martedì 13 settembre 2011

Per amare bisogna conoscere

Partenza 4 agosto. Ore 5 ritrovo in aeroporto. Il gruppo mi aspettava. Ero terribilmente in ritardo. Ma grazie a questo ritardo ho preso coscienza di cosa stavo per fare e mi sono detta “Je, stai andando in Perù”. Fino ad allora non mi sembrava vero, non mi sembrava diverso da una vacanza normalissima a cui sono abituata. Il viaggio fortunatamente è lungo, e mi incomincio ad abituare sempre più all’idea. Arriviamo a Lima, Giovanni ci aspetta all’aeroporto. A guidare, eh si, ahimè, è il direttore del collegio di Sayan che, per arrotondare, fa l’autista di combi. Si entra, così, piano piano in un mondo e in una cultura piena e intrisa di contraddizioni. Non saprei nemmeno da dove cominciare a parlare del Perù. Le problematiche sono tante, dalla violenza famigliare, soprattutto sulle donne, ai maltrattamenti e abusi su bambini e bambine, alla famiglia che non esiste, donne sole con figli, donne che vivono con il compagno che, molto probabilmente, non è il padre dei figli della donna, il quale quasi certamente ha altri figli con un’altra donna, uomini soli con figli, ragazze madri (13, 14, 15 anni) che spesso lasciano i figli ai nonni, se non riescono ad abortire prima, illegalmente. Per non parlare della corruzione statale, della polizia, dei soldi che a Lima ci sono e a Lima restano, spariti tra i governanti. Eh si, il Perù sembra un paese in crescita, il PIL è in aumento… fandonie! Il PIL in aumento è il PIL di Lima, tutto quello che non è Lima, non è niente, non viene censito, non viene considerato. Il Perù è una realtà strana, una realtà contraddittoria, una realtà mascherata.


Noi abbiamo toccato con mano i problemi dei bambini che vedevamo tutti giorni alla scuola primaria (le elementari nostre) e al pronai (alla scuola materna) all’oratorio e dai racconti che Giovanni e Chiara ci facevamo. Abbiamo incontrato una ragazza tredicenne incinta di 5 mesi, abbiamo conosciuto famiglie devastate, madri e padri soli.

Ma per noi il Perù non è stato solo “problematico”. Siamo stati accolti da una comunità che ci ha voluto bene, siamo stati abitanti di Sayan quasi a tutti gli effetti. Tra mercato, oratorio, scuola primaria e scuola materna, eravamo ormai accettati e davvero ben voluti, nonostante le diffidenze inziali. Abbiamo giocato al Sapo, ballato, bevuto birra e festeggiato con la comunità la nostra partenza… sono stati degli amici, dei carissimi amici.

La nostra presenza lì… beh, c’è chi ci ha ringraziato del bel “lavoro” fatto per coinvolgere quella ragazza tredicenne che, dopo la scoperta della gravidanza, si era allontanata, e rintanata, un po’ da tutto; Giovanni ci ha ringraziato del lavoro fatto con i ragazzi del doposcuola; che ci ha visto cambiati, le maestre del pronai ci hanno chiesto se saremmo tornate. Beh, probabilmente non siamo stati del tutto inutili, anche se un senso di impotenza ci invadeva. Più parlavamo del Perù, più lo conoscevamo, più entravamo in storie di vita sconvolgenti, più ci sentivamo piccolini, delle gocce minuscole in un oceano immenso, quello pacifico, insomma INUTILI. Ma forse era proprio questo il senso del nostro stare lì, non potevamo cambiare la loro condizione, potevamo solo stare, sostare, conoscendo e condividendo le loro angosce, a volte strazianti, che Chiara ci riferiva con occhi lucidi. Noi assorbivamo. Assorbivamo tutto, come spugne, interrogavamo assetati di sapere, cercavamo di conoscere questa realtà da sanare. Ingoiavamo a denti stretti quanto ci veniva detto e sperimentato. Abbiamo AMATO questa realtà. L’abbiamo conosciuta e amata. Noi siamo stati lì per amare sorridendo, con un naso rosso da pagliaccio e un palloncino in testa a mo’ di cappello.
"Ci impegnamo, non per riordinare il mondo, non per rifarlo su misura, ma per amarlo; per amare anche quello che non possiamo accettare, anche quello che non è amabile, anche quello che pare rifiutarsi all’amore, poiché dietro ogni volto e sotto ogni cuore, c’è, insieme ad una grande sete d’amore, il volto e il cuore dell’amore"
(Primo Mazzolari)

Jessica

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