venerdì 29 agosto 2008

Sarah, angelo all'inferno.

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Oggi il mondo mi fa schifo.

Camminavo tra quelle “strade” con lo spirito che avevo ad Auschwitz. Solo che qui le persone erano ancora vive. Ancora. Sarah almeno per ora.

Ci avviciniamo alla “scuola” di questa baraccopoli e vedo una bambina alta tanto quanto il mio ginocchio, a piedi nudi, in mezzo allo schifo, in una specie di fosso, appoggiata ad una parete che non riesce a passare. Piange. Non è giusto che sia li. Dovrebbe esserci vicino a lei una mamma che le ha comprato un sacco di vestiti e di scarpe, quelle che ti fanno impazzire da quanto sono piccoline; che non la lascia andare in giro da sola neanche per casa. Ma quale casa?


La ferrovia passa qua in mezzo, nella larghezza di 6 metri. Ci fermiamo perchè sta per arrivare il treno. Mi riposo un po’. Volto gli occhi e un panorama di tetti di lamiera invade la mia testa. Come quelli che vedi nei libri di scuola, quelle foto che guardi un attimo, ma giri subito pagina perchè lo sai che ci sono queste cose, ma cosa ci puoi fare tu? E poi mica è colpa tua, oh!

Sarah ci accompagna in questo nostro giro. Sarah è una donna bella con gli occhi che ridono sorridendo.
A un certo punto ci fa entrare in una baracca e non capisco bene perchè.
Poi ci spiega.
È casa sua.
Una minuscola stanza con un sacco di cose accatastate alle pareti; un tavolino in mezzo circondato da tre “panchette”. Una parete è un lenzuolo che copre la stanza da letto. La stanza in cui siamo ora è cucina, salottino..tutto quello che non è stanza da letto.

Ne va fiera.

Ci sediamo e ci chiede se può offrirci da bere.
Cerchiamo di rifiutare, ma insiste.
Poi esce per tornare poco dopo con una bottiglia di coca, una di sprite, una di fanta e una di limonata. Sorridendo le appoggia sul tavolino. Poi si gira, si abbassa e tira fuori dei bicchieri. Si ferma e va nell’ “altra stanza” tornando con un fazzoletto con cui li spolvera. Le chiediamo cosa vuole, ma lei risponde che ha già la sua cosa da bere e sparisce di nuovo per tornare con una bottiglia di fanta già cominciata. Rimane in piedi perchè per lei non cè più posto e ci racconta che vive li con suo marito (un elettricista), suo figlio, sua nipote e un ragazzo che hanno “adottato”. È fiera e contenta della sua famiglia. E della sua casa. Si libera un posto e la invitiamo a sedersi. Io la guardo e...

No Sarah. Tu non puoi.
Mi viene il sospetto che Sarah abbia l’aids.
No Sarah, tu non puoi.
Le carte ci sono.

Brutta tosse -Sarah, smettila di tossire, cazzo!-; foulard in testa -togliti quello stupido foluard Sarah!-; voce bassa –alza la voce Sarah, maledizione!- e macchie sulla pelle –vatti a lavare la faccia Sarah, ti prego, vatti a lavare la faccia...-.
No Sarah, tu non puoi.

Ci ringrazia per essere li con lei, è molto contenta ci dice. Ci fa vedere delle foto. Sarah, in queste foto non avevi il foulard, perchè ora ce l’hai? Toglitelo Sarah, per favore.
Arriva suo figlio e lei ce lo presenta parlando con gli occhi.
Usciamo e facciamo una foto tutti insieme. Ci avviamo verso l’uscita della baraccopoli, dove ci saluta uno ad uno. Dicendoci infine:

grazie, vi porterò nel mio cuore per sempre. È stato uno dei giorni più belli della mia vita.

No Sarah, tu non devi.

Oggi, amico Dio, stammi pure alla larga che tanto io non ho nessuna voglia di vederti.

