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giovedì 16 gennaio 2014

Numeri

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12.01.10.16.53.7.50.220000.300000.1000000.8000000000.

questi sono numeri.

ora mettiamoli in ordine con una logica. 

12.01.10, è una data, quella del terremoto in Haiti.

16.53, è l'ora esatta del sisma.

7, i gradi della scala richter del sisma.

50, i secondi che è durato il sisma.

220.000, i morti ufficiali.

300.000, i feriti ufficiali.

1.000.000, gli sfollati ufficiali.

8.000.000.000, i dollari di danni.

sono già passati 4 anni da questa tragedia immane che ha colpito l'isola, o meglio questa parte di isola, quella già più povera, più violentata, più disboscata e più densa.

nei giorni successivi al sisma, è arrivato il secondo terremoto, quello che ha portato i miliardi di dollari degli aiuti umanitari, scene da medioevo dell'assistenzialismo, dove elicotteri gettavano pacchi di viveri dall'alto e la gente sottostante che si ammazzava per recuperarli e prenderli per poter sfamarsi, o per poterli rivendere al mercato. 

dopo 4 anni i problemi dell'isola sono ancora enormi, i soldi che erano arrivati per la famosa "ricostruzione" hanno fatto una fine dubbia, tra "burocrazie" e lungaggini haitiane.

doveva essere eretto un monumento ai caduti, laddove c'era l'ufficio generale delle imposte, e ovviamente l'inaugurazione non c'è stata, il monumento non è ancora pronto.


è l'emblema di questa ricostruzione, che tarda ad arrivare, che non arriverà, che chissàquandoarriverà, ma quello che è importante ora in Haiti non è la "ricostruzione" fisica delle città distrutte, ma è la ricostruzione della società, dei diritti umani, dei diritti delle Donne e dei Bambini che vivono oggi il Paese e che sembrano non avere futuro.

Storie di Donne e Bambini, di Uomini, ma per molti, solo Numeri.



domenica 13 ottobre 2013

isole.

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Lampedusa è un'isola in mezzo al Mar Mediterraneo.

Haiti è un pezzo di isola in mezzo al Mar dei Caraibi.

Lampedusa è la destinazione di centinaia di migranti che dall'Africa cercano di entrare in Europa.

Haiti è la partenza di centinaia di Migranti che dall'America cercano di entrare in America.

Il Mar Mediterraneo è la tomba di migliaia di migranti.

Il Mar dei Caraibi è infestato dagli squali, quindi più che tomba è un banchetto.

Un detto siciliano dice: A megghiu parola è chidda ca nun si dici. 

Un detto haitiano dice: "Pito mouri anba nan reken pase mouri grangou", meglio essere mangiati dagli squali che morire di fame.

In Italia c'è ancora la legge Bossi-Fini.

Da Haiti moltissimi scappano nella vicina Repubblica Dominicana dove ci sono leggi severissime per gli immigrati, specialmente se haitiani. 

A Lampedusa c'è il CIE.

In Repubblica Dominicana ti discriminano e ti riempiono di botte appena possono se sei haitiano.

L'Italia è un Paese "unito" dal 1861.

L'America è stata "scoperta" oggi di 521 anni fa e Cristoforo Colombo è sbarcato ad Haiti. 

L'immigrazione clandestina è nata quel 12 ottobre 1492.

Oggi combattiamo l'immigrazione clandestina.

Conosco italiani che sono emigrati in America per cercare lavoro.

Conosco un haitiano che è andato da Haiti alle Bahamas su un barcone senza motore. per cercare lavoro.

Conosco storie di migranti.


Conosco migranti. 

Sono migrante.

mercoledì 18 settembre 2013

Le 3 P.

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Stavo cercando ancora lavoro in Africa, dopo aver lavorato qualche anno tra Kenya e Zambia, ero pronto a tutto (o quasi) e mi dicevo: "dovunque, ma non in posti pericolosi, non ad Haiti", commettevo l'errore di mettere questo paese sullo stesso piano della pericolosità di Mali, Somalia, Congo. 

Tempo qualche giorno e ricevo la proposta di Caritas Ambrosiana, non per l'Africa, ma per Haiti, un pezzo di Africa in America. Non potevo rifiutare. 

Ed ora eccomi qui, in questo Paese incredibile. 

Ed eccomi qui, a lavorare con Caritas Ambrosiana, nel nord-ovest del Paese, dove seguiamo tra gli altri progetti un progetto con la Caritas Diocesana per il rafforzamento delle singole Caritas Parrocchiali, per cercare di cambiare la mentalità di fare cooperazione, per far sì che le idee progettuali e i bisogni della popolazione vengano dal basso, dalle comunità locali, dalle associazioni di base, dalle parrocchie, e non calati dall'alto, come molte volte, troppo spesso, succede in progetti di cooperazione internazionale. 

Un progetto grosso, ambizioso, nato qualche mese fa, che sta avanzando lentamente, piano piano, con i suoi tempi, con le sue idee, con le sue modalità, con i suoi imprevisti, con la sua cultura, proprio come tutta la vita quotidiana haitiana. 

Pazienza. Pazienza e Pazienza. tutti quelli che ho incontrato per la prima volta qui ad Haiti mi dicevano così. 

Per vivere "bene" ad Haiti ci vogliono le 3 P. 

Dopo 4 mesi qui su questa isola, o meglio in questa parte di isola, mi sono reso conto che è proprio vero. 

Andavo cercando l'Africa, ho trovato l'America!

venerdì 31 maggio 2013

Haiti: diario della prima settimana di Francesco e Melissa

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Scalo a Miami




Sabato 25 maggio 2013
Francesco: "in coda al semaforo ho bevuto un sacchetto di acqua. Bienvenue en Haiti!"


