martedì 24 maggio 2016

¡¡¡Mochilleras Nica Sce!!!

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Le vie del Norte: 
Esteli, Somoto, Matagalpa, 
Jinotega, Chinandega 
e il Golfo de Fonseca

Partenza da Managua al mattino presto: mangeremo del gallo pinto in un ranchon per strada, ma prima togliamoci dalla metropoli! Direzione Nord, abbiamo in mente di goderci qualche giorno di fresco, di fare un bagno nel cañon di Somoto e di passeggiare nelle riserve forestali.


Nel primo pomeriggio arriviamo ad Esteli, niente a che vedere con Managua: strade pulite impreziosite da murales colorati, un bel parco di fronte al museo di archeologia (chiuso, perché nel fine settimana e nei giorni di festa la maggior parte dei musei è chiusa) e qualche bel locale con birra fresca e buona musica. 

Lasciamo gli zaini in ostello, riempiamo le borracce e andiamo verso il Salto della Estanzuela che rimane appena fuori città, dopo una breve passeggiata arriviamo alla cascata: non è imponente come dev’essere durante la stagione delle piogge e decidiamo di non fare il bagno, ridiamo per gli spruzzi e le grida di due ragazzi più intraprendenti di noi.
La mattina dopo saliamo sul nostro fuoristrada e ci avventuriamo verso la Reserva de Miraflor dove ci aspetta Juan de Dios, il fattore di una delle numerose comunità contadine della riserva, e dopo quasi tre ore di sterrato arriviamo alla sua finca e partiamo insieme a lui e al suo cane per una passeggiata sui sentieri che attraversano la comunità. Il paesaggio è da fiaba, con pastes (piante rampicanti simili a barbe di mago) che pendono dai rami, alberi dalle radici enormi, sciami di farfalle scure e una vista mozzafiato su una foresta che si perde a vista d’occhio.  



Una volta rientrate alla finca la moglie di Juan ci serve un pranzo goloso cucinato con e verdure coltivate dalla famiglia, riposiamo sull’amaca, 

nos echamos un pelòn 

e ripartiamo verso Esteli.




Rinfrancate dalla bella passeggiata, terminiamo con una Victoria Clasica bien helada in un baretto a due quadre dal nostro ostello, scherziamo su quanto ci mancassero le passeggiate nella natura e stabiliamo la mossa successiva: sveglia presto (ma dai!) e via verso Somoto, famosa per il suo canyon e le falesie verticali.

Somoto è piccola, si gira in fretta e così dopo pranzo pensiamo di salire a Las Sabanas per vedere il tramonto sulla croce in cima al monte, compriamo due sacchetti di tajadas di yucca e ci rimettiamo su strada, diamo un passaggio a una famiglia di contadini che rientrano a casa e chiacchieriamo insieme mentre, tornante dopo tornante, la vetta si avvicina. Nello spiazzo sotto la croce dei ragazzi improvvisano una partita a pallone, restiamo fino a che non ci assale un certo languorino.
La mattina dopo siamo pronte per risalire il canyon con Fausto e la sua cagnolina temeraria che passerà tutta la mattina accoccolata sulle nostre schiene mentre nuotiamo tra una pozza e l’altra di acqua verde e fresca.

Da Somoto a Matagalpa. 




...E in questa città ci abbiamo lasciato un pezzetto di cuore... 


Un saliescendi continuo incastonato nella selva, pulperias e locali colorati, un ufficio turistico che non sa che informazioni dare ed un museo del caffè dove, inspiegabilmente, i pannelli su Ruben Dario superano di gran lunga quelli sui chicchi  e sulla loro lavorazione. Ce la godiamo tutta, in lungo, in largo e soprattutto in alto e in basso, nonostante non siamo più abituate alle salite, praticamente assenti a Managua. 




L’ennesimo ostello e l’ennesima sveglia presto, un salto ai banchi per riempire lo zaino di frutta, pomodori e tortillas e via verso la Selva Negra dove perdersi tra sentieri che, se inizialmente sembrano facili, si inerpicano in salite di fango, sembra di risalire un toboga! Sconvolte dalle risate (e dalle culate)  




ci godiamo ogni passo nella selva umida, stupite, ancora una volta, dalla quantità di sfumature che può assumere il verde!!!

