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lunedì 20 luglio 2015

Trasmetto Ergo Sum

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Da quando sentiamo parlare altre donne alla Radio, ed ascoltiamo i programmi sui nostri diritti, noi donne non abbiamo più paura di dire la nostra!”, “Quando succede qualcosa nella nostra zona, vorremmo segnalarlo alla radio perché se ne dia notizia!”.

Mamme africane coi volti segnati dal duro lavoro giornaliero, anziani magrissimi con la schiena piegata dagli anni, bambini scalzi...tutti ci tengono a dirci quanto “Radio Mushauri” abbia un impatto positivo su vari aspetti della loro vita, e commentano cosa si potrebbe migliorare, chiedono di trasmettere questo o quello…



Qui, nel bel mezzo della foresta equatoriale dove le persone arrivano in aereo perché da 30 anni non ci sono strade percorribili, oltre all'isolamento geografico si soffre di un isolamento culturale profondo, dal quale Radio Mushauri, con i suoi 250km di raggio di emissione, cerca di far emergere le migliaia di persone che continuano a vivere nelle zone rurali della foresta equatoriale.


In questo angolo di Congo la corrente elettrica arriva a singhiozzo, per questo abbiamo voluto a fare un ultimo sforzo ed installare 44 pannelli solari, grazie ai quali gli abitanti di Kindu possono sentire la Radio Mushauri kila siku: ogni giorno!

Per leggere il resto del progetto clicca qui.



Il Direttore della Radio con il Fiume Congo sullo sfondo....


lunedì 13 aprile 2015

Due ex-SCE dal Congo...

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In questi tempi di selezione e colloqui per i futuri SCE, due ex-SCE (vecchi-SCE suona davvero male...) stanno continuando a lavorare con Caritas Ambrosiana: siamo a Katako,  villaggio congolese senza acqua corrente, energia elettrica, né strade asfaltate. 




Uno dei nostri progetti nasce per contrastare la diffusa malnutrizione: un corso di formazione agricola per ragazze madri. Nei villaggi di quest'area  le bambine raramente vanno a scuola, la parità di genere non esiste e la poligamia é molto diffusa: è così che molte ragazze di 13-14 anni sono già madri.

Durante il primo incontro con loro, il nostro agronomo Raphaël chiede alle giovani madri cosa abbiano mangiato negli ultimi giorni, e la risposta è unanime: “fou-fou na sombe, kila siku” (“polenta di manioca e spinaci di manioca, ogni giorno”). Così si crea un po' di imbarazzo quando alla fine una delle ragazze chiede a noi italiani“E voi, cosa mangiate?”. Il solo fatto di aver mangiato cose diverse negli ultimi 2 giorni gli fa strabuzzare gli occhi, e a me in questo caso stringere lo stomaco...


Il corso andrà avanti 5 mesi (fino alla raccolta!), ma questa è solo una piccola parte di quello che stiamo facendo a Katako, e che vorremmo fosse il primo tassello di un effetto-domino positivo per il miglioramento delle condizioni di vita nella comunità di Katako.







mercoledì 1 ottobre 2014

Goma Grey

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Dopo 3 mesi a Kindu ci siamo presi una piccola vacanza a Goma. Lasciataci la foresta equatoriale alle spalle arriviamo a destinazione, dove veniamo completamente pervasi da un colore : il grigio.
In questa Pompei d'Africa tutto prende le sembianze della pietra lavica : le strade, i mattoni delle case, i muri e il filo spinato che li copre...le eruzioni del vicino vulcano Nyaragongo hanno rivestito Goma di polvere e pietre grige. Non è però solo questo a donarle un'atmosfera tetra : a rendere assoluta questa sensazione di grigiume è soprattutto la massiccia presenza militare nelle strade.


Il Chugudu, il mezzo locale per il trasporto della merce
Muri alti e filo spinato sono la norma a Goma
























Le strade di Goma sono invase da camionette dell'esercito congolese, da blindati dei caschi blu della missione di pace ONU e da pick-up scassati della polizia. Presenze a cui i locali si sono abituati, mentre per noi che siamo solo di passaggio è difficile rilassarsi.

