mercoledì 6 giugno 2018

Taka taka everywhere


Takataka” non è il nome di un nuovo ballo, o di una nuova hit, né di un nuovo programma televisivo. “Takataka” è ciò che in Kenya, come in altri paesi dell’Africa e del mondo in intero, dà da mangiare e dà lavorare a molti, così come molti ne fa morire. “Takataka” in kiswahili significa spazzatura. 



Qui, l’immondizia è ovunque

Sono giorni che questo pezzo è pronto, sono giorni che mi dico “domani trovo un momento e pubblico …”. Avrei voluto pubblicarlo ieri, giornata mondiale dell’ambiente. Lo faccio oggi, così, anche se non è la giornata mondiale, possiamo ricordarci insieme che abbiamo molto da fare per il nostro ambiente, per la nostra Terra. 
Quel che vi racconto è quello che accade in tanti posti, anche nei nostri mari italiani, nelle campagne della bassa milanese, ovunque. Qui, a Mombasa, forse colpisce di più … ciò non può che farci venire il desiderio di imparare un nuovo modo di vivere nel nostro ambiente e prenderci cura della Terra e delle nostre vite

Quando si parla di Kenya e rifiuti viene in mente subito Nairobi, con la sua Dandora e il più noto Korogocho, ben raccontato dall’esperienza missionaria di Alex Zanotelli. È Dandora, però, la più grande discarica della capitale, dove ogni giorno arrivano più di 850 tonnellate di rifiuti solidi prodotti dai 3,5 milioni di abitanti della città. Qui lavorano circa 10.000 persone (di cui il 55% sono bambini o minori): purtroppo non sono impiegati netturbini, né addetti ufficialmente incaricati dello stoccaggio dei rifiuti; sono i poveri della terra che negli scarti cercano un guadagno. Certo il riciclaggio dei rifiuti fa guadagnare pochissimo, ma per molti è comunque qualcosa, ben più di niente. 



A Nairobi come a Mombasa il problema dei rifiuti e della loro gestione non è certo nuovo. Sebbene la costa del Kenya sia sempre sotto i riflettori per motivi turistici, chi ha l’opportunità di camminare per le strade di Mombasa non può che constatare che i rifiuti sono disseminati da tutte le parti, a beneficio delle capre e degli altri animali che possono sgranocchiare il tutto. A Mombasa le discariche principali sono tre: Mwakirungue, Kibarani e Shoda (a Likoni). Fra questa la più vasta è Kibarani, situata sull’autostrada che collega la città portuale a Nairobi, esattamente lungo il tragitto che i turisti compiono per raggiungere l’aeroporto. Queste discariche, che nascono come “città intorno alla città”, ospitano circa 750 tonnellate di immondizia prodotta nella contea di Mombasa quotidianamente. 

Ad aprile 2018 il governatore Hassan Joho ha annunciato di voler chiudere Kibarani entro fine giugno, indirizzando tutti i carichi di spazzatura a Mwakirungue, attraverso l’uso dei nuovi 12 camion messi a disposizione. La scelta, gradita dalla Kenya Tourism Federation, è stata messa in dubbio dalla Kenya Civil Aviation Authority (KCAA), poiché il sito si trova sulla traiettoria di volo. Ovviamente gli oltre 1.000 giovani, donne e bambini che ogni giorno rovistano tra i cumuli di Kibarani sono pronti a spostarsi. Ciò a dimostrare che non è chiudendo la più velenosa e puzzolente discarica a cielo aperto della città che si risolve il problema. Qui la crisi sulla gestione dei rifiuti perdura da anni e i danni, soprattutto per la salute degli esseri umani, si fanno sentire. Lo sa bene Phyllis Omido, attivista impegnata a denunciare la tossicità dei siti e dei rifiuti di Mombasa; così come lo sanno tutti coloro che ogni giorno smistano a mani nude, senza guanti, in mezzo a bicchieri rotti, barattoli arrugginiti, aghi e bisturi per trovare bottiglie di plastica, scatole, piccoli accessori, rottami metallici e gomma da riciclare, mentre maiali, uccelli, mucche e capre, rovistano cibo tra gli stessi mucchi di spazzatura. Il mix di tutti questi rifiuti industriali, domestici, agricoli e medici – cui si aggiungono i rifiuti tossici che gli autocarri senza insegne scaricano in piena notte – è ovviamente letale. Malattie respiratorie, cancro, anemia, ipertensione, debolezza, aborti spontanei e problemi al sistema nervoso sono solo alcune delle complicanze provocate dal proliferarsi di discariche. Colera, salmonella, gastriti, chikungugna e altri tipi di febbre, come la dengue, sono ancora altre patologie provocate da tutti i cumuli di immondizia, compresi quelli situati negli angoli delle strade in giro per la città.



