sabato 30 giugno 2018

Chisinau-Sarajevo

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L’inizio vero e proprio del viaggio è rappresentato dalla preparazione dello zaino, è il momento in cui ti trovi a decidere che cosa portare, cosa lasciare, cosa reputare indispensabile e cosa superfluo. E mentre si consuma il rituale del bagaglio si materializzano le aspettative, le paure e l’attesa per la partenza diventa quasi insopportabile. La meta è certa, è Sarajevo, il tragitto quindi Chisinau-Vienna-Sarajevo.

Non parto sola, i compagni di viaggio sono piuttosto insoliti, otto adolescenti moldavi provenienti da Chisinau (capitale della Repubblica Moldova) e dai villaggi limitrofi. Sono i volontari dell’associazione in cui lavoro, volontari che nel corso dei mesi si sono fatti il mazzo con dedizione e devozione, al punto che spesso con la collega di servizio civile ci siamo trovate a sollecitarli  ad andare a casa alla fine delle attività, accompagnandoli letteralmente alla porta. Il viaggio  per i volontari è il  riconoscimento per l’impegno dimostrato nel corso dei mesi, per alcuni nel corso degli anni, per l’associazione significa dare loro l’opportunità di uscire dal paese, prendere un aereo per la prima volta, fare una vacanza e vivere un’ esperienza di incontro. 
È capovolgere il paradigma per cui “l’estero”, “l’altrove” non sono solo mete di emigrazione ma anche di scambio e riscoperta.




La meta è certa, Sarajevo, non un luogo a caso, non un luogo di facile lettura, luogo di fratture  e suture. La partenza è già di per sé evento, il piccolo aeroporto di Chisinau con un sottofondo di lavori in corso ci congeda assieme al saluto dei genitori con il vestito buono ed il selfie di gruppo d’ordinanza.

Sarajevo ci accoglie con un freddo inaspettato e una pioggerellina sottile, sembra autunno. I ragazzi sono colti di sorpresa dal canto del Muezzin, per tutti è la prima volta e chiedono immediatamente spiegazioni, è un inizio in media res. L’intreccio di culture e di storia li investe e da subito iniziano a capire la complessità e la bellezza della terra che li ospita, le informazioni della formazione pre-partenza prendono forma, consistenza ed assumono colori, volti e storie. A traghettarci in questa scoperta sono i ragazzi dell’associazione bosniaca “Youth for peace”, ragazzi di confessioni religiose e gruppi etnici diversi che assieme svolgono attività di volontariato promuovendo il dialogo interreligioso in un’ottica di riconciliazione. Sono tante le emozioni che in questi primi giorni ci coinvolgono, il War Childhoodmuseum ci colpisce dritti allo stomaco, tocca le nostre corde più deboli ed ancora una volta ci mette di fronte alla storia di questa terra.
Il museo è una raccolta di giochi, portafortuna e ricordi dei bambini cresciuti durante la guerra in Bosnia, ci sono un peluche, un abbecedario,un portapenne, involucri di cioccolato, gli oggetti parlano attraverso una didascalia, sono le esperienze e le storie dei piccoli proprietari… Il primo oggetto in mostra è però il cappottino di una bimba siriana è di panno verde e la taglia è piccola, molto piccola.  Allargo lo sguardo ai miei otto compagni di viaggio e li vedo commuoversi,all’uscita del museo ci  scambiamo le impressioni e le sensazioni e mi sembrano diversi da quegli otto che al mattino chiedevano insistentemente di connettere Justin Bieber e Ed Sheeran al cavetto della “Volkswagen Combi”.



La fedele “Combi”ci accompagna tra le strade di Sarajevo, è un saliscendi non indifferente, saliamo fino al monte Trebevic (postazione di lancio dei colpi di mortaio durante l’assedio) per poi scendere verso la città. I cellulari dei ragazzi sembrano impazziti, c’è un’altra prima volta o quasi da immortalare, le montagne. Il numero di scatti è impressionante, le foto vengono inviate la sera alle famiglie che aspettano la cronaca della giornata. Il nostro viaggio assume una dimensione collettiva, la nostra esperienza raggiunge i villaggi della Moldova e i luoghi della diaspora moldava, ci sentiamo a metà tra Neil Armstrong e il carosello serale. I genitori e i nonni rimasti in Moldova sono parte del viaggio, è un racconto intergenerazionale.

I volontari di “Youth for Peace”, ci prendono e per mano e con loro visitiamo la Gazi- Husrev- beg Mosque, è un’altra prima volta emozionante, di quelle che ti spiazzano, le pareti dipinte, la quiete e il tono gioviale dell’imam, leggo negli occhi dei ragazzi una sensazione di spaesamento, non è quello che si aspettavano, l’incontro non corrisponde all’immaginario. A rendere il tutto più surreale è Emina, indossa un paio di Stan Smith bianche, dei jeans a sigaretta e una t-shirt  con la stampa “I’m a vegeterian”, ci spiega della sua religione, è una di turbomuslim (mussulmana praticante) femminista e vegetariana, è un ossimoro in carne ed ossa, parla a mitraglia e non riusciamo a staccarle gli occhi di dosso. Ci guarda dritta negli occhi consapevole di tutti i nostri pregiudizi, sorride e risponde a mitraglia a tutte le nostre domande, metà delle quali inopportune; siamo curiosi, ascoltiamo disorientati e ancora una volta ci ritroviamo un po’ cambiati.