Oggi il mondo fa schifo.




mercoledì 27 agosto 2008

27agosto2008

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Cavoli, già il 27 agosto

Cavoli, già le 13ed59

Trapoco è Italia

Trapokissimo è Sara ke mi passa a prendere

Devo scrivere in fretta

Stamattina seconda giornata del 1° meeting cattolico nazionale degli amministratori delle prigioni

Lo ha organizzato AbbaGirma

Ke giustamente ne è molto fiero

Altrettanto giustamente è tutto in amarico

Ma la mia presenza è rikiesta

Pranzo anke con loro

La mia conversazione in amarico è: “Come stai? Io sto bene. Oggi c’è il sole. Buon appetito. Non mangio solo questo. Faccio tanti giri a prendere minestra e pesce”

Poi mi alzo. So che il mio amarico non mi consente tanto, né in virtuosismi né in ironia

Cammino. Leggo qualche avviso di offerte di lavoro

C’è anche quello che abbiamo scritto noi. Per l’ufficio del cappellano. Mi kiedo se il nostro candidato abbia mandato il curriculum vitae. Forse andrebbe sollecitato. Ne parlerò con Abba.

Cammino verso la Chiesa. Sarebbe la mia parrokkia, ma solitamente vado a San Salvatore. Messa in italiano.

Non riesco a parlare a Dio in inglese, figurati in amarico. Non sono così semplice.

Talvolta passo di qua a pregare. Certe volte sono + ispirato, altre volte giusto un saluto. Per non perdere l’abitudine. Poi c’era stata la Pasqua

Inizio a pensare ke alcuni luoghi potrebbe essere l’ultima volta ke. Kissenefrega, allontano il pensiero, e cerco cogli okki Sami

Prima era qua ad incidere un cd cogli amici. È l’una, ora saranno a mangiare a casa

Incrocio uno zebegna, uno dei 4 guardiani; non l’avevo ancora incontrato da quando son tornato dal Kenya. Mi saluta, come stai, come sto. Indica in alto. Whoa. Acqua. Pioverà

Non è una previsione azzardatissima, piove tutti i giorni

Mi siedo di fronte alla Chiesa. Appoggio la skiena ad un vaso di fiori lillà

Guardo il cielo, sembra quasi africano. Penso

Dalla chiesa escono uno, due, tre bimbi. Devo avere ancora addosso l’odore di bambini e giochi e balli. 700 bambini non vengono via facilmente, e questi 3 se ne sono accorti, perché mi siedono intorno

Una bimba + grandicella, e 2 più piccoli. Discreti

Chiedo i nomi, mi kiedono il mio. Si kiama come mio fratello. Mi kiamo come il loro nonno. Mi kiedono come si kiama mio nonno e se i miei genitori sono cattolici

E quanti fratelli avete? Siamo solo noi 3, ma lei è sorella, non fratello

Già

Tu?

Una conversazione facile, si esaurisce brevemente

Pazientano, in silenzio. Al mio fianco. Aspettano ke faccia sparire 1 fazzoletto?

Mi kiedono cosa faccia qua. Ho appena mangiato, lavoro qua

Noi non abbiamo mangiato, che casa nostra è lontana

Ah

Tu vivi qua? In Bole? Pensano subito alla ricca via

No, nella via somala, qui vicino

Ma lontano dall’Italia, osserva la quindicenne

Sì, lontano

Pioviggina

Il + piccolo ha la faccia simpaticissima. Vuole sapere Italia dove

Milan

Ahh, Milano, corregge lui. Sorrido

Questa è la vostra parrocchia? La chiesa è di tutti, mi risponde gentile la sorella maggiore

Il 2°, timido, mi indica un animale fare capolino dal cespuglio

un po' alla Paolo Sormani
Il Maestro Tartaruga! La mia sesta volta ke lo vedo. Non si faceva vivo dal 23 giugno

Oggi si lancia nello scendere una 3 gradini di pietra! Grande Maestro, tifo per te, ma da lontano, ke sei ultrariservato

Io so ke è un anzianissimo prete italiofono, ke ogni tanto si trasforma, non so come ne perché

Zampa dopo zampa trasporta la sua corazza giù. Slitta un po’ sull’ultimo gradino, ma l’impresa è da annoverare tra gli eventi etiopi del millennio

