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lunedì 21 gennaio 2019

Il futuro: tra privilegio e necessità.

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Circa quattro mesi fa finivo un anno di servizio civile in Moldova con il cuore gonfio di mille sensazioni, denso di gratitudine e un po’ appesantito dalla fatica di chiudere un’esperienza che mi ha cambiata profondamente: riconosco che il lasciare andare con serenità (persone, esperienze, eventi...) non sia qualcosa che appartenga in modo particolare alla mia personalità. 

 Chiudevo quest’esperienza con un pensiero che mi pulsava in testa dopo avere incrociato tante storie e aver conosciuto la vita di un paese che vive un presente che riesce a fatica a proiettarsi al di là del domani, un paese in cui un numero crescente di cittadini non intravede alcun futuro e decide di emigrare

Il futuro è un privilegio: è un privilegio poterlo immaginare, sognarlo, disegnarlo a seconda delle proprie spinte, è un privilegio potersi proiettare in dei sogni più o meno romantici e, personalmente, lo ritengo anche un diritto di cui, evidentemente, non tutti possono godere.

Oggi, 4 mesi dopo, mi trovo in Serbia a lavorare in un campo per richiedenti asilo, uno di quei campi aperti in risposta all’”emergenza” creatasi lungo la rotta balcanica.

Oggi più che mai quel pensiero risuona dentro di me. In questi giorni di rabbia e tristezza, in cui l’impotenza, la sento sempre più forte, sento la necessità di condividere quel che mi passa per la testa.  Ammetto che, da quando condivido gran parte della mia quotidianità, in questo pezzettino di mondo, con circa 130 persone, la mia testa è un crocevia disordinato di pensieri, riflessioni ed emozioni contrastanti in cui, molto spesso, fatico a fare ordine.

Proprio oggi una famiglia curdo-irachena, dopo una serie di vicissitudini, ha dovuto lasciare il campo per spostarsi in un altro campo in Serbia. M, 11 anni, la figlia più grande mi ha guardato con i suoi occhi profondi  dicendomi: “ Me, no like to go”.

M. É nata nel Kurdistan iracheno, ha 11 anni e non sa scrivere: proprio ora sta imparando, ma in cirillico. Nel frattempo, però, si arrangia con il persiano che ha imparato nel campo, con il serbo che sta imparando a scuola, con il curdo, la sua lingua madre, e con un po’ di inglese... Oltre a stupirmi, ogni tanto, con qualche parola in italiano (imparata probabilmente origliando qualche mia conversazione).

Non riesce a stare nelle regole e più volte mi ha portata al limite della sopportazione, se dovesse partire “Let it go" di Frozen è bene starle lontani perchè non riesce a contenere il suo entusiasmo, attacca briga molto facilmente perchè non riesce a gestire tutto quello che le passa dentro ma, nonostante questo, mi ha conquistata dal primo giorno, con i suoi occhi incredibili e con i suoi slanci d’amore palesati in baci appiccicosi e in abbracci che tolgono il fiato... Appena ha qualche seme di girasole lo offre a mezzo campo (le tasche della mia giacca da lavoro si stanno riempiendo a vista d’occhio), ad ogni compleanno arriva nella nostra stanza urlando per chiedere un foglio dicendo ”Today happy birthday + nome del festeggiato”, ci mette sempre tutta se stessa per farsi capire e mal che vada si usa Google Transate Curdo/Italiano.

Oggi ho mandato a quel paese ogni cosa imparata sui libri di servizio sociale. ”Lisa, me today go another camp.” Non coinvolgimento, what?

E allora io mi chiedo: ma che futuro stiamo dando  a queste generazioni? Ma come riusciamo ad essere indifferenti a questo pezzo di storia così triste? Come riusciamo a riempirci la bocca di “ma”? Come possiamo permettere che (per la maggior parte di queste persone) l’unica via per entrare in Europa sia una via illegale dopo avere passato mesi o anni in viaggio, rischiando la vita e spendendo i risparmi di una vita ( e più!!!)?

Vite sballottate da un campo all’altro, mosse come fossero pedine di un gioco da tavolo.

Personalmente ritengo che il futuro parta da lì, da come riusciamo a prenderci cura della vita che cresce, da quali radici riusciamo a dare a questi bambini che un giorno saranno uomini e donne e che, a loro volta, saranno responsabili di scelte da fare e di altre vite.