Attraversiamo Sarajevo, dalla parte ottomana a quella Austro-ungarica, siamo lenti, molto lenti guardiamo le vetrine, ci sono le catene dei negozi di abbigliamento, oltrepassiamo Mango, più avanti c’è Zara, sorrido tra me e me..sembriamo dei campagnoli. 
È  tempo di un’altra prima volta la cattedrale cattolica e la sinagoga. 


Per tre pomeriggi di fila siamo impegnanti con la distribuzione dei pasti ai migranti accampati in Stazione centrale (da Gennaio infatti si è riaperta la rotta balcanica questa volta passa dalla Bosnia), ci sono anche dei bambini. I ragazzi si infilano i guanti ed assieme ad altri volontari si danno da fare, ascoltano le indicazioni dei volontari più esperti ed iniziano a consegnare i pasti. Alcuni di loro parlano inglese e comunicano con le persone in coda. Alla fine del servizio A.e J. mi raccontano che hanno fatto amicizia con alcuni ragazzi afgani, mi raccontano la storia di queste persone e sono molto provati,  né A e J né i ragazzi afgani parlano inglese e non riesco a capire in quale lingua possano essersi parlati «Abbiamo parlato in russo! »mi dicono candidamente. 


Li guardo e sono due diciassettenni provenienti dalla Moldova  e due ragazzi afgani che si raccontano e scambiano informazioni in russo di fronte alla stazione dei treni di Sarajevo.
Saliamo nella nostra Combi, piove e concedo senza fiatare il cavetto per la musica, posso senza dubbio sopportare un’altra compilation di Ed Sheeran.

venerdì 22 giugno 2018

NOROC!

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Diario di Bordo
Giorno 0: 17/06/18

Siamo giunti al termine della nostra formazione e l'ora di fare le valigie è quasi arrivata.
Ci siamo conosciuti più approfonditamente e abbiamo incontrato le nostre coordinatrici Faustina e Lisa, che ci hanno conquistato fin da subito con la loro simpatia e disponibilità.
Siamo molto carichi ed entusiasti per ciò che ci aspetta. Partiamo con l'aspettativa di non avere aspettative, per un paese così vicino e allo stesso tempo così lontano.
Salpiamo sospendendo il giudizio verso una realtà che non conosciamo, pronti a lasciarci coinvolgere dalla Moldova e a vivere a pieno l'esperienza.
Non vediamo l'ora di conoscere gli altri compagni di viaggio con cui creare spirito di gruppo, affidandoci gli uni agli altri, lasciandoci andare e mettendo in gioco tutto noi stessi.
A questo punto non resta che salutarci...to be continued
NOROC! 

Gruppo Moldova: Sonia, Valeria, Lidia, Elisa ed Emanuele

giovedì 21 giugno 2018

Georgia: segue film

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"Buongiorno, se il tag non dovesse funzionare, questo è il gruppo Georgia (3 cantieristi+ 2 coordinatori) come faranno a fare il post il gruppo Serbia che sono trenta persone?


Dopo questi due giorni intensi di formazione pre,-partenza, nonostante il video allegato, le nostre aspettative sulle due settimane di campo sono notevolmente cresciute, ma non lo diremo a voce a nessuno così da non far litigare il coordinatore con la moglie, che si eran messi d'accordo per smorzare i toni.

Si capisce quello che stiamo dicendo?
Abbiamo eviscerato i dubbi e le paure di ciascuno dei cantieristi col Bereppe (non è un refuso, ma un coordinatore si chiama BERetta giusEPPE, e lo stiamo scrivendo nel post per ricordarcelo anche noi) e ora pensiamo (mettiamola sul dubbioso) di essere molto più consapevoli dell'ambiente che troveremo.

Segue video

(Paola in realtà non è Paola, ma è Elisa col cartellone di Paola, perché non c'era.. Paola. Si capisce, giusto?).

Segue video.
La scenetta che abbiamo realizzato è stata tagliata e rimaneggiata perché purtroppo non abbiam trovato un canotto e una canna da pesca.

Lo postiamo così, senza rileggerlo. Ciao. Segue video.

No, però lo rileggiamo solo per correggere gli errori...Fatto.
Segue video."


[p.s. il video è sottotitolato: basta schisciare il tasto su iutub]
[p.s.s.p: gli errori di battitura dei sottotitoli li abbiamo lasciati]


Prossima Fermata: Nairobi

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Milano, 17 giugno 2018

Giorno 0: Pronti, partenza, via!

