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giovedì 28 maggio 2009

Appunti su "A Common Word"_capitatami casualmente tra le mani_

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12 settembre 2006: Benedetto XVI incontra i rappresentanti della scienza presso l'aula magna dell'università di Regensburg sul tema “Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni”. Bypasso a piè pari quello sarebbe un groviglio poco terreno di filosofia e teologia e il polverone che le parole di Ratzinger hanno sollevato per arrivare ad un altro punto e a un'altra data.
13 ottobre 2007: anche in risposta all'Affaire Regensburg, 138 tra studiosi, intellettuali e religiosi musulmani firmano “A common word”, una lettera aperta al Papa e alla cristianità tutta, edita dalla Royal Aal al-Bait Institute for Islamic Thought di Amman (e lo scrivo con un certo orgoglio campanilistico) che sostiene, basandosi su versetti del Corano e su passi della Bibbia, che Islam e Cristianesimo condividono la stessa essenza, (era l'ora!) “i comandamenti gemelli sull'importanza suprema dell'amore per Dio e per il prossimo. E a partire da questa base comune (A Common Word) chiede pace e armonia tra i Cristiani e i Musulmani di tutto il mondo”(parole sante!).
Tra le ultime pagine leggo e qui traduco: “trovare un terreno comune tra Musulmani e Cristiani non è semplicemente una questione di cortese dialogo ecumenico tra leaders religiosi. La Cristianità e l'Islam sono le due più grandi religioni nel mondo e nella storia. (Cristiani e musulmani) insieme costituiscono il 55% della popolazione mondiale, il che fa della relazione tra queste due comunità religiose il fattore più importante nell'ambito del contributo ad una pace significativa in tutto il mondo. Se i Musulmani e i Cristiani non sono in pace, il mondo non può essere in pace...Così è in gioco il nostro comune futuro. La sopravvivenza del mondo stesso è probabilmente in gioco”.
Da quando A Common Word ha iniziato a circolare più di 60 leaders religiosi cristiani, Benedetto XVI incluso, hanno risposto in vario modo alla lettera, mentre i signatari musulmani dell'iniziativa sono saliti da 138 a 300, numero che include circa 460 tra organizzazioni e associazioni islamiche.
Che qualcosa si stia muovendo davvero?

martedì 12 maggio 2009

Ragione e dialogo inter-religioso secondo Ratzinger

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Merita attenzione il discorso pronunciato dal Papa sabato scorso presso la moschea al-Hussein, altro attesissimo tassello dell'appena concluso pellegrinaggio in Giordania.
Di seguito alcuni brani del discorso del Papa in traduzione dall'originale inglese. Parole di grande attualità, che per la loro acutezza e intelligenza si esplicano da sole:

"[…]Non possiamo non essere preoccupati per il fatto che oggi, con insistenza crescente, alcuni ritengono che la religione fallisca nella sua pretesa di essere, per sua natura, costruttrice di unità e di armonia, un'espressione di comunione fra persone e con Dio. Di fatto, alcuni asseriscono che la religione è necessariamente una causa di divisione nel nostro mondo; e per tale ragione affermano che quanto minor attenzione vien data alla religione nella sfera pubblica, tanto meglio è".
"Distinti Amici, oggi desidero far menzione di un compito che ho indicato in diverse occasioni e che credo fermamente Cristiani e Musulmani possano assumersi, in particolare attraverso il loro contributo all'insegnamento e alla ricerca scientifica, come pure al servizio alla società. Tale compito costituisce la sfida a coltivare per il bene, nel contesto della fede e della verità, il vasto potenziale della ragione umana. I Cristiani in effetti descrivono Dio, fra gli altri modi, come Ragion creatrice […] i Musulmani adorano Dio, creatore del Cielo e della Terra, che ha parlato all'umanità. E quali credenti nell'unico Dio, sappiamo che la ragione umana è in sé stessa dono di Dio e si eleva al punto più alto quando viene illuminata dalla luce della verità di Dio. In realtà quando la ragione umana umilmente consente ad essere purificata dalla fede non è per nulla indebolita; anzi, è rafforzata nel resistere alla presunzione di andare oltre ai propri limiti".
"Pertanto l'adesione genuina alla religione -lungi dal restringere le nostre menti- amplia gli orizzonti della comprensione umana. Ciò protegge la società civile dagli eccessi di un ego ingovernabile, che tende ad assolutizzare il finito e ad eclissare l'infinito[…]".
"Una simile comprensione della ragione, che spinge continuamente la mente umana oltre se stessa nella ricerca dell'Assoluto, pone una sfida: contiene un senso sia di speranza sia di prudenza. Insieme, Cristiani e Musulmani sono sospinti a cercare tutto ciò che è giusto e retto. Siamo impegnati ad oltrepassare i nostri interessi particolari e ad incoraggiare gli altri, particolarmente gli amministratori e i leader sociali, a fare lo stesso al fine di assaporare la soddisfazione profonda di servire il bene comune, anche a spese personali".
"[…]Proprio perché è la nostra dignità umana che dà origine ai diritti umani universali, essi valgono per ogni uomo e donna, senza distinzione di gruppi religiosi, sociali o etnici ai quali appartengano. […] Il diritto di libertà religiosa va oltre la questione del culto ed include il diritto -specie per le minoranze- di equo accesso al mercato dell'impiego e alle altre sfere della vita sociale".

