venerdì 28 ottobre 2016

Haiti: impressioni di settembre (molto inoltrato)

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Lo so, pochi giorni ancora e siamo a novembre.
Vuoi un po' perchè i pensieri che volevo condividere sono stati messi per iscritto nel mese del nostro ritorno, vuoi un po' perchè la voglia di citare la famosa canzone della PFM era troppo forte...il titolo che ne è uscito fuori è questo qua !

In realtà, tra la scrittura del pezzo e la sua pubblicazione si è messo di mezzo un altro evento che, purtroppo, ha riportato Haiti sotto i riflettori di tutto il mondo. Questa volta, al contrario del terremoto del 2010, che ha avuto il suo epicentro nei pressi della capitale, a farne le spese maggiori del passaggio dell'uragano Matthew sono state le zone di provincia, sud e nord del paese.
Per me è stata anche l'occasione per mettere a confronto le notizie provenienti dal grande mondo delle agenzie dell'informazione e quello che ci veniva raccontato dai contatti in loco, trovando ritardi e discrepanze.

Viene proprio da pensare che piova sul bagnato, in tutti i sensi.
Sfogliando Internazionale del 14 ottobre trovo un articolo del Nouvelliste, il quotidiano haitiano con più anni di storia alle spalle, e leggo: "[...] come tutte le catastrofi che ci hanno colpito negli ultimi decenni, Matthew ci ha messo in una brutta posizione. Il paese è guidato da un governo provvisorio e da ministri praticamente inesistenti. Un governo che anche prima della catastrofe faceva fatica ad occuparsi delle strade, a lottare contro il colera, a garantire il funzionamento degli ospedali pubblici e la protezione delle vite umane e dei beni materiali dovrebbe diventare improvvisamente efficiente dopo Matthew?". Una domanda che ha in sè anche la risposta.


Tornando all'origine di questo post, faccio un breve salto indietro nel tempo condividendo qualche impressione scritta a caldo, dopo il rientro avvenuto nel mese di settembre, per il bollettino parrocchiale del mio paese:
 
Dèyè mon gen mon”. Proverbio in creolo haitiano che significa “dietro ad un monte ci sono altri monti”. È proprio quello che accade se dal caos della capitale ci si avventura sulle strade che portano fuori città e si inizia a camminare su qualche sentiero. Quando si pensa di essere giunti al punto più alto per poter godere di una buona visuale, di aver terminato la dolce fatica dell’ascesa, scopri che non è così; c’è da camminare ancora un po’. D’altronde il nome dato all’isola – Ayiti – da parte dei primi abitanti significa proprio “terra dalle alte montagne”. Sappiamo benissimo che spesso, il significato dei proverbi, non si ferma ad una semplice considerazione di quello che la realtà presenta ma possono in qualche modo alludere o riferirsi a qualcosa di più profondo.


Rientrato da poche settimane dal servizio civile ad Haiti, con ancora un po’ di termini in creolo che scorrono nella testa, faccio fatica a trovare le parole per descrivere cosa è stato questo anno. Ricordo il primo periodo: era come se fossi finito in una Babele del nuovo millennio. Una lingua incomprensibile, modi di fare differenti, gesti e usanze sconosciute. Bisognava pur cominciare da qualche parte! Le prime frasi che avevo cercato di imparare a memoria in creolo erano dei proverbi. Dall’apprendere a memoria si è poi passati al comprendere il significato delle parole, provando a decifrare il veloce flusso di suoni che mi veniva rivolto mentre parlavo con qualcuno e cercando di creare frasi che avessero un minimo di senso.
 
Ecco allora che le montagne, citate come incipit dell’articolo, non rimangono solamente scenari di qualche passeggiata, ma rimandano ad una lettura più profonda. Quel monte che finisce e che fa spazio ad un altro monte diventa immagine e metafora dello “stare” in terra straniera, prendono la forma della relazione con l’altro, immersi in una cultura differente. 
Ci sono momenti della salita in montagna che ti entusiasmano, che ti fanno crescere la passione, ti fanno aumentare l’attesa di quello che ci sarà oltre quel pendio aprendo la possibilità a nuovi orizzonti. Ci sono anche altri momenti invece in cui è la fatica ad avere la meglio, dove il passaggio in ferrata che credevi al tuo livello si trasforma in qualcosa di quasi invalicabile, quando ormai pensi di conoscere bene quelle valli…ma una volta arrivato in cima ti accorgi che ti sei sbagliato, c’è ancora da camminare!

Ecco allora il passaggio dall’apprendere a memoria al comprendere. Il più grande compagno in questo processo non può essere che il tempo. Darsi tempo, cercando di accettare i limiti legati al contesto insieme ai nostri limiti personali che emergono quando siamo messi un po’ alle strette, quando ci chiediamo se è giusto quello che ci si presenta davanti gli occhi. Troppo abituato a ricevere richieste di “fare”, è stato difficile rispondere a chi invece mi offriva la possibilità di “stare”.

Termino questo lunghissimo post citando la conclusione dell'articolo del Nouvelliste a proposito dell'uragano: "Se prima del passaggio dell'uragano il compito del governo era garantire lo svolgimento delle elezioni, oggi il suo dovere è ridare vita alle regioni messe in ginocchio dall'uragano e assicurare una buona gestione degli aiuti internazionali, evitando che si ripeta quello che è successo nel 2010 e neutralizzando i professionisti nazionali e internazionali del dirottamento di fondi. Ecco il miracolo che il governo deve realizzare".
Lo speriamo in tanti.