Oggi è il giorno che stavamo aspettando e la nostra grande nave Pamoja è finalmente in (aero)porto. Tutto è pronto per il viaggio. Forse c'è il sole, o forse no...è difficile scorgerlo dall'oblò.
Il mare sembra in burrasca, ma siamo certi che arriveremo alla meta. 
Con il nostro equipaggio, metterci in mare non fa più paura. I nostri capitani, Alice e Giacomo, ci hanno aiutato a preparare il necessario e sono pronti a fare ed essere tutto ciò di cui ci sarà bisogno: timonieri, guide, psicologi, medici...saranno perfino pronti a cedere la doccia e il bagno!
Ognuno di noi altri 8 porta qualcosa di suo, e anche se sembriamo messi insieme senza un criterio, siamo fiduciosi di riuscire a funzionare bene come squadra:

  • Camilla - La marinaia curiosa
  • Elisa - Il bardo di bordo
  • Enrico - Il semplice mozzo
  • Francesca - La cambusiera sorridente
  • GiuliaM - La giocoliera e fotografa di bordo
  • GiuliaV - La carpentiera 
  • Sara - La giullare di bordo
  • Silvia - La cuoca tuttofare

Abbiamo caricato sul ponte anche i topi da slitta, perché non possono mancare in caso di necessità. 
Nella stiva abbiamo stipato tutti gli oggetti che non possono rimanere in Italia: la chitarra, l'ukulele, (Enrico ricordati il passaporto!), sapone di Marsiglia in gran quantità, Pussa Via Zanzara! e viveri, acqua e altri "rimedi" per sopravvivere alla traversata.

E dato che questo viaggio non è come tutte le altre partenze, non possono mancare in stiva anche il bagaglio delle proprie esperienze passate, accompagnate da ascolto reciproco e collaborazione tra i membri del gruppo, dalla comprensione, dalla voglia di mettersi in gioco e dalla pazienza di sapersi imperfetti accettando l'imperfezione altrui; e, ancora, troviamo un angolino della nave in cui far spazio alla sincerità e alla solidarietà che servono per essere punti di riferimento e di appoggio per tutti gli altri membri dell'equipaggio. 

In questo giorno che speriamo essere di sole (ma potrebbero esserci le nuvole, vi giuriamo che non si capisce dal tavolo attorno cui siamo seduti intenti a mettere giù questi pensieri), abbiamo iniziato a spiegare le vele, al grido di PAMOJA SI PUÒ! 
Il viaggio vero sarà lungo (quasi 11 ore), ma siamo pronti. E abbiamo davvero, davvero voglia di partire.

Non ha senso aggiungere altro, per ora. Questo diario, come questo viaggio, è appena all'inizio.

Cantiere Nairobi


Hebu twende pamoja


mercoledì 20 giugno 2018

¡QUE TUANI SER NICA!

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L’equipaggio si è formato, la meta è stata scelta.
Sappiamo che il nostro viaggio non sarà privo di difficoltà… questo non ci spaventa perché siamo sicuri che i nostri capitani sapranno tenere sempre saldo il timone!

Partiamo alla scoperta di culture e tradizioni molto diverse dalle nostre. Siamo pronti a vivere questo scambio mettendoci in gioco in ogni situazione.
Nel nostro bagaglio non mancherà l’entusiasmo e voglia di fare!

Come per ogni esploratore, è fondamentale una buona formazione…
A Milano abbiamo avuto modo di riflettere e confrontarci con uno dei capitani.
La morale della ciurma è alto e la rotta è stata tracciata!
Non vediamo l’ora di partire! La nostra stella polare è alta nel cielo…

Nicaragua stiamo arrivando!



Durante la nostra formazione abbiamo deciso di rivisitare la bandiera Nica.
Si presenta a tre bande, di cui due azzurre, che rappresentano gli oceani confinanti con il Nicaragua.
Al centro della bandiera c’è lo scudo nicaraguense; con i 5 vulcani che simboleggiano la coalizione dei cinque stati dell’America centrale (Costa Rica, Guatemala, El Salvador, Honduras, Nicaragua). Infine troviamo l’arcobaleno simbolo di pace e unione.

Nella nostra rivisitazione i cinque vulcani sono diventati sei, come il numero del nostro equipaggio.
Abbiamo mantenuto l’arcobaleno, visto il suo importante significato; sperando che accompagni questo paese ad intraprendere una pace duratura.
Al centro, il simbolo caritas, illumina il nostro percorso indicandoci la retta via.
Ed infine, uno dei due oceani si è trasformato nel mar mediterraneo, luogo da cui noi 4 cantieristi partiremo per raggiungere l’altra parte dell’oceano, dove troveremo Irene e Yuliya ad attenderci.

Una volta che tutto l’equipaggio sarà al completo, tireremo su l’ancora e salperemo tutti insieme verso questa nuova avventura!

Condividi il viaggio che porta a Nueva Vida
gridando con noi ¡QUE TUANI SER NICA!

Pronte per direzionare le vele!