Domenica 26 maggio 2013

Francesco: "da Port-au-prince a Port-de-paix, autostrada nazionale di Haiti, 230 km in 7 ore. ultimo 80 km di sassi. robe da matti."





Mercoledì 29 maggio 2013

Francesco: "3 giorni sull'isola della Tortuga: bambini che vanno a scuola a dorso d'asino e donne che stirano con ferro da stiro a carbone: il tempo qui si è fermato."




Giovedì 30 maggio 2013

Francesco: "mi alzo alla mattina, alle spalle le colline, di fronte l'oceano."







Venerdì 31 maggio 2013

Francesco: "nel Far West di Haiti. se sulla Tortuga il tempo si è fermato, qui Dio si è dimenticato di questo posto."






Foto e Galleria Fotografica su Flickr di Melissa Razzini

giovedì 16 luglio 2009

Non mi sento italiano..

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Questa volta prendo una canzone del signor G, Giorgio Gaber, e vi chiedo di spendere un po’ del vostro tempo a leggere questa lettera di p. Alex Zanotelli.. leggete e riflettete amici!

«Mi vergogno di essere italiano e di essere cristiano. Non avrei mai pensato che un paese come l’Italia avrebbe potuto varare una legge così razzista e xenofoba. Noi che siamo vissuti per secoli emigrando per cercare un tozzo di pane (sono 60 milioni gli italiani che vivono all’estero!), ora infliggiamo agli immigrati, peggiorandolo, lo stesso trattamento, che noi italiani abbiamo subito un po’ ovunque nel mondo.

Questa legge è stata votata sull’onda lunga di un razzismo e di una xenofobia crescenti di cui la Lega è la migliore espressione. Il cuore della legge è che il clandestino è ora un criminale. Vorrei ricordare che criminali non sono gli immigrati clandestini ma quelle strutture economico-finanziarie che obbligano le persone a emigrare. Papa Giovanni XXIII nella Pacem in Terris ci ricorda che emigrare è un diritto.

Fra le altre cose la legge prevede la tassa sul permesso di soggiorno (gli immigrati non sono già tartassati abbastanza?), le ronde, il permesso di soggiorno a punti, norme restrittive sui ricongiungimenti familiari e matrimoni misti, il carcere fino a 4 anni per gli irregolari che non rispettano l’ordine di espulsione ed infine la proibizione per una donna clandestina che partorisce in ospedale di riconoscere il proprio figlio o di iscriverlo all’anagrafe. Questa è una legislazione da apartheid, che viene da lontano: passando per la legge Turco-Napolitano fino alla non costituzionale Bossi-Fini. Tutto questo è il risultato di un mondo politico di destra e di sinistra che ha messo alla gogna lavavetri, ambulanti, rom e mendicanti. Questa è una cultura razzista che ci sta portando nel baratro dell’esclusione e dell’emarginazione.

«Questo rischia di svuotare dall’interno le garanzie costituzionali erette 60 anni fa – così hanno scritto nel loro appello gli antropologi italiani – contro il ritorno di un fascismo che rivelò se stesso nelle leggi razziali». Vorrei far notare che la nostra Costituzione è stata scritta in buona parte da esuli politici, rientrati in patria dopo l’esilio a causa del fascismo. Per ben due volte la Costituzione italiana parla di diritto d’asilo, che il parlamento non ha mai trasformato in legge.

E non solo mi vergogno di essere italiano, ma mi vergogno anche di essere cristiano: questa legge è la negazione di verità fondamentali della Buona Novella di Gesù di Nazareth. Chiedo alla Chiesa italiana il coraggio di denunciare senza mezzi termini una legge che fa a pugni con i fondamenti della fede cristiana.

Penso che come cristiani dobbiamo avere il coraggio della disobbedienza civile. È l’invito che aveva fatto il cardinale R. Mahoney di Los Angeles (California), quando nel 2006 si dibatteva, negli Stati Uniti, una legge analoga che definiva il clandestino come criminale. Nell’omelia del Mercoledì delle Ceneri nella sua cattedrale, il cardinale di Los Angeles disse che, se quella legge fosse stata approvata, avrebbe chiesto ai suoi preti e a tutto il personale diocesano la disobbedienza civile. Penso che i vescovi italiani dovrebbero fare oggi altrettanto.

Davanti a questa legge mi vergogno anche come missionario: sono stato ospite dei popoli d’Africa per oltre 20 anni, popoli che oggi noi respingiamo, indifferenti alle loro situazioni d’ingiustizia e d’impoverimento.

Noi italiani tutti dovremmo ricordare quella Parola che Dio rivolse a Israele: “Non molesterai il forestiero né l’opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto” (Esodo 22,20)».

giovedì 9 luglio 2009

Due parti di idrogeno per una di ossigeno

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Siamo sempre stati abituati ad aprire il rubinetto e all'istante veder scendere acqua. Fredda, calda, tanta, poca, siamo noi a decidere, a comandare. Provate ora ad immaginare: aprite il rubinetto, girate la manopola in senso antiorario, azione solita, consueta, vi aspettate che scenda la solita acqua..invece niente, nemmeno una goccia, nemmeno una fottutissima goccia d'acqua.

Da 10 giorni a Nairobi non c'è acqua, ce l'hanno solo quelli che hanno i pozzi privati e i ricchi ovviamente, gli altri nulla. Ti rendi conto veramente di quanto è preziosa l'acqua, di quanto sia prezioso l'oro blu. Quando ti dicono “non sprecare l'acqua, chiudi il rubinetto quando ti lavi i denti, fai la doccia di 5 minuti, chiudi bene il rubinetto e non fare scendere le gocce, riempi sempre la lavatrice per non sprecare acqua, bagna le piante all'alba o al tramonto..”, tu cerchi di seguire i consigli perchè sei consapevole che ci sono paesi meno fortunati di noi, che presto finirà, che bla bla bla...tante parole e basta.