Matteo

lunedì 24 ottobre 2016

Aspettami!

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La casa a Seriate è stata la mia prima casa "solo mia".
L'ho abitata con tante paure, sogni, fatiche e speranze. 
Si è riempita di amici, chiacchiere, cene improvvisate, progetti, disegni. 
Ha accolto lingue diverse, zaini e amici di passaggio. 
É stata per me, allo stesso tempo, rifugio e trampolino.
Uno spazio aperto, sempre aperto.

Da quando sono andata a vivere da sola, non sono mai stata sola. 

Ho rimandato per settimane il momento in cui lasciarla, in cui chiudere in scatoloni e borse ricordi, profumi e pagine.

Ieri, dopo averlo finalmente fatto, dopo aver raccolto mesi di inciampi e di voli, ho sentito per la prima volta che sto partendo, che sono, di nuovo, in viaggio.

Sapevo che tutto questo vagare mi avrebbe riportato da te, Africa.

Aspettami.

Arugolanu, Andhra Pradesh.

bolivianitas2016: perle di volontariato dalle Ande

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Eccomi! Piacere, Anna.

Ho risposto anch'io al richiamo centripeto del web per raccogliere in questo blog compartido, condiviso, un po' di impronte di vita invece che lasciarne solo qualche manata sui vetri delle case che visito, delle vite che incontro.

Questo tratto di vita che ti pubblico è ben definito, le coordinate sono Bolivia - Caritas -Volontarietà. Bolivia è la posizione, Caritas la direzione, Volontarietà il mezzo. Fra meno di una settimana trasloco a Cochabamba: la mia candidatura al SC all'estero è andata a buon fine, ha scompigliato la prospettiva del mio futuro prossimo e intendo approfittarne a pieno degli effetti.

Cochabamba è una città per me familiare, non che ne conosca nome&titoli di ogni viuzza e mendicante, ma siccome le sue Ande hanno accolto i miei primi mesi di vita, è bastata quella manciata d'anni d'infanzia perchè l'ambiente cochala-di Cochabamba- operasse il suo imprinting e me ne affezionassi. Cercavo nel mio orizzonte europeo un luogo, un lavoro dove versare la mia precaria, ma energica professionalità,la volontà di crescere e il progetto di Caritas era indovinato. Il caso o il chaos, ciò che preferisci, per me ès toda provvidenza, ha voluto che il progetto si svolgesse fuori dalle mura-non figurative- del vecchio continente, a un salto d'Oceano, proprio nell'America Andina che conoscevo. Probabilmente è solo, fra le tante, una coincidenza, ma è la mia è non l'ho persa.

Bon, da martedì, te la conterò meglio: con l'avvento di novembre, compagnie aeree permettendo, festeggerò i defunti à la boliviana.
Pst, questa è la bolivianita, gemma semipreziosa estratta unicamente in Bolivia.Ha conquistato gusto e mercato internazionale prima che la sua patria. Qualche miss di Hollywood e pure l'argentina Kirchner ora ne sfoggia una collana, dono di Morales. Può darsi, che durante quest'annata mi ostini a trovarne una.




Ferma ad un incrocio

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Come ferma ad un incrocio mi trovo spiazzata quando tutti incominciano a camminare: credevo di aver già capito verso dove stavo andando ma qualcosa attira la mia attenzione, una persona mi fa segnale di seguirla in un'altra direzione, decido di fidarmi e con sicurezza la seguo. Mi faccio cogliere da un invito imprevisto, sento che è la cosa giusta da fare e che devo lasciare il porto sicuro per ricominciare a navigare. Il legno delle navi non mette radici ed è capace di virate improvvise ma è anche forte delle relazioni tra i compagni di viaggio.


Venezia, Cannaregio

E allora basta una chiamata: sei ancora interessata al Servizio Civile in Libano? Significa lasciare il lavoro, lasciare gli affetti e una nuova strada appena intrapresa ma anche questa volta mi fido: è una nuova occasione per partire, un'occasione per scoprire e soprattutto per incontrare. 
Avremo modo di condividere qualcosa di tutto questo sul blog, avremo sicuramente l'occasione di crescere un poco insieme ma soprattutto avremo modo di incontrare tante persone lungo il nuovo percorso.

Palermo, Ballarò


A Beirut

Ragioni di una partenza

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Car* improbabil*lettor*,

Sono certa che molte e molti si stiano interrogando su quali siano le ragioni che mi spingono ad intraprendere questo lungo viaggio oltreoceanico e ad abbandonare bruscamente le mie neonate radici napoletane. Mi accingo ad esporle

Ay Nicaragua:

1. Punto primo: di Cumbia, Rum e vestiti della Caritas






Annovero fra i primi motivi il gusto del Rum a basso prezzo, i ritmi della Cumbia che si spera ascoltati in loco regalino sensazioni più veraci che altrove e la speranza recondita di un accesso illimitato nel tempo e nello spazio ai magazzini di raccolta vestiti della caitas.


2. punto secondo: di spiagge caraibiche, delfini, surf e noci di cocco





Immancabile il richiamo della costa caraibica, delle spiagge dorate delle onde da surfare (anche se non so nuotare e l’acqua non mi piace non esludo di diventare una grande surfista), dei bagni coi delfini e l’aroma dolce del latte di cocco appena munto.


