venerdì 28 maggio 2010

L'ultimo giorno insieme

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26 maggio

Il reportone è bello inviato e decido che mi ci vuole un premio; anche se non abbiamo in programma nessuna attività ad Orhei, abbandono Mara alla stesura del progetto per l’ambasciata e vado all’appartamento sociale. Questa è l’ultima sera che passo con le ragazze, so che non ci sono tutte, Mariana (per noi è sempre stata Mihaela) lavora a Chisinau e verrà solo domani, Maria (Maricica per tutti) finisce tardi e chissà se viene a casa a dormire o resta là, ma ho voglia di esserci.

Fa caldissimo, sulla rutiera sento che sto diventando un tutt’uno col sedile.

Mentre percorro la strada dalla stazione all’appartamento ripenso a quante volte l’ho fatta a piedi quest’anno, in quanti modi e con chi. La prima volta con Elisa, poi con Stela (terrorizzata che ci perdessimo) la prima sera all’appartamento, tante volte con tutte le ragazze, nel buio della notte moldava, guardando le stelle e spiegando loro che a Milano non le puoi vedere, cantando i canti di Natale, e ancora sulla neve e quando andava male sul ghiaccio, e ancora nel fango, oppure quasi di corsa perché tanto per cambiare eravamo in ritardo. Io e Mara.

Tante volte. Mai però con questo caldo e mai da sola.

Arrivo. Le ragazze sono via per commissioni, lavoro con Mariana, l’assistente sociale e le educatrici, Doamna Ecaterina e Cristina. Aurelia, la terza educatrice, è a casa che raduna foto. Iniziamo a radunare le attività fatte in un anno e realizzo piano piano che domani saluteremo queste ragazze sperando che ciò che abbiamo fatto per loro, ognuno nel suo piccolo, le aiuti a costruirsi un domani migliore.


Dopo cena i preparativi raggiungono il culmine. Ala sforna clatite a ciclo continuo, le altre ragazze, con Doamna Ecaterina, con movimenti sicuri chiudono quintali di sarmale e preparano tutto per il pranzo di domani, mentre insieme seguiamo l’episodio 78 di “Dragoste si Ciocolata” (Amore e Cioccolato, una soap terrificante sudamericana, in cui prima del doppiaggio in romeno senti lo spagnolo mentre leggi i sottotitoli in russo). Ormai so tutto di Rosita e Bruce.

Le 23, andiamo a prendere Maricica che ha finito di lavorare. Andiamo tutte, io, Marina, Ala, Mariana, Nina. Mezzora abbondante di camminata nella notte ad andare e altrettanto al ritorno. Adesso è fresco, meno male che ho portato la giacca nonostante il caldo della giornata. Peccato per le nuvole, con la luna piena che c’è sarebbe stato ancor più bello.

E ancora una volta questo tempo insieme è denso di racconti. Al ritorno, una volta recuperata Maricica, Marina, che da quando siamo uscite di casa si è attaccata al mio braccio, mi confida che quando cammina di notte fa sempre pensieri strani, ha paura.
Chiara: “Ma non devi avere paura, non sei da sola ora, se qualcuno si avvicina gli saltiamo addosso in 6 e vedi come scappa.”
Marina: “In 7. Siamo in 7.”
Chiara (mentre pensa a quanto è stato inutile il lavoro sulla matematica se ora Marina nemmeno sa contare in quanti siamo): “No, in 6, conta bene, siamo in 6: io, te, Maria, Mariana, Nina e Ala.”
Marina: (sottovoce) “E Dio, Lui c’è sempre.”

Per fortuna la notte ha nascosto il mio rossore. Proprio Marina, la più piccola del gruppo, la ragazza dalle domande impossibili per tutto l’anno (“Ma anche in Italia gli uomini muoiono?”), che ha sempre voluto essere al centro dell’attenzione, che una volta ha preso fuoco avvicinandosi troppo ai fornelli, che si dimentica di mettere il sale quando cucina, che è arrivata con tanto impegno solo fino alla tabellina del 5, proprio Marina mi ha ricordato una presenza che in tutta la mia precisione e turbinio di cose da fare rischiavo di dimenticare.