I bambini lo guardano con me, m’invitano a toccarlo

No, non lo faccio: non gli piace. La mia non è attenzione per l’animale, ma per il mutaforme sacerdote

Quando succede l’imprevedibile. Il vetusto sacerdote confuta la mia teoria comparendo. Il mio sguardo può ora abbracciare l’animale e l’uomo. Improbabile pensare ke siano gemelli

Forse quale magia a me sconosciuta. Incredibile, però adesso devo andare a parlare con Abba

I tempi del booklet, i finanziamenti della scuola, la applicancy d Shaleka

Saluto i bambini, gli dico ke lavoro qua, magari ci rivediamo

La maggiore mi dice ke ha fame

Grazie a Dio la realtà fa capolino nella finzione mentale più spesso della tartaruga

paul

martedì 26 agosto 2008

Mi mancano....

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le galline che vagano tra la spazzatura, le capre libere lungo la strada, P. Daniele, la terra dura sotto i piedi camminando verso Kamiti, i carcerati che ci salutano, il sole che brucia, i matatu che fanno inversioni pazze a kahawa, l’odore di kanyano che alla fine avevamo anche noi, 700 bambini o quel che erano che ci guardavano, il dott. Martin e le sue preghiere, Denzel e le sue mani sporche di capretto, i balloons, il grande Mattiewww, l’allegria dell’Africa, le bici di Naivasha, il frisbie, gli asini bianco-neri, l’Orizon, i nostri salumi, gli youth di Kamiti, il prosciutto kenyano coperto di salse per avere un po’ di taste,YCTC, l’ugali, il chapati, Evaristo, le zanzare, un sacco di altre cose…..

Ste

Ste alle prese con il Kenya

venerdì 1 agosto 2008

pro Dossier Etiopia (sigh..)

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Il 25 novembre 2007 prende piede ad Addis Ababa la maratona del Millennio, evento podistico la cui aura internazionale consente agli Etiopi una minimerrima manifestazione di dissenso politico. Ma quando, a farci una birra dopo la gara, gli chiedo cosa pensa di Zenawi, Belacho mi guarda male: “Siamo in un bar, Paolo. L’aria ha le orecchie”. Si sono moltiplicati gli informatori in borghese di Melès Zenaui, ********** travestito da Primo Ministro ad una festa, la sua, cominciata 17 anni fa.

Art.29, c.3: “È garantita la libertà di stampa e degli altri mass media e la libertà di produzione artistica. La libertà di stampa dovrà specificamente includere i seguenti elementi: (a) proibizione di ogni forma di censura e (b) accesso alle informazioni di interesse pubblico”.

La costituzione scopiazzata dalla fila di banchi davanti, da quelle francese, canadese e indiana, è un Pro Forma per raccattare le strette di mano del mondo, la cui coscienza è ben lieta di essere presa in giro; talmente assuefatta da avere smarrito capacità critiche e posizioni morali che vadano oltre il “Buona sera. Come stai.”, pronunciato sorridendo e senza il punto di domanda, perché la risposta, invero, non interessa. I Paesi rimirano il proprio riflesso negli altri Stati: la condotta politica altrui è valutata in base a risorse naturali interne e all’affiancamento nella “Lotta al Terrorismo”. Che poi coincide col terrorismo stesso. Quindi se Zenaui fa le ********* a Bush firmandosi col sangue somalo, George DoubleU parlerà bene di lui ai suoi compagnetti del G8.

da Stefania (a questa ragazza)
È un grottesco pingpong: per esempio, intorno all’imbrunire del 2007 una missione ONU ha visitato la regione etiope dell’Ogaden riscontrando urgenza di aiuti internazionali e timori circa il rispetto dei diritti umani nell’area. Allora il consigliere per i media di Melès impugna il microfono provando a calmare le acque (colla sola imposizione delle mani): “C’è un problema umanitario cui stiamo facendo fronte”. Dopodiché gli operatori della Croce Rossa Internazionale, accusati di appoggiare frange ribelli indipendentiste, vengon buttati fuori dalla regione. E per sigillare l’Ogaden nello scantinato dei crimini negati, il silicone è di origine controllata: “Le truppe etiopiche non stanno uccidendo civili nella regione. Stanno solo cercando di fermare i ribelli. L’Etiopia ha pur diritto di difendersi”.