3. Punto terzo: di civilizzazione e addomesticamento dei selvaggi





Il Nicaragua non sarà per me solo luogo di svago e piacere, ma anche di serio impegno civile in continuità con le migliori tradizioni occidentali di colonialismo e conquista.




Oltre tutte queste nobilissime ragioni,scherzi a parte,a spingermi in questo viaggio nell'ignoto è un innato spirito di curiosità. Parto per dare un' occhiata e tentare di saccheggiare le risorse spirituali, culturali e umane del cuore pulsante centro americano così da poterle condividere con voi strada facendo e al mio ritorno..



Ciao a todxs

Matita

In partenza per Haiti: ESSERCI, semplicemente

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VIAGGIO.
24 ottobre 2016.
È un giorno come un altro, solo un po' più piovoso e grigio. O forse no, è un giorno strano, nuovo, un po' malinconico devo dire.
La settimana prossima la mia vita cambierà, quanto meno per un anno. Cambieranno gli odori, cambieranno i sapori, cambierà la mia casa, i volti e i paesaggi che vedrò al mio risveglio ogni mattina.

HAITI.
Chi o cosa sei? Cosa mi riservi?
Dietro al grande entusiasmo non nascondo qualche paura.

PAURA.
Perché? 
Dietro alla paura, sento che si cela un forte coraggio e una gran voglia di mettermi in gioco e scoprire.

CORAGGIO.
Ho voglia di giocare, parlare, sentire la pioggia sulla pelle, ho voglia di piangere, ho voglia di ridere, di scherzare, di pregare, di sognare, di ascoltare, di aiutare, di imparare…
Ho voglia di VIVERE, semplicemente. Vivere al 100%, vivere un nuovo posto e nuove persone, semplicemente altri Uomini, semplicemente diversi, o semplicemente molto più simili di quanto crediamo.
Desidero vedere coi miei occhi e toccare con mano: desidero ESSERCI. Essere lì perché è giusto.

Risultati immagini per foto tante mani

L’1 novembre si avvicina, e poi sarà Haiti. 

In cammino verso la Bolivia

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Camminando per la Bolivia 
Prima o poi per tutti la domanda fatidica arriverà:
Cosa vuoi fare dopo l’università?
Tu studi e sui libri ti danni
E pian piano passano gli anni.
Ma purtroppo ancora non hai ben compreso
Chi sei e cosa vuoi fare con tutto quel peso.
Così intorno a te un po’ ti inizi a guardare
E qualche piccola esperienza inizi a fare.
In Italia o all'estero non ha molta importanza
L’importante è che sia un’esperienza di sostanza.
Parlando tra amici arrivi a scoprire
Quello che il servizio civile ti può offrire
“Un’esperienza di vita e di crescita sicuramente sarà
E a capire che genere di persona vuoi essere ti aiuterà”.
Durante un’esperienza in Bolivia qualcosa ti ha colpito
Tanto che un obiettivo hai inseguito.
Tornare in Bolivia e imparare ancora di più
Attraverso un progetto che non hai fatto tu.
I tuoi valori sicuramente non dovranno mancare
Ma anche quelli degli altri ti potranno aiutare
L’ascolto, l’aiuto ma soprattutto la CArità
Dovranno essere alla base della tua personalità.
In questo viaggio con qualcuno dovrai andare
Insieme a lei tante cose potrai imparare.
L’incontro con l’altro, la vita in comunità
E cercare di aver sempre un po’ di umiltà.
In Bolivia sicuro molte cose potrai scoprire
E in questo modo ti potrai arricchire
Non solo tu ma anche altre persone
Che sul cammino andranno in apparizione.
In un anno tutta te stessa dovrai poter impiegare
E la tua esperienza poter tramandare.
Non c’è molto altro da dire
Se non un grande “in bocca al lupo” a tutti quelli che devono partire.
In Bolivia o in un altro paese
Ci rivedremo tutti alla fine del 12° mese.

A piedi verso il Libano

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vïàggio s. m. [dal provenz. viatge, fr. ant. veiage, che è il lat. viatĭcum «provvista per il viaggio» e più tardi «viaggio», der. di via «via2»; cfr. viatico]. – 1. L’andare da un luogo ad altro luogo, per lo più distante, per diporto o per necessità, con un mezzo di trasporto privato o pubblico (o anche, ma oggi raramente, a piedi)”

In Libano a piedi non ci puoi più andare. Non che una volta tutti andassero a piedi in Libano, non è proprio come andare da Senigallia a Marzocca (città di quella sconosciuta regione che sono le Marche). Però volendo avresti avuto questa possibilità. Ed ora a pensarci sarebbe stato proprio un bel viaggio. Partenza da Senigallia, poi attraverso Italia, Slovenia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Serbia, Bulgaria, Grecia, Turchia e Siria (ovviamente allungando un po’ il tragitto per fare tappa a Damasco), arrivare in Libano, a Beirut. Secondo Google Maps sono 4.005 kilometri percorribili in 819 ore. Proprio un bel viaggio, viene già voglia di partire. Dal 2010 questo viaggio però non si può più fare. Ci bloccherebbero vicino al confine tra Turchia e Siria, senza nessuna possibilità di continuare.

In viaggio verso Beirut a piedi
Allora si potrebbe fare un viaggio più breve, partire dalla Giordania e da lì, sempre camminando, attraversare Palestina e Israele, per poi entrare dal confine sud del Libano. Anche questo però non si può fare. Il confine tra Libano e Israele ormai è da anni militarizzato e i rapporti tra i due stati non sono dei più tranquilli. Meglio non dire allora che una volta anche tu hai fatto la bella vita sulle spiagge di Tel Aviv. 