27 Maggio

Momento di saluto e festa dopo un anno insieme.


Ci siamo quasi tutti, manca Stela, è partita per l’Italia proprio stamattina. E chi non è qui fisicamente, è comunque con noi nel ricordo (o almeno campeggia sul cartellone che abbiamo preparato!).

Il momento è intenso, arricchito dalle novità dell’ultima settimana (la ricomparsa dopo anni della mamma di Ala e il lavoro ottenuto da Nina e Ala). Anche la commozione è tanta, soprattutto quando la psicologa Doamna Ludmila ci guida nel costruire una rete in cui ognuno esprima i sentimenti verso una persona del gruppo e i suoi auguri per tutti. Non mancano le lacrime.

E poi, prima della festa (con tutto il cibo e la torta), il momento della consegna della “dote”, poche cose (lenzuola, pentola, piatti, posate, asciugamani) per iniziare una vita da sole, verso un’indipendenza sempre più affermata.


Il sole a strisce.6

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La Defensoría del Pueblo boliviana sta pubblicizzato in questi giorni l’inizio di un nuovo programma a favore di piú di 1000 bambini che attualmente vivono con i genitori nelle carceri. Il programma in questione si chiama “Libera Mi Niñez”.
Piú di 1000 bambini vivono in carcere con i loro genitori e, questo si deve soprattutto al fatto che i genitori non vogliono lasciarli soli mentre loro stanno scontando la pena all’interno del carcere; davanti a questa difficile situazione, la Defensoria del Pueblo, ha iniziato a pianificare un piano integrale di lavoro per permettere ai bambini di poter uscire e vivere in una maniera piú adeguata alla loro crescita.
La Defensoría del Pueblo ha sentenziato che i diritti dei bambini che vivono in carcere sono violati perché i bambini, come i detenuti, sono esposti all’affollamento delle carceri, alla inadeguatezza delle infrastrutture, alla mancanza di accesso ai servizi di salute e i loro diritti sono resi fortemente vulnerabili.
La legge boliviana permette ai genitori che stanno scontando una pena in carcere di vivere con i propri figli fino ai 6 anni di vita del bambino, peró le autoritá riconoscono che c’é molta flessibilitá e i bambini si fermano a vivere con i genitori molto di piú perché spesso l’alternativa é vivere in strada.


Attualmente nelle carceri di Cochabamba sono presenti circa 460 bambini; vivono in condizioni di precarietá in carceri sovraffollate, senza diritti e senza molte possibilitá di svago e gioco. Imparano presto a capire come funziona la vita del carcere ma sono e rimangono comunque bambini…uno di loro, D. , mi ha preso in simpatia, è un bimbo di 9 anni con la faccia da furbetto. Sua mamma vive al San Sebastian mujeres y suo papá al San Sebastian varones. Lui con le sue 2 sorelline vive con la mamma. Esce la mattina per andare a scuola e torna a “casa” verso le 16.00. Il pomeriggio lo passa da un carcere all’altro passando i messaggi tra i suoi genitori e portando soldi o cibo da una parte all’altra. È sveglio, intelligente, buono…quando gli porto qualche dolcetto li mette da parte per condividerli con la mamma e le due sorelline piú piccole…mi chiedo sempre se sia giusto far vivere i bambini in questo mondo dei grandi, in questo mondo cosí corrotto, sporco, senza regole…ma qual’è l’alternativa per loro? La strada? Un hogar? Non so darmi una risposta …io continuo ad andare a trovarli, continuo a sperare che non imparino a vivere da quello che vedono lí dentro…non so se questo nuovo programma della Defensoría del Pueblo serva a qulacosa peró qualcosa si sta muovendo, qualcuno si sta accorgendo del bisogno di libertá di D. e di tutti gli altri bambini.