A.Appadurai nel suo saggio “Il futuro come fatto culturale” mi aveva stregata nella sua lettura rivoluzionaria di futuro in cui non lo vede semplicemente come un possibile scenario dell’avvenire ma come un elemento base delle collettività che, attraverso questo, riescono ad elaborare delle strategie di adattamento e di sopravvivenza in una realtà che è spesso dominata da delle forze impersonali.

Oggi va così, la tristezza e la rabbia hanno preso il sopravvento su tutto il resto.

Domani, però, cercherò di trasformarla in una forza motrice tra un lavoretto, una chiacchierata e qualche nuova parola di persiano e arabo, per stringermi al coraggio di chi, nonostante tutto, il futuro lo cerca e lo vuole. 
Questo è per voi! Grazie.


Lisa.

giovedì 13 settembre 2018

Moldova - Bosnia: racconto di un'esperienza

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Le emozioni e le impressioni di Dorina (volontaria sedicenne dell’associazione Misiunea Socială "Diaconia", Moldova) circa le due settimane di avventura e scoperta della Bosnia Erzegovina.

Otto volontari moldavi hanno avuto la possibilità di vivere due settimane di scambio in Bosnia ospiti delle associazioni locali Youth for Peace e Ivan Pavao II, due realtà impegnate nel dialogo interreligioso e nella ricostruzione post conflitto
Per questi otto volontari l`esperienza ha rappresentato diversi primi e nuovi incontri e scoperte: prima volta in un paese straniero, primo approccio con diversi credi religiosi... 
La complessità del paese con la sua storia, le testimonianze ascoltate, i luoghi visitati ed il volontariato svolto con i migranti e i ragazzi dell’orfanotrofio a Banja Luka hanno contribuito a rendere ”l’esperienza sconvolgente” come dice la stessa Dorina nell’articolo sotto riportato.


Un'esperienza sconvolgente, che in pratica ci ha cambiati tutti. La semplicità, la bellezza, le emozioni provate, le persone diverse incontrate, il divertimento, il dramma della guerra che abbiamo conosciuto, queste parole non riescono a descrivere quello che abbiamo vissuto nel corso della nostra esperienza in Bosnia e Herzegovina. 

Religione, una parola così semplice ma che allo stesso tempo racchiude così tanti significati, luoghi religiosi affascinanti e sorprendenti, diversi gli uni dagli altri, persone appartenenti a credi differenti ma alla fine, non conta, perchè accomunate tutte dalla fede in un solo Dio.

Uno stato non molto grande, ma con una storia ricca di avvenimenti, tra cui una tragica guerra  di cui le persone si ricordano ancora e capita che lo facciano attraverso l'ironia e l'umorismo nero.
Uomini con una storia bella e piena di eventi che riescono a guardare al futuro nonostante il passato doloroso. 

Oltre agli abitanti della Bosnia ho avuto l'opportunità di incontrare persone provenienti da altri paesi tra cui alcuni rifugiati a cui abbiamo distribuito un pranzo caldo e un bicchiere di thè svolgendo volontariato con una mensa moblie. In questa occasione  ho conosciuto per esempio un ragazzo cinese, Maks, che sta facendo il giro il mondo e che, giunto a Sarajevo, ha deciso di rendersi utile alla mensa mobile. Ciascun giorno, ciascun luogo visitato durante queste settimane ha arricchito le nostri menti e colmato le nostre lacune con molte nuove informazioni.
Durante il servizio alla mensa abbiamo chiaccherato con altri volontari meravigliosi che nonostante non  parlassero bene inglese cercavano di fare per il possibile per riuscire a comunicare con noi.
Abbiamo visitato città quali Mostar, Jaice, Banja Luka ed alcuni musei come, ad esempio, il War Childhood Museum. Mostar, famosa per il suo ponte incantevole ricostruito dopo la fine del conflitto, sotto al quale scorre un fiume che attraversa la citta’ e la città di Jaice con la sua cascata. 
Il Child War Museum ci ha emozionati con i ricordi dei bambini cresciuti durante il periodo della guerra che vengono presentati con una piccola descrizione dell'oggetto e del proprietario, descrizione che spesso non mi ha fatto trattenere le lacrime.