D'altra parte la posizione sul confine tra Congo e Rwanda fa di Goma uno snodo strategico nel traffico di materie prime (coltan e diamanti su tutti), portato avanti da diversi gruppi di ribelli o mercenari. Derubano la terra delle sue risorse, e per farlo reclutano centinaia di bambini-soldato derubando il paese del suo futuro.

"Sono un bambino, il mio posto è con la mia famiglia, non con le armi"

E come il grigio nasce dallo scontro tra bianco e nero, anche il carattere di Goma nasce da uno scontro : non quello  tra il grigio della polvere e i colori della foresta equatoriale né quello tra i confini del Congo con il Rwanda. Ma dallo scontro ideale tra la presenza militare e quella di tutte le maggiori ONG del mondo: in strada si incontrano solamente mezzi dell'una o dell'altra realtà infatti, come se non esistesse altro. Come se esistesse solo la lotta tra bianco e nero, tra uso della forza e cooperazione, tra bene e male : jeep di Caritas, di Medici Senza Frontiere, di Oxfam e di Save the Children popolano le strade portando colore dove, per il momento, a dominare resta il grigio.

Questi suovenir per turisti riflettono la realtà di Goma

Sarte intente a lavorare nel mercato locale

Un'operatrice del nostro partner ACS intenta a verificare un progetto con degli ingegneri.


Un piccolo porto sul lago Kivu
Un selfie da Goma per gli operatori di Caritas (Lele ed Elena) e di ACS (Silvia)

domenica 17 agosto 2014

Facciamo Luce!

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Primo post di quest'anno di lavoro a Kindu...per chi non lo sapesse siamo nella profonda Africa nera, quella dei sogni, sì propio quella del Cuore di Tenebra di Conrad...ogni tanto,la notte, senti provenire da lontano il suono di canti e tamburi e ti viene da pensare: ”Eccolo! Il cuore...”



Certo la realtà della vita è molto meno poetica...pochi giorni fa scrivevo ad una amica keniana, e senza che me ne accorgessi sono sgorgate queste parole: il Congo è un casino...la provincia dove mi trovo è tranquilla, ma il prezzo di questa tranquillità è un isolamento pressoché completo, le merci arrivano in aereo e per questo tutto è molto caro (1$ per ogni rotolo di carta igienica, 20$ una bottiglia d'olio). La guerra ha cancellato anni di sviluppo, i bambini spesso lavorano dai 5 anni in poi...fa un caldo terribile, e hanno quasi tutti la malaria...La tenebra c'è, ma c'è anche tanta luce...








Ancora una volta, infatti,  l'Africa ti sorprende, e pole pole senti che quel cuore esiste davvero e pulsa forte nonostante le difficoltà: pulsa nei giovani che lavorano di notte per pagarsi l'università, nelle piccole associazioni di donne che lottano per migliorare la loro condizione, nei sorrisi sinceri sui volti dei bambini pieni di stupore per le piccole cose...



E i miglioramenti si vedono, si rifanno le strade......e la dieta non è male...
















...poi c'è chi, come noi (insieme a molti giovani congolesi), organizza attività con i bambini...

E costruisce i pozzi per lo sviluppo della comunità rurale! 

(grazie Ele per la foto!)


martedì 5 agosto 2014

Kindu: what's up?

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Loro ci sono e le foto lo dimostrano.
Emanuele ed Elena, ex SCE, ora nostri operatori in R.D. Congo, sono a Kindu ormai da qualche mese e le foto lo dimostrano.
Anche a Kindu qualcosa è cambiato: i cartelli stradali e le strade asfaltate (!!!!) lo dimostrano.
Ora attendiamo che anche i mezzi di comunicazione migliorino e che i post futuri lo dimostrino!