...Da Matagalpa a  Jinotega


ma costeggiando il lago con l’idea di trovare un bel posto dove passare la notte. Ahinoi! Quando, secondo i nostri calcoli, avremmo dovuto essere già sulla sponda opposta ci accorgiamo che la strada costeggia il lago, ma su un solo lato. non ci resta che ritornare sui nostri passi, confuse su che rumbo dare al nostro itinerario… si vedrà, ora meglio cercare una litera… e la pancia sta già gorgogliando! E quindi

¿che direzione prendere?

Gli ultimi sono stati giorni di foreste, laghi e cascate… e setentassimo di rispondere all’annosa questione “mare o monti”? 


¿Ma dai non ricordi?
¡¿Ci hanno parlato del Golfo de Fonseca 
se facessimo questa follia e andassimo lì?! 

Dai, un bel tuffo al tramonto, no? Detto-fatto, si parte rumbo a Chinandega e poi da lì si vedrà! Ore di strada immensa, la mente divaga sulle leggende panamericane mentre noi vaghiamo sulla mitica carretera panamericana cercando senza sosta una stazione radio che non balbetti.


Chinandega quindi e da Chinandega a Jiquilillo. Una levataccia in montagna e la promessa di un bagno in mare alla sera, cosa volere di più? Affittiamo una capanna di lamiera in riva al mare ad un prezzo stracciato e corriamo verso l’acqua! Dopo il bagno una doccia salata, un paio delle solite Victoria Clasica bien e una serata in veranda a chiacchierare con Danilo, il giovanissimo proprietario del lodge.

La mattina dopo decidiamo di andare verso il Volcán de Cosigüina dalla cui cima si dovrebbero vedere tre paesi, Nicaragua, Honduras e Salvador. Si vedono davvero? È una leggenda? Non abbiamo la risposta… dopo quasi tre ore su uno sterrato di sabbia e polvere abbiamo desistito e, dopo una faticosa manovra, siamo ritornate sui nostri passi. E dire che tutti ci dicevano che era giusto per di là! (E dire che tutti ci chiedevano se fossimo matte ad andarci sole!)

Questi giorni di Nicaragua on the road si chiudono così, con l’incognita del Volcán de Cosigüina e la certezza di ritornare, di ritentare ed essere più fortunate. Per amor di cronaca, s’intende!

Vamos a la playa (o- ooo-o!) 
Las Peñitas, Pochomil, San Juan del Sur e la Costa Caribeña

In Nicaragua fa caldo, a Managua sembra faccia ancora più caldo, dev’essere per lo smog e la polvere, ma il caldo si percepisce di più, è addirittura materico: pastoso e vischioso! Ma soprattutto a rendere il caldo così caldo e l’aria polverosa così fastidiosa è la lontananza del mare. D’accordo, può essere che stia esagerando, ma io sono nata sulla riva del mare e respiro meglio quando lo annuso.
Il Nicaragua ha laghi, lagune e laghetti, “…hermosa tierra de agua y volcanes…” ma si allunga tra due oceani che, non me ne vogliano i sostenitori del canale, non si toccano, non l’attraversano, non si mischiano ed è bene così.

Ma non divagherò! ed evitando di salpare per chissà quali ragionamenti, eccoci su alcune delle spiagge nicaraguensi... Lunghe e sabbiose, strisce color ocra che si snodano tra la vegetazione e l’immensità di un oceano che, a dispetto del nome che porta, Pacifico non lo è mai: a volte alza e sbuffa onde altissime, delle altre srotola correnti sottomarine che a malapena increspano la superficie ma insidiose come sgambetti. 

E noi siamo andate in molte spiagge: a nord e a sud di Managua, a Las peñitas e a Pochomil. E siamo andate ancora più a sud, svalicando il Crucero (dove congiungono tutti gli sfiati dei vulcani di Managua e il cielo è sempre nuvoloso e l’aria sempre fresca), attraversando Diriamba, Jinotepe, Nandaime e Rivas, sempre giù fino a San Juan del Sur, una cittadina di bed&breackfast e surfisti con ville enormi e lussuose sulle colline che scintillano per i riflessi di luce sulle vetrate e sulle piastrelle azzurre delle piscine. 