Ma finché non lo si prova sulla propria pelle, finchè non vedi che non scende neanche una goccia dal rubinetto..lì ti rendi conto veramente di come vivono milioni di persone. Acqua per lavare, per lavarsi, per cucinare..nulla. Per le strade si vedono donne con le taniche in testa che fanno chilometri su chilometri per andare a comprarla, per andare a cercare un pozzo che abbia ancora acqua e che il proprietario non la venda a prezzi esorbitanti. L'acqua diventa un business, diventa, ancora una volta, qualcosa per ricchi, e non per poveri. Dicono che dopo le guerre per l'oro nero, ci saranno guerre per l'oro blu, e io credo che andando di questo passo questa triste profezia potrebbe avverarsi.

E come se non bastasse: niente acqua, le centrali idroelettriche non lavorano adeguatamente, niente corrente elettrica..è una catena..quando finirà?

venerdì 3 luglio 2009

S. Cafasso day..

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Il protettore dei carcerati S. Giuseppe Cafasso si festeggia il 23 giugno: per l'occasione abbiamo organizzato due feste, una nella Main Prison, un'altra nel carcere minorile. Nella prigione di Massima Sicurezza abbiamo fatto una messa con il responsabile generale del Kenya; la messa è la “solita” messa con i detenuti: energia nel cantare, cori di voci maschili, voci profonde, che entrano nel cuore e nella mente; alla fine le strette di mano, i sorrisi, gli sguardi, gli “asante sana” per aver partecipato con loro ad un momento così importante..e poi una lettera, scritta a mano, con il desiderio che possa arrivare al Papa, con la richiesta di abolire la pena di morte in Kenya: la pena di morte è ancora presente in questo paese anche se è da circa 15 anni che non viene eseguita nessuna pena capitale, ma sulla carta è ancora una legge in vigore.

L'altra parte della festa l'abbiamo fatta nel carcere minorile, con i ragazzi: per qualche ora abbiamo dato la possibilità di evadere, di uscire dalla solita routine e dal solito lavoro nei campi o nel lavoro umiliante di lavare tutti i giorni la macchina della boss. Canti, danze, teatro, giochi, e poi soda (bibita) e patatine per tutti. Per ragazzi che mangiano ugali e sukumawiki o fagioli tutti i giorni è stato davvero un momento di evasione! Sono anche venuti gli Hope Raisers, amici musicisti dallo slum di Korogocho, e, ancora una volta, abbiamo cantato Redemption song, canzoni di libertà..in una prigione..

buon S.Cafasso!

lunedì 22 giugno 2009

il viaggio non e' l'emozione..

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una canzone dei mercanti di liquore dice cosi'..il viaggio non e` l`emozione di attimi pericolosi..hanno proprio ragione, o forse non lo e' piu`. nl giro di 12 ore sei dall'altra parte del mondo, parli una lingua diversa, e vedi gente di un altro colore.

nel giro di 12 ore ti ritrovi a tifare Kenya per le qualificazioni ai mondiali contro il Mozambico (vittoria per 2 a 1, con gol del nostro Mariga che milita nel Parma!), ti ritrovi a tifare Sud Africa contro la Spagna e vedi la tua Nazionale senza la telecronaca di Marco Civoli, ma in un inglese distante..

insomma con l'aereo non gusti piu' il viaggio, non vedi piu' i cambiamenti fuori dal finestrino di colori, paesaggi, ma senti solo l'aria condizionata di un posto come un altro..

la prossima volta potremmo viaggiare in treno??

lunedì 11 maggio 2009

country roads..

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Questa settimana siamo stati in ritiro con i ragazzi. Siamo andati a Nanyuki, una cittadina a 4 ore di macchina a nord di Nairobi, proprio alle pendici del monte Kenya. Al mattino mi alzavo molto presto per ammirare questo gigante d’Africa: con i suoi 5199 metri d’altezza è la seconda montagna più alta del continente dopo il Kilimanjaro. Al mattino e di notte faceva un freddo cane, quindi non pensate che l’Africa sia tutta sole e caldo soffocante!

Per 5 giorni tutti i ragazzi e tutto lo staff siamo stati in un monastero di monaci benedettini, in un clima di condivisione, amicizia, fraternità. I ragazzi si sono aperti tantissimo agli spunti di riflessione offerti dal frate che li ha coinvolti, li ha ascoltati, li ha fatti parlare del loro passato, del loro presente e del loro futuro.

Ritmi serrati per i momenti di preghiera, di condivisione, sinceramente non ho mai visto un gruppo così tanto serio, così tanto pronto a parlare di sé, del loro passato doloroso, i motivi che li hanno portati dentro un carcere e poi la voglia di stare in comunità, per un futuro migliore, una vita migliore lontana dalla strada , lontana dalla delinquenza giovanile. Non è facile cambiare una vita passata sulla strada, una vita passata alle regole della mob justice, loro ci vogliono riuscire e in alcuni si vedono i cambiamenti radicali, i passi fatti dal loro arrivo in comunità fino ad oggi.

L’ ultimo giorno, momento fortissimo, emozionante: su un foglio abbiamo scritto le nostre ferite ancora aperte che vogliamo sanare, vogliamo guarire e poi le abbiamo bruciate in un piccolo focolare. Poi da una candela è partita una catena di luce che è andata ad accendere tutte le altre, e father Benedict ci ha benedetto ad uno ad uno, con un canto di sottofondo, un canto semplice, ripetuto, che è entrato nel cuore. Alla fine lo scambio della pace, con abbracci veri, di amicizia, di riconciliazione.

La sera, intorno al fuoco, danze, canti di tutte le tribù, dimostrando ancora una volta che è possibile vivere in pace fra tutte le etnie..