 









martedì 13 dicembre 2011

HUMAN RIGHTS DAY 10-12-2011

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Abbiamo passato la giornata mondiale per i diritti umani nel carcere di media sicurezza di Kamiti (pene intorno ai 5/6 anni), cercando di organizzare un sabato più...umano. Abbiamo chiamato la giornata TUKO PAMOJA DAY, che in swahili significa "TUTTI INSIEME"...



lunedì 24 ottobre 2011

Siamo passati di lì due giorni fa...

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Kenya, meta turistica privilegiata, paese dell'Africa subsahariana stabile politicamente ed economicamente, punto di riferimento per l'Unione Africana e per i paesi confinanti, paese per il dialogo, mai sceso in campo con le armi: nelle ultime due settimane tutto questo viene messo in discussione.
Il problema del Kenya è la Somalia: la Somalia non ha un vero governo dal 1991, ma un agglomerato di regioni controllate dai signori della guerra o da corti islamiche, e il governo transitorio (istituito nel 2004) non controlla neanche Mogadisho. La capitale e il sud del paese sono controllati infatti da un gruppo di fondamentalisti islamici chiamati Al Shabaab, affiliati ad Al Quaeda. Le numerose incursioni dei terroristi nel territorio keniano mettono in crisi per l'ultima volta la celeberrima diplomazia dei vicini il mese scorso: due operatrici spagnole di Medici Senza Frontiere vengono rapite a Daadab, il campo profughi più grande del mondo, mentre altre due turiste europee vengono rapite su un'isola paradiso del turismo ("X"rossa nella foto), e il marito di una delle due viene ucciso. Il 16 ottobre le truppe keniane penetrano nel territorio somalo (freccia rossa nella foto). Due giorni dopo il Daily Nation (testata kenyana) scrive che i rapimenti hanno portato un “ major blow to the tourism industry “, il Kenya che “safley host tourists and one of the world's largest aid communities” ha secondo le ambascerie occidentali il diritto di perseguire i rapitori, ed al tempo stesso la coscienza che ciò farà del paese un obiettivo dei terroristi...
“Non entrate nel nostro territorio, voi avete grattacieli e ricchezza, noi caos, vi colpiremo nel cuore dei vostri interessi”:questa la minaccia di uno dei portavoce di Al Shabaab. Detto fatto: tra domenica e lunedì due granate sono state lanciate sulla folla a Nairobi, una in un pub, una alla stazione dei pullman ( foto sotto), causando 32 feriti ed un morto. Gli Usa stanno appoggiando logisticamente il Kenya in questa sfida, non si sa quanto pianificata, al terrorismo, e avevano previsto gli attacchi: ora la polizia keniana ha diramato tramite sms i nomi dei luoghi più “caldi”: vie, ristoranti, pub, una decina in tutto. I due attentati non sono ancora stati rivendicati, e a dire il vero anche l'anno scorso dei lanci di granate analoghi si sono verificati a Nairobi, ma forse la prima discesa in campo dell'esercito keniano ha sortito delle conseguenze che non erano state previste, addirittura oggi l'Igad (organizzazione politica commerciale dei paesi del corno d'Africa) ipotizza lo spostamento dei rifugiati di Daadab (500.000 somali) in altri stati, perchè la situazione non è più sicura...

Siamo passati di lì due giorni fa...

venerdì 2 settembre 2011

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Siamo stati in un posto fuori dal tempo, fuori dal mondo, dove tutto pare essersi fermato, dove il progresso, la tecnologia, la televisione, la luce non sono arrivati.
Siamo stati in un posto che persino per i Kenyani e troppo lontano per andarci, di cui loro stessi non sanno niente: chi ci abita, come si vive...

