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lunedì 16 ottobre 2017

Una danza lunga un anno

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“Lloyd, apri il dimenticatoio che devo buttarci questa brutta esperienza”
“Sir, prima che la elimini le consiglierei di guardare bene al suo interno”
“Dentro ci sono solo delusione e rabbia, Lloyd”
“Ma anche una preziosa scaglia di esperienza, sir”
“Da sola è troppo piccola per ripagare le fatiche del passato, Lloyd”
“Ma, insieme alle altre, può farne tesoro per il futuro, sir”
“Ottimo suggerimento, Lloyd”
“Buona giornata, sir”

(Tempia S., Vita con Lloyd, Rizzoli Lizard, 2016, Milano, pag. 78)

Non posso certo ridurre il mio ultimo anno, trascorso in Kenya con Caritas Ambrosiana attraverso il Servizio Civile all'Estero, ad una “brutta esperienza”, ma come spesso mi accade leggendo il libro dal quale questo pezzo è tratto, c'è una svolta positiva sul finale che mi spiazza ma mi piace un sacco.
E forse è così che sento di aver trascorso questo anno fra persone locali non troppo accoglienti e colleghi troppo arrivisti per capire davvero l'importanza del lavoro con i ragazzi accolti in Cafasso.
È sul finale, anzi forse è appena dopo la fine, che ho compreso o meglio che inizio a comprendere la svolta positiva.
“Allora, com'è andata in Kenya?” mi chiedono spesso. E come si fa a racchiudere un anno di vita, di lacrime, di lotte, di sofferenza, di piccoli ma fondamentali passi fatti, a volte di paura, in una risposta?
Come si fa a racchiudere le vite di una ventina di ragazzi che mi hanno messa in crisi, fatta impazzire, ma ai quali ho voluto un bene smisurato, in poche frasette?
E come si fa a trovare un senso a tutta la fatica fatta, alle energie investite, che non so se e quando daranno frutto?

Però poi, nella pagina facebook nella quale il suddetto libro è nato, ecco un'altra ispirazione.

“Lloyd, cosa si fa quando una difficoltà pare insuperabile?”
“Ci si prova a danzare insieme, sir”
“Perché dovrei ballare con la difficoltà, Lloyd?”
“Per trovare dentro ai suoi occhi la forza necessaria per affrontarla, sir”
“Io però ci vedo solo il mio volto riflesso, Lloyd”
“Appunto, sir. Appunto…”

(Tempia S., Vita con Lloyd https://www.facebook.com/vitaconlloyd/)

Ecco l'illuminazione, la parola mancante. Cos'hai fatto quest'anno in Kenya?
Ho ballato!
Ho ballato con la vita, con le mie paure, con i miei limiti, con la nostalgia, con la distanza.
Ho ballato con la difficoltà, e dentro essa ho trovato la forza per provare a superarla.
Ho ballato con me stessa, con una nuova me che si è scoperta e riscoperta negli occhi scuri e profondi di gente che non mi ha capita, forse perché non ancora pronta a capirmi.
Ho ballato con gli occhi dei kenyani, che specchiati nei miei mi sono sembrati così lontani e a volte invece così vicini.
Ho ballato con la stanchezza di K. e con la sua euforia nel tornare a casa, un ballo felice e pieno di affetto. Ho ballato con gli occhi lucidi di sua nonna quando ha visto comparire suo nipote con una donna bianca nella sua baracca.
Ho ballato con W. e ballo tuttora col suo ricordo e con le domande che mi frullano in testa pensando a se e cosa avrei potuto fare di più.
Ho ballato con G., con M. e con N. nel breve tempo che trascorrevano in Cafasso nelle pause da scuola, un ballo un po' impacciato ma felice nel vedere i grandi risultati da loro raggiunti.
Ho ballato con Giulia, fedele e preziosa compagna di viaggio, sulle note della Mannoia e dei Backstreet boys, scoprendo un ballo di coppia che mi ha arricchita, protetta e sorretta.
Ho ballato con Maurizio, punto di riferimento lontano ma indispensabile.
Ho ballato con Giacomino, Nicoletta, Anna, Vale, Silvia, Daniela, Matilde, Domenico, Angelo, importantissimi amici, capitati nella danza un po' per caso, ma che mi hanno insegnato passi e ritmi nuovi.
Ho ballato con i cantieristi Andrea, Daniele, Francesca, Giovanni, Sara, Sara e Valentina, una danza piena di stupore e di vita.
Ho ballato con la mia casa in Italia, attraverso la mia famiglia e gli amici di sempre che non mi hanno mai lasciata.

