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giovedì 1 febbraio 2018

TRA IL CIELO E LA PAZ: DOVE VITA E MORTE SI INCONTRANO

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La Paz:  circa tre milioni di abitanti, altitudine che varia dai 3500 ai 4100 metri, una distesa di case senza intonaco che ricoprono la valle, alcune aggrappate alla montagna non si sa dove e non si sa come. Alle spalle svetta imponente l’Illimani, che con i suoi 6532 metri è la terza cima della Bolivia. Freddo, sole, pioggia, salite e discese, cinesi, mercati, ancora mercati e popolazione Aymara, gli andini più tosti del Paese. Sono loro che hanno resistito più di qualsiasi altro gruppo etnico presente in Bolivia alla colonizzazione spagnola: sono abituati a vivere, coltivare, pascolare e tessere a oltre 4000 metri di altitudine, chi potrebbe fermarli? Di loro dicono che sono persone chiuse, a tratti scorbutiche, abituate a parlare poco (e ci credo…! Abbiamo sperimentato sulla nostra pelle che parlare e camminare nello stesso momento a La Paz è una prova da grandi sportivi), e che conservano con fierezza alcune antichissime tradizioni pre-colombiane, mescolandole con i riti cattolici.
Per meglio conoscere e comprenderne la cultura abbiamo quindi deciso di andare al Museo Etnografico (ben progettato e molto interessante!) e, la domenica, al cimitero centrale.


E qui alcuni penseranno: “quale macabra turba psichica affligge queste due ragazze in servizio civile?!” ma io vi rispondo: “nessuna, signori!”, per gli Aymara, la morte è un naturalissimo processo che fa parte dell’esistenza stessa, anzi, chi potrebbe parlare di vita se non ci fosse la morte? E il simbolo della Pachamama (che è Terra, vita, donna) -una spirale- ne è la spiegazione più completa: tutto è un unicum ma allo stesso tempo c’è un inizio e c’è una fine che non si distinguono, l'uno sussegue l’altro in un vortice di energia infinita. Chi può dire dove si comincia e dove si termina se siamo tutti parte di un cosmo sempre vivo, sempre in eterno movimento? 

Proprio per questo il cimitero è un luogo festoso da visitare, ricco di vita, dove chiunque può entrare con un paio di gelati in mano, dove alcuni ragazzi giocano a calcio, dove ci sono i bagni (per i bisogni dei vivi chiaramente), dove le persone si riuniscono per suonare allegre canzoni davanti al loculo del proprio caro.

Bagno per vivi in fondo a sinistra



Esattamente dei loculi vi voglio parlare: sono tutti piccoli, rettangolari, colorati. Sembrano delle vetrinette, o delle teche, e traboccano di oggetti, le cosiddette alasitas ovvero copie in miniatura di frutta, verdura, bottiglie di birra, soldi, cibo, che le persone collocano all’interno della tomba perché rappresentano le cose che più amava il defunto in vita e che il defunto continuerà ad amare “dall’altra parte”. Chi l’ha detto che il signor José non possa sorseggiarsi la sua bottiglia di cerveza in altre forme? O che la signora Maria non possa fumarsi le sue sigarette? I più temerari hanno addirittura infilato alimenti come caramelle, snack e piccoli paninetti.
E poi ci sono i fiori. Tanti, tantissimi, gialli, bianchi, rossi, mazzi piccoli, grossi, gigli, rose, crisantemi, girasoli… un turbinio di colori e profumi, mucchi di fiori anche per terra e tantissime persone intente ad innaffiare, invasare, tagliare, sistemare, comporre.




Per completare l’atmosfera, che vi assicuro essere di totale pace, sono stati dipinti su ogni parete dei murales da artisti provenienti da tutta la Bolivia. È stata un’idea del direttore del cimitero, realizzata grazie al collettivo "Perros sueltos" di Cochabamba, che ha organizzato questa iniziativa e che ancora ci sta lavorando*.
E’ strano, cammini per il cimitero e sei circondato da murales incredibili, alti, grandi, significativi, coloratissimi… e se un muro ancora non è stato dipinto, lo vedi lì, mezzo scrostato, triste, grigio, e non puoi fare a meno di pensare che per fortuna intorno c’è tanto colore.


"Riposo"

"Credere"


Può essere che gli Aymara siano persone chiuse e  silenziose però senza parole ci insegnano che si può vedere anche un cimitero con un’altra prospettiva: celebriamo con gioia la vita e celebriamo con altrettanta gioia chi non c’è più, perché in un’altra forma, a noi sconosciuta, ci è vicino e ci protegge, e sicuramente il 2 novembre scenderà come spirito dalle scalette di pane che vengono poste sulla sua tomba** e passerà a farci un saluto.