Siamo stati nella terra dei Pokot, una tribù Kalenjin, ancora legata alle tradizioni. Al confine con l'Uganda e il Sud Sudan, in Kapenguria, in un villaggio chiamato Tamugh.
Abbiamo impiegato 14 ore, 4 mezzi di trasporto, tra cui un camion. Abbiamo attraversato fiumi in piena e strade scoscese.
Le case sono costruite con il fango, spesso solo capanne, il tetto a volte in paglia, a volte in lamiera. L'elettricità è un lusso di pochi, la televisione non esiste, il segnale non arriva. Siamo in mezzo alle colline e alle montagne, terre in cui ancora la gente combatte per difendere la propria mandria di mucche. Pokot, Maasai, Ugandesi armati e pronti a sparare. 
Al nostro arrivo la comunità si raduna per un saluto, la gente canta e soprattutto balla e salta come solo i Pokot e i Maasai sanno fare. 
Le donne portano sulla schiena i loro bimbi, attorcigliati nei Batik, le tipiche stoffe kenyane colorate e con un proverbio kiswahili stampato ai bordi. Indossano collane molto grandi e colorate, orecchini abbinati e bracciali in acciaio, color argento, bronzo o oro: ne indossano tanti, occupano anche metà braccio, e sono il simbolo che sono sposate.
Gli uomini non lavorano, si occupano solo del raccolto. Si radunano nel centro del villaggio a giocare a biliardo. La donna si occupa della casa, dei figli, delle mucche, delle capre, dei polli, dell'orto.

Il piatto tipico è il latte, contenuto nei Vibuyu, delle giare in legno allungato, se sei donna, o bombate, se sei uomo. Viene bevuto con il sangue, fermentato o con la cenere di alberi tipici della zona. 
La gente si cura con le piante, sanno dove andare a cercarle, i loro effetti, alcune prevengono persino la malaria.

Sembra di tuffarsi nel passato, quello che di solito i nostri nonni ci raccontano (o almeno i miei, che hanno vissuto in fattorie..). Ma questa è realtà, che però porta con sè molti problemi.

Il più evidente è la mancanza d'acqua, la gente deve percorrere chilometri, impiegano ore, per poter avere acqua potabile, o anche solo per lavarsi. 
Siamo stati ospiti di Martin, il sostituto di Sister Raquel mentre lei era in Argentina, pokot nato e vissuto qui, dove tutt'ora vive con la sua famiglia, quando non è a Nairobi a lavorare. E' catechista nelle carceri, ma non si è dimenticato del suo villaggio. Da anni infatti si impegna a costruire pozzi, dighe e sistemi per trasportare l'acqua in tutta la valle. Un lavoro ammirevole e importante.  
Ha collegato un pozzo alla scuola, al dispensario, un'altro ad una chiesa lontana due ore a piedi.

domenica 17 luglio 2011

Saranno famosi (?)

8 commenti:
ok, lele sta dormendo, non potrà impedirmi di pubblicare questo post...


Staff della Caritas, non vorrei spaventarvi, ma non so se io e il mio socio riusciremo a continuare con il servizio civile fino a dicembre.
Perchè dovete sapere che qui in Kenya tutti ballano benissimo, cantano benissimo.
Noi non vogliamo sentirci da meno, quindi ci siamo allenati, ci stiamo provando.
Lele ha cominciato a ballare, cosa che a guardarlo bene mi sa che non aveva mai fatto prima... io ho cominciato a cantare, cosa che in italia mi rifiuto di fare categoricamente, sono la corista di un gruppo rap/gospel (gospel come lo intendono in africa).
Mai avremmo sospettato di possedere queste qualità artistiche e visti i risultati mi sa che presto diventeremo talmente famosi che la notorietà ci porterà a dover rinunciare alla Cafasso, sapete come funziona... gli impegni, le interviste, le apparizioni in tv...





ps: mi spiace per il video del balletto, è un po' tremolante per colpa delle mie risate (in sottofondo). ma dovete sapere che se c'è una cosa che mi fa piangere dal ridere è vedere Lele ballare, non posso farci niente, non riesco a bloccarmi...per fortuna il mio socio non è permaloso e usa queste sue abilità quando sono giù di morale...