giovedì 27 maggio 2010

Il sole a strisce. 5

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Febbraio. Quando incontro per la prima volta *** rimango basito. Quanti anni deve avere..settanta? Il corpo incurvato, il viso rugoso e un paio di occhialetti tondi danno a questo sudamericano un’aria quasi buffa. Non posso fare a meno di provare subito tenerezza e simpatia per lui. In Italia un signore del genere riesco ad immaginarmelo alla bocciofila, a giocare a carte davanti a un bicchiere di vino rosso.
Se non fosse che ci troviamo in un carcere giordano. E che lui, sudamericano, è dentro per droga e si trova a oltre 10mila chilometri di distanza dal suo Paese. Un solo viaggio, ma gli hanno trovato addosso parecchi chili di cocaina.
Gli mancano i vestiti, la maglietta che ha su gliel’ha data il sacerdote che lo visita da un po’ di tempo. Non ha abbastanza soldi per comprarsi le cose all’interno della prigione (la lametta da barba o le sigarette). Non parla una parola di arabo, e non riesce nemmeno a comunicare col medico del carcere per raccontargli dei suoi problemi di salute. L’unico che gli da’ una mano è un ragazzo peruviano di 19 anni, anch’egli dentro per droga, che gli fa da traduttore.
Ha lasciato sette figlie in Bolivia, l’ha fatto per loro. Tutte ragazze, mi dice orgoglioso, e che hanno bisogno di lui. Ora mi chiede di aiutarlo, di aiutarle, mi strattona la giacca e mi chiede di aiutarlo. Mi prende molta pena per lui. E’ qua solo da cinque mesi, e se davvero sarà condannato per droga non uscirà di prigione prima di 10-15 anni. Gli dico che ne parlerò con i miei colleghi, che cercheremo di aiutarlo. Che faremo il possibile. Ma cosa faremo esattamente? Non ne ho idea.

- ***** -
Maggio. In questi mesi sono tornato più volte a trovare ***. E’ sempre lì. Gli abbiamo portato dei vestiti, delle carte telefoniche, dei soldi per comprarsi le sigarette. Abbiamo cercato di trovargli una tutela legale ma non ci siamo ancora riusciti. Quando mi vede si illumina, e mi rendo conto che per lui questi quindici minuti sono importanti. Passa due, tre, anche quattro settimane ad aspettare il mio ritorno. Saluti, sorrisi, conversazioni tra due (quasi) perfetti sconosciuti. 15 minuti.

lunedì 17 maggio 2010

Ma il Travisil avrà effetti collaterali?!?

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Dopo una settimana, ho recuperato le forze per postarvi qualche impressione e immagine della formazione che abbiamo svolto a Talmaza lo scorso weekend.


30 volontari provenienti dai vari centri di Diaconia sul territorio (più 4 da Iasi, in Romania), insieme per prepararsi ai Cantieri del Solidarietà 2010. Fra questi abbiamo selezionato i 17 che, con i ragazzi italiani, affronteranno questa avventura estiva.
E poi noi "formatori", che nel gioco notturno abbiamo dato il meglio di noi (per terrorizzare i poveri fanciulli!) (da Sx Vulcano - Mara, Sceriffo - Ana, Fata dei boschi - Anna, la Strega - Vasile, lo scienziato straniero - la sottoscritta, il Maestro Nero - Nadia, ed Elisa al di là dell'obiettivo che se la spassava un mondo):
(la mia mamma si è offerta di pagarmi il parrucchiere dopo aver visto la foto... ma uno scienziato folle come deve essere?!?!)

E poi, così in ordine sparso,

-Alce Rossa nei boschi (e fra le ortiche!), ovviamente doveva iniziare a piovere

- Dima e Roma che ballano "La zia di Forlì" (ok, questa è colpa mia)