Anche il mondo avrebbe il diritto di difendersi da bombe come questa di Jendayi Frazer, sottosegretario di Stato USA con delega per l’Africa. Una tesi interessante arriva da Amartya Sen, Premio Nobel per l’Economia 1998: “Nella spaventosa storia delle carestie non ce n’è mai stata una grave che abbia colpito un Paese indipendente e democratico, con una stampa relativamente libera”.

“Oh, bravo, ho letto la tua pappardella, ti sei documentato e allora? Credi di avere scritto qualcosa di nuovo? Lo so anch’io che ogni anno per gestire un avatar si consumano 1752 chilowattora, mentre un brasiliano in carne&ossa ne usa 1015. Io non perdo tempo con SecondLife, quindi mollami. *** vuoi da me?”.

Tu sei colpevole. Io sono colpevole. Riconosciamo questa responsabilità. Martin Luther King non temeva le parole dei violenti, ma il silenzio degli onesti.

Il biblista Gianfranco Ravasi e il poeta Mario Luzi camminavano sul Lungarno a Firenze e guardando nelle case le vedevano tutte fiocamente illuminate dallo stesso elettrico focolare. “Tante persone – disse il poeta – sono davanti al televisore con le mani alzate in segno di resa o di adorazione”. Non si tratta di controllo dell’informazione, questo è controllo della mente. La televisione è uno strumento pervasivo la cui fruizione quotidiana muta i processi mentali. La De Filippi e Vespa fanno passare che sia normale (anzi bello poetico geniale, scrive sardonico Baricco) che si dichiari i propri sentimenti di fronte a 10 milioni di persone, che se c’è una tragedia dobbiamo saperne tutto, montando un plastico con miniature x risolvere noi il caso, e sia partecipazione alla vita pubblica della nazione (in ultima istanza “politica” in senso ampio) nutrire un’opinione a riguardo. Il vero orrore non è la cronaca nera, è che noi abbiamo imparato che il vero orrore è la cronaca nera. Io e te siamo colpevoli –colpevoli- coi nostri porchi consumi (porchi, non parchi, rosa, non verdi: nessun errore), frutto di una maleducazione civile e intellettuale, di avvallare un sistema che esige nel mondo 150.000 morti al giorno.

Io mi faccio orrore. “Mi faccio” è da leggersi come “divento”, non come “mi provoco”.

E dove risiede la speranza? Nella nostra natura. Siamo creati ad immagine e somiglianza di Dio, ci credi? E l’incontro con Dio ha luogo nel mio limite, nella mia debolezza, nella tenebra: quando umilmente la riconosco e mi sbatto per ritrovare la luce. Colui cui si perdona tanto, ama tanto: il punto non è sbagliare meno, ma amare di più; e per amare bisogna sentirsi accolti: non ti faccio un favore per essere ringraziato, ma se non mi ringrazi ci rimango male: la gratuità del gesto non contraddice la natura erotica dell’amore (agape & eros), l’amore di scambio. Se non faccio l’esperienza dell’essere perdonato sono il fariseo che fa le cose per dire di farle, amo al minimo sindacale, non piango perché sono forte e gli altri non mi possono consolare: c’è da credere che Qualcuno stia raccogliendo le nostre lacrime in un otre che potremo utilizzare quando al nostro gameover Gli laveremo i piedi e allora non ci verrà chiesto di noi, ma dei nostri fratelli. Non ci verrà chiesto chi siamo o cosa abbiamo, ma cosa abbiamo dato.



Certo, trova la pace interiore e una moltitudine intorno a te troverà la salvezza. E la pace interiore è diversa per ognuno di noi e avviene quando la realizzazione dei nostri desideri coinciderà finalmente con la realizzazione di noi stessi. E non più con (bi)sogni indotti estranei alla nostra soggettiva umanità.

Amen.