mercoledì 13 luglio 2011

Free at last

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Così titolano i giornali, dopo la nascita dell'ultimo paese africano...colonizzazione, imposizione dei confini, convivenza forzata con una popolazione di origini, religione e cultura diversi, guerra civile, povertà, suprusi, ma alla fine, con un referendum, il Sud Sudan ce l'ha fatta, e speriamo, senza più sangue...
Vedere le persone festeggiare per strada, anche in kenya, non ha prezzo...

venerdì 17 giugno 2011

Alla Ricerca del Senso

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Mi sveglio ogni mattina a Kahawa West, dove abito quest'anno, periferia medio borghese di Nairobi, la capitale. Non è zona turistica, ma è il posto più ricco del paese (forse di tutto il sud-est africano), e contemporaneamente più povero, ma procediamo un passo per volta. Colazione: cavolo manca l'acqua! La stagione delle piogge non arriva e le persone aspettano la benedizione dal cielo: mentre qui in città è solo una questione “di rubinetto”, nel nord del paese i raccolti stanno letteralmente bruciando (% persone senza accesso diretto all'acqua: Italia O – Kenya 41%). Posso comunque ritenermi fortunato, ho due taniche da 15 litri sotto il lavandino per ogni evenienza. Verso le 8 esco di casa, il sole è già a picco ma il mercato lungo la strada è ancora vuoto, ci sono solo i matatu, cioè il servizio di trasporto pubblico...più o meno: i matatu sono dei malmessi pulmini con 15 posti, “estendibili”a 20 per casi di necessità, che con la musica irrimediabilmente a palla sfrecciano per le strade, salgono sui marciapiedi e vanno contromano più spesso che in un telefilm americano, e nessuno gli dice niente perchè il giro di affari dei matatu è gestito dai Mugiki, la mafia locale: ebbene si, anche noi abbiamo qualcosa in comune col Kenya... inizialmente associazione legale di cui facevano parte le persone che avevano lottato per l'indipendenza del paese dal Regno Unito senza riceverne alcun profitto, oggi setta clandestina infiltrata in tutta la società, politica inclusa (% persone vittime di corruzione nell'ultimo anno: Italia 6% - Kenya 32%). Torniamo a noi, dov'eravamo rimasti? Già, il mercato...puoi trovare i pomodori e le melanzane, le patate e la papaya, e non mancano i quotidiani, tutti concentrati sulle elezioni dell'anno prossimo, nella speranza che non si ripetano le violenze etnico-politiche del 2008 (circa 600 morti per cui sono indagati dall' Aja per crimini contro l'umanità alcuni dei maggiori esponenti politici): le etnie sono più di 40 ma le più potenti sono 3 o 4, ognuna con il suo candidato di riferimento, perchè se vince il tuo candidato, speri di avere una fetta della torta.
 
Finalmente arrivo in comunità! “Habari Yako! Mzuri Sana!”: i ragazzi mi salutano calorosamente, loro sono arrivati qui dopo essere usciti dal carcere minorile dove passano 4 mesi per aver commesso reati di poco conto. Dimenticate violenza e bullismo, in Kenya si ruba per mangiare, si litiga con la madre perchè il patrigno di etnia diversa ti picchia e ti sbatte fuori di casa, si sniffa la colla per non sentire la fame. Chi finisce in carcere è segnato a vita: la famiglia non ti rivuole indietro, e trovare lavoro è quasi impossibile. Oltre il danno, anche la beffa: è la storia di questi Chokora (ragazzi di strada) della Cafasso House, accolti da questo progetto in quanto impossibilitati a tornare nelle loro famiglie.
 