Fonte: sala stampa della Santa Sede.

lunedì 11 maggio 2009

Il Papa ad Amman

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In una Amman in assetto da guerra ma gioiosa, che non si è fatta mancare nemmeno i cecchini bardati di tutto punto e disseminati sui tetti dei palazzi, ieri mattina allo Stadio Internazionale di Amman si è svolto l'evento che tutti i fedeli attendevano, l'arrivo di Benedetto XVI e la celebrazione della Santa Messa.
Lo staff Caritas, che negli ultimi 10 giorni aveva contribuito all'organizzazione dell'evento con grande fervore, ha passato la notte tra il sabato e la domenica allo stadio per gli ultimi agitati preparativi.
Alle 2 SCE è stato concesso il lusso di assistere all'evento da normali spettatrici e sono comodamente partite da casa alle 4.15 del mattino, via, assonnate e silenziose verso la chiesa di Jabal Amman, dove l'autobus per lo staff Caritas le attendeva per il trasporto verso lo stadio.
Ore 5.00 arrivate a destinazione, superati i cancelli, braccia e gambe divaricate per le perquisizioni di routine, tè caldo per difendersi da un vento del mattino un po’ troppo arrogante. Prendiamo posto sugli spalti ancora deserti. Ma non saremo arrivate un po’ troppo presto? Ormai ci siamo.
Ancora impastate di sonno osserviamo, con il passare delle ore, lo stadio che si riempie, che si colora, che trepida di emozioni, di cori, di linguaggi stridenti tra loro. I primi ad arrivare, insieme ai giordani, sono i filippini che lavorano qui, hanno approfittato del loro unico giorno libero per partecipare a questa grande festa, poi arrivano gruppi di libanesi, di siriani, di tedeschi, australiani, italiani, ognuno orgogliosamente sventolante la sua bandiera.
Qualche parola con i nostri colleghi di Caritas, sfiniti dalla veglia. Le ore passano, lo stadio è colmo. Dall'altoparlante gli spettatori vengono invitati a sedersi.
Una voce gracchiante comunica che il Papa sta arrivando. Applausi scroscianti, grida, tutti in piedi, eccolo nella sua papamobile, di bianco vestito, le braccia spalancate, fa un giro di pista benedicendo i fedeli impazziti per lui per poi prendere posto sull'altare.
Nel discorso di benvenuto il Papa viene simbolicamente accolto dalla comunità tutta, cristiana e musulmana, si parla di pace nel mondo, si stringe il focus sul Medio Oriente e sulla critica situazione del popolo di Terra Santa. Imprescindibili le parole sui rifugiati irakeni che la Giordania accoglie e sulla tutela delle necessità pastorali per gli irakeni di fede cristiana.
Poi sta al Papa, che parla come pastore di Dio. Parla della donna nella società giordana, del rispetto e della dignità per essa come segno di amore e civiltà. Poi passa alla Terra Santa, il Papa ricorda l'importanza della tradizione religiosa che da essa ha origine e la necessità del dialogo interreligioso.
Ma al di là delle parole del Papa, pronunciate in inglese e che non tutti avranno udito o capito, dopo gli incontri ufficiali di Benedetto XVI questa è stata la festa del popolo e il popolo ha risposto in massa.