-i poetici WC (vi risparmio la foto, ma dopo essermici nascosta per un'ora durante il gioco sono diventati il mio luogo preferito, vero, sto impazzendo)
-"Sunt un cocoș și mă cheama Renda" versione tradotta e adattata di "Sono un pollo e mi chiamo Giovanni"
-il brutto risveglio di domenica mattina
-il lungo abbraccio di Roma quando ci siamo salutati, consapevole di aver partecipato ad una cavolata di gruppo
-la discoteca, mix tra tecno e musica tradizionale (ho anche ballato la hora!)
-la perdita del nostro apriscatole (è rimasto lì :-( )
-la pasta scotta
-la hrisca infinita
-il mistero del latte
-il gioco peggio spiegato del mondo (proposto da uno dei gruppi dei ragazzi) e le risate più grosse (ogni squadra, non avendo capito nulla, ha fatto quello che voleva, grande divertimento, soprattutto in chi ci guardava)
-il mal di pancia di Anatol
-la regola numero 5
-la corte spietata fatta ad Anna
-le medicine elargite (ma il Travisil avrà effetti collaterali?!?)
e me ne verrebbero in mente tante altre ma ora è tempo di Reportone (chissà, forse possiamo chiamare così il prossimo gioco di paura notturno...)

domenica 16 maggio 2010

The opening party!!!

2 commenti:










Per chi di voi non ha potuto partecipare, ecco alcuni momenti dell'inaugurazione del Centro E.M.O. con gli adolescenti di Dbayeh...
e i nostri special guests venuti dall'Italia... ;-)))

sabato 15 maggio 2010

Festa Parrocchiale

4 commenti:
Ecco come inizia la festa parrocchiale...


... e segue così...
Ogni fraternità del quartiere prepara un ballo folklorico:




E quando... durante le prove generali ero proprio stanco... c'era chi mi tirava su di morale...
I love Bolivia
Foto scattate da Alessandra Di Stefano, la fotoreporter ufficiale della manifestazione.

62 anni

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Oggi sono 62 anni. Il 15 maggio del 1948 gli eserciti di Egitto, Siria, Libano e Transgiordania entrano in Palestina invadendo il neo-proclamato Stato di Israele, dando il via a una guerra regionale che risulterà nella sconfitta delle forze arabe, nell’espansione del territorio di Israele e nella fine di ogni proposta di spartizione fatta dalle Nazioni Unite.

Oggi i Palestinesi e tutto il mondo arabo ricordano l’inizio della
Nakba, la catastrofe - Il giorno in cui i più di 700mila persone sono diventate improvvisamente una nazione di rifugiati.

Parlare di Palestina in Giordania significa parlare di oltre il
60 percento* della popolazione del regno, una testimonianza vivente di quello che hanno significato gli eventi del ’48 e dei decenni successivi. Ma ora i Palestinesi sono stanchi, rassegnati, hanno paura per il loro futuro. Dopo 62 anni di sofferenze, umiliazioni e rabbia la speranza se n’è quasi completamente andata.





Fayrouz

Sanarji'u (We shall return)


We shall return to our village one day
and drown in the warmth of hope
we shall return
though time passes by
and distances grow between us.

O heart don't drop wearied
on the path of our return
how it wounds our pride
that birds tomorrow will return
while we are still here.

There are hills
sleeping and waking on our pledge
and people who love
their days comprised of waiting
and nostalgic songs
places where willows fill the eye
Bending over the water
while afternoons in their shade
drink in the perfume of peace.

We shall return
the nightingale told me
when we met on a hill
that nightingales still
live there on our dreams
and that among the yearning hills
and people there is a place for us
0 heart then
how long has the wind scattered us.
Come, we shall return
let us return.
* Questo dato comprende anche seconde e terze generazioni di palestinesi ma si tratta di una proporzione di massima non esistendo, com'è ovvio, statistiche precise a riguardo.

venerdì 14 maggio 2010

1 commento:

Ebbene sì...