Insomma, a piedi in Libano non ci puoi andare. Allora forse si potrebbe fare un viaggio a piedi visitando il Libano; su internet ci sono foto di posti spettacolari, due/tre settimane di viaggio sarebbero un ottimo modo per conoscere il paese che mi ospiterà per 10 mesi. Nemmeno questo si può fare. Il sud del paese, oltre ad essere un’aerea militarizzata da truppe internazionali, è territorio di Hezbollah. Nella zona di Sabra e Shatila non possiamo andare; nelle vicinanze del confine Siriano nemmeno. Viaggiare a piedi in Libano non si può più fare. 

Forse aveva proprio ragione la Treccani definendo il viaggio a dire che ormai raramente si viaggia a piedi. Allora anche io dovrò prendere un aereo per arrivare a Beirut. Non più 819 ore, ma 3 ore e 35 minuti. Comodamente e velocemente sorvolerò il Mediteranno. Tuttavia la mente va a quel viaggio a piedi che non posso più fare, alle cause che limitano il mio andare, alla politica e alla storia che decidono che io debba prendere un aereo. Il Libano è immerso in tutto ciò; non si può partire senza sapere il perché non si può più viaggiare a piedi verso il Libano. La mia partenza è caratterizzata da questi pensieri come lo sarà la mia vita a Beirut. Fare volontariato, mettersi a servizio degli altri in Libano richiederà percorrere mentalmente quei viaggi non più percorribili a piedi, e soprattutto cercare di comprenderli. 

Irene

Perdersi o trovarsi?

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“C’è chi viaggia per perdersi,
c’è chi viaggia per trovarsi”
G. Bufalino



Qualcuno diceva che non sono le persone che fanno i viaggi, ma i viaggi che fanno le persone.
E quindi eccomi, entusiasta ma anche spaventata, pronta per farmi plasmare da luoghi, persone, colori, profumi. Pronta per crescere assieme a ragazzi lontani, condividendo la fatica, a volte le sconfitte e più spesso i successi.

Pronta, sì. Anche se non lo si è mai davvero. Partiamo con una montagna di aspettative, idee, sogni, che probabilmente non vedremo soddisfatti perché noi giovani un filo matti, a volte sogniamo un po’ troppo in grande.

Pronta a scoprire, a lasciarmi trasportare in un mondo lontanissimo che già so che in poco tempo diventerà famigliare.

Pronta ma un po’ spaventata. La lingua e gli usi diversi, per non parlare della frustrazione che deriva dal dover accettare che non tutto proceda per una facile e dritta via e che a volte bisogna ricalibrare la bussola, rimettersi in gioco e in cammino.

Pronta ma spaventata dal lasciare gli affetti, che è così difficile sapere lontani, ma che danno carica e energia facendosi sentire vicini.

Pronta a condividere la vita, le gioie e i dolori, i successi e le sconfitte con qualcuno che qualche fato o qualche destino ha voluto che fosse insieme a me. Perché si sa, il dolore fa male, ma se si è in due a portarlo diventa più leggero. E perché, come dice bene il protagonista di “Into the wild”, la felicità è reale solo se è condivisa.

Pronta.
Pronti, attenti, via!
Un anno indimenticabile è appena iniziato…

Loading in Moldova

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Dopo una lunga attesa, ci siamo quasi.
Mancano solamente OTTO giorni e sarò in Moldova.
Già.
Quel luogo così "piccolo" e per qualcuno anche sconosciuto ("Ah vai in Moldavia? Ma esiste davvero?") che sarà la mia casa per i prossimi mesi.
Quel luogo che sembra così lontano e così diverso, ma che piano piano prende forma e diventa reale.
Quel luogo così sconosciuto ma che in questi mesi sto riempendo di speranze, aspettative e di curiosità.




Nel frattempo respiro quei luoghi cari e conosciuti che vivo da sempre, li trattengo e li porterò con me.
Non so se si possa essere davvero pronti, ma io mi sento così per questo viaggio, o almeno mi sto "caricando" per tutto ciò.







Una giraffa in Libano - SCE2016

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Chi mi conosce sa che ho una certa passione per le giraffe e che spesso mi sento molto “giraffa”. 
Ho una presenza a volte ingombrante, mi prendo il mio tempo per muovermi, studiare la situazione dall’alto e porto l’Africa nel cuore.

Ma cosa c’entra una giraffa con il Libano? Bella domanda! Me la sono fatta anch’io quando ho scelto il progetto SCE a Beirut, me lo sono chiesto quando mi hanno comunicato che ero stata selezionata e continuo a chiedermelo anche ora che sto per partire.

Per qualche motivo, non ancora ben identificato, tra 10 giorni sarò a Beirut per iniziare questa nuova avventura e in testa mi faccio il film della reazione che potrebbero avere gli ufficiali dell’immigrazione libanese se si vedessero arrivare all’aeroporto una giraffa vera, che scende i gradini dell’aereo con i suoi 3 metri di collo e il suo incedere lento e apparentemente impacciato. Immagino che qualcuno potrebbe essere spaventato, qualcunaltro divertito, altri ancora forse inteneriti o infastiditi.

Ecco, mi immagino il mio arrivo in Libano un po’così. So di partire per un paese che non conosco, di cui so poco e in cui dovrò sicuramente prendere le misure per capire come muovermi in spazi diversi da quelli ai quali sono abituata. Le persone che incontrerò probabilmente mi studieranno e cercheranno di capire cosa ci fa un esemplare del mio tipo in quel contesto.