* Per maggiori informazioni e per vedere tutte le opere realizzate nel Cimitero di La Paz: www.perrosueltos.com 

**A La Paz si festeggiano i defunti  il 2 novembre e l’8 di novembre. Nello specifico, il 2, tra le varie offerte, vengono poste delle scalette fatte di pane all’interno dei loculi perché si ritiene che sia il giorno in cui gli spiriti scendono sulla Terra; l’8 invece è la “Fiesta de las ñatitas”, cioè dei teschi. Le persone portano i teschi dei propri defunti al cimitero, li coronano di fiori, talvolta gli mettono una sigaretta in bocca, gli occhiali da sole o un berretto e li fanno benedire con rito cattolico, affinché possano sempre vegliare, con alegria, sui vivi. 

sabato 25 novembre 2017

Tre storie di (stra)ordinaria follia

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Il diritto alla salute, questo sconosciuto


Milano, giorno di settembre 2017. “Buongiorno, vorrei prenotare una visita oculistica” “Va bene l’8 novembre alle 10.30?” “eh no, guardi, partirò i primi di novembre per andare un anno all’estero, non c’è un’altra data?” “Signora, 8 novembre 2018”. Ah.
E qui sono partiti gli insulti al Servizio sanitario nazionale italiano.

Cochabamba, 17 novembre 2017. Passo davanti all’Hospital Viedma, zona centrale della città. Davanti all’ingresso del pronto soccorso c’è una distesa di persone sedute, in piedi, sdraiate, accasciate, che aspettano. Uomini, donne, anziani e bambini. Qualcuno è steso su un telo super colorato come se ne vedono tanti in giro, altri mangiano qualcosa mentre aspettano, qualcuno piange. Ambulanze? Ne vedo due e pure scalcagnate. Mi si stringe lo stomaco…  io nel frattempo sto facendo il “farma-tour”, ovvero sto andando in differenti farmacie della città a chiedere quanto costano dei farmaci per un signore che ha chiesto aiuto alla Caritas. Ed è incredibile! Ogni farmacia propone prezzi diversissimi per gli stessi identici medicinali: si passa da quasi 800 boliviani (100€) a 400. In ogni caso, troppi. Il signore in questione non ce li ha. Forse si riuscirà ad attivare un aiuto per il mese di dicembre. Ma poi? Suo figlio ha una malattia psichiatrica, se non prende quei farmaci diventa violento. E dopo dicembre che si fa? Non c’è risposta.

Cochabamba, 16 novembre. Viene in Arzobispado (all’Arcivescovado) un giovane uomo, professione fotografo. Si è fratturato l’ulna e il radio, deve essere operato. Costo dell’operazione: 15.000 boliviani (circa 1800€). L’uomo piange. Quei soldi non ce li ha! Adesso che ha il braccio rotto non sta neanche lavorando… forse potrebbe tenerselo così, aspettare che guarisca solo con la fasciatura. Non si può. Il dottore ha detto che bisogna agire tempestivamente altrimenti il suo braccio non tornerà più come prima. Il giovane uomo ha sentito di un centro privato dove lo opererebbero con 2000 boliviani (250€), potrebbe andare lì? Non è sicuro! Esiste gente che lucra su questo sistema sanitario inesistente e si improvvisa medico pur di guadagnare dei soldi. Cercheremo di trovare una soluzione ma lei non vada lì, per favore. Hasta luego, ci rivedremo. Si ma intanto che ne sarà di lui e del suo braccio? Non c’è risposta.

Cochabamba, 14 novembre. Ruperta, dell’Abds (Associazione donatori di sangue boliviani) ci racconta di un signore che ha avuto bisogno di sei sacchette di sangue per operarsi. In cambio i familiari dovevano restituire il doppio delle sacche di sangue richieste (trovatevi dei donatori), e pagare 300-500 boliviani (40-60€) per ogni sacca. Il signore purtroppo è morto in sala operatoria. Niente sacche di sangue allora? Ehnno! Le ha comunque utilizzate, tutte e sei! Quindi? Quindi la famiglia non può seppellirlo se non ripaga il suo debito. Signori e signore, corpo in ostaggio: o 12 sacche di sangue e 2000 boliviani o il vostro caro defunto rimane qua. La famiglia ce l’ha fatta? Sì, l’Abds li ha aiutati a recuperare le sacche e il signore alla fine ha ricevuto la sua degna sepoltura. Caspita, ma almeno i donatori di sangue, qualora dovessero averne bisogno, hanno delle agevolazioni? Magari, che so, non pagano i 300 boliviani per sacca… Agevolazioni?  No di certo! Bravi loro che donano, ma qui c’è il 2X1 al contrario: prendi una sacca e ne devi riportare due, sempre. E la sacca conquistata comunque la devi pagare, sempre. Ah.