Ballo tuttora con i ricordi di una terra che mi ha fatta impazzire, soffrire, ridere, piangere, conoscermi e crescere.
Ballo tuttora con le lacrime che parlano di una storia incredibile, che ogni giorno che passa mi fa sentire grata del tempo passato fra un sorriso sdentato e l'immondizia di Kahawa West.

Nonostante tutto, grazie.
Asante sana Kenya.

venerdì 22 settembre 2017

Grata

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"Nessun posto è casa mia, l'ho capito andando via..."

Così comincia la canzone di Chiara Galiazzo che sto ascoltando. Mi soffermo un' attimo su queste parole. Sì, posso dire che è stato così anche per me.
L'andare via è stato per me un'occasione di riconquista di quello che avevo lasciato, la mia vita in Italia.
è come con un quadro: non riesci a vederlo con chiarezza ed apprezzarlo in tutte le sue particolarità e nella sua complessità se lo guardi da troppo vicino, è necessario allontanarsi un po'.
Andare via per un' anno, immergermi in una realtà così diversa, mi ha permesso di riprendere coscienza della mia di realtà, riscoprendone tutta la ricchezza.

Mi ritrovo quindi grata della mia vita in Italia, della mia famiglia, dei miei amici, del mio cammino di fede, con tutte le fatiche annesse e connesse.

Così come sono grata dell'esperienza di quest'anno, delle persone incontrate e della pienezza vissuta.

Sorprendentemente mi scopro vogliosa e curiosa di ricominciare la mia avventura quotidiana.
Non ho paura di perdere tutto quello che ho guadagnato qui una volta tornata, perché un'esperienza così ti plasma e conforma, cambiandoti irreversibilmente. Così nella mia vita di tutti i giorni, nelle cose da fare e nei rapporti che mi saranno dati, proponendo me stessa sono certa che porterò anche questa esperienza, diventata ormai parte di me.

A confortarmi inoltre c'è la certezza che tornerò qui in Moldova, perché il legame con questo paese resterà vivo nei rapporti costruiti.
Così posso concludere come la nostra Chiara:

"Perché si torna sempre dove si è stati bene e i luoghi sono semplicemente persone."



venerdì 1 settembre 2017

Haiti: Dov'è casa mia?

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“Scusi, per casa mia?”
Sono seriamente afflitto da una grave patologia, riconosciuta soltanto dopo aver interpellato diversi specialisti.
La conferma medica  mi è stata recapitata in seguito al ritorno dal cantiere della solidarietà, realizzato in maniera itinerante, come il più pazzo e stravagante dei circhi gitani, per tutto il Nord di Haiti.
La malattia da cui sono stato colpito si chiama “Dov’è casa mia?”, in latino, sulle migliori guide mediche, la nomenclatura corretta è “ ubi est domus mea?”( un grazie speciale all’ aiuto da casa, il fratello della mia collega Silvia). Dicono che una grande percentuale delle vittime, attorno al 70%, siano servizio civilisti internazionali.
Tornando dal cantiere, mi sono subito emozionato, un po’ sorpreso e spaventato, nell’accorgermi che rientrando nella caotica, polverosa e pazza Port au Prince, mi sentivo a casa, come di ritorno da una lunga vacanza in paesi lontani, esotici e tropicali.
Entrare a casa mia è stato come quando dopo una bella vacanza arrivo nella mia piccola Trento, nel mio appartamento, un po’ triste e un po’ contento.
Dov’è casa mia?
Già, perché tra poche settimane ritornerò a casa mia. Dov’è? Credo a Trento, o credo a Port au Prince. Difficile dirlo.
Sicuramente, come mio solito, proverò a chiedere alla gente. Qualcuno riuscirà a darmi un’informazione corretta no? Oppure, haitianamente, mi verrà risposto con un bel “Pa Konen”( non lo so)?
E’ curioso, affascinante, come in un anno, una persona riesca a costruire dei legami così intensi e forti, vuoi per il tipo di esperienze condivise, vuoi perché alla fine le persone sono spinte a volersi bene, aiutarsi, accogliersi a vicenda. Con tante difficoltà, certo, perché altrimenti che gusto ci sarebbe se fosse tutto facile? In un anno mi sono stupito mille volte, sono stato preso alla sprovvista, non ho capito e ho capito tante cose, sono stato felicissimo e triste allo stesso tempo.
E’ curioso, affascinante, come ora penso ai miei amici in italia, ma anche ai miei amici ad haiti, haitiani.
Come penso alla mia routine italiana, ma anche alla mia routine haitiana.
Come penso con nostalgia a qualche cibo italiano, ma come sia abituato alla cucina creola.
Come penso alle partite di basket al campetto di Trento, ma anche a quello di Lilavois, qui ad Haiti.
Insomma, è fantastica, in fin dei conti, questa malattia. Nel cuore credo di sapere dove si trovi casa mia, ma mi piace tanto pensare che semplicemente, dopo quest’anno, casa mia non importa dove sia: è in questo bizzarro mondo, nero, bianco, giallo, colorato. E i miei vicini di casa parlano varie lingue diverse e si chiamano Shelove, Stanley, Falou, Silvia, Cecilia, Bryan, Clemance … Semplicemente abitanti del condominio Terrra.
Perché alla fine, in questo post che non voleva essere un “tirare le fila”, ma forse un po’ lo eh, non lo so, semplicemente mi accorgo di come in quest’anno abbia interiorizzato il principio del COME: è COME scelgo di vivere che fa la differenza, più del dove io sia nato o stia lavorando, più delle opportunità che ho.
E qui a Kay Chal e Haiti, ho conosciuto tanta gente,  haitiana, italiana e un po’ da ogni dove, che ha scelto un COME vivere che mi piace molto: condivisione, accoglienza e confronto col diverso, kè kontan (felicità, in creolo).
Ora, credo accantonerò il referto medico, godendomi appieno la mia malattia.
Fede

