colorito tra il giallo e il verde.
Azz, mi sta male...
Ritiriamo le valigie e andiamo a prendere qualcosa da mangiare.
Ora, va bene che gli aeroporti sono costosi....ma non vi sembra che 5euro per due palle di gelato siano un po' troppi?!?

Superiamo le 6/7 ore di scalo, ci mettiamo in coda (ma quanta gente va in Bolivia?!?) e ci imbarchiamo sul volo per Cochabamba.
Lucy, non preoccuparti! Gli aerei che fanno voli internazionali hanno i sedili più comodi, ognuno con un proprio televisorino per guardare i film, ci portano continuamente da mangiare...vedrai che 12 ore passano!”.
Ci ho azzeccato solo per il cibo.
Bè, un PROIETTORE c'era..hanno anche tentato di mettere su qualche film, ma è stato tutto inutile. Apprezziamo lo sforzo!

Interminabili ore di volo. Si mangia, si dorme, si mangia e poi si dorme.
Dove ACCIDERBOLINA è sto RAINBOW?
Poi arriviamo...e cominciamo a vederne i primi colori: Padre Pepe ed Hermana Bruna.










martedì 29 settembre 2015

PRIMA PARTE...DI ME!

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Mi è stato chiesto di raccontare chi sono.
Ad oggi, alla tenera età di 26 anni, non lo so ancora e quello che so, perché dirvelo? Per rovinarvi il piacere (si spera!) della scoperta?

Assolutamente no.

Ma qualche indizio velato ve lo posso dare ed è il motivo per cui ho scelto di postare la foto che vedete in alto:
secondo voi una persona che sceglie di mostrarsi al pubblico in questo modo ha tutte le “rotelle” al loro posto?

Ai posteri l'ardua sentenza.

Piacere di conoscervi!
                                                                              Francesca