In queste due settimane abbiamo avuto l’opportunità di avvicinarci a molte persone, tra cui i bimbi e i ragazzi dell’orfanotrofio di Banja Luka, gli anziani del centro diurno Drevnii davvero difficili da battere a carte, vista la loro astuzia! 
Negozi, parchi, ristoranti, passeggiate, mercati… Abbiamo visitato così tanti luoghi...entusiasmo e curiosità ci hanno sempre accompagnati, Qualcuno è anche riuscito ad imparare un po’ di inglese e assieme siamo riusciti ad oltrepassare le paure che avevamo all’inizio e abbiamo scoperto cosa significhi essere una vera squadra, magari  piccola ma unita e forse siamo riusciti ad essere piu’ di una squadra… Siamo diventati una famiglia. 
Grazie di cuore a chi ci ha dato l’opportunità di vivere quest’esperienza perchè ci ha permesso di aprire il nostro sguardo e di cambiare prospettive rispetto a tanti aspetti e abbiamo imparato davvero tanto, diventando persone piu’ consapevoli e mature. Neanche il divertimento è mancato…  Dal primo all’ultimo giorno! Siamo stati accolti con amore, abbracci, parole e regali che ci siamo scambiati a vicenda
Ci mettiamo la firma che in futuro non ci faremo assolutamente scappare la possibilità di vivere un’esperienza di questo genere e siamo pronti per accoglierne una nuova in qualsiasi momento!
Nuove idee, progetti ed eventi… La voglia e il desiderio di impegnarci e di aiutare sono cresciute dentro di noi… dentro a quegli 8 piccoli esploratori circondati da persone meravigliose e piene di bellezza. 
Vogliamo ringraziare le persone che ci hanno accompagnato in quest’avventura: la nostra coordinatrice Nadia e le volontarie italiane Lisa Thibault, Faustina Yeboah, Diana Cossi!! 

Grazie Caritas!

Il bene, alla fine, torna sempre indietro e la fatica viene sempre ripagata!

lunedì 1 gennaio 2018

Due mesi di Moldova: un turbinio di pensieri e immagini

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E’ difficile trascrivere il vissuto di questi quasi due mesi in Moldova perché le sensazioni e le immagini che mi passano per la testa si sovrappongono in continuazione.
Dalle mamme del centro maternale alle prime armi con i loro bimbi che stanno imparando a conoscere, agli adolescenti che condividono le loro domande e i loro dubbi, alle contraddizioni quotidiane visibili ad occhio nudo, all’accoglienza che abbiamo trovato, ai parchi nel bel mezzo della città, al nostro cercare di farci capire in un rumeno terribile e alle risate che ne conseguono, ad un senza tetto che in un italiano maccheronico ci chiede come stiamo, alle chiese dai tetti dorati che spuntano tra i block sovietici, al verde infinito che si mescola con il marrone scuro della terra appena fuori dalla città, al festeggiare ogni occasione, alle casette colorate dei villaggi, alle decine di anziani che ogni giorno, con grande dignità, si mettono in fila per aspettare un pasto caldo...
Ma nel turbinio dei miei pensieri voglio fermarmi proprio tra questi anziani.
Tanti hanno lavorato una vita, c’è anche chi ha fatto la “badante” per anni in italia, per percepire una pensione di 60 euro al mese... Tra questi anziani vorrei riuscire a fare un “fermo immagine” sul viso di una signora che fin dal primo giorno mi ha colpita. 
Non so come si chiami ma so che dall’inizio, da quando io e la mia compagna di avventura ci siamo messe di fianco a questa lunga coda per scambiare “quattro chiacchiere”  nell’attesa del pasto da distribuire, mi é rimasta impressa. 
Con pochi di loro riusciamo ad avere una conversazione che vada al di là del saluto, un po’ per il nostro rumeno zoppicante, un po’ per l’impegno e la velocità che richiede la distribuzione del pasto, un po' perchè gran parte di loro sono russofoni. Ma lei, questa dolce signora, con un sorriso incredibile e con il viso avvolto da un foulard a fiori che fa intravedere la sua chioma bianca, è riuscita a farci capire di essere sordomuta, di avere a casa un marito allettato e di avere due figli. Non lo so proprio come abbiamo fatto a capirci ma ci siamo riuscite.

Da quel giorno la vedo e, tagliando un pezzo di pane o distribuendo il recipiente pieno di zuppa, riusciamo sempre a salutarci e quel suo sorriso pieno o la sua mano sventolante che saluta con energia, forse sarà poco, ma per me ha un valore davvero profondo.

A lei e alle tante storie incrociate in questi primi mesi...
"Amo la semplicità che si accompagna con l’umiltà.
Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle,
sentire gli odori delle cose,
catturarne l’anima.
Quelli che hanno la carne a contatto con la carne del mondo.
Perché lì c’è verità, lì c’è dolcezza, lì c’è sensibilità, lì c’è ancora amore."    (A.Merini)

venerdì 27 ottobre 2017

Rotolando...Verso est.