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Mica scemi...anzi, sceme!, a pensare che scrivere a sedici mani, o decidere con otto teste, sia facile.
Il gruppo è al completo, ma non siamo ancora una vera ciurma: solo il viaggio ci renderà tali. Sicuramente siamo molto diverse tra noi, anche se abbiamo qualcosa che ci accomuna: la voglia di partire per questa esperienza! E poi...starà a noi riuscire a fare di queste differenze un punto di forza.
Cosa ci aspettiamo? Tante cose, ma sappiamo che non tutto andrà secondo i nostri desideri...e questo non ci scoraggerà! 

Di certo non potremo cambiare i venti, ma insieme riusciremo a direzionare le vele.

Siamo entusiaste, curiose, speranzose e cariche di aspettative: insomma, pronte a metterci in viaggio!

#sentitiLibanadi


Gruppo Libano:
Veronica, Michela, Sos, Giorgia, Chiara, Mary L., Giulia, Claudia
e coordinatori.



Siamo pronti per partire...

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Giorno 1

Giugno 2018

Siamo pronti per partire.
Il capitano si è presentato e ha arruolato il suo equipaggio... NOI!

I presupposti sono quelli di una vera avventura: incertezza, entusiasmo, scarse capacità di successo, ma un sacco di speranza!

Siamo pronti per partire.
Le abilità di ognuno emergeranno durante il viaggio: pazzi dottori, bizzarri giuristi, eclettici matematici, educatori poco educati.

Siamo pronti per partire... ma soprattutto per incontrare, ascoltare, parlare, sorridere e vivere un pò il mondo, tutto, tondo, in Serbia!

Gruppo Serbia 2
Gio, Stefi, Marghe, Pippo, Fede

Timone!

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Il 1° agosto 1914 la nave Endurance salpa alla volta dell’Antartico. Alla guida della spedizione, Sir Ernest Shakleton, intento a coronare il suo sogno di compiere la traversata a piedi dell’Antartide. Endurance, resistenza, pazienza. Shakleton e i suoi uomini non immaginano che gliene sarà richiesta tanta. E dimostreranno di averla – quantomeno nella misura necessaria a consentire loro, dopo un anno e mezzo di incertezze fra i ghiacci del continente più isolato al mondo, di far ritorno in Patria.
Circa un paio d’anni, un anno, qualche mese fa, una famiglia siriana, mamma, papà e tre bambini, un adolescente afghano, solo, un uomo della periferia di Baghdad, e migliaia di altre persone lasciano le loro terre natie, nelle quali si affondano le radici delle loro storie, partendo per un’utopia di Germania, di Europa, spinti dalla necessità di mettere in salvo la pelle o dal desiderio di costruire un futuro migliore per sé e per i propri figli. Viaggiano su mezzi di trasporto di fortuna, attraverso la Turchia, l’Egeo, la Grecia, prima di intraprendere l’antica strada dei Balcani, dove alla fine si ritrovano fermi in qualche campo profughi, in attesa. E per loro non è per niente facile perseverare nella sopportazione, nella pazienza. Ma, in qualche modo, resistono.
Tra meno di un mese partiamo noi. La nostra meta è proprio uno di questi campi, nella piccola località serba di Bogovađa. Il nostro viaggio sarà breve, circoscritto, e con molte meno incognite. Non ne andrà della nostra vita, ma si giocherà il nostro futuro. Andiamo a conoscere persone, ad incontrare volti, ad ascoltare storie. Partiamo per cercare di regalare qualità al tempo dell’attesa, per donare valore alle inspiegabili contingenze in cui si trovano quanti incontreremo. Partiamo per vivere sulla nostra pelle, per vedere con i nostri occhi, per ricevere inaspettati momenti di bellezza, per farci sconvolgere, arrabbiare, meravigliare. Partiamo per condividere l’attesa, così insopportabile per noi, abituati alla frenesia del quotidiano. Partiamo per cambiare tutti i piani che ci siamo fatti. Partiamo per ritornare, e probabilmente sarà solo allora che ci sarà chiesto davvero di lottare, resistendo.
Ci prendiamo la mano e formiamo un timone. Salpa la nostra Endurance. Partiamo.

Serbia 1: Matteo, Martina, Milena, Sofia

Safari Ni Hatua!

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Caro Diario,
finalmente ci siamo. Dopo un weekend ricco di emozioni, riflessioni, sorrisi e condivisioni siamo sempre più carichi e gioiosi di partire. Abbiamo conosciuto finalmente Chiara, una delle nostre coordinatrici, che ci ha trasmesso lo spirito di gruppo, d'avventura e la giusta curiosità per affrontare le nostre giornate in Kenya.
In collegamento dalla base di Mombasa, abbiamo chiacchierato con Greta, la quale ci ha travolto con la sua simpatia e la sua storia.
Grazie alla splendida interpretazione di Stefania, ci siamo completamente immersi nell’avventura di Mr. Shackleton.
Il viaggio dell’Endurance è stato fonte di riflessione e stimoli per la nostra avventura.
Ora attendiamo di conoscere il nostro equipaggio e la terra calda di Mombasa, con i suoi colori e profumi.
Non ci resta che preparare la valigia! La nostra barca è pronta a salpare!
SAFARI NI HATUA!
Team Kenya, Mombasa