Con questa idea mi sto preparando alla partenza. Dopo tante chiacchiere, adesso non vedo l’ora di essere lì per scoprire come sarà l’incontro con le persone che mi accoglieranno, vedere le espressioni sui loro volti e iniziare a prendere confidenza con la realtà locale.

Nel prossimo episodio delle mirabolanti avventure di "Una Giraffa in Libano" proverò a descrivervi quell'incontro e nel frattempo sono aperte le scommesse su quanti kg di falafel riesce a mangiare una giraffa in un giorno!

Mari


“Fate che il vostro spirito avventuroso vi porti sempre ad andare avanti per scoprire il mondo che vi circonda con le sue stranezze e le sue meraviglie. Scoprirlo significherà, per voi, amarlo.”

Kahlil Gibran

Una Giraffa in Libano




   


Sulla strada per...Haiti

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Qualcuno potrebbe affermare che questo non sia il periodo giusto per fare un bel viaggio nei Caraibi... sul fatto che il tempismo non sia mai stato il mio forte non discuto ma in questo caso non sto partendo per un viaggio, parto per vivere la mia esperienza da Servizio civilista ad Haiti, con Caritas Ambrosiana.
Mi chiamo Silvia e sono una neo laureata in Antropologia culturale...caspita, dovrei essere un'esperta di diari di viaggio, una Levi Strauss dei giorni nostri e invece....ehm....non è proprio così ma cercherò di fare del mio meglio!!

La voglia di sperimentarmi in questa nuova esperienza nasce da un amore spassionato per tutto ciò che è Altro da me, paesi, persone, storie di vita, usanze, credenze e tutto quanto potrebbe arricchirmi e aggiungere tasselli al mio bagaglio di esperienze che aspetta solo di essere riempito ed appesantito (di una pesantezza buona eh!).
Ho deciso che mi sarei imbarcata in questa esperienza, inoltre, perché penso sia importante essere cittadini attivi, non solo nella mia comunità me nel Mondo in cui vivo, credo che il Servizio Civile mi darà la possibilità di fare questo e di lavorare in maniera costruttiva secondo i principi e i valori che mi sono stati trasmessi... va beh dai dopo tutto questo non posso esimermi dal piazzare una bella frase del caro Baden Powell... vogliamo o non vogliamo “lasciare il Mondo un po' migliore di come lo abbiamo trovato” ??? Io da buona Scout ovviamente sì!!!

Sono molto ansiosa di conoscere la realtà haitiana, le persone con le quali avrò la possibilità di rapportarmi, i bambini e i ragazzi che frequenteranno il Centro di Key Chal...questa vita che ora mi sembra molto lontana tra qualche settimana sarà la mia quotidianità e io sono pronta ad immergermici appieno!

Mi piacerebbe poter dire di avere solo tante aspettative (cosa verissima) e nessuna preoccupazione ma, ahimè non è esattamente così, fortunatamente ad accompagnarmi ci sarà il collega Federico che sopporterà pazientemente i deliri di una povera e ansiosa SCE...Auguri Fede!! ;-)

Ma ora la smetto di viaggiare con la fantasia e di immaginarmi quello che sarà...tra una settimana partirò e allora avrò sicuramente molto da raccontare perché saranno esperienze vissute...e non solo immaginate!!

A presto!
Silvia

Idonea selezionata ancora in partenza

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"IDONEA SELEZIONATA" per il Kenya, Nairobi.
Questa notizia che tanto speravo di ricevere, mi ha in verità un po' spaventata quando è arrivata. Dopo due anni in Madagascar con l'ong RTM so bene cosa vuol dire questa frase: lasciare tutto, di nuovo. Il fatto che sia stata io a volerlo con tutta me stessa, non vuol dire che non sia ogni volta un sofferenza partire e lasciare tutto ciò a cui sono più affezionata. Gioia e sofferenza. Penso che non sarebbe sano se non fosse così. Riparto perché sono ancora in ricerca. Dopo due anni in Madagascar sono cresciuta molto ma so che per diventare il tipo di persona che vorrei essere da grande ho bisogno di mettermi ancora in gioco. Ho ancora bisogno di lasciarmi interrogare dagli eventi, di imparare ad amare il “diverso”, di farmi modellare dalle persone che incontro, di lanciarmi in esperienze nuove, di abbattere pregiudizi, di smussare le mie spigolosità, di lasciarmi umiliare dalle mie inadeguatezze e di rinsaldare la mia fede così fragile. Solo nell'incontro con l'altro tutto ciò è possibile.





 E' un modo per riprendere in mano la mia vita, senza lasciarmi trascinare dal vortice della vita quotidiana che mi porta ad appiattirmi, a pensare solo a me stessa, ad essere complice di un sistema che non condivido... voglio tornare ad essere una protagonista attiva del mondo, a sentirmi responsabile di quello che succede intorno a me e di poter fare la mia parte. Grandi aspettative che probabilmente non raggiungerò in un anno a Nairobi... ma d'altronde ho una vita intera per diventare la donna che vorrei essere da grande!



“Ogni volta che l’uomo si è incontrato con l’altro, ha sempre avuto davanti a se tre possibilità di scelta: fargli la guerra, isolarsi dietro a un muro o stabilire un dialogo. […] L’esperienza di tanti anni trascorsi in mezzo agli altri di paesi lontani, mi insegna che la benevolenza nei loro confronti è l’unico atteggiamento capace di far vibrare la corda dell’umanità,,


Ryszard Kapuscinski, da “l’Altro”


Giulia Caraffi

E non hai visto ancora niente!