Nel 2017 il Kenya ha messo al bando i sacchetti di plastica, vietandone produzione, uso e importazione: è l’undicesimo Paese a livello mondiale a promuovere il bando dei sacchetti. Tuttavia girando per le strade di Mombasa ci si stupisce della quantità di bottiglie di plastica abbandonate e accumulate ... Quindi viene da chiedersi quale influenza abbia la scelta di eliminare i sacchetti se poi continuano a circolare prodotti dello stesso materiale. Inoltre sembra proprio che gli sforzi del governo (compresa la nuova tassa sui rifiuti introdotta a Mombasa dal governatore) siano insufficienti se slegati da campagne di sensibilizzazione volte ad educare i tanti, forse troppi, cittadini keniani che con disinvoltura lanciano fuori dal finestrino del matatu su cui viaggiano la bottiglietta d’acqua finita o abbandonano sulla spiaggia la carta dei biscotti appena mangiati. La popolazione se la prende con i vertici governativi quando scoppiano epidemie varie (come è stato per la Chikungugna a Mombasa nel 2017-2018), accusandoli di essere i diretti e soli responsabili del problema di gestione e smaltimento dei rifiuti, ma il bene comune si può costruire solo insieme! 

Un giorno mi sono proprio arrabbiata con i ragazzi con cui eravamo in spiaggia! Hanno mangiato i biscotti e hanno lasciato la carta in giro. La spiaggia era disseminata di involucri blu. Ho chiesto “perché?”, ho suggerito di fare diversamente … un secondo dopo qualcuno buttava un altro pacchettino a terra. Lol! La cosa peggiore è che lo sforzo di due di loro che si sono messi d’impegno a raccattare tutto è stato vano. La carta dei biscotti l’hanno messa nel cartone dei biscotti. Provate ad immaginare dove è rimasto il cartone?! Si … ahimè … in spiaggia. Ma che importa? Tanto nella stagione turistica c’è sempre chi pulisce: niente alghe, niente immondizia. Così i turisti si godono le magnifiche spiagge bianche. Poi, quando tutti se ne vanno, il panorama resta questo: 



Ho scattato questa foto a Watamu, rinomata meta turistica di molti italiani (Watamu sembra più che una colonia a tratti, parlano tutti italiano!!!), l’altro giorno. Ho anche fatto un video, mentre camminavo (si, scusate, non è il massimo da guardare!) incredula della situazione: 



Non credo di dover aggiungere altro … forse solamente chiedervi di pensare al bene comune! L’ambiente è il dono più bello che ci è fatto, per vivere. Il rispetto dell’ambiente inizia dalle nostre case, dalle nostre scelte di stile, dalla nostra responsabilità sociale. Non sprechiamo le meraviglie del mondo! 

Ps. Comunque a Nyali (quartiere benestante di Mombasa) sono spuntati da qualche mese i cestini lungo le strade, appesi agli alberi, come questi:



Chissà come sarebbe se ce ne fossero così in tutti quartieri di Mombasa ... Chissà come sarebbe bello se l'impegno dell'amministrazione governativa e gli sforzi dei privati cittadini provassero a trovare soluzioni adatte! Resto speranzosa, che qui, come in Italia, l'intelligenza degli uomini e il desiderio del bene possa prevalere e trasformare il mondo! 


“Tratta bene la Terra! Non è un’eredità dei nostri padri ma un prestito dei nostri figli”. 
(Antico detto Masai, Kenya)

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