martedì 19 giugno 2018

Marinai di terra ferma

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Pronti, partenza,via!
Ammaina il pappafico, cazza la randa, rotta verso la Serbia pronti per scoprire ciò che il viaggio ci riserva. Nessun mare nessuna tempesta riusciranno a farci perdere la testa.
Noi dell'equipaggio siamo pronti per andare all'arrembaggio, per incontrare persone in attesa di un'ancora di salvataggio. La nostra missione è regalare sorrisi ai loro visi, cercare di rendere umano il quotidiano tenendoci tutti per mano; ridare forza, speranza e dignità a chi una casa più non ha ma come affrontare la vita sa.
Sappiamo che saranno giorni intensi che metteranno a dura prova i nostri migliori intenti, ma noi sapremo fare affidamento sui nostri svariati talenti.
Siamo una ciurma di cucinieri, veniamo in pace per offrire dolci pensieri; siamo una ciurma di buon gustai e questa è la nostra ricetta per uscire fuori dai guai.

Mescolate 100g di ALLEGRIA e 300g di ENTUSIASMO in una terrina capiente. Aggiungete un bicchiere di PAZIENZA a temperatura ambiente, facendo attenzione a non farvi travolgere dalla PIGRIZIA. Mescolate il tutto con FORZA e COORDINAZIONE.
Scaldare a bagnomaria una manciata abbondante di ARMONIA con una grattata di MODESTIA.
Unire i due composti e aggiungere una bustina di FOLLIA.
INGEGNERIA q.b.
Infine, cuocere in forno ventilato per due settimane.

P.S. Se il dessert non dovesse riuscire non siate SCHIZZINOSI....condividendo il risultato il successo sarà assicurato!!!


Serbia 4: Stefano, Michela, Benedetta e Marianna

lunedì 18 giugno 2018

L’impresa eccezionale

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<<Cosa fai quest’estate?>>
<<Quest’estate vado in Serbia a fare volontariato in un campo profughi.>>
La reazione dell’interlocutore di fronte a questa risposta varia in un range che va dal “sei il nuovo supereroe della Marvel” a “Ruspa!”, a seconda di quanta cura hai avuto nel selezionare la tua cerchia di contatti. Il denominatore comune però è lo stupore. Nell’immaginario collettivo, chi fa il volontario in queste zone va a fare delle cose incredibili: salva vite, aiuta le persone, nel tempo libero scoperchia qualche dittatura.
La realtà è che quello che si fa in questi contesti non è molto diverso da quello che fanno gli animatori all’oratorio, gli scout con i loro gruppi, i volontari della protezione civile con i terremotati o le comunità di senza fissa dimora. Quando lo dici la gente ci rimane sempre un po’ male. Allora dove sta l’eccezionalità in quello che fai?
L’eccezionalità, sembra paradossale, ma sta proprio nella normalità. Qualche anno fa gli Articolo 31 cantavano: “L’impresa eccezionale è essere normale perché oramai qui da noi non è più banale. L’impresa eccezionale è essere normale perché normale è realizzare almeno l’essenziale”.
Così alcune cose che a noi possono suonare banali, come riempire il tempo delle persone con delle attività ludiche o istruttive, dare l’opportunità di trascorrere dei momenti con qualcuno che ha voglia di ascoltare storie e preoccupazioni o semplicemente di mettersi a disposizione diventano vitali quando sei disperso in un paese straniero e privato di una quotidianità piena e di un destino pronosticabile.
E quindi, cosa occorre per compiere un’impresa eccezionale? Se lo si chiedesse a Shackleton, esploratore che capitanò la spedizione Imperiale transantartica (protagonista dello spettacolo teatrale Antartica a cui abbiamo assistito sabato sera), probabilmente risponderebbe con il suo accento british: un buon equipaggio, finanziamenti e una nave resistente.
Si dice che Shackleton scelse il suo equipaggio con colloqui di pochi minuti, che è un modo diplomatico per dire un po’ a caso. Così è nato anche il nostro:
<<Hai mai lavorato con popolazioni migranti?>>
<<No>>
<<Bene. Arruolato!>>
<<Esperienze di animazione con i bambini?>>
<<Ehm..ho una sorellina molesta. Vale?>>
<<Presa!>>
Insomma, eccoci qui. Cinque marinai pronti a salpare per un viaggio che non ha niente a che fare con i villaggi turistici e gli hotel di lusso, ma solo con la voglia di scoprire cosa c’è al di là della realtà quotidiana in cui siamo immersi e di aprirsi all’incontro con l’altro. C’è Francesco, l’addetto ad intercedere con i superiori; Giulia, custode della saggezza ingegneristica della spedizione; Fabio e Silvia, Scout del gruppo, esperti nella nomenclatura dei personaggi del libro della Giungla, nell’accendere fuochi con i legnetti e nel rapportarsi con i bambini iperattivi (non necessariamente in quest’ordine di utilità) e Claudia “social media manager presso se stessa”, che in questo gruppo è tipo l’equivalente del fotografo di Shackleton. E poi c’è Silvia, il nostro capitano, veterana delle spedizioni umanitarie che ricordiamo per il carattere affabile, la scorta di pazienza e l’abilità nel custodire le chiavi.
In questa versione della storia non ci sono Lord inglesi a finanziare folli traversate oceaniche, nessuna notte polare ad aspettarci e i norvegesi sono troppo impegnati a pescare salmoni per fornirci della nostra rompighiaccio Endurance. C’è invece la Serbia. E la nostra nave si chiama Caritas che, in collaborazione con Ipsia e tutte le altre associazioni coinvolte, ci permette di prendere parte a una più attuale spedizione volta all’incontro, accoglienza e integrazione di tutte quelle persone che viaggiano lungo la rotta Balcanica, ognuno con il proprio bagaglio di speranze, verso un futuro migliore e che attualmente si trovano bloccate in Serbia, incastrate tra i ghiacci della burocrazia.
Quanto a noi, in questi due giorni di formazione ci siamo molto interrogati. Cosa ci spinge ad abbandonare il porto? Cosa abbiamo da portare a delle persone che hanno domande più grandi delle nostre risposte? Cosa fa di questa impresa normale, la nostra impresa eccezionale?