mercoledì 30 agosto 2017

Piccola storia di una Scuola

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Il Centro Escolar di Redes de Solidaridad a Nueva Vida, Ciudad Sandino è una scuola elementare sui generis pensando al contesto nella quale è inserita.
Non é la scuola ideale, né un utopia in quanto vive anch’essa delle sue contraddizioni, ma è comunque una bolla nella quale rifugiarsi nei primi anni di crescita e apprendimento e che costa fatica abbandonare allo scadere del sesto anno, tanto per le bambine e i bambini, quanto per le madri e i padri degli stessi bambinx.
Le maestre e i maestri sono appasionati e presenti; alla didattica frontale si sommano innumerevoli laboratori di arte, teatro e danza; un' attenzione speciale é dedicata alla promozione della lettura; grande spazio viene dato allo sport, ma anche alla ricreazione e al gioco.
Oltre a tutto questo colpisce, in maniera particolare, la volontá, all’interno di un contesto tanto machista, di crescere ed educarele bambine e bambini nel segno della paritá di genere.
È uno sforzo imperfetto, ma costante per tentare di eliminare, quanto possibile, le separazioni forzate fra maschi e femmine, di distruggere i falsi miti di principi e principesse e di rafforzare la coscienza dei diritti paritari delle e dei bambini.
Sforzo costante, appunto, che si scontra altrettanto costantemente con la realtá esterna alla bolla, la quale plasma violentemente bambinx e professorx cercando di reincanalarli in quella binarietá e rigiditá dei generi tanto pericolosa.