E' ora di pranzo finalmente, a tavola parlo un po' con “S”. Mi dice che vuole lasciare la comunità, prendere un pullman per Mombasa, e diventare un beach boy, mi dice che si guadagna bene. Già, perchè dovete sapere che la bellissima costa del Kenya è piena di aitanti ragazzi africani che parlano un italiano fluente e “lavorano” per migliorare la qualità delle vacanze delle donne italiane di mezza età. Il fenomeno è talmente diffuso che tutte le persone che incontro credono che in Italia le donne scelgono l'uomo da sposare, senza possibilità di appello per il malcapitato. Lo convinco sia a restare, sia che nel belpaese funziona come nel resto del mondo...
 
Siamo alla parte più dura della giornata, i colloqui nel carcere minorile per decidere chi sarà il prossimo ragazzo ospitato nella nostra comunità.”J” ci racconta di quando si è trasferito qui, con i suoi genitori. Lavorare nei campi al loro villaggio era duro, e così speravano di trovare qualche impiego a Nairobi, in Town, lo slum doveva essere una collocazione temporanea, ma più passava il tempo meno erano i soldi e lui ha iniziato a frequentare brutti giri per tirar su qualche scellino, finchè non è stato beccato dalla polizia. Nelle baraccopoli di Nairobi queste sono storie comuni di migliaia di ragazzi di strada (età media della popolazione: Italia 43,3 – Kenya 18,4), che non sono gli unici a soffrire: fame, prostituzione e alcolismo dilagano in questi inferni, dove la polizia si fa complice dei colpevoli, e i più piccoli sono le vittime, sì, perchè se puoi pagare la passi liscia, ma se sei un semplice chokora che non trova neanche da mangiare, ti aspetta la cella. La vita e l'affitto di una stanza costano molto poco, e sono così tante le persone che vi si trasferiscono sia dalle altre parti della città per risparmiare, sia da altre parte del Kenya per cercare lavoro, che oggi più di un milione di persone vivono sotto un tetto di lamiera (% persone che vivono con meno di 1,25$ al giorno: Italia 0 – Kenya 19,7%). Tutto questo succede a poche centinaia di metri dal centro, dove io con le mie All Star sembro un poveraccio: cravatte e iPhone dappertutto, sedi di ambasciate ed aziende di tutto il mondo mi ricordano che questo paese è uno dei più ricchi dal Sahaara in giù (indice di disuguaglianza -Gini, da 1 a 100- : Italia 36 – Kenya 47,7).
 
Si è fatto tardi e devo tornare a casa perchè non è sicuro girare col buio per un bianco come me (% persone che si ritengono sicure: Italia 61% - Kenya 35%), i ragazzi, sempre sorridenti, mi salutano: “Tuonane kesho!”, ci vediamo domani ragazzi, per un altra giornata paradossale.

Fonte: www.hdr.undp.org

giovedì 17 marzo 2011

Dal Mondo...

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da http://www.repubblica.it/esteri/2011/03/17/news/oltre_il_dolore_nell_inferno_di_minamisoma_ma_adesso_dobbiamo_ricominciare-13705879/

"La colonna dei fuggitivi incrocia quella dei soccorritori inviati da Tokyo, ma non si ferma. "Portateci via da qui", gridano i maschi e la loro richiesta suona come un atto di accusa contro la misteriosa lentezza degli aiuti. Gli evacuati del Nordest temono che la neve e la pioggia riversino su di loro le particelle radioattive emesse da Fukushima e chiedono di essere messi in salvo in regioni sicure e lontane. Pretendono che i militari distribuiscano pillole di iodio e che misurino la radioattività delle persone. Montano una rabbia e una protesta inattese. Il dolore, le privazioni e il terrore stanno facendo perdere la testa a chi confidava di poter superare lo shock. Basta una folata di vento che innesca un crollo, o l'ennesima scossa di terremoto, perché gli individui snervati sobbalzino e cedano ai gemiti. E' difficile da credere, ma nel Paese dotato di 55 centrali nucleari e centinaia di impianti petrolchimici, nella nazione che ha costruito il proprio successo sull'avanguardia dell'energia e della tecnologia, i soccorsi ai sopravvissuti dell'11 marzo naufragano per mancanza di combustibile e mezzi capaci di avanzare tra gli eccessivi detriti del progresso. E nel Giappone che trabocca di merce, ai profughi dell'Honshu dopo cinque giorni manca un pezzo di pane e una maglietta asciutta."