Ma se, al bivio del Palì, si gira a sinistra, si supera la cancha de béisbol, si attraversano i barrios che non luccicano affatto e si segue lo sterrato si arriva a Playa hermosa e alla vicina Playa el coco, dove una sera abbiamo visto una 

tartaruga di mare deporre le sue uova… 

e dei pescatori rubargliele da sotto, infidi e meschini sotto al naso delle guardie della riserva che, pochissime su chilometri di spiaggia, non hanno potuto fare nulla.  


 Non c’è Pacifico senza Atlantico.

Il RAAS e il RAAN (Región Autónoma del Atlántico Sur e Región Autónoma del Atlántico Norte) sono due regioni molto estese, coprono dal centro del paese al Mar del Caribe, la natura la fa da padrona incontrastata e sono poco popolate ma multietniche: vi si incontrano diverse popolazioni indigene, i Miskytos soprattutto, ma anche molti Creoles afro discendenti.

Purtroppo non è affatto semplice muoversi per queste zone, i collegamenti via terra sono apparentemente inesistenti, con un breve volo aereo da Managua abbiamo raggiunto Corn Island e da lì, dopo ore di attesa al porto, siamo salite su una lancia per raggiungere l’isola piccola dove abbiamo oziato per un intero fine settimana. 
 Tutto su questo lato è diverso. Diversa la lingua, diversa la musica, diversi i volti, diverso il pane. Little Corn Island ha molti turisti, perlopiù mochilleros, ma non sembra aver perso molto della sua autenticità.  Si vanta d’essere isola verde, ha politiche ecologiche brillanti, non vende acqua perché è bene universale, riduce, riutilizza e ricicla, rinuncia ad alcune comodità in nome dell’ambiente. 


Leon

Interessantissima pe la sua architettura coloniale e per la storia, qui c’è uno dei più importanti musei della Rivoluzione sandinista.

Ben collegata a Managua da bus e pulmini, si raggiunge in un paio d’ore di sorpassi spaventosi. Città a misura d’uomo, dà la possibilità di passeggiare per le strade del centro storico, scoprendo ogni volta nuovi dettagli. 

Abbiamo avuto la fortuna di poter salire sul tetto del museo per vederla dall’alto, può sembrare banale, ma è stato emozionante salire oltre il quarto piano di un palazzo in un paese dove, per ovvie ragioni, la maggioranza di case e palazzi supera i due piani di altezza. C’è un bel mercato coperto, dove si incontrano moltissimi tipi di frutta e di verdura, 

repollos guanabana, zapote, chayote, camote, quequisque, popote, remolacha, narajas, granadilla, pitaya

Masaya e Granada

A pochi chilometri da Managua, Masaya è una piccola città con un bel mercato di artigianato, ma la sua attrattiva principale resta senza dubbio, il vulcano da cui prende il nome.


Durante il giorno, dopo una breve salita, offre una bella vista di Masaya e di Managua, ma è di notte che dà il meglio di sé regalando scenari pazzeschi: il cratere si incendia e splende nel buio, uccelli e pipistrelli volano tra gli sbuffi di zolfo e, quasi invisibili a Managua, si accendono migliaia di stelle.

A breve distanza da Masaya si può visitare la Laguna de Apoyo, formatasi dentro un cratere estinto. L’acqua è piuttosto calda e le spiagge sono sempre molto frequentate: su una sponda abbondano bar e locali, regnano la cumbia e il merengue mentre sull’altra, non raggiungibile, la folta vegetazione arriva fino al bagnasciuga e si confonde nel verde della laguna. 



Una leggenda racconta che sul fondo del lago ci sia una finca fantasma e che chiunque vi faccia il bagno dovrà raggiungerla, una volta morto, e lavorarvi cento anni prima di riprendere il suo viaggio.

Proseguendo di poco verso sud si raggiunge Granada, altra città coloniale dai colori sgargianti e dai molti mercaditos. Schiacciata sul Lago Cocibolca guarda al Volcán Mombacho e alla miriade di isolotti che sono nati da una delle sue esplosioni. 



