Il mondo dell'uomo è
pieno di confini. Lo abbiamo costruito noi così. Abbiamo voluto noi
i confini che separassero gli stati. E così sono cominciate le
guerre per ingrandire i propri confini, per allargarsi e diventare
più potenti.
Il confine delimita,
circonda il mio spazio e lo separa dal tuo. Se invadi il mio spazio,
mi sento schiacciare, mi sento oltraggiato.
Eppure non è sempre
così. Posso anche lasciarmi invadere, senza arrendermi, senza
spaventarmi, semplicemente aprendo i miei confini per Accogliere
l'altro.
La Moldova è stato
un po' questo lasciarmi invadere da quanto vivevo, da quanto vedevo,
da quanto respiravo, da quanto assaporavo, andando oltre qualsiasi
confine.
Sconfinando, appunto (per usare un termine che sia in
tema)
.
Già, perché la
Moldova mi ha aiutato a “Sconfinare”, prima di tutto, i miei
confini mentali. Ho dovuto mettermi in gioco con tutta me stessa,
tentando di andare oltre le mie “paturnie” ed è così che mi
sono riscoperta. Io, l'eterna indecisa che prima di fare qualsiasi
passo nella vita, passa ore, giorni a domandarsi: “Farò bene? É
la scelta giusta? Ma se faccio il contrario? Beh, potrei fare anche
così, in effetti...”, ho lasciato che la Moldova mi prendesse alla
sprovvista.
Come si può
rifiutare il frutto appena raccolto dall'albero che i bambini ti
offrono con le loro manine sporche di terra e un gigante sorriso
sdentato?
Ho imparato a non
farmi troppe domande, ad accettare il dono e a mangiare il frutto
insieme, grata a loro per essersi messi in punta di piedi e aver
colto quel frutto per me. Non importavano più le raccomandazioni da
parte di tutti prima di partire “Stai attenta all'acqua, alla
frutta, ecc...”, quello che contava era il gesto che qualcuno aveva
fatto per me. E quello che ne è derivato è stata profonda
Gratitudine.
La Moldova è stata
infatti, prima di tutto,
Condivisione. O forse sarebbe
meglio dire,
Mettere in Comunione ciò che si aveva e quello
che si era con l'altro, chiunque esso fosse. Dalla banale crema
contro insetti e macchie strane che potevano comparire sulla nostra
pelle alle preoccupazioni reciproche e alle emozioni che, giorno per
giorno, ci siamo trovati a vivere.
In Moldova ognuno ha
rinunciato al suo spazio ma senza troppi sforzi o rimpianti. Nessuno
ha costruito muri o barriere per delimitare il proprio materasso
nell'aula della scuola sovietica che ci ospitava. Eravamo una grande
famiglia di venti persone, italiane e moldave, che tutti i giorni
viveva la propria quotidianità fatta di lavoro, giochi, pasti,
docce, pulizia. Ed è stata proprio in questa quotidianità, vissuta
giorno per giorno, che è racchiusa la “magia moldava.”
La lingua non è mai
stata un problema, c'erano i gesti.
Il cibo non è mai
stato un problema, si univa la tradizione moldava a quella italiana,
ci si veniva incontro, ognuno
metteva
in comunione con l'altro quanto sapeva e quanto poteva ed
era così che ci si impegnava per preparare i pasti per tutti.
Le differenze
c'erano ma stava a noi decidere se farle diventare un problema oppure
andare oltre, Sconfinare, appunto. Abbiamo sempre optato per la
seconda possibilità. Dopotutto siamo sempre noi a scegliere come
vedere le cose.
Inoltre, prima di
partire c'erano arrivate voci che i volontari moldavi sarebbero stati
un po' “tamarri”, come la musica che ascoltano. Io mi immaginavo
già impegnata a costruire dei tappi per evitare di tornare sorda.