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Sono Lisa e ho una gran fame di mondo!

Sono nata a Schio, una cittadina ai piedi delle piccole Dolomiti.
Le montagne, nella mia storia, hanno sempre scandito ogni ritorno, durante gli anni dell’università, dai viaggi, dai tempi trascorsi lontana da casa.

Le vedo all’orizzonte spuntare piano dal finestrino del treno o dall’autostrada ricoperte di neve, avvolte dai colori dell’autunno, alle volte simili ad ombre cinesi quando una nebbiolina si alza dal basso fino a farle sembrare quasi disegnate o verdeggianti come in questa foto.
Salutare le montagne é un po’ come salutare casa... L’ho sempre vista un po’ così. Sono sempre state il segno di un legame quasi viscerale con le mie radici.  
Insomma, a breve saluterò per un po’ le mie montagne per arrivare in un paese in cui di montagne non ne vedrò proprio. Tra poco, infatti, inizierò una nuova avventura in Moldova, (un piccolo stato che si trova tra la Romania e l’Ucraina)  dove la “punta” più alta raggiunge i 430 metri!
Partire per la Moldova é stata una possibilità che si é presentata all’improvviso, scombinando i piani che mi ero in qualche modo prefigurata, cosa che che, per l’ennesima volta, mi ha insegnato a ritarare e ad accogliere quello che si presenta, senza rimanere troppo ferma nelle stanze dei miei castelli mentali!
La possibilità di partire per un anno, in un paese allo stesso tempo così vicino e così lontano dall’Italia, mi ha da subito, incuriosita ed elettrizzata. Un paese di cui anch'io so molto poco ma che sono certa abbia tanto da dirci e darci, e con cui siamo (forse inconsapevolmente e profondamente) legati nel quotidiano, anche se in modo silenzioso e alle volte volutamente svalutante... Basti pensare a quante vite, nelle nostre famiglie italiane, siano affidate alla cura di donne moldave.
Cercare di capire il contesto e la vita di tutte quelle persone che invece stanno "dall'altra parte della medaglia", di chi resta nella propria terra e cercare di comprendere anche i legami con chi invece é qui, é stato fin dall’inizio per me una spinta ad incuriosirmi ancora di più, a voler capire con i miei occhi quello che è realmente questo paese “sballottato” tra una visione filo-russa e una più filo-europeista, frutto di una storia faticosa, ancora molto recente e "fresca".
Parto con tanti dubbi e tante domande per la testa, con la paura di non sapere gestire le storie che incontrerò, con la consapevolezza di fare un pezzettino in un percorso già iniziato da qualcun altro e che qualcun altro poi continuerà, ma con la voglia di conoscere e capire, di immergermi in un mondo e in delle storie nuove che sapranno mettermi alla prova e che sapranno aprire nuove riflessioni, nuove visioni e nuovi percorsi.
Parto con gli occhi carichi di tutte quelle persone che mi sostengono nel quotidiano e senza le quali, probabilmente, non sarei partita.
Il mio percorso è sempre stato accompagnato da un’instancabile voglia di andare, capire, spalancare gli occhi sul mondo e sulle persone che incontro: frutto un po’ della genetica, un po’ degli eventi… 
"Questa è una storia
da raccontare.
Può andare bene,
può andare male,
ma non si sa 
qual'è il finale.
Bisogna andare,
comunque andare
a camminare
sulla terrazza
con vista mondo,
dove ogni alba
è anche un tramonto.
Si va si va,
ma dove si va?
Chissà chissà,
paura non ho.
E questa vita mia
è tutto quel che ho,
più breve lei sarà
e più forte canterò" 

(L'arca di Noé, Mannarino)
Ora mi guardo attorno e vedo di fianco a me i miei compagni di avventura e saperli vicini nei pensieri, nelle sensazioni e nelle emozioni, anche se a breve saremo un po’ tutti sparsi per il mondo, mi carica. 
Voglio immaginare l’anno che mi si prospetta davanti proprio come una bella camminata in montagna: certa che tra gli alti e i bassi dei sentieri che ci troveremo a percorrere riusciremo ad essere capaci di scorgere nuove prospettive, nuovi pezzi di mondo e nuovi sguardi.
Profondamente grata di poter essere qui, a scrivere con tutti voi un nuovo capitolo... E allora si va, rotolando verso est!


Lisa