Siamo orgogliosissimi di invitarvi ufficialmente all'inaugurazione del tanto atteso Centro Adolescenti "E.M.O", oggi alle 17-ora locale-presso il campo profughi palestinese di Dbayeh.
Ahlan wa Sahlan bikum!
(in arabo siete i benvenuti)

giovedì 13 maggio 2010

delle (in)finite possibilità

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marta: buonasera. al Lweibdeh, per favore (in lingua locale)
tassita locale: se Dio vuole (in lingua locale)
(marta: beh, sì...)
tassista locale: americana? (in lingua locale)
marta: no, italiana (in lingua locale)
tassista locale: parli bene arabo (in lingua locale)
(marta: capirai...tre parole e dette pure male...)
tassista locale: ah, italiana...bissa? (in lingua locale)
marta: eh?
tassista locale: bissa, bissa (in ligua locale, con un convulso mimo di qualcosa che punta verso l'infinito in diagonale)
marta: visa?
tassista locale: bissa, bissa (in lingua locale, senza mimo 'sta volta)
marta: ah, pisa?!
tassista locale: sì, bissa (in lingua locale)
marta: no, milano, più a nord (in lingua locale)
tassista locale: ah...(in lingua locale, con del malcelato disappunto)
marta: eh, già...(in italiano)
tassista locale: bissa è bella (in lingua locale)
(marta: eh, già...)
tassista locale: vivi qui? (in lingua locale)
marta: sì (in lingua locale)
tassista locale: sei sposata o studi? (in lingua locale)
marta: basta? cioè, solo 'sei sposata o studi'? (in lingua locale)
tassista locale: sì, sei sposata o studi?
(marta: se proprio devo scegliere...)
marta: studio (in lingua locale)

marta: qui va bene. grazie e arrivederci (in lingua locale)
tassista locale: arrivederci (in lingua locale)

ovvero: non si finisce mai di imparare.

giovedì 6 maggio 2010

Noi non vogliamo affatto immatricolare una galera

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ovvero: come ottenere la residenza in Giordania in sette mesi e vivere felici



non stiamo a raccontarvi in quanti uffici siamo stati, con quanti prefetti abbiamo parlato, quanti sorrisi abbiamo fatto, quanti taxi abbiamo preso, quante carte abbiamo riempito, ma alla fine, io e Davide siamo orgogliosissimi possessori di carta di identità giordana...ora potete dimenticarci qui fino al 4 maggio 2011!!

....KINDU C'E'!

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Sguardi che conoscevamo diffidenti e compiacenti diventano amichevoli e gioiosi.

Giochi eseguiti per dovere e curiosità, diventano attesi e desiderati.

Questi mesi a Kindu ci hanno regalato gioie inaspettate.

I ragazzi iniziano ad aspettarci e ad aprirci il loro mondo.

Noi ce la mettiamo tutta, anche se non sempre le cose vanno proprio lisce……

Per questo primo post del nuovo anno lascio le parole alle immagini.

……..noi ne usciamo quasi sempre ingloriosamente distrutte e sfinite, ma alla fine belle Felici!!!

Baci a tutti!!!


ADESSO FACCIAMO UN GIOCO:
prendete le caramelle che volete.......


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TIRO ALLA FUNE:


gli spettatori
la sfida
I VINCITORI!!!
.... le vasungu sfigate...



........ A PRESTO!!!!

martedì 4 maggio 2010

Tra i banchi di scuola in Medio Oriente

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C'è la scuola superiore dove le famiglie della Damasco bene mandano a studiare le proprie figlie; c'è la scuola femminile di Yarmuk, dove oltre il novanta percento degli studenti sono figli di rifugiati palestinesi; c'è la scuola media di Jaramana, organizzata su due turni per riuscire ad assorbire le decine di ragazzi iracheni arrivati negli ultimi anni; c'è la scuola elementare maschile nella periferia rurale damascena, dove i ragazzini siriani, oltre alle materie curriculari, imparano anche i primi rudimenti di agricoltura e zootecnia.

Un interessante documentario prodotto dalla BBC sul sistema educativo in Siria. Gli autori hanno filmato quattro scuole nella città di Damasco durante un intero anno scolastico, restituendo un ritratto del Paese che va contro molti degli stereotipi occidentali sul mondo arabo.



BBC/Open University

What’s it like to grow up in Damascus, the oldest capital city on earth, deep in the heart of the Arab world?
Syrian School does something no series has done before. The production team have been allowed a remarkable degree of access so you can follow a year in the life of four schools in Damascus, a high pressure crossroads in the Middle East. Filming real life in schools, in homes and on the street, this programme creates a unique portrait of education and family life in a city that has rarely, if ever, been seen in this sort of intimate detail.