Sul matatu sulla strada per Nanyuki andava una vecchia canzone, country roads di John Denver: vera musica da viaggio, musica giusta per quei panorami che il Kenya offre, musica giusta per quelle strade che attraversano piantagioni, villaggi; sono le stesse strade da cui vengono i nostri ragazzi, e le stesse strade che percorreranno quando torneranno a casa..e allora veramente loro potranno pensare country roads take me home..

venerdì 20 marzo 2009

riccio

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Avevo scritto un post. Poi leggo Francesco. Cancello, butto via tutto o accantono. E, come al solito nella sofferenza mi chiudo a riccio e chi cerca di aprirmi e di abbracciarmi si punge. Perché io questo dolore non lo posso accettare. Io non ci riesco ad accogliere in questi momenti. Parlatemi solo se avete una risposta decente per spiegarmi queste cose. Niente paroline dolci o discorsi puerili, frasi fatte. Fatemi capire. La mia memoria storica è breve e domani, grazie a "Via col vento", sappiamo che è un altro giorno. Riprenderò lucidità, i miei aghi cadranno al primo sorriso della giornata.

Ora però sono rabbiosa.

Non c'è nessuno con cui possa parlare, nessuno che possa convincermi che in fondo l'uomo è buono come scrive coraggiosamente il cuore libero di Anna Frank alla fine del Suo diario. Andrò a letto così, dormirò otto ore come quelle che avete impiegato voi in bus per raggiungere il dolore. Magari sognerò di essere in un prato a badare al bestiame, in un terreno al sud del Libano vicino alla frontiera israeliana. E mentre cammino pensando "come è arida la terra" oppure "che bei fiori mi ha regalato la natura oggi" esplodo. è successo poche ore fa a un pastore libanese ucciso da una bomba a grappolo lasciata dalle forze israeliane dopo l'offensiva militare dell'estate 2006. e non è l'unico.

L'altro post era divertente, raccontava di un pianticella di basilico che è diventata la mia sfida quotidiana e che non riesco a far vivere perché non ho il pollice verde. L'altro post era raggiante perché donare è ricevere, perché aiutare qualcuno ti riempie la vita e ti fa volare in alto. Queste erano proprio le sensazioni che avevo questa mattina. Ora mi sento un po' diversa e vi beccate anche l'Oriana lunatica stasera.
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Grazie per la condivisione, mi avete fatto essere piacevolmente incoerente e il riccio si è aperto un po' scrivendo.

martedì 17 marzo 2009

Il prezzo di una vita

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Settimana scorsa è arrivata una notizia scioccante in comunità.

Avevamo due gemelli alla Cafasso House, provenienti da una zona rurale nell'Ovest del Kenya, Bungoma. Ma dopo qualche tempo i due gemelli Rachid e Shaban sono stati fatti tornare a casa per diversi motivi, comunque li avremmo aiutati a distanza. Settimana scorsa la notizia scioccante, nessuno se lo aspettava: Shaban è stato ucciso. Un vicino di casa, per una questione con una ragazza, accecato dalla rabbia, è uscito di casa con il suo machete (panga in kiswahili), ha sferrato un solo colpo alla testa, un colpo mortale. La notizia arriva in comunità, tutti sono scioccati. Io e Irene decidiamo di andare al suo funerale con la sister e Martin. Bungoma dista 8 ore di bus da Nairobi, così dividiamo il viaggio facendo tappa a Eldoret.

Arriviamo sabato mattina. La zona è talmente povera che per arrivare alla casa di Rachid e Shaban usiamo anche il boda-boda, le bici-taxi. Il funerale è stato fatto durante la notte, poiché erano gemelli e hanno dovuto rispettare delle credenze tradizionali per la sepoltura. Il rito si è svolto mischiando culto islamico, cristiano e Luyha, la loro tribù. Quando siamo arrivati, abbiamo sperimentato l'accoglienza africana: una famiglia poverissima, pochissimi soldi, ma tantissima dignità nell'offrirci quello che avevano, quello che potevano. Il padre dei due ragazzi, 84 anni, ha tre mogli. Tra il primo figlio con la prima moglie e l'ultimo figlio con la terza moglie ci saranno 60 anni di differenza. Pazzesco. Tutti vivono insieme, nello stesso compound. Durante la giornata Rachid non si dà pace, piange, ha visto suo fratello, a cui era molto legato, morire davanti ai suoi occhi. Ma per tutta la giornata cerchiamo di distrarlo, riusciamo anche a farlo sorridere. Il dolore sembrava per un attimo svanire.

Ora Shaban non è più tra noi, ma vive nei nostri cuori e nei nostri ricordi. È strano. Nell'evento triste e doloroso della morte di un ragazzo, di un giovane, abbiamo visto una famiglia pronta ad accogliere, ad andare avanti, a sentirsi unita, viva. Ciao, Shaban..

venerdì 20 febbraio 2009

L'apartheid è finita?

4 commenti:
Questo week end sono stato a Mombasa, 4 giorni di vacanza, mare limpido, palme di cocco, spiagge bianche..se non ci fossero state le alghe nel pomeriggio per via dell'alta e bassa marea, sarebbe stato veramente come nelle cartoline o in quelle riviste turistiche.

Eravamo alloggiati in una guest house situata vicino al mare, gestita dai padri Comboniani, così siamo riusciti a fare una specie di turismo sostenibile e responsabile..oltre che per loro anche per noi!

Per accedere alle spiagge bellissime bianche e contornate da palme, bisognava entrare sempre dai cancelli degli hotel privati, questo il duro prezzo da pagare per noi, che non volevamo vedere tutto quello sfarzo e quel lusso tipico di questi lodge sulle coste dell'oceano.
Per tre giorni io e Andrea, uno degli altri compagni di viaggio, tranquillamente entravamo in uno di questi cancelli, salutavamo la guardia, ci chiedeva da che altro hotel venivamo, e senza problemi ci faceva passare per godere di quelle magnifiche spiagge.

