lunedì 18 dicembre 2006

I primi calci del piccolo Mark

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Sono ormai alcuni mesi che ho la possibilità di visitare ad Istanbul le famiglie degli iracheni richiedenti asilo.

Quel giorno siamo andati presso la casa di una ragazza che ben conoscevo poiché frequentava l'attività scolastica presso Caritas ed era impegnata come animatrice nell'oratorio.


La madre qualche giorno prima mi aveva chiesto perché andassimo sempre a visitare altre famiglie e non la loro. Certo che tra circa 400 famiglie non è facile arrivare da tutti, almeno in tempi brevi... ma finalmente ci siamo decisi ad andare da Ranya.


Siamo arrivati in un piccolo appartamento di due stanze, che non aveva tanto di diverso da molti altri. L'alloggio ospitava 8 persone, tra le quali vi era anche Mark: un piccolo torello di 2 anni che andava a nascondersi tra le braccia della madre non appena provavamo a chiamarlo. Nonostante la sua timidezza iniziale, è diventato presto il centro d'attenzione per tutti e, forse comprendendo che si parlava soprattutto di lui, piano piano passando dalle braccia della madre a quelle dello zio e delle zie ha iniziato ad alzare la testa e a mostrare il suo petto.

In una famiglia che sta attraversando un momento veramente difficile, che sta vivendo in un forte stato di depressione, la vitalità di un bambino riesce sempre a strappare qualche sorriso. Così Mark, abbandonandosi a qualche sguardo esploratore, aprendo lentamente gli occhi e allargando un riso provocatorio, ha finalmente dato il via alla conquista di nuovi amici e si è liberato nell'espressione di tutta la sua vivacità di bambino.
Nella stanza di 3 metri per 3 si è messo alla ricerca della "toba", il pallone, quel fantastico strumento per giocare a calcio ancora talmente grande per lui che praticamente gli arrivava fino al ginocchio. E' così cominciato in quel mini campo, l'allenamento di un piccolo calciatore in erba, e subito la casa si è riempita di altri colori, sensazioni, e... suoni!


Non più timidezza, non più coccole protettive, ma un contatto mediato dal gioco, tanti sorrisi e qualche grida di accompagnamento. E che esplosione ad ogni goal! Non importa se le dimensioni del campo erano ben al di sotto delle regolamentari, se i giocatori non fossero super allenati e pagati, se ci fosse un cerchio di letti al posto delle tribune... ad ogni tocco della "toba" un'emozione forte raggiungeva tutti mentre il piccolo maradona si lanciava da una parte all'altra, sotto i letti, dietro la porta per ricominciare ogni volta il gioco.

Siamo andati via che ci sembrava di aver vinto un grande derby, e sicuramente abbiamo ricevuto un gran premio.


di Pietro Boni
operatore Caritas Ambrosiana/CELIM ad Istanbul