giovedì 7 maggio 2009

Papagrinaggio in Giordania

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Fermento extra-ordinario nel quartier generale di Caritas Jordan ad Amman. Sì perché la Giordania tutta si sta preparando ad un grande evento: la visita di Papa Benedetto XVI tra l'8 e l'11 maggio.
Il Papa farà tappa ad Amman nell'ambito del suo pellegrinaggio in Giordania e Terra Santa in cui oltre ad incontrare la comunità cristiane e musulmane, ripercorrerà i luoghi di Gesù cari al cristianesimo.
E se dalla sponda italiana Alitalia comunica orgogliosa che il Papa volerà sull'Airbus 320 "Dante Alighieri", la gioia e l'orgoglio di questo viaggio sono tutti giordani.
Sul viaggio del Papa l'attenzione è inevitabilmente concentrata sui preparativi a Gerusalemme ma c'è un aspetto molto importante che fino ad ora è passato sorprendentemente inosservato. La novità più significativa rispetto ai due precedenti viaggi di Paolo VI e Giovanni Paolo II è infatti il peso maggiore che la visita di Benedetto XVI avrà sull'economia del pellegrinaggio. Infatti su 8 giorni di viaggio il Papa ne trascorrerà 3 in Giordania, fatto nuovo visto che Wojtila nel 2000 di giorni in Giordania ne trascorse solamente 1. Un grosso regalo dunque per la comunità cristiana giordana che si sta dando da fare affinché l'organizzazione dell'evento sia impeccabile.
In una conferenza stampa il nunzio Francis Assisi Chullikat ha dichiarato che la Giordania è orgogliosa di essere la prima tappa del pellegrinaggio di Benedetto XVI in Medio Oriente.
In Giordania il Papa celebrerà la S. Messa allo stadio di Amman, farà un incontro con i giovani, incontrerà re Abdallah e consorte in un'udienza privata, visiterà il Monte Nebo, benedirà il luogo su cui sorgerà la nuova chiesa cattolica a Wadi al Kharrar. Ma è previsto un altro momento molto importante ovvero la visita alla moschea Al Hussein, nella capitale. Sarà dunque la seconda volta, dopo la visita nel 2006 alla Moschea Blu di Istanbul, che Papa Benedetto XVI farà il suo ingresso in un luogo islamico. Questa visita sarà anche l'occasione per il primo dei due incontri che il Papa ha in programma con i rappresentanti della comunità islamica, il primo qui, il secondo a Gerusalemme, sulla Spianata, dove il Papa incontrerà il Gran Muftì.
La visita alla moschea di Amman è un evento molto importante nel cammino di dialogo tra cristiani e musulmani. Un dialogo su cui la corona giordana sta investendo molto puntando ad accreditarsi, in aperta concorrenza con l'Arabia Saudita, come punto di riferimento nel mondo musulmano per il dialogo tra cristiani e musulmani.
Dal canto loro la Fratellanza Musulmana e il Fronte di Azione Islamica come suo rappresentante politico fanno sapere attraverso la stampa giordana che attendono ancora le scuse da parte del Papa per le sue affermazioni del 2006 contro l'Islam e il suo Profeta Muhammad. Affermazioni cui il vescovo Sayegh ha risposto dicendo che "i musulmani sono nostri fratelli " e aggiungendo che "non vogliamo che rimangano ai margini di un evento così importante".
Questo pellegrinaggio ha già tutte le caratteristiche di un evento memorabile.

giovedì 9 aprile 2009

http://tv.repubblica.it/dossier/terremoto-in-abruzzo/l-assegnazione-delle-tende/31530?video

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Segnalo questo link, un breve, silenzioso film documentario di Paolo Sorrentino girato in questi giorni nei luoghi del terremoto: "L'assegnazione delle tende". E io, ve lo giuro, non ci avevo mai pensato che a chi ha perso la casa, in molti casi casa, amici e familiari debba capitare di attendere e sperare che gli venga dato un posto letto. Non avevo mai pensato che avvenisse così: altoparlante, a te sì, a te no. L'ho guardato atterrita, che crudeltà mi sono detta. Poi ho osservato i volti delle persone, attenti ad ascoltare se dopo il loro nome e cognome venisse pronunciato un sì o un no. Nient'altro che calma, silenzio e dignità. Buona riflessione a tutti.

domenica 8 marzo 2009

I cieli di Amman

4 commenti:

Seduta al tavolo di una terrazza di Jabal Amman, coccolata da un sole primaverile, in attesa del mio zatar, osservo i tetti sotto di me.
I tetti della vecchia Amman non sono tetti come gli altri. Ora, osservandoli, non si nota niente di strano, solo le consuete antenne della tv, i condizionatori, le cisterne per l'acqua. Su ogni tetto, invariati, i suddetti tre elementi.
Ma ogni pomeriggio, dall'autunno alla fine della primavera, non prima delle tre e mezzo, i tetti di Amman si animano di vita propria e i cieli si colorano di migliaia di puntini mobili, delle onde impazzite dei piccioni viaggiatori.
Mentre il traffico del centro città prosegue monotono, in alto, dai tetti di Jabal Amman gli addestratori di piccioni aprono le loro gabbie per dare il via a questo quotidiano privato spettacolo, vecchio di secoli.
Quello che oggi costituisce un vero e proprio sport, con le sue regole e il suo mercato, fu importato ad Amman dai siriani negli anni '40 e costituisce la moderna evoluzione dell'antichissima arte di allevare i piccioni che in Medio Oriente risale al 1150, quando il Sultano di Baghdad creò un sistema di corrispondenza per mezzo di piccioni viaggiatori.
Una volta aperte le gabbie gli addestratori col naso all'insù osservano rapiti il loro stormo roteare vorticosamente nel cielo, allontanarsi, mischiarsi con altri stormi, per poi tornare, fedelmente, alla base. Non si tratta dunque di una mera gara di piccioni. Gli addestratori devono dimostrare la loro abilità nell'aver addestrato gli animali alla fedeltà.
In una nazione problematica che conta un tasso di disoccupazione del 12,9%, quello ufficiale, del 30% quello non ufficiale, per chi non ha un impiego diverso le alternative sembrano essere due: la moschea o l'allevamento di questi nobili animali. I loro addestratori passano anche più di 10 ore al giorno ad allenare i loro piccioni maschi e a farne degli animali fedeli.
In tempi recenti questo sport si è involgarito ed è nato un sottobosco di collezionisti, di mercanti, di ladri di piccioni, assassini (addirittura!) di piccioni che non ha fatto altro che mettere in cattiva luce chi invece questo sport lo pratica con passione e devozione. Si dice che gli addestratori vengano considerati quasi al pari dei ladri il che significa che la loro testimonianza davanti a un giudice non ha valore. Altri affermano che la vera passione degli addestratori è la carne del piccione e non lo sport in sé e per sé.
In seguito all'influenza aviaria le autorità giordane hanno imposto una moratoria che ha fatto schizzare il prezzo dei piccioni importati, così gli addestratori sono stati costretti ad improvvisare accordi bilaterali con gli addestratori dei tetti vicini.
Oggi, sebbene quest'antica arte di allevare i piccioni sia ancora molto diffusa, tra i giovani sta subendo un calo di popolarità e i ragazzi giordani, come in tutto il mondo, preferiscono passare il loro tempo libero negli internet-caffè o in giro per la città piuttosto che dedicarsi alla cura di questi animali.

Ma è il pomeriggio di un nuovo giorno, 3, 2, 1, via, si aprono le gabbie...

mercoledì 18 febbraio 2009

Mondo arabo?