L'ultimo giorno ci raggiunge dalla Tanzania un amico keniano, Lenny. Al mattino facciamo la solita strada per andare in spiaggia, salutiamo la guardia (di pelle nera), che ormai ci conosce, ma ad un certo punto chiede a Lenny (che ha la pelle nera): Unaenda wapi?, Dove vai tu?.
E lui risponde: sono con loro, stiamo andando in spiaggia!
La guardia scuote la testa e dice: you can't pass..go back!
Allibiti io e Andrea ci guardiamo..tra l'incredulità, pensavamo scherzasse, ma il viso della guardia non transige..Lenny non poteva entrare.
Dopo qualche minuto di discussione, chiediamo alla guardia se conosce Mandela, Luther King, gente che si è battuta per i diritti umani, e ancora nel 2009, un ragazzo di colore viene discriminato nel suo paese perché NERO! Assurdo!! arrivano di gran carriera due poliziotti in borghese, ci fanno domande..Lenny è con voi?, dove state?, da dove venite?ecc..i poliziotti non ne vogliono sapere, uno di loro tira fuori le manette! Vuole arrestarlo!sempre più allibiti noi cerchiamo di ragionare, ma ci sembra impossibile in questa assurda situazione, cerchiamo di far ragionare i poliziotti, ma non ci ascoltano neanche..Lenny non poteva essere un turista normale nel suo paese come tutti gli altri perché è NERO.
La spiegazione del divieto d'accesso ai neri poi sarà: blacks are the problem..lascio a voi immaginare la nostra reazione..sempre più assurdo!
Evitato l'arresto, torniamo a casa, in silenzio, ognuno con i suoi pensieri in testa: io odiavo i turisti bianchi perché se questo è accaduto è perché i bianchi di questi hotel non vogliono avere nulla a che fare con la gente locale, se non solo per quando ti portano in giro a fare i safari, quando sono camerieri nei ristoranti, o peggio ancora quando soddisfano le voglie sessuali di pensionati o pensionate.
Lenny, ancora una volta, si è messo a piangere..è la quarta volta che viene discriminato nel suo paese per il colore della sua pelle.
Vi lascio questo post, scusate la lunghezza ma ne valeva la pena..capire come funzionano questi posti turistici nei paesi in via di sviluppo, dove la gente locale viene sfruttata e gli italiani sono tutti contenti quando la gente ci dice qualche parola nella nostra lingua..
vi prego di far girare questo post a tutti quelli che vanno in vacanza in villaggi turistici, hotel lussuosi, o addirittura hanno la casa a Malindi, per fare capire come vive la gente locale..
e io paradossalmente indossavo una maglietta..la scritta diceva: un altro mondo è possibile.

martedì 10 febbraio 2009

Melodia africana..

2 commenti:
E' da un po' che non scrivo sul blog..sono state settimane e giorni intensi..dentro e fuori dal carcere (per lavoro, non preoccupatevi!), le attività in comunità, un po' di giorni da sano turista mzungu..

Settimana scorsa siamo rimasti a dormire in comunità: si sa che la notte fa tanto nelle relazioni, nelle amicizie..iniziano i discorsi da massimi sistemi del mondo, sotto un cielo stellato incredibilmente ricco di stelle..da qualche parte lassù si vede anche la Croce del Sud, anche se non l'abbiamo ancora individuata bene! Però la cosa mi affascina..

andiamo a letto..irene dorme in un'altra stanza da sola..io dormo con i ragazzi..e partono anche qui i discorsi da “camerata”...ad un certo punto Jackson, il romantico del gruppo, mi dice: “Francis!” (è il mio nome inglesizzato, come mi chiamano qui in comunità); io rispondo “Sema!” (“dimmi” in kiswahili)...e mi chiede...”what is love?”....domanda tipica da adolescente, che mette in crisi qualsiasi persona, uomo, donna, giovane, adulto, anziano..infatti lì per lì mi sono impanicato..poi a rispondere mezzo inglese e mezzo kiswahili...ma alla fine la risposta sembra soddisfarlo..cosa ho risposto è segreto professionale!

Il bello è che tutta la chiacchierata è avvenuta con un sottofondo di pianoforte..Ludovico Einaudi ci aiutava ad addormentarci con le sue melodie, tra queste, senza neanche farlo apposta, Melodia africana...


Melodia africana..parte 2


questo week-end sono stato a fare un safari (=viaggio in kiswahili), nel parco dell'Amboseli, al confine con la Tanzania, quello “alle falde del Kilimanjaro!”, per intenderci..per arrivarci abbiamo attraversato chilometri e chilometri di deserto, di nulla, di sabbia, di pietre.

Qua e là qualche villaggio masai, circondati dai caratteristici recinti di rami secchi di acacia. Donne e bambini con taniche di acqua..come dice Kapuscinsky per molte popolazioni l'avvento della plastica è stato rivoluzionario! Non più pesanti contenitori di terracotta, ma leggere e maneggevoli taniche di plastica!

Per tutto il giorno vediamo elefanti, zebre, antilopi, ippopotami, giraffe, gnu, bufali, iene e leoni, e i mitici facoceri, dispersi nell'immensità della savana keniana, all'ombra della mitica cima innevata del Kilimanjaro..

vorrei spendere due parole sui facoceri: questi animali sono chiamati pumbaa, che letteralmente vuol dire “essere stupido”, poiché sono ritenuti gli animali più stupidi della savana, hanno la memoria cortissima..se sono inseguiti da un leone, dopo un po' smettono di correre perché non si ricordano più il motivo per il quale correvano e riprendono bellamente a mangiare..per questo ai bambini si dice: “non fare il pumbaa!”

alla sera ci addormentiamo nella guest house all'interno del parco, affascinante pensare che là fuori ci sono tutti gli animali della savana..a pochi chilometri da noi..ma questa volta la “melodia africana” non è la tastiera di un pianoforte, ma i grugniti dei facoceri, dei pumbaa!!

venerdì 23 gennaio 2009

Kakà for Kenya..

