venerdì 2 agosto 2019

Rane bollite


Domani parto, vado in Libano e ci starò per un po'. La valigia è pronta, ma l’ho già aperta e disfatta almeno quattro volte per controllare che tutto sia al proprio posto (che poi… “tutto” cosa?). Non ho mai imparato a fare le valigie, ho sempre riempito tutto lo spazio vuoto con vestiti per ogni evenienza e cose che –posso dirlo tranquillamente- avrei fatto meglio a lasciare a casa. È come se, in qualche modo, riempire la valigia prima di partire fino a far saltare la cerniera mi tranquillizzasse. Una sorta di horror vacui della valigia, potrei definirlo.
L’ultimo viaggio che ho fatto mi ha costretta a partire con l’essenziale e questo ha evitato la classica scena di me, seduta sulla valigia in aeroporto, mentre cerco disperatamente di far congiungere i due lembi della cerniera. Ma lasciare casa con lo stretto indispensabile mi ha insegnato che si può tornare con mezzo chilo di sabbia rossa del deserto del Sahara, per esempio, e che la valigia piena dell’andata è sempre stata solo una rassicurazione della quale avevo bisogno per me stessa.
Mentre ripiego le magliette il mio pensiero va a Silvia, Silvia Romano. Non credo di essermi sentita tanto vicina ad una persona che mai ho conosciuto. Guardo mia mamma che passa dal corridoio e penso alla mamma di Silvia, a quanto sia difficile per lei arrivare a fine giornata. Se fosse qui le direi una sola cosa: che di sua figlia deve essere solamente orgogliosa. Chi ha fatto almeno un viaggio di volontariato lo sa, per decidere di partire ci vuole coraggio. Non si parte con l’intento di cambiare il mondo e non si parte tanto per partire; voler intraprendere un’esperienza di volontariato è una delle cose più serie che si possa decidere di fare.
E oggi decidere di non star fermi significa non accettare passivamente tutto il degrado, le vessazioni, la scomparsa dei valori e dell’etica che derivano da questo continuo subire, in silenzio, senza mai reagire. Oggi decidere di decidere è l’unico modo per non diventare rane bollite *

* “Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce – semplicemente – morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell'acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.” Tratto dal libro “Media e Potere” di Noam Chomsky

Cosa fare quindi? Avere la determinazione di saltare fuori dall'acqua che si riscalda finché se ne hanno ancora le forze, prima che sia troppo tardi. Farsi condizionare il meno possibile dall'odio e dall'indifferenza.
Eppure ci sono giorni più difficili in cui mi sembra di vivere solo tra rane bollite, rane che gracidano un odio assordante e sputano rabbia. Giorni in cui mi sembra di vivere in un mondo al contrario e maledettamente ingiusto, nel quale non si riflette più neanche prima di pensare, nel quale tutto diventa un caso politico, prima ancora che umano, nel quale solo una foto sulla prima pagina dei giornali ci fa aprire per un attimo gli occhi dal nostro sonno indifferente. Ma possibile che abbiamo bisogno di fotografie che ci sbattano davanti agli occhi l’orrore umano per smuoverci anche solo per qualche attimo? Forse è perché ci stiamo abituando al ribrezzo o, meglio ancora, ci stiamo facendo seppellire da sentimenti di becero individualismo e dispersivo collettivismo.
Ma forse è proprio questo il tempo giusto per vivere nel rischio. Ray Bradbury scrisse: “Vivere nel rischio significa saltare da uno strapiombo e costruirsi le ali mentre si precipita”. Così noi dobbiamo essere rane che hanno il coraggio si saltare fuori, anche senza certezze e senza essere sicure di farcela. Tutto questo però ad un’unica condizione: impegnandosi a “volare”.
Io domani parto e parto perché non voglio diventare una rana bollita o perlomeno voglio essere una rana consapevole. Io domani parto perché posso farlo, perché ho la libertà di spostarmi, di oltrepassare i confini sapendo che nessun abisso inghiottirà il mio corpo.
Quante volte diamo tutto per scontato?

Anna Gritti

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