Ogni hanno Zoyla, la bibliotecaria organizza un laboratorio teatrale con l’obbiettivo di mettere in scena le storie del Nicaragua dalla conquista dell’America fino alla Rivoluzione Sandinista. Ad ogni classe viene affidata una diversa parte della storia.
(Qui si potrebbe aprire una parentesi in cui interrogarsi sulle scelte delle storie e le loro interpretazioni, spesso estrapolate direttamente dai libri di testo.)
Zoyla, per dare continuitá al discorso di paritá di genere ha utilizzato alcune strategie come, da un lato,  rivisitare parzialmente la storia cambiando il genere di alcuni personaggi, dall’altro, recuperare alcune figure femminili marginalizzate o dimenticate dalle storie ufficiali. E’ questo il caso, ad esempio, della rappresentazione della resistenza indigena  in cui si affianca alla figura del cachique Diriangen, leader della resistenza, la figura di Itza, donna indigena e combattente valorosa, giá recuperata dall’oblio della storia dal romanzo di Gioconda Belli “La donna abitata”, in nome di tutte le indigene i cui nomi non appaiono nella Storia.
Cosí pirati e guerriglieri sono interpretati in egual misura tanto da bambini, quanto da bambine.
È sempre in base a questo principio che la scelta del personaggio di Cristoforo Colombo era ricaduta su Sharon, una bambina dallo sguardo vispo e dalle ottime capacitá sceniche.
Dopo due settimane di prove apprendo che la piccola attrice è stata sostituita e al suo posto sará un altro bambino ad assumere il ruolo di Colombo, mentre a Sharon toccherá un personaggio secondario.
Alan, maestro della terza elementare, mi spiega che il cambiamento è stato dovuto alla visita alla scuola della madre di Sharon che ha trovato inaccettabile che sua figlia ricoprisse un ruolo maschile e ha chiesto espressamente che fosse cambiato il ruolo da lei interpretato.
Allo stesso modo si è dovuto aggiungere una scena extra, ambientata alla corte spagnola, poiché una madre aveva giá preparato il vestito da principessa per la figlia, prima ancora di conoscere i dettagli dello spettacolo.
È cosí che la bolla esplode e si interseca bruscamente con la realtá, ed è in questo stesso punto che comincia la vera sfida, è in questa frattura fra ideale e realtá che bisogna lavorare e mettere le mani. È proprio il contatto quotidiano e reale con il contesto in cui è situato il Centro Escolar che puó renderlo un incredibile laboratorio di educazione popolare e di genere, di un educazione che si da come fine, come obbiettivo la trasformazione e il cambio sociale. Sperando che la bolla continui a esplodere.
Quando mi hanno detto del cambio di attrice ero sconsolata, piú io della bambina a cui hanno cambiato ruolo, poi Zoyla mi ha detto: “Non importa, inventeremo un inseparabile e fondaentale aiutante di Colombo e sará una donna”.
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mercoledì 26 luglio 2017

Moldova: Sorpresa

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Sorpresa: con questa parola si riassume la mia esperienza nel villaggio di Feteşti dove, con un gruppo di sette volontari italiani dell'associazione "Bambini in Romania" e una decina di volontari moldavi di questa località, abbiamo realizzato cinque giorni di attività per i bambini del "sat".
Ho iniziato questa avventura senza particolari aspettative, perché conoscevo poco la realtà che avrei incontrato e avevo pochi elementi per potermi anche solo fare un' immagine di ciò che avrei vissuto. Un po' impaurita ma curiosa di fronte all'incognita sono partita e quello che ho ricevuto è molto di più di quello che mai avrei potuto immaginare.

Sorpresa: riscoprire la bellezza della Moldova, questo paese che nonostante le molte ferite dà tanto, spesso proprio attraverso di esse. Paesaggi incontaminati e meravigliosi, come le persone incontrate, così disponibili e accoglienti, con tanta voglia di raccontare e farsi raccontare. I bambini, a volte faticosi, ma capaci di affezionarsi sinceramente.

Sorpresa: ho scoperto di più me stessa, d'altronde non si smette mai di conoscersi. Sono emersi punti di forza e limiti che non sempre sono riuscita a superare, ma questi ultimi non sono stati l'ultima parola su questa esperienza, perché quello che ricevevo era molto di più e sfondava qualsiasi tentazione di chiusura e sconforto di fronte ad essi.

Sorpresa: il mio gruppo di volontari, la sorpresa più grande e bella. Ho conosciuto persone con tanta voglia e grande capacità di scoprire, imparare, incontrare, ascoltare, mettersi in gioco, condividere e voler bene, persone da cui ho molto da imparare. Siamo diventati una squadra "tosta", che ha superato molte avversità grazie al sostegno reciproco e l'attenzione verso l'altro sempre presenti. Mi ha sorpreso molto la libertà e la familiarità con cui siamo stati in rapporto; li ringrazio, perché mi hanno permesso di essere me stessa e mi hanno fatto sempre sentire accolta, anche nelle nostre differenze. 


In questi ultimi mesi di permanenza in Moldova porto tutti questi incontri e tutte queste scoperte con me, convinta che questo paese mi riserverà altrettante sorprese e sarà ancora in grado di stupirmi.  



mercoledì 5 luglio 2017

"Dove due o tre sono riuniti nel mio nome"

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Se ripenso a questi mesi in Kenya non posso certo dire che sia stata, e che sia tutt'ora, un'esperienza spiritualmente illuminante.