1 commento:
Il Manchester City, squadra di calcio della serie A inglese, ha fatto un'offerta plurimilionaria per acquistare il brasiliano Kakà dal Milan... ma non è di questo che voglio parlare.. anche se sono molto contento che alla fine abbia rifiutato..
Quello di cui vorrei parlare è cosa potrebbe fare Kakà per il Kenya con i soldi che guadagnerebbe se cambiasse squadra, secondo il quotidiano Daily Nation: la somma che il Manchester City darebbe al Milan, è un terzo di quello che il presidente Mwai Kibaki ha chiesto per risolvere il problema della crisi alimentare fino al prossimo raccolto di settembre; questa somma risulta essere più della metà del profitto della Safaricom, azienda leader della telefonia mobile qui in Kenya, nell'ultimo anno finanziario. La Safaricom è la più grande azienda di questo tipo di tutta l'Africa dell'est.
Con lo stipendio di una settimana Kakà potrebbe pagare il responsabile dell'anti-corruzione in Kenya, tale Aaron Ringera, per due anni. Questo Ringera è il politico più pagato di tutto il governo kenyano, con i suoi 2,5 milioni di scellini kenyani al mese: guadagna addirittura più del presidente stesso.
Ancora: lo stesso stipendio di una settimana di Kakà potrebbe pagare lo stipendio mensile di un membro del parlamento del Kenya per sei anni, pagando probabilmente pure le tasse!
 
L'assurdità del calcio..

martedì 20 gennaio 2009

in un giorno di pioggia..

2 commenti:

Sono tornato a casa, a Nairobi. Ma non è stato un bel rientro. Ci ha accolto una settimana in cui abbiamo sentito e vissuto storie di violenze, di ingiustizie. La fine di dicembre e l'inizio gennaio sono stati segnati da episodi brutti, gravi: nelle prigioni di Kamiti la notte di Natale ci sono state risse e sparatorie tra le guardie e i carcerati, 2 morti e numerosi feriti. Il motivo? Le guardie avevano concesso per Natale che ai famigliari fosse permesso portare ai loro cari del succo di frutta e altri dolci. Ma questi all'interno dei cartoni dei succhi di frutta hanno messo il “pombe”, la birra locale artigianale, con additivi chimici altamente tossici che portano alla morte o nel minore dei mali alla cecità. Sempre prima di Natale altre violente sparatorie a Korogocho, e un padre missionario è stato rapinato ancora una volta, dopo tanti anni di fatiche, di difficile conoscenza reciproca, di diffidenze; l'altro giorno a Langata è andata male durante un'altra rapina ad un missionario della Consolata: è morto soffocato a causa della corda e della carta messa sulla bocca per non farlo gridare. Ancora: domenica scorsa una baraccopoli Masai sgomberata con i bulldozer della polizia perchè un indiano reclamava la “sua” terra; 65 famiglie senza una casa, sulla strada, senza più nulla di nulla. In tutto il Kenya 10 milioni di persone soffrono la fame perchè non piove da tre mesi e i raccolti non danno frutto. Il governo non riesce a stare dietro a questa emergenza..la preoccupazione sale.

Ma il rientro non è così nero come sembra: proprio in un giorno di pioggia, giorno di benedizione per milioni di persone, i giovani delle parrocchie di Korogocho e Kariobangi, organizzano una marcia per la pace, in preparazione al World Social Forum di Belèm in Brasile. Siamo una trentina di persone, la bandiera della pace con la scritta Amani (pace in Swahili), viene portata per le vie del quartiere. Ragazzi di Korogocho, Kariobangi, Dandora, Cajole, Darfur (questo il nome di un nuovo slum) marciano insieme, per la pace, per i diritti umani, per dire stop alle ingiustizie e alle violenze. E poi si discute e si continuerà a discutere ancora settimana prossima in piccoli focus group su varie tematiche. Uno degli organizzatori, Daniel, artista, cantante e compositore, concluderà poi domenica a Korogocho con un concerto insieme al suo gruppo sulle note di “G8”, pezzo ormai celebre nelle vie dello slum.

I giovani anche qui in Kenya si stanno rendendo conto che così non può funzionare, non si può andare avanti...qualcosa sta cambiando?

martedì 9 dicembre 2008

korogocho

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Korogocho, è una parola Kikuyu che significa caos, confusione. Questo slum si trova alle porte della discarica di Nairobi, lontano dal centro, lontano dai quartieri ricchi, lontano dagli occhi. Passeggiando tra i vicoli di questo quartiere senti l'odore, la puzza dell'immensa distesa di rifiuti..è un odore a volte insopportabile. In mezzo a questa baraccopoli scorre anche un fiume. Acqua nera. Sembra che scorra catrame, pece. Spazzatura e immondizia in ogni angolo. Con l'arrivo dell'estate e il grande caldo, qua e là si intravedono alcuni fuochi accendersi, per autocombustione. Quello che brucia è diossina pura, basta pensare che qui arrivano anche gli scarichi dei tre aeroporti di Nairobi. Qui arrivano due milioni di tonnellate di rifiuti al giorno. È una discarica da primo mondo: televisioni, monitor, rifiuti altamente tossici. E in mezzo a tutto ciò bambini, uomini, donne, che raccolgono i rifiuti, raccolgono tutto ciò che è rivendibile. Ai lati delle strade puoi vedere posate, piatti, scarpe, televisioni, libri. Di tutto. Qui è tutto riutilizzabile: i fogli di giornale per avvolgere i chapati, un telefono da mettere in casa per fare bella figura con chi ti viene a trovare, anche se non funziona. Di tutto quello che viene venduto, parte del ricavato lo prende il boss di turno. Già perché in discarica regna l'eco-mafia: ogni ragazzino, ogni persona, può prendere i rifiuti di una zona, non di un'altra; può raccogliere solo certi tipi di rifiuti, non altri. I privilegiati sono quelli che possono rovistare tra la spazzatura che arriva da Karen, o da Langata, i quartieri dei ricchi e della maggior parte degli occidentali. È una mafia malsana, come l'ambiente in cui queste persone lavorano, che guadagna sul consumismo della grande città.