Invece, come è finita? É finita che siamo atterrate lunedì sera in
Italia e la prima cosa che ho fatto martedì mattina è stata
scaricare quelle canzoni moldave che hanno fatto da colonna sonora al
nostro cantiere, facendoci emozionare, facendoci ballare fino allo
sfinimento e unendoci sempre di più. Anche questo è stato un modo
per Sconfinare: andare oltre qualsiasi aspettativa e pregiudizio,
lasciandoci coinvolgere dai balli e dall'energia dei volontari
moldavi.
La Moldova è stata
Concretezza. La Concretezza del contatto fisico con i bambini
e le ragazze disabili dell'internat: centinaia di ragazze e donne che
ricercavano, costantemente, un abbraccio, una carezza, una semplice
contatto, quasi a verificare se fossimo davvero lì con loro, e noi
eravamo lì, forse un po' impreparate ma disposte ad Accoglierle e a
Donare quanto potevamo, secondo le nostre capacità e i nostri
limiti; la Concretezza dei calli sulle mani dopo aver vangato un
pomeriggio intero il pezzetto di giardino dell'anziana signora; la
Concretezza dell'umiltà della casa della signora alla quale abbiamo
portato il pranzo; la Concretezza della terra polverosa e sassosa
sulla quale abbiamo strisciato decine e decine di volte per giocare a
“Sarpele”, senza tirarci indietro; la Concretezza del pane
delizioso che, affamati, noi volontari strappavamo con le mani, dopo
una lunga giornata; la concretezza del fuoco attorno al quale abbiamo
cantato e ballato le danze moldave gli ultimi giorni ad Ucrainca…

Una delle cose più
concrete che custodisco gelosamente nella “scatola dei ricordi
moldavi” è il piccolo martello giocattolo che il piccolo M. mi ha
regalato l'ultimo giorno, prima di salutarci. La mattina, appena M.
arrivava con i sui “fratellini” dell'internat, mi cercava con lo
sguardo e mi correva incontro. L'ultimo giorno ha fatto lo stesso e
poi ha tirato fuori dalla tasca il piccolo martelletto grigio. Come
ogni giorno, in rumeno, mi ha raccontato qualcosa che io non sono
riuscita a capire ma lui era abituato, ormai i nostri discorsi erano
sempre così, io lo ascoltavo e poi sorridevo. A lui andava bene
anche così. Poi mi ha donato il piccolo martello, più prezioso di
un diamante. Ancora una volta sono stata presa alla sprovvista, senza
difese,
senza confini mi
sono trovata ad Accogliere.
La Moldova è stata
anche
Stupore.
Mi sono stupita del suo cielo stellato.
Mi sono stupita
della Semplicità con cui si può vivere ancora nel 2016.
Mi sono stupita
davanti a due parole sussurrate nell'orecchio da una bambina inferma,
imprigionata in un corpo che la condanna alla sedia a rotelle.
Mi sono stupita dei
piccoli gesti di attenzione e cura tra tutti noi volontari. Era
importante che stessimo bene e per questo avevamo sempre a cuore la
salute dell'altro.
Mi sono stupita
dell'Accoglienza dei parinte e delle loro famiglie che ci sono sempre
stati vicini, cercando di farci sentire a casa.
Soprattutto, però,
mi sono stupita delle
Relazioni che si sono create. Mi sono
davvero resa conto che se c'è una cosa per la quale vale la pena
spendersi, nella vita, sono proprio le Relazioni. Vale la pena non
risparmiarsi, non farsi fermare dalla paura o dall'idea che “tanto
tra una settimana devo già salutare tutti”. Non importa la
quantità di tempo, ma la sua qualità e questo la Moldova me lo ha
fatto toccare con mano, e con il cuore, soprattutto.
É stato il piccolo
M., il bambino dalle ciabattine blu e i piedini impolverati ma dal
viso dolce e vispo, ad insegnarmi che
quando si AMA non esistono
confini.
Grazie
a lui, a tutti i bambini e a
tutti i volontari che abbiamo
incontrato, ho scoperto
il senso dello “Sconfinare”. O
almeno, il senso che, ora,
questa parola ha per me.
Martina