La voglia di compierla.


Sconfinati in Serbia (3)

domenica 17 giugno 2018

All' "equipaggio" in partenza

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Cari cantieristi che vi state preparando alla partenza...come vi sentite?


Io sono in fermento, emozionata per il vostro arrivo e curiosa, impaziente di scoprire e vivere le tante cose belle che potremo realizzare tutti insieme, con l’aiuto del vostro entusiasmo e della vostra energia contagiosa.

Non vedo l’ora di portarvi a Cafasso e di presentarvi i ragazzi ( quei meravigliosi disgraziati che mi fanno ridere a crepapelle e disperare) che spesso per un motivo o per un altro mi chiedono di voi. Alcuni stanno contando i giorni delle vacanze estive delle loro scuole per essere certi di potervi incontrare almeno per un breve periodo: ci tengono davvero tanto!

Non vedo l’ora di varcare insieme il cancello della YCTC, dove la noia e la monotonia spesso fanno da padrone nelle giornate lunghe e ripetitive dei ragazzi. Non solo quelle dei “blu boys”, ma anche e soprattutto di chi sta nella Remand Home in attesa di giudizio, a volte da pochi mesi e altre da anni.
Sono certa che la luce e la gioia che porteremo entrando tutti insieme sarà una ventata di aria fresca che farà ritrovare il sorriso a molti!

Anche le ragazze di Kamae vi aspettano con impazienza, davvero non vedono l’ora del vostro arrivo! Si ricordano bene i ragazzi e le ragazze del campo estivo dello scorso anno e immaginano già di abbracciare anche voi, giocare con voi, scambiare qualche parola nell'italiano sgangherato che hanno imparato, di ballare e divertirsi insieme a voi.

Qualcuno di loro aprirà anche un pò il proprio cuore, raccontandovi e condividendo frammenti di storie più o meno vere riguardo al proprio passato o sogni e speranze per il proprio futuro.
Non siatene avidi.
Prendete quelle piccole briciole di sè che vi doneranno e fatene tesoro con rispetto.
Condividete anche voi qualcosa, se potete, perchè l’incontro è più bello quando diventa scambio.

Entrate in punta di piedi nella vita delle persone: con delicatezza, piano piano, pulendovi le scarpe per scollare via tutti i pregiudizi e le domande inopportune e invadenti prima di iniziare a parlare.
Ascoltate. Ascoltate anche le parole che non capite. Vedrete che presto con ciascuno creerete un linguaggio tutto vostro che sarà stupendo e magico veder crescere con la relazione.
Ciascuno è un mondo a sè, rispettatelo e con pazienza stategli accanto, senza cercare di incasellare in categorie per semplificare la realtà nuova che vi circonda. Il bello è proprio la differenza!

Tutti i ragazzi nutrono dentro di sè il desiderio di crescere, di riscattarsi, di migliorare il proprio futuro.
Alcuni di loro vorrebbero farlo nel modo più semplice e veloce tristemente conosciuto in Kenya: sistemandosi con una ragazza bianca. Ricordatevi che il razzismo purtroppo funziona anche al contrario e che per molti di loro “bianco” è sinonimo di “superiore”, “ricco”, “facile”.
Molte persone guarderanno a noi con questo sguardo. Siate pronti e pronte a smentirlo, non dategli occasione di pensarlo.
Siate portatori di un comportamento rispettoso verso voi stessi e verso gli altri, ricordandovi sempre che non siete qui per la vacanza o l’avventura estiva ma a nome di Caritas.
Tutti vi guarderanno, vi osserveranno, vi scruteranno e, se saremo fortunati, impareranno che c’è un modo diverso e ancora più bello di stare insieme, di condividere e di divertirsi, e che arricchirà noi e loro, che non è legato ad interessi economici o a favori sessuali, ma che è fatto di amore vero e gratuito, di gioia piena, di scambio di esperienze, di crescita continua.