Paese di laghi, vulcani, spiagge e selve il Nicaragua offre una grande varietà di paesaggi e di realtà. Appena fuori Managua, poco lontano dalle sue strade ampie e caotiche, si ritrova una natura potente e rigogliosa che andrebbe sicuramente più curata e rispettata, ma che resiste e prospera. Non troppo lontano dai centri commerciali, dai fast food e dai quartieri troppo densamente abitati della capitale, ci si imbatte nei più autentici ranchon e mercaditos, le persone sono generalmente più ciarliere e bendisposte nei confronti dei viaggiatori ficcanaso ed è facile rintracciare l’entusiasmo e la curiosità per esplorarlo e per laciarsene attraversare.



e, a proposito di attraversare, scriviamo buttando sempre un occhio alle carte, prossima meta, Ometepe! 

...per mestiere aver scelto il mestiere di Vento... 




giovedì 12 maggio 2016

Un viaggio tra tradizioni e credenze indigene

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Ieri sera, mentre ero prossima a lasciarmi cullare tra le braccia di Morfeo, un articolo di Internazionale ha attirato la mia attenzione: “La Bolivia ricorre ad ostetriche indigene per ridurre la mortalità”.
Nell'articolo si parla del timore delle donne indigene di partorire negli ospedali e della preferenza per il parto in casa e tecniche tradizionali: Alla base del ricorso alla medicina tradizionale non c’è infatti solo la fiducia nelle pratiche naturali, ma anche la vergogna delle donne aymara a farsi vedere e toccare da un uomo proveniente della città”; inoltre il parto in ospedale viene percepito come “un elemento traumatico in un ambiente ostile”.
Per avvicinarsi ai bisogni della popolazione, nella cittadina di Patacamaya, si è cercato di mettere in atto un modello di intervento interculturale che prevede da un lato un lavoro fianco a fianco tra curanderos tradizionali e dottori professionisti e dall'altro la creazione di sale parto diverse dalle solite camere d'ospedale e più vicine ad un ambiente familiare: pareti che richiamano i colori della natura, mobilio in legno, piccola cucina per i parenti ecc.
Insomma un bell'esempio di interculturalità!

In generale, la tradizione in Bolivia è molto forte.
In questi otto mesi di servizio civile mi sono scontrata numerose volte con pratiche e credenze indigene così lontane dalla nostra cultura, ma sicuramente affascinanti!

Una delle cose che più ho apprezzato è il fatto che la medicina tradizionale è una medicina naturale, nel senso che utilizza solo elementi che si trovano in natura. Ho scoperto che esistono erbe per ogni male: emicrania, mal di stomaco, diarrea e febbre.
Zenzero, camomilla, limone, cannella, maizena, rosmarino ecc hanno delle proprietà che neanche immaginavo!

Per esempio, sapevate che maizena e coca cola aiutano per la diarrea?!? Altro che Imodium!

La visione principale della medicina indigena si basa sul concetto che la vita è l'unione di corpo, sentimenti, mente, anima, natura. La salute viene vista come uno stato di benessere fisico, mentale, sociale, morale e spirituale ed equilibrio cosmico. Per questo motivo, una malattia non po' essere trattata in maniera frammentata!
Nella cultura aymara la malattia è il risultato evidente della perdita di equilibrio, di stabilità della relazione uomo e natura, ed è per questo che la soluzione bisogna cercarla nel mondo naturale

Ma la di là della medicina, esistono delle vere e proprie pratiche di “guarigione”. Una è il richiamo dell'anima.
Parlando con le mamme dei bambini del centro di nutrizione dove svolgo il servizio, ho scoperto che, quando un bambino sta male per parecchio tempo e non si riesce a soluzionare ( span-Italian: " trovare una soluzione!") il problema, si cerca di richiamarne l'anima attraverso un campanello, sussurrando il nome del bambino malato e frasi in lingua quechua...anche la mia assistente sociale ha detto che funziona! Non si sa mai, meglio prenderla in considerazione!

Ma sono molte le occasioni nelle quali è necessario richiamare l'anima. Altro esempio: si pensa che quando una persona si spaventa una parte di anima si allontana dal corpo per la sorpresa...meglio richiamarla prima di perdere un pezzo di sé!

Insomma...volete davvero sottovalutare tutte queste credenze e conoscenze? Non si sa mai, io continuo a informarmi!