Nel 2004, p. Daniele e p. Paolo, due missionari comboniani, hanno manifestato contro la discarica, ma sono stati colpiti a sassate da alcuni bambini per disperdere la manifestazione: i bambini erano stati assoldati dai boss dell'eco-mafia per far sgomberare le persone. A questi bambini era stata data la ricompensa di poter cercare rifiuti dove volevano, senza rispettare le regole.

Sopra la discarica si vedono volare alti nel cielo per poi posarsi uccellacci neri, con un'apertura alare di 3 metri, inquietanti, orribili: molte volte quando scendono in picchiata a prendere il cibo colpiscono anche i bambini, uccidendoli con il loro enorme becco.

Korogocho è già una discarica di per sé: sulle bancarelle dei mercati vedi i resti dei grandi ristoranti, dei grandi hotel; vedi infatti solo teste e zampe di gallina e di capra, perché il resto del corpo lo hanno già cucinato; vedi friggere in grosse padelle solo la testa, la coda e la lisca dei pesci, vedi friggere e mangiare gli scarti. Così gli albergatori guadagnano due volte. Addirittura dagli alberghi arriva anche la droga, che poi i ragazzi ne fanno largo uso: i turisti acquistano droga a bassissimo prezzo, ma ne comprano talmente tanta che poi rimane nelle stanze degli alberghi; così, dopo aver attraversato tutta la città, arriva a Korogocho.

I progetti per bonificare la discarica ci sono: punti di raccolta in tutta la città, per poter raccogliere rifiuti riciclabili, e quello che non è riciclabile in grandi vasche di contenimento fuori da Nairobi, bonificare il terreno, sempre che la terra non si ribelli.

Nonostante questo abbiamo passato una giornata indimenticabile a Korogocho, in compagnia di p. Paolo, e altri due volontari, chiacchierando, cercando di capire, visitando i progetti che danno speranza a questi bambini, ragazzi, già rovinati dall'uso della colla, delle droghe. Per dare speranza alle donne, sole, o altre volte picchiate da mariti ubriachi. Da circa 20 anni i comboniani lavorano in questa discarica, in questa “confusione”, prima con p. Alex Zanotelli, poi con p. Daniele ed ora con p. Paolo. Un lavoro lento e costante, al fianco dei miseri, dei più deboli, dei più poveri. I risultati si vedono, molti ragazzi iniziano a uscire dai giri della colla e dell'eco-mafia, si intravede la vita che esplode da questi sorrisi, da questi volti, è la vita che esplode...

giovedì 4 dicembre 2008

Non c`e` giustizia senza perdono

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Incontro di Taizé a Nairobi: 6.000 giovani da ogni parte dell'Africa; tra questi Mozambico, Ghana, Togo, Madagascar, Angola, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Congo Brazaville, Rwanda, Burundi, Uganda, Tanzania, Kenya. Alcuni giovani dall'Asia, un centinaio dall'Europa.

Le famiglie keniane hanno aperto le loro porte per accogliere tutti questi 6.000 giovani tra i 18 e i 30 anni. Tutte le parrocchie di Nairobi hanno accolto calorosamente i pellegrini di Taizé, Kariobangi, Dagorethi, per citarne alcune; anche Kahawa West, la nostra parrocchia, ha ospitato una cinquantina di persone da Kenya, Uganda e Tanzania. E Italia. Un ragazzo e una ragazza da Torino, Riccardo e Ilaria, dopo mille peripezie, e dopo svariati rimbalzi da una parrocchia all'altra sono arrivati qui da noi.

Al mattino con il gruppo giovani siamo andati a visitare luoghi di speranza nei dintorni della parrocchia: abbiamo visitato i progetti della Comunità di Papa Giovanni XXIII a Soweto, il Rainbow Project e Baba Yetu; un altro giorno invece Sister Raquel ci ha parlato della Cafasso House.

E poi liberamente alcuni ragazzi hanno condiviso alcune riflessioni, alcune impressioni su questo evento: uno dei temi ricorrenti era il bisogno di pace e di perdono. In particolare qui in Kenya, dopo le violenze di dicembre che sono poi continuate fino a febbraio, i giovani hanno espresso il desiderio e la volontà di perdonare e di dimenticare: forgive and forget era il motivo che ritornava sulla loro bocca. Questo meeting di Taizé è stata un'occasione importantissima per la riconciliazione fra le varie tribù che abitano il Kenya: famiglie di ogni etnia hanno aperto le porte delle loro case a giovani Luo, Kikuyu, Kisi, Kalenjin. È stato un passo importantissimo verso la riconciliazione, verso il perdono, verso la convivenza pacifica. C'è bisogno di perdonare per costruire una nazione nuova e soprattutto una nazione unita.

Ma sappiamo quanto è difficile perdonare, dimenticare i torti fatti e subiti; un prete proveniente dalla Tanzania durante una condivisione spontanea ci ha rivolto questo indovinello: cos'è quella cosa che è facile da cantare, ma molto difficile da ballare? Le risposte sono due: amore e perdono; tanto facile a dirsi, si dicono tante belle parole, tanti buoni propositi, ma siamo veramente capaci poi di ballare, di metter in pratica queste parole?

