giovedì 5 settembre 2019

Nairobi. “Africa è”

Cos'è Africa? 
Trascorse tre settimane di cantiere a Nairobi possiamo dire che Africa è mille colori, sguardi e sorrisi.
È balli, canti e risate fragorose e spontanee.
È confusione in città, traffico sulle strade e soprattutto caos nella testa.
È stare ore e ore in coda senza lasciarsi mai prendere dallo sconforto.
È cucinare un risotto per 13, tagliare e pelare ogni sera chili di patate o di carote.
È bambini che ti corrono incontro per salutarti o semplicemente darti la mano.
È puzza di plastica che brucia ma anche profumo di un chaparro che cucina chapati.
È lezione di acrobatica che ti fa sudare ma di cui poi rimani soddisfatto.
È calma di Cafasso House e fatica nei campi la mattina.
È infinite partite di calcio e pallavolo sotto il sole cocente del pomeriggio con i nostri ragazzi.
È rimanere svegli a parlare per ore fino a tardi la sera.
È soffrire per farsi fare le tanto desiderate treccine e sciogliersele il giorno dopo.
È Sister Gertrude e Benedict.
È pulire e tagliare il cabbage dell’intero orto di Cafasso parlando di gossip tra ragazze.
È YCTC e chiacchiere con i ragazzi.
È scoperta di un mondo diverso, assurdo ma forse per quello così affascinante. 
È campanella che suona per scandire la giornata.
È ritrovarsi tutti per bere il chai bollente delle 10.30.
È ugali, sukuma wiki e ghitheri ogni giorno aspettando con ansia i chapati del venerdi sera.
È strade con matatu e piki-piki ad ogni angolo.
È compagni di viaggio da scoprire.
È forzata condivisione di ogni goccia d’acqua.
È nutella e mandazi prima di andare a dormire.
È svegliarsi il mercoledì mattina e saltare giù dal letto per controllare se è arrivata finalmente l'acqua.
È farsi prossimo.
È Korogocho, Mathare e Soweto ma anche Kibiko, Napenda kuishi e G9.
È pianto in silenzio ma anche sorriso nel capire che non solo tu provi quel senso di tristezza infinita.
È incomprensione e turbamento.
È condivisione e confronto.
È post-it colorati e parola del giorno. 
È "Dove e quando" come sottofondo fisso a casa e sul matatu privato.
È tazze rosa di Cafasso portate a casa e personalizzate con nastro adesivo.
È "fare serata" all'Africano.
È imprevisti come finire il gas e rimediare prendendo pollo, patatine, samoza, chapati, birra e coca d’asporto.
È "ragazzi dividiamoci tra mercato e tumaini" per fare la spesa.
È risparmiare ogni singolo scellino.
È “Pandana" e "African beauty" a tutte le ore.
È tempo che si dilata e di cui si perde ogni concezione.
È ballare tre ore a Kibiko senza rendersene conto.
È il primo emozionante viaggio in piki-piki e un fantastico matatu da 21.
È storie che ti entrano nel cuore e che lì rimangono.
È silenzio, imbarazzo, difficoltà.
È incontri e ascolto.
È imparare da persone che non hanno nulla, se non un'infinità di cose da insegnarti.
È passare davanti al banchetto di Juliet tornando a casa e fermarsi a chiacchierare.
È stoffe colorate cucite tutte dalla povera Bila.
È diventare abili professionisti nel contrattare al masai market.
È lavatrici eterne che poi, in fondo, non lavano.
È riuscire a lavare a otto mani un esercito di calzini bianchi, ormai diventati arancioni, senza arrendersi.
È terra rossa, terra rossa ovunque.
È safari in bici e fatica nel pedalare sotto il sole cocente dell’una.
È urlare “prendila!” quando vedi una giraffa che corre.
È avere paura che gli ippopotami ti attacchino da una barchetta traballante in mezzo al lago.
È essere un "muzungo" in mezzo alla folla e dimenticare di esserlo.
È scarpe sporche e magliette bianche che non torneranno più come prima.
È braccialetti colorati ed estenuanti lezioni per imparare a farli.
È aiutarsi a lavare i capelli con catino e bottiglia.
È vedere i tuoi compagni addormentarsi in ogni dove e svegliarli di soprassalto.
È tornare e sentire un senso di vuoto.
È semplicemente "home".
Forse (sicuramente) Africa è molto più di questo, ma questa è la nostra Africa.



Asante sana Africa!
 Vittoria e Laura

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