Quando torno in Italia richiamo per prenotare la visita oculistica, e quando me la danno, me la danno.


NB: secondo l'Ine (Instituto Nacional de Estadìstica), nel 2015, il 38,55% della popolazione viveva sotto la soglia di povertà, ovvero con meno di 3€ al giorno nelle aeree urbane e meno di 2€ al giorno in quelle rurali.

giovedì 26 ottobre 2017

Sospingi la tua barca

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Sono Marianna e mi piace il mare. Lo dice anche il mio nome  -abbreviato -  “Mari” , che è come mi chiamano le persone quando si sentono  già in confidenza. A questo punto uno si aspetterebbe che io viva in una città marittima come Genova, Napoli, Rimini… No. Abito a Milano, ma il mare mi accompagna da quando sono piccola, dalle lunghe estati passate con i miei nonni a Livorno, dove ho imparato a nuotare molto presto a suon di bevute d’acqua, addii struggenti ai braccioli,  e incoraggiamenti vari.
Allora sorge un’altra domanda:  “parti per una città di mare?”. No. Vado in Bolivia, il “corazon del Sud America”, che essendo appunto un  “corazon”  non ha sbocchi sul mare. E allora che c’azzecca il mare? 
Il mare lo porto con me, perché in questo momento mi sento un po’ come una piccola barchetta. Sono sulla riva, pronta a partire: sto spiegando le vele, preparando i rifornimenti, il salvagente (sì, serve anche quello!) e sto salutando parenti e amici al molo. 
Parto per un anno di servizio civile all’estero, l’ho deciso tempo fa, ma come ogni decisione importante che ho preso nella mia vita, ho avuto bisogno di tempo per concretizzarla. 
La mia barchetta è piccola e (spero)  resistente,  è pronta ad affrontare le onde e a farsi trasportare dalla bonaccia; farà un lungo giro e incontrerà tante isole nel suo percorso e in ognuna si fermerà, anche solo per poco, e  ogni terra toccata sarà per me importante.
Nonostante la mia sia una piccola barca monoposto, appena giro lo sguardo vedo che sul molo ci sono tante altre barchette… ben tredici! Sono tutte differenti e ognuna è bella a suo modo. Tutte, come me, si stanno preparando per affrontare il mare. Non abbiamo la stessa meta, eppure qualcosa di forte ci lega: lo spirito con cui partiamo sembra un enorme e unico soffio di vento che già inizia a sospingerci.  E allora, eccomi, sono pronta, preparo la bussola, apro il diario di bordo, aggiusto il timone e intanto, comunque vada,  in questo inizio di viaggio non mi sento sola. 

Ai miei compagni di avventura voglio quindi dedicare una poesia che mi è stata donata da una persona molto cara. Inutile dire che parla di barche… e mari.

Conosco delle barche
che restano nel porto per paura
che le correnti le trascinino via con troppa violenza.

Conosco delle barche che arrugginiscono in porto
per non aver mai rischiato una vela fuori.

Conosco delle barche che si dimenticano di partire
hanno paura del mare a furia di invecchiare
e le onde non le hanno mai portate altrove,
il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.

Conosco delle barche talmente incatenate
che hanno disimparato come liberarsi.

Conosco delle barche che restano ad ondeggiare
per essere veramente sicure di non capovolgersi.

Conosco delle barche che vanno in gruppo
ad affrontare il vento forte al di là della paura.

Conosco delle barche che si graffiano un po'
sulle rotte dell'oceano ove le porta il loro gioco.

Conosco delle barche
che non hanno mai smesso di uscire una volta ancora,
ogni giorno della loro vita
e che non hanno paura a volte di lanciarsi
fianco a fianco in avanti a rischio di affondare.

Conosco delle barche
che tornano in porto lacerate dappertutto,
ma più coraggiose e più forti.

Conosco delle barche straboccanti di sole
perché hanno condiviso anni meravigliosi.

Conosco delle barche
che tornano sempre quando hanno navigato.
Fino al loro ultimo giorno,
e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti
perché hanno un cuore a misura di oceano.
                                                    
                                                       [Jacques Brel]