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Proprio ieri parlando con un amico giordano ho pronunciato una banalissima frase che terminava con "…io che vivo in un paese arabo" (il riferimento era alla Giordania).
Immediato l'irrigidimento del mio interlocutore.
Stupita e imbarazzata per quella che ho capito essere stata una gaffe ho preferito tacere.
Ho capito che l'irrigidimento era dovuto essenzialmente a 2 motivi:
1.L'aggettivo "arabo", soprattutto dall'11.09, evoca irrimediabilmente atmosfere integraliste-terroriste-terzomondiste e può pesare.
2.L'aggettivo "arabo" resta vago e depistante.
Alla gaffe non ho potuto rimediare ma almeno mi ha permesso di riflettere sul senso di "arabo" e su un'espressione oggi molto in voga: "mondo arabo", vaga, onnicomprensiva, sbagliata, forse, non saprei.
So per certo, e lo sa chi come me ha studiato l'arabo, quanta confusione, legittima, susciti l'aggettivo "arabo". «Ah! Studi arabo! Quindi vai in Arabia!». È così logico…
"Mondo arabo" è un concetto creato dal colonialismo francese e, prima del 1830, anno della conquista dell'Algeria da parte dei francesi, non era possibile trovarlo in nessun documento. Ma cosa designa esattamente? E soprattutto, è utile? Proviamo:
1. "Mondo arabo" potrebbe raggruppare tutti i paesi arabi, cioè popolati da arabi. Ma per definizione un arabo è un abitante dell'Arabia. È dunque possibile definire arabo un paese abitato da pochi arabi come il Marocco, l'Algeria, la Tunisia, la Libia, la Mauritania, paesi abitati principalmente da Berberi o da negri?
2. Proviamo allora con una seconda ipotesi, stavolta di tipo religioso: sarebbero arabi tutti quei paesi in cui la religione musulmana è religione di stato o maggioritaria. Ma posso mai definire paesi arabi la Turchia, l'Iran, le Filippine o la Cina? Ipotesi, anche questa, non convincente.
3. Una terza ipotesi definirebbe arabo un paese la cui lingua ufficiale è l'arabo, anche se viene parlata dalla minoranza della popolazione. Ma siccome l'arabo si snoda in decine di dialetti (in realtà vere e proprie lingue con un'identità ben definita) mi pare che nemmeno questa teoria sia granché convincente.
4. Si tratta allora, più in generale, di una cultura comune? Direi di no visto che, solo per fare esempi gastronomici, i miei preferiti, il couscous si trova solo nel Maghreb e nel Nord Africa (oltre ad alcune zone della Sicilia), il menzaf
1 solo in Giordania, la maqluba2 solo in Siria e in Palestina.
5. Inutile prendere in considerazione i fattori climatici poiché i cosiddetti "paesi arabi" sono collocati in continenti diversi.
Allora mi domando se questa espressione a cui tutti noi abbiamo fatto l'orecchio non sia un amalgama nato da ignoranza e approssimazione o il risultato di una strategia politica creata dalla Francia durante il colonialismo.
Cosa rappresenta il "mondo arabo" oggi? Forse si tratta di un insieme di paesi non omogenei tra loro il cui tratto comune più forte starebbe in una reazione più o meno confusa ad ogni forma di "espressione civilizzatrice" proveniente dall'esterno vista come ultima forma di colonialismo. Un insieme di paesi che per reazione a minacce, paure e pregiudizi tenderebbe a chiudersi in sé stesso cercando di estendere all'universo l'universalità del suo messaggio.
Più confusa di prima lascio aperta la questione.

1 Piatto a base di carne di agnello cotta in uno speciale yogurt e servita con del riso, mandorle e pinoli
2 Piatto a base di carne di manzo o di pollo cotta insieme a melanzane o altre verdure (a seconda della zona) e servita insieme a pinoli e mandorle e dello yogurt fresco.

martedì 20 gennaio 2009

La tregua dopo la tempesta?

3 commenti:
Anche questa fase del conflitto israelo-palestinese è terminata. Nessuna tregua invece per il dolore dei vivi che continueranno a piangere i loro morti.

Posto questo articolo firmato da Amira Hass che è tratto dall'edizione online di "Haaretz" del 19.01.09.

Norwegian doctor: Israel used new type of weapon in Gaza

Some Palestinian casualties in the Gaza Strip were wounded by a new type of weapon that even doctors with previous experience in war zones do not recognize, according to Dr. Erik Fosse, a Norwegian cardiologist who worked at Gaza's Shifa Hospital for 11 days, during Operation Cast Lead. However, he added in a telephone conversation from Oslo, most casualties were people hit by shrapnel from conventional explosives. Fosse, a department head at a university hospital in Oslo, worked in Afghanistan during the Soviet occupation and several times in Lebanon, also in 2006. That was when he first heard about the new kind of weapon, but did not see any such wounds with his own eyes.
The unknown weapon appears to mainly affect the body's lower part, he said. It severs the legs, leaving burns around the stump, small punctures in the skin and internal bleeding. According to Fosse, these injuries appear to be caused by a pressure wave generated when a missile hits the ground. His best guess, he said, is that the pressure wave is caused by a dense inert metal explosive, or DIME, a type of bomb developed to minimize collateral damage. A military expert working for Human Rights Watch also told Haaretz that the nature of the wounds and descriptions given by Gazans made it seem likely that Israel used DIMEs. Fosse and a Norwegian colleague, Mads Gilbert, arrived in Gaza on December 31 and remained until January 10. They were financed by the Norwegian government. On his return, Fosse submitted a report to his government in which he accused the IDF of deliberately targeting civilians. Fosse said he believes Israel deliberately chose to attack while Westerners working for international organizations were back home for the Christmas vacation. "The Palestinian witnesses, as medical workers, are very accurate in their reports, but if we hadn't been there to confirm their testimony, it would all have been presented as Hamas propaganda," he said.