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E non hai visto ancora niente
E non hai visto ancora niente

Eppure, eppure, eppure

milioni di serrature
non riescono a tenermi 
chiuso il cuore
(E non hai visto ancora niente, Jovanotti)

Vabbuò, tanto per scoprire un po' le carte, ho già tirato fuori Jovanotti e non sono nemmeno partita! 

Sono Silvia, ho 24 anni, domani mi laureo e il 31 Ottobre parto per il Kenya.

Non ho visto ancora niente, milioni di serrature non riescono a tenermi chiuso il cuore e nemmeno fermi i piedi!

E' un po' lo spirito con il quale mi avvicino a quest'avventura. Ho viaggiato un po' su e giù per l'Italia e qua e là in Europa ma, fino ad ora, il mio lasciapassare era la semplice e un po' spiegazzata carta d'indentità. Ora sarà il passaporto ad aprire nuovi orizzonti e strade; a segnare il tempo delle partenze e dei ritorni, ad offrirmi nuove possibilità ed incontri.

Tra una settimana sarò in un altro continente, immersa in un'altra realtà, il mio orizzonte si espande tanto da arrivare fino in Kenya, a Mombasa. Quando l'ho saputo ci ho messo un po' a realizzarlo e a convincermi che sarei partita per davvero. Tutto è diventato un po' più reale il 25 di Agosto, in cima al Monte Elmo, all'alba. Ero con la mia famiglia, finalmente in vacanza insieme dopo tanti anni e, vedendo il sole sorgere mi sono chiesta: ma come sarà l'alba in Kenya? 

Una domanda concreta, legata al quotidiano, che mi ha fatto sorridere e mi ha aiutato a riordinare un po' i tanti pensieri che mi affollavano la testa. Fino ad allora avevo tenuto la notizia un po' riservata, nemmeno i nonni lo sapevano ancora; ma quel giorno ho dato la notizia a due mie care amiche e, scendendo al rifugio, ogni passo che facevo era in una direzione ben precisa, ostinata e contraria: il mio anno di servizio civile a Mombasa.



Alba sul monte Elmo, 25 Agosto 2016





Che il mare mi porti

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Mi chiamo Giulia, ho 26 anni, sono nata a Padova e sono cresciuta in provincia.
Da piccola mi facevano molta paura gli insetti e i cani e non ero una grande amante della fatica fisica. Non so se per contrappasso o per sfida, quando ho compiuto otto anni mi sono iscritta al gruppo scout del paese per uscirne solo diciassette anni dopo.
È così (ma non solo) che è cresciuto in me il desiderio di guardare un po’ più lontano, la curiosità di conoscere quello che c’è oltre al mio emisfero e il sogno di entrare, chiedendo permesso, all’interno di altri per provare a guardare come sembra il mio visto da lì.
Sono una persona tendenzialmente molto indecisa, mia mamma dice che è così fin dalla nascita: esco?! no no, non esco.. esco?!.. umh.. aspetta un attimo che ci penso!
Ed è così che quando ho terminato le scuole superiori non sapevo cosa fare e per cercare l’ispirazione ho trascorso 8 mesi in Irlanda come Au-Pair. Quando sono tornata mi sono accorta che le idee non mi si erano proprio chiarite e fu così che, ascoltando un po' la pancia e un po' i consigli, mi sono iscritta alla facoltà di Servizio Sociale.
Gli anni dell'università sono stati molto interessanti, non solo per la mia crescita formativa ma anche personale. Un ringraziamento speciale vorrei rivolgerlo al professor Bruce Leimsidor per l’abilità e la passione con cui, dall’interno di un’aula, riusciva a mostrarci la realtà che c’era fuori e il lavoro sul campo. Durante le sue ore di lezione è nato in me l'interesse per il diritto d’asilo che mi ha portato a svolgere il tirocinio presso il Servizio di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR) di Padova, un’esperienza in Sicilia con l’associazione Borderline Sicilia Onlus e infine un lavoro come operatrice dell’accoglienza in un Centro di Accoglienza Straordinario (CAS) per richiedenti asilo.
Mentre ero in Sicilia ho potuto osservare molto da vicino il fenomeno dell’immigrazione e questo mi ha permesso di capire quanto siano diverse le cose rispetto a come vengono dipinte. Per questo, nonostante avessi un buon contratto di lavoro, ho deciso di mettermi in ricerca di altre occasioni che mi permettessero di avvicinarmi al fenomeno, con il desiderio di osservarlo da quante più angolature possibili.
Quando nel sito della Caritas Ambrosiana ho trovato il progetto di Servizio Civile Estero in Libano non ci potevo credere. E quando mi hanno chiamata per dirmi che ero stata selezionata.. ancora meno!
Manca l'ultima settimana di formazione e il due novembre si parte, direzione: Beirut.
Non vedo l'ora di imbarcarmi per questo viaggio, di prendere il largo, di remare con forza e determinazione ma anche di lasciare che il mare mi porti.
Come ogni avventura che si rispetti, incontrerò giorni di burrasca e altri di calma piatta, sarò spinta da venti forti e accarazzata dalla brezza leggera.
Un onore e un privilegio che spero di saper meritare.