Quando i ragazzi parlavano del bisogno di perdonare, ma anche di dimenticare per poter vivere in un mondo più giusto, mi è venuto in mente il titolo del libro scritto da Desmond Tutu, “Non c'è giustizia senza perdono”, proprio a sottolineare l'urgenza di vivere nella pace e nel perdono, di vivere cercando un mondo diverso.

Per il pranzo invece ci si recava ogni giorno al seminario diocesano Queen of Apostoles con pullman organizzati appositamente da Taizé: qui i 6.000 pellegrini si ritrovavano per il pranzo e per la preghiera. I momenti della preghiera sono stati momenti quasi magici, emozionanti, straordinari. Abbiamo visto mischiarsi l'energia dei canti e balli africani con il silenzio e i canti meditativi della comunità di Taizé, in un vortice di spiritualità e di preghiera. Le riflessioni del priore della comunità di Taizé, frére Alois e le parole del vescovo di Nairobi, hanno riempito l'evento con parole di pace, di speranza. Il vescovo, in un discorso breve ma intenso, ha sottolineato il fatto che prima di essere keniani, congolesi, spagnoli, rwandesi, sudafricani, italiani, siamo esseri umani, siamo creature di Dio, capaci di amare e di perdonare. Durante le preghiere eravamo seduti per terra, in tendoni enormi costruiti per l'evento: eravamo 6.000 persone e nessuno era seduto di fianco ad un altro del suo stesso paese, talmente era forte il mescolamento di culture, etnie, lingue, costumi, capigliature e stili di vita.

Il tutto condito dai workshop del pomeriggio, con rappresentazioni teatrali, di danze e canti da ogni parte dell'Africa, laboratori di testimonianze di vite di cristiani, dialogo interreligioso guidati dai fratelli della comunità.

Siamo stati testimoni di un evento intenso, spirituale e culturale: abbiamo visto e ascoltato storie di speranza e di pace. Una su tutte: un pullman arrivato a Nairobi per l'evento portava ragazzi da Bukavu e da Goma, città della Repubblica Democratica del Congo, insieme a ragazzi provenienti dal Rwanda; un gesto di pace che ha coinvolto due paesi che stanno affrontando difficili tensioni.

Infine frére Alois ha consegnato un'icona ai rappresentanti di ogni paese che ha partecipato all'incontro, in modo che coloro che erano presenti al meeting possano essere pellegrini di fiducia e di speranza nei loro paesi: ogni volta che veniva nominata la nazione un tripudio di applausi, fischi, urla e grida accoglievano i vari rappresentanti; gli applausi aumentavano per accogliere i paesi che attualmente sono più in conflitto: Congo, Sudan, Rwanda. E quando è stato il momento del Kenya un boato si è alzato dalle 6.000 persone, tutti hanno gioito per ringraziare della bellissima ospitalità offerta dalle famiglie di Nairobi e per la stupenda esperienza passata insieme a giovani da ogni dove dell'Africa.

domenica 23 novembre 2008

...forse un giorno...

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Un mese in terra africana, un sogno..l'Africa la sognavo da quando ero bambino, questo continente affascinante, creativo, contraddittorio, devastato da guerre e guerriglie, culture millenarie che si tramandano saperi immensi. Dopo un mese stiamo solo assaggiando un pezzo di Africa, un pezzo di Kenya. Ma queste idee che mi ero fatto si stanno rivelando giuste: il Kenya è affascinante per i suoi colori, i suoi odori, i suoi paesaggi; il modo di rapportarsi con la gente così naturale, così semplice; ogni gruppo etnico ha le sue tradizioni, le sue danze, i suoi saperi, così da formare un intreccio di culture, un crogiolo di lingue e ornamenti.

L'Africa però non è mai in pace, non può mai lasciarti tranquillo: la nuova crisi nella Repubblica del Congo, le due suore rapite e portate in Somalia..eventi che devono sempre far pensare a questa terra come riserva immensa di risorse minerarie, di petrolio, oro e diamanti, di traffici illeciti, di corruzione, di giri di milioni e milioni di dollari, di signori della guerra, di interessi da ogni parte del mondo..un paese intero dove i ricchi sono sempre più ricchi sopra le spalle dei più poveri che si impoveriscono sempre di più, dove migliaia di persone sono costrette a vivere negli slums, senza condizioni igieniche, servizi sanitari, nessun tipo di diritto. Ma prima o poi la gente che abita le baraccopoli si accorgerà, si stuferà di questa situazione. Sappiamo benissimo che i poveri non ci lasceranno dormire, non ci fanno stare tranquilli, nel nostro sistema ricco, nel nostro sistema occidentale, ci mettono in discussione..in occidente stiamo passando da uno sviluppo eco-sostenibile ad uno sviluppo insostenibile, fatto di consumi, di sprechi..in Africa invece è bellissimo vedere come tutte le persone, dai bambini più piccoli fino agli adulti, stanno attentissimi a non buttare via le cose, usano sempre un modo creativo per riutilizzare: sandali fatti con i copertoni delle gomme usati, giochi dei bambini costruiti con cartoni e tappi di bottiglia, e poi hanno una capacità di aggiustare, di mettere a posto quasi incredibile: ombrelli, biciclette, automobili..abbiamo veramente tanto da imparare da questo paese. E sogno che un giorno questa terra viva in pace, che tutte le persone possano liberamente viaggiare per il mondo, vedere posti che ora sono impossibili, la cultura millenaria dell'Iraq, l'Afghanistan, attraversare l'Africa intera, girare tutti i paesi di questo mondo senza delinquenza, rapimenti, violenze...forse un giorno...