sabato 17 gennaio 2009

Satirica_mente Gaza

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Il lato tragicomico della guerra a Gaza secondo un vignettista arabo: Emad Hajjaj, co-fondatore e direttore creativo di un sito web dal nome Abu-Mahjoob. Se al titolo corrisponde una promessa ("il padre del nascosto", questo il titolo tradotto) potrete deciderlo voi stessi. Il sito, sia in arabo che in inglese, ha una sezione archivio succulenta, per chi avesse voglia di guardarsi un pò di satira.


lunedì 12 gennaio 2009

Conversazioni dallo specchietto

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Che la Giordania è un barbecue politico diventa tangibile a tratti. Diventa tangibile quando non te lo aspetti, quando soprapensiero prendi un taxi per farti portare in un posto x di Amman, una domenica mattina.
Sali, al-Webdeh min fadlak, al-Webdeh per favore, Saha Paris, Piazza Paris. Poi parte la solita conversazione, a cui i tanti tassisti arabi ti hanno abituata: Min wein entum? Min italia? Italia sadiqat urdun, Totti number one, tahqi arabi queis! Islamu Islamu! (Da dove venite? Dall'Italia? L'Italia è amica della Giordania!…Parli bene l'arabo!! (Grazie grazie)…
Chiacchiere, così, pour parler, nel solito traffichino di una domenica, di lavoro per i musulmani, libera per me che lavoro in Caritas. Conversazione superficiale anche solo perché del tuo interlocutore intravedi solo gli occhi dallo specchietto retrovisore dell'auto.
E poi l'uomo, un po’ meno pour parler stavolta, si mette a raccontarci confusamente la sua storia: sono palestinese hamdulillah, di Jenin, sono stato ferito alla schiena, qui e qui, in tre punti, si tocca la schiena. E poi al volto, si apre la bocca con un dito, ma non capiamo dov'è la ferita. Ci fidiamo sulla parola. Mi hanno mandato via da Jenin, ora vivo qui con mia moglie e le mie tre figlie. La mia bambina è in ospedale, l'hanno dovuta operare. Mi dice, papà, portami via dall'ospedale, per favore, non voglio più stare in ospedale. Papà, portami qualche biscotto, ma io non ho nemmeno i soldi per portare il pane alle mie figlie e a mia moglie a casa, come posso comprarle dei biscotti? La mia bambina piange e io piango con lei. Da giorni. Il dottore mi ha detto che devo pagare 200 dollari per portarla via dall'ospedale. Ma io non li ho. Come posso portarla via? Solo perché non sono giordano, devo pagare tutti questi soldi per la degenza! E lei continua a piangere che vuole uscire da lì. Il dottore è palestinese wallahi! Come me! Dice che non può aiutarmi. Che dobbiamo fare noi palestinesi? Noi che in Palestina ci siamo rimasti, che non siamo scappati, noi che la guerra l'abbiamo vissuta tutta e continuamo a viverla. Mi hanno ammazzato tutti, mio padre, mia madre, i miei fratelli...poi si accorge che le sue parole, alle sue spalle, hanno lasciato il gelo. Ci chiede scusa per questo sfogo, borbottiamo confusamente che non c'è problema, che non deve scusarsi. Non sappiamo che dire. Benedetta ed io ci guardiamo, mortificate, gli occhi gonfi di lacrime, borbottiamo, che facciamo? Andiamo con lui in ospedale e paghiamo noi i 200 dollari per la bambina? Oddio no, questo è troppo. Allora ci facciamo portare a Salt da lui (il paesino fuori Amman dove volevamo trascorrere la nostra domenica)? La corsa costa 15 dinari (un po’ più di 15 euro), soldi che non gli consentiranno di tirar fuori la bambina dall'ospedale, ma almeno non avremo l'impressione di aver fatto un'elemosina che non cambia lo stato delle cose.
Decidiamo che sì, che è più giusto così. Forse. Per noi almeno. Ma siamo confuse. Ci porta fuori Amman. Paghiamoringraziamosalutiamo. Più mortificate che mai.
La bambina forse è ancora in ospedale, ma ci rincuora la certezza che sia al sicuro, al caldo e con la pancia piena. Almeno lei. Almeno per ora.

domenica 23 novembre 2008

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Dalla terrazza del super trendy, cosmopolita e per certi aspetti futuristico Wild Jordan café, la vista del wasat al-balad, la zona più popolare di Amman, colpisce per l'anarchico arroccamento di parabole giganti sui tetti delle povere case di povera gente.
Anche qui modernità fa rima con televisione e interconnessione mondiale. Avanti tutta! Che nessuno rimanga indietro! Si può campare con un piatto di hummus e quattro falafel al giorno ma che nessuno tocchi la TV...