Giulia

avventura

La Terra vista dalla Luna

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Quando un'anima nasce in questo paese le vengono gettate delle reti per impedire che fugga. Tu mi parli di religione, lingua e nazionalità: io cercherò di fuggire da quelle reti.

[Ritratto dell'artista da giovane, J. Joyce]


Joyce era uno che diceva che per conoscere se stessi, per comprendere le proprie origini, fosse necessario osservarle dall'esterno. Andare via, conoscere il diverso, conoscere il simile ad altro. L’inspiegabile necessità di dare un perché all'esistenza stessa. C’è chi comincia a leggere e si perde in pile e pile di manuali, enciclopedie, saggi, articoli. C’è chi si fa hippy, vegetariano, medita, eremiteggia, tra tè al ginseng e benedizioni dell’utero. C’è chi LoSaGoogle, fedele compagno dal primo risveglio all'ultimo momento serale, capitano della ciurma Wikipedia/Vimeo/Facebook e chi più ne ha più ne metta. 

E poi c’è chi viaggia, generalmente una banda di scoppiati che solo la nonna incoraggia, probabilmente perché non ha ancora capito bene dov'è 'sta Cina. C’è chi viaggia perché sì. C’è chi viaggia perché "non ci ho capito niente, e allora ci provo così". C’è anche chi viaggia perché sa perfettamente dove va, chi incontrerà, cosa farà, ma ancora non ne ho conosciuto neanche uno. Direbbe James: che chi viaggia ancora non lo sa, che scriverà di elefanti, di risciò, di tajin, di giostre, di cammelli, di giganti, di gabbiani e pappagalli, ma che poi in fondo alla pagina scriverà

se stesso.

*Yilan*


Che l'aiuto mi aiuti!

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Salve a tutti, 
con qualche rima cercherò di presentarmi,
chiedendovi in anticipo di perdonarmi.
In breve vi voglio raccontare
perché questa avventura ho deciso di affrontare.
Dopo una laurea triennale in filosofia,
ho intuito che questa strada forse non era la mia.
Ho pensato ai momenti in cui mi sono sentita me stessa,
in cui la mia persona era completamente espressa. 
Le occasioni che mi hanno più ripagato,
sono stati i gesti di volontariato.
Nell'incontro con l'altro che aiutavo
ero io in primis che ci guadagnavo.
Da lì la grande intuizione:
perché non svoltare verso questa direzione? 
Più che un filosofico ragionamento,
questa avventura può essere un chiarimento. 
Ora parto piena di fiducia e curiosità,
con la certezza che un'occasione di crescita di sicuro sarà.

lunedì 3 ottobre 2016

Sea gypsy: un altro mondo, un'altra cooperazione

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Lungo il cammino della propria vita, soprattutto quando si è in viaggio, s’incontrano un’infinità di persone. La maggior parte di esse sparirà senza lasciare alcuna traccia, ma raramente capita di incontrare qualcuno in grado di lasciarti un segno indelebile, un segno che appare senza nemmeno rendersene conto. Sono persone che ci offrono un’altra visione del mondo, che semplicemente con le loro azioni ci portano a mettere in discussione le nostre certezze presenti e a porci domande sul nostro futuro. 
Sono persone con una storia che merita di essere raccontata.

Lungo le strade dall'assolata Thailandia, io ho incontrato Maew.

Maew è una giovane donna thailandese. Originaria della remota provincia di Ranong, dal carattere forte e indipendente, racconta che era agli inizi di una sfavillante carriera tra i grattacieli di Bangkok, quando la notte di Natale del 2004, un devastante tsunami cambiò per sempre il suo Paese e la sua vita. Un maremoto che solo in Thailandia ha causato oltre 8.000 tra morti e dispersi, un grido di dolore che non poteva essere ignorato.
Così Maew ha lasciato la scintillante metropoli senza più farvi ritorno, per dirigersi nel sud del Paese ed iniziare un’esperienza di volontariato nel villaggio dei sea gypsy (letteralmente “zingari di mare”) di Thaptawan, lungo la costa delle Andamane, là dove la catastrofe aveva colpito più duramente.

Villaggio di Thaptawan
Il villaggio di Thaptawan è abitato da un gruppo sedentarizzato di Moken, tra i principali rappresentanti di un fenomeno, il nomadismo marino, ormai in via di estinzione. Difficili da quantificare per il carattere nomade della popolazione (si stima ne vivano circa 12.000 solo in Thailandia), questi gruppi minoritari di zingari di mare ancora non godono pienamente dei diritti fondamentali e ciò li rende più vulnerabili allo sfruttamento. E’ qui che dopo qualche mese dal suo arrivo Maew ha fondato il Tonkla Andaman Child Development Center (CDC) al quale ha dedicato 6 anni della sua vita, prima di sposarsi e trasferirsi in Olanda.

Reti da pesca tradizionali sulla spiaggia di Bangsak,
limitrofa al villaggio di Thaptawan
In Europa, i suoi pensieri non facevano che tornare ai bambini sea gypsy del villaggio di Thaptawan. Molti dei bambini che aveva aiutato, una volta adolescenti hanno lasciato la scuola senza raggiungere il diploma. Divise scolastiche, libri, trasporto e attività extra curriculari rendono gli studi per molti di essi troppo costosi. E anche con il diploma è difficile che la loro vita possa cambiare: non possono permettersi gli studi universitari e raramente riescono a trovare un buon lavoro. I sea gypsy hanno fama di essere pigri e sporchi tra i datori di lavoro thailandesi della zona e hanno difficoltà a relazionarsi con i turisti, non essendo abituati ad avere contatti con persone al di fuori del proprio villaggio. E’ così che il circolo vizioso dell’esclusione sociale si autoalimenta di generazione in generazione.  