Syrian School - Part 1 from Yazan Badran on Vimeo.

E LA PIOGGIA FU

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Me ne stavo tranquilla fuori dall'ufficio guardando la pioggia che cadeva piano.
Gocce sparse ma continue, niente di allarmante.
- Al massimo mi bagno un po'- penso.
D'improvviso un rumore.
Come una sassaiola contro una lamiera, come fa il mare quando arriva l'onda a riva, come un applauso che cresce veloce dopo la chiusura del sipario di un teatro.
Era la pioggia che arrivava da lontano.
Ma ve la immaginate?
No dico..io vedo arrivare un uomo che cammina per strada, la notte quando fa buio, le nuvole nel cielo, ma non la pioggia!
La pioggia scende e basta, non arriva da lontano come il bus.
E invece standomene li, la potevo vedere chiaramente davanti a me, avanzando inesorabile sopra ogni cosa.
Prima lontano, una nuvola nera, il sipario che si chiude e il primo spettatore, il più avventato o forse il più emozionato, che inizia ad applaudire.
E poi cresce, gli altri spettatori che seguono il primo, l'onda che raggiunge la riva e scroscia mischiandosi all'arena della spiaggia.
Così l'ho vista avanzare.
Verso di me, invadendo e valicando, conquistando terreno.
Come se su la, in alto, qualcuno stesse aprendo un enorme botola e progressivamente l'acqua se ne scendeva, attirata dalla terra assetata.
E poi è arrivata.
Mi ha sorpreso proprio li dove stavo, in piedi, con le mani in mano e la bocca spalancata dallo stupore. E' arrivata, mi ha sorpassato e ha proseguito la sua corsa più oltre.
Tutti in piedi ad applaudire, l'onda che torna da dove se n'è venuta, la botola ormai del tutto aperta.
E solo rumore, poi.
Rumore e odore di pioggia. Dopo sei lunghi mesi.
Piove.

ps- adesso la domanda da 100 è: smetterà mai?

sabato 1 maggio 2010

un primo maggio...al lavoro!

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Oggi pomeriggio siamo andate a trovare Mariana, una delle sei ragazze dell'Appartamento sociale di Orhei, che da un paio di settimane ha lasciato il progetto (*) per aver trovato lavoro e casa a Chisinau. Anche se si tratta di una sistemazione temporanea, ci è sembrata davvero contenta: serve da bere e rivende tabacchi in uno strano prefabbricato che abbiamo trovato davvero a fatica (chiaramente, l'insegna non c'è): entrando, nel primo stanzino i clienti attendono l'ordinazione che fanno bussando a una grossa porta (sembra l'entrata effettiva della casa) dietro la quale Mariana riempie bicchieri e vasetti "take away" di vin de casa (vino sfuso molto artigianale), di rachiu (grappa) e tuica (vodka artigianale) che mesce da grossi boccioni da 5 litri (in foto). La sua "principale", doamna Maria, ci raggiunge poco dopo e si ferma qualche minuto a chiacchierare con noi, tirando fuori qualche parola di italiano: ha vissuto per un periodo in Italia, girando per diverse città del Nord, e 5 anni fa è tornata in Moldova per problemi legati alla famiglia e ad una gamba. Entrambe ci spiegano che a breve Mariana inizierà a lavorare come cameriera (si è preparata a questa professione frequentando una scuola professionale di 5 mesi) nel bar di un parente. La visita, seppur breve, si rivela un'immersione totale in una realtà lontanissima dalla nostra quotidianità: uomini (solo ed esclusivamente), per lo più soli, e i loro cicchetti del sabato pomeriggio. Almeno, così, a colpo d'occhio, ci è sembrato.

Anche se teoricamente sarebbe stato un giorno di festa, vedere Mariana al lavoro ci ha riempite di gioia: questi non sono che i suoi primi passi verso l'indipendenza.

(*) "Verso l'indipendenza", gestito da Diaconia.