Ricordate che ogni persona è un vaso di cristallo, delicato e fragile, con il proprio passato (spesso privo di comfort e tranquillità, segnato da traumi, fatiche e abbandoni) e il proprio futuro pieno di sogni, paure e incertezze proprio come noi.

Noi saremo per loro il presente, e loro lo saranno per noi. Viviamolo a pieno e rendiamolo il più bello possibile, focalizzandoci su ciò che ci unisce e non su ciò che ci divide.

Imparate. Assorbite e meravigliatevi di ogni piccola cosa che nel nostro mondo “civilizzato” non c’è o non c’è più. Riscoprite la bellezza della semplicità, il valore del tempo senza orologi, il rispetto dei ritmi della natura.
Scoprirete un popolo lento e paziente, dinamico e creativo, curioso e chiacchierone....a volte anche un pò troppo!

Fate piccoli passi, non buttatevi a capofitto. Entrate e immergetevi in questa nuova realtà piano piano, come quando ci si addentra nel mare dove l'acqua è alta e non si è certi di riuscire a stare a galla e nuotare.  Controllate man mano la profondità e le correnti, chiedete aiuto e supporto ai compagni di viaggio. Noi coordinatori a volte vi lasceremo nuotare da soli, ma senza mai perdervi d’occhio, sempre pronti a lanciarvi una corda a cui aggrapparvi o a tuffarci per darvi sostegno.

Sono certa che sarà un’avventura bellissima e non vedo l’ora di iniziarla insieme a voi!

Preparatevi....ma non troppo: il bello sarà anche lasciarsi sorprendere dagli imprevisti e dall'inaspettato che qui, credetemi, è all'ordine del giorno.

Kahawa West - Nairobi


Vi abbraccio e vi aspetto,

TUKOPAMOJA !

Alice

mercoledì 6 giugno 2018

Taka taka everywhere

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Takataka” non è il nome di un nuovo ballo, o di una nuova hit, né di un nuovo programma televisivo. “Takataka” è ciò che in Kenya, come in altri paesi dell’Africa e del mondo in intero, dà da mangiare e dà lavorare a molti, così come molti ne fa morire. “Takataka” in kiswahili significa spazzatura. 



Qui, l’immondizia è ovunque

Sono giorni che questo pezzo è pronto, sono giorni che mi dico “domani trovo un momento e pubblico …”. Avrei voluto pubblicarlo ieri, giornata mondiale dell’ambiente. Lo faccio oggi, così, anche se non è la giornata mondiale, possiamo ricordarci insieme che abbiamo molto da fare per il nostro ambiente, per la nostra Terra. 
Quel che vi racconto è quello che accade in tanti posti, anche nei nostri mari italiani, nelle campagne della bassa milanese, ovunque. Qui, a Mombasa, forse colpisce di più … ciò non può che farci venire il desiderio di imparare un nuovo modo di vivere nel nostro ambiente e prenderci cura della Terra e delle nostre vite

Quando si parla di Kenya e rifiuti viene in mente subito Nairobi, con la sua Dandora e il più noto Korogocho, ben raccontato dall’esperienza missionaria di Alex Zanotelli. È Dandora, però, la più grande discarica della capitale, dove ogni giorno arrivano più di 850 tonnellate di rifiuti solidi prodotti dai 3,5 milioni di abitanti della città. Qui lavorano circa 10.000 persone (di cui il 55% sono bambini o minori): purtroppo non sono impiegati netturbini, né addetti ufficialmente incaricati dello stoccaggio dei rifiuti; sono i poveri della terra che negli scarti cercano un guadagno. Certo il riciclaggio dei rifiuti fa guadagnare pochissimo, ma per molti è comunque qualcosa, ben più di niente. 



A Nairobi come a Mombasa il problema dei rifiuti e della loro gestione non è certo nuovo. Sebbene la costa del Kenya sia sempre sotto i riflettori per motivi turistici, chi ha l’opportunità di camminare per le strade di Mombasa non può che constatare che i rifiuti sono disseminati da tutte le parti, a beneficio delle capre e degli altri animali che possono sgranocchiare il tutto. A Mombasa le discariche principali sono tre: Mwakirungue, Kibarani e Shoda (a Likoni). Fra questa la più vasta è Kibarani, situata sull’autostrada che collega la città portuale a Nairobi, esattamente lungo il tragitto che i turisti compiono per raggiungere l’aeroporto. Queste discariche, che nascono come “città intorno alla città”, ospitano circa 750 tonnellate di immondizia prodotta nella contea di Mombasa quotidianamente. 