Più il tempo passava, più Maew sentiva che la sua missione non era finita. Ha lavorato duramente per poter tornare a Thaptawan, dove ormai da due anni vive in pianta stabile con la sua famiglia e dove ha creato un programma di dopo scuola per i bambini sea gypsy, appoggiandosi alla struttura del Tubtawan Cultural Home, un centro culturale costruito nel cuore del villaggio grazie ai finanziamenti post-tsunami. “Anche se il programma dopo scuola si focalizza su attività ricreative e di tutorato, il nostro principale obiettivo è quello di costruire solide relazioni con i bambini, in modo tale che essi ci riconoscano come una fonte d’aiuto, quando hanno problemi scolastici o familiari, e delle figure cui chiedere consiglio, nel momento in cui devono prendere decisioni importanti per la propria vita” spiega Maew.

Tubtawan Cultural Home, il centro culturale di Thaptawan 
Maew rappresenta per questi ragazzi un rifugio sicuro quando scappano di casa perché hanno litigato con i propri genitori, i quali spesso hanno problemi legati alla disoccupazione, all'alcolismo e all’uso di sostanze stupefacenti, diventando uno sprone alla riconciliazione. 
Rappresenta un sostegno, anche economico, per coloro i quali decidono di riscriversi a scuola e ottenere il diploma. Un confronto per creare insieme un’immagine del proprio futuro, uno sforzo così distante dal mondo dei sea gypsy in cui si tende a vivere la vita giorno per giorno, senza pensare al domani. 
Rappresenta uno stimolo per chi decide di coltivare il valore del risparmio, totalmente estraneo alla loro cultura, attraverso l’apertura di un conto in banca. Per stimolarne l’uso, ogni volta che depositano del denaro sul proprio conto, Maew aggiunge qualche bath come incentivo.
Rappresenta un orientamento alla crescita personale, un aiuto ad assumersi man mano quelle responsabilità che a casa non sono abituati ad avere, per crescere e maturare con maggiore coscienza della propria vita.

Sui soffitti del centro culturale è dipinta la storia dei Moken di Thaptawan

Il suo è un approccio molto lungo e ben diverso sia dall’assistenzialismo, rappresentato dai famosi “sacchi di riso” nell’immaginario collettivo, sia dai grandi progetti scritti a tavolino e curati nel dettaglio dei big donor della cooperazione. Gli effetti di questo agire si sedimentano inevitabilmente in un tempo molto dilatato: “solo ora riesco a vedere i frutti dei semi piantati oltre dieci anni fa ed questo che mi fa andare avanti nonostante tutte le difficoltà” mi dice, con un luccichio negli occhi.
Piantiamo semi che un giorno cresceranno. Nutriamo semi già piantati da altri, sapendo che custodiscono in essi promesse future. Assicuriamo solide fondamenta a un futuro sviluppo, di cui forse non vedremo mai i risultati. Noi non possiamo fare tutto e c’è un senso di liberazione nel raggiungere questa consapevolezza. E’ nelle parole e nelle azioni di Maew che ritrovo l’importanza del distinguere tra lo stare e il fare, forse uno dei più grandi doni che si riportano a casa dopo un anno di esperienza sul campo.

Per poter finanziare il programma post scuola Maew lavora come insegnante di inglese, anche se il suo obiettivo è dedicarsi al suo progetto a tempo pieno. “L’avere più tempo libero non solo mi permetterebbe di aiutare meglio i bambini, ma mi darebbe anche la possibilità di aiutare le loro famiglie”, sottolinea Maew quando si accenna di futuro. Secondo lei, l’unico modo per spezzare il circolo vizioso dell’esclusione sociale è lavorare al fianco dei genitori, trasmettere loro l’importanza dell’insegnare ai propri figli il senso di responsabilità, mostrar loro che una vita diversa è possibile e “aprire le porte” del villaggio, favorendo sempre più contatti col mondo esterno.

Il programma post scuola prevede anche l'insegnamento della lingua inglese

Al momento nel programma dopo scuola i ragazzi sono formati attraverso una serie di attività manuali per realizzare souvenir tramite l’uso di materiali di scarto (plastica, vetro, carta, foglie, conchiglie), da poter vendere ai turisti dei resort limitrofi durante il periodo di alta stagione. Oltre alla sensibilizzazione sul valore del riciclo e allo sviluppo di una coscienza etica, l’obiettivo primario è quello di mostrare il ritorno nell'investire le proprie energie in un progetto più a lungo termine, ben diverso dal vivere alla giornata, che possa in futuro rendere sostenibili le attività del programma dopo scuola.

Le foglie dell'albero della gomma una volta essiccate e dipinte
vengono utilizzate come elemento decorativo

Se un giorno anche a voi capiterà di incamminarvi per l’assolata Thailandia, ricordate che lì, tra i lussuosi resort di Khaolak e la ridente cittadina di Takuapa, c’è un villaggio ancora fermo nel tempo, in cui potreste avere la fortuna di essere contagiati dalla prorompente energia positiva di Maew, una persona con il potere di far ricredere anche i più disillusi che un mondo migliore sia ancora possibile.

Martina Dominici, 
casco bianco Caritas Italiana in servizio in Thailandia