"Affrontare contemporaneamente un terremoto, uno tsunami, un'emergenza nucleare, decine di migliaia di morti, 600 mila sfollati e un'intera regione rasa al suolo, è una prova ai limiti delle possibilità per qualsiasi nazione"

" Si dice che a Sendai siano stati salvati 25 mila abitanti e che migliaia, residenti nei quartieri verso il mare, siano stati sparsi negli ospedali di tutto il Giappone. Gli evacuati però dubitano ed elencano a memoria i nomi di decine di villaggi della prefettura ancora inaccessibili e isolati, dove nessuno risponde."

lunedì 21 febbraio 2011

Gerry Scotti

1 commento:
Invito il lettore a non andare subito a guardare la soluzione alla fine del post.

Scenario: rientri in casa e scopri che gli operai che stanno lavorando nel giardino di fianco hanno rovesciato la malta sui tuoi vestiti stesi ad asciugare...la tua reazione è:

a) fa niente siamo tutti fratelli

b) ne approfitti per rifarti il guardaroba

c) ti incazzi come una iena farneticando in inglese e poi scopri che parlano solo kiswahili

non finisce qui...

Dopo aver trovato un traduttore scopri che per richiamare l'attenzione di un eventuale persona presente in casa hanno tirato delle pietre verso porte e finestre..

a) fa niente siamo tutti fratelli

b) ne approfitti per rifare gli infissi

c) ok, questa era meglio non farsela tradurre...

infine...

Tutti ti chiedono scusa facendoti sentire arrogante:

a) ci mancherebbe altro

b) cacchio adesso sembro il solito bianco

c) sono io o sono loro ad approfittarsi degli stereotipi?!

Soluzione:

Alla fine ci scambiamo il numero di telefono, e facciamo amicizia con loro che cercano di salutarmi in italiano e io di salutarli in swahili...anche questo è scambio culturale...

ps: alla lavanderia chi glielo spiega?

sabato 5 febbraio 2011

Karibuni Sana Wazungu !!!

1 commento:
Eccovi un piccolo assaggio di quello che è stato il benvenuto nei nostri confronti....ovviamente il regista è del posto...


martedì 18 gennaio 2011

Indicazioni Stradali

2 commenti:
Un mio amico qualche mese fa, arriva al bar e dice:”ragazzi vado a fare l'Erasmus in Polonia!”. Si, lo so vi starete chiedendo: uno, cosa centra, due cosa ci va a fare in Polonia?! Lasciamo perdere per un attimo le motivazioni personali che l'hanno portato in Polonia, il punto è che presa la macchina io ed altri due amici abbiamo attraversato austria germania un pezzo di repubblica ceca e ce lo abbiamo portato.

Qualche mese dopo io entro al bar e dico: ”bagai faccio lo SCE in Kenya!”. Si lo so, vi starete chiedendo: uno cosa ci vai a fare in kenya, due voglio vedere come ci arrivi in macchina stavolta...In effetti me l'hanno chiesto anche loro, i miei amici, ma avevo la risposta pronta: basta attraversare Austria Ungaria Romania Bulgaria Turchia Siria Libano Israele Egitto Sudan Etiopia ( un mio amico più coraggioso ha proposto dopo la Turchia di attraversare l'Iraq l'Arabia Saudita e lo Yemen per prendere il traghetto e andare in Gibuti e poi Etiopia, ma il traghetto era pieno....), per arrivare finalmente in Kenya. (grazie googlemaps...)

Come avrete immaginato alla fine prenderò l'aereo e non mi accompagnerà nessuno, con la macchina, ma se mi accompagnerete tutti leggendo questo blog io accompagnerò voi per Nairobi!

Emanuele

ps: se qualcuno volesse venire lo ospitiamo volentieri!