Ad aprile 2018 il governatore Hassan Joho ha annunciato di voler chiudere Kibarani entro fine giugno, indirizzando tutti i carichi di spazzatura a Mwakirungue, attraverso l’uso dei nuovi 12 camion messi a disposizione. La scelta, gradita dalla Kenya Tourism Federation, è stata messa in dubbio dalla Kenya Civil Aviation Authority (KCAA), poiché il sito si trova sulla traiettoria di volo. Ovviamente gli oltre 1.000 giovani, donne e bambini che ogni giorno rovistano tra i cumuli di Kibarani sono pronti a spostarsi. Ciò a dimostrare che non è chiudendo la più velenosa e puzzolente discarica a cielo aperto della città che si risolve il problema. Qui la crisi sulla gestione dei rifiuti perdura da anni e i danni, soprattutto per la salute degli esseri umani, si fanno sentire. Lo sa bene Phyllis Omido, attivista impegnata a denunciare la tossicità dei siti e dei rifiuti di Mombasa; così come lo sanno tutti coloro che ogni giorno smistano a mani nude, senza guanti, in mezzo a bicchieri rotti, barattoli arrugginiti, aghi e bisturi per trovare bottiglie di plastica, scatole, piccoli accessori, rottami metallici e gomma da riciclare, mentre maiali, uccelli, mucche e capre, rovistano cibo tra gli stessi mucchi di spazzatura. Il mix di tutti questi rifiuti industriali, domestici, agricoli e medici – cui si aggiungono i rifiuti tossici che gli autocarri senza insegne scaricano in piena notte – è ovviamente letale. Malattie respiratorie, cancro, anemia, ipertensione, debolezza, aborti spontanei e problemi al sistema nervoso sono solo alcune delle complicanze provocate dal proliferarsi di discariche. Colera, salmonella, gastriti, chikungugna e altri tipi di febbre, come la dengue, sono ancora altre patologie provocate da tutti i cumuli di immondizia, compresi quelli situati negli angoli delle strade in giro per la città.



Nel 2017 il Kenya ha messo al bando i sacchetti di plastica, vietandone produzione, uso e importazione: è l’undicesimo Paese a livello mondiale a promuovere il bando dei sacchetti. Tuttavia girando per le strade di Mombasa ci si stupisce della quantità di bottiglie di plastica abbandonate e accumulate ... Quindi viene da chiedersi quale influenza abbia la scelta di eliminare i sacchetti se poi continuano a circolare prodotti dello stesso materiale. Inoltre sembra proprio che gli sforzi del governo (compresa la nuova tassa sui rifiuti introdotta a Mombasa dal governatore) siano insufficienti se slegati da campagne di sensibilizzazione volte ad educare i tanti, forse troppi, cittadini keniani che con disinvoltura lanciano fuori dal finestrino del matatu su cui viaggiano la bottiglietta d’acqua finita o abbandonano sulla spiaggia la carta dei biscotti appena mangiati. La popolazione se la prende con i vertici governativi quando scoppiano epidemie varie (come è stato per la Chikungugna a Mombasa nel 2017-2018), accusandoli di essere i diretti e soli responsabili del problema di gestione e smaltimento dei rifiuti, ma il bene comune si può costruire solo insieme! 

Un giorno mi sono proprio arrabbiata con i ragazzi con cui eravamo in spiaggia! Hanno mangiato i biscotti e hanno lasciato la carta in giro. La spiaggia era disseminata di involucri blu. Ho chiesto “perché?”, ho suggerito di fare diversamente … un secondo dopo qualcuno buttava un altro pacchettino a terra. Lol! La cosa peggiore è che lo sforzo di due di loro che si sono messi d’impegno a raccattare tutto è stato vano. La carta dei biscotti l’hanno messa nel cartone dei biscotti. Provate ad immaginare dove è rimasto il cartone?! Si … ahimè … in spiaggia. Ma che importa? Tanto nella stagione turistica c’è sempre chi pulisce: niente alghe, niente immondizia. Così i turisti si godono le magnifiche spiagge bianche. Poi, quando tutti se ne vanno, il panorama resta questo: 



Ho scattato questa foto a Watamu, rinomata meta turistica di molti italiani (Watamu sembra più che una colonia a tratti, parlano tutti italiano!!!), l’altro giorno. Ho anche fatto un video, mentre camminavo (si, scusate, non è il massimo da guardare!) incredula della situazione: 



Non credo di dover aggiungere altro … forse solamente chiedervi di pensare al bene comune! L’ambiente è il dono più bello che ci è fatto, per vivere. Il rispetto dell’ambiente inizia dalle nostre case, dalle nostre scelte di stile, dalla nostra responsabilità sociale. Non sprechiamo le meraviglie del mondo! 

Ps. Comunque a Nyali (quartiere benestante di Mombasa) sono spuntati da qualche mese i cestini lungo le strade, appesi agli alberi, come questi:



Chissà come sarebbe se ce ne fossero così in tutti quartieri di Mombasa ... Chissà come sarebbe bello se l'impegno dell'amministrazione governativa e gli sforzi dei privati cittadini provassero a trovare soluzioni adatte! Resto speranzosa, che qui, come in Italia, l'intelligenza degli uomini e il desiderio del bene possa prevalere e trasformare il mondo! 


“Tratta bene la Terra! Non è un’eredità dei nostri padri ma un prestito dei nostri figli”. 
(Antico detto Masai, Kenya)