Purtroppo, in chiesa come in molti altri ambiti della vita, spesso prevale l'immagine, l'apparire, più dell'essere.

La lingua poi non aiuta, e a causa di tutte queste piccole cose, il mio entusiasmo nel frequentare luoghi e momenti religiosi è ai minimi storici.

Poi però, recentemente, ho partecipato a due momenti forti, profondi, che hanno riacceso in me quella fiammella diventata tanto flebile.

Il 20 giugno sono stata al Consolata Day, un giorno di festa e di preghiera dove Suore, Padri e Fratelli di quest'ordine si sono trovati assieme, per celebrare con gioia la loro presenza in Kenya e nel mondo.

In chiesa, fra queste donne e uomini che hanno scelto per la loro vita la fede, il coraggio e l'amore, mi sono sentita parte di un qualcosa di forte, di grande, di profondo. Quello che ci animava era una forza interiore che ci univa e ci faceva sentire parte di una famiglia immensa e bellissima.

Qualche giorno dopo ho partecipato alla Jumuia (video), un momento di condivisione e preghiera con i ragazzi di Cafasso, al quale non partecipavo da tempo perché nelle stesse ore solitamente ero al carcere femminile.
Lì, in mezzo a questi ragazzi a volte un po' sciocchi, ho nuovamente sentito una forte energia, una spinta interiore che chiamava a qualcosa di alto, a valori e sentimenti importanti.

Dopo questi due momenti ho riflettuto, e mi è venuta in mente una splendida canzone: "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sarò con loro, pregherò con loro, amerò con loro".
Ecco, lì penso di aver capito che il trucco non è dove si prega o come si prega, ma che si sia tutti uniti da uno stesso valore di fratellanza, e Dio sarà veramente in mezzo a noi.


domenica 18 giugno 2017

Nou pataje lajwa ki nan kè nou!

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Ieri, sabato 17 giugno c'è stata la gita finale con i bambini di Kay Chal mattina. La scuola è finita e con lei quella parte di quotidianità che in parte ha segnato la mia presenza in questo Paese.

Ho già spiegato tante volta cosa sia Kay Chal mattina e anche cosa abbia rappresentato per me ma le emozioni e le sensazioni che ho provato ieri sul pullman pieno di bambini che cantavano e ballavano forse non le avevo mai provate prima tra le corse della quotidianità e le mille cose da fare.

I giorni che hanno preceduto questa uscita mi avevano già preannunciato quanto sarebbe stata ricca e densa di emozioni questa esperienza. Infatti siamo dovuti andati, insieme ai maestri, nelle case di diversi bambini per cercare di convincere le persone con le quali vivono (che ancora una volta ricordo non essere i genitori di questi bambini ma solo persone che li hanno presi in carico) a lasciarli venire e a concedere loro una giornata di svago e di pausa dai lavori domestici che sono costretti a fare.
Abbiamo pensato ad un programma molto ricco per mostrare ai bambini più cose possibili...il memoriale del 12 gennaio 2010, che è stato costruito con la volontà di accogliere tutti i corpi di chi è rimasto vittima del terremoto tremendo che ha colpito il paese in quella data, Archaie e la piazza in cui Katrin Flor ha cucito la bandiera haitiana, il mare a Sentar e lo splendido monastero benedettino sui monti.

Ieri ho visto bambini che non erano mai usciti dalla capitale da quando ci erano entrati per venirci a vivere, ho visto dei bambini pazzi di gioia all'idea di fare una gita insieme ai loro compagni, liberi per una giornata da tutti i pesi e dalle preoccupazioni, hanno cantato a voce piena per tutto il viaggio e nonostante questo hanno conservato un po' di voce per manifestare il loro stupore una volta arrivati al mare...che tanti di loro vedevano per la prima volta.

Alcuni si sono gettati nell'acqua senza paura altri invece in un primo momento erano terrorizzati all'idea di entrare in quella pozza enorme salvo poi scatenarsi una volta scoperto che non era niente di pericoloso.

Trenta bambini nell'acqua che ci saltavano addosso chiedendoci di portarli sulla nostra schiena e di farli “nuotare” insieme a noi...io che sono cresciuta al mare e che non ricordo il giorno in cui l'ho visto per la prima volta, beh ieri l'ho riscoperto come una cosa meravigliosa!
E poi i monti, camminare per un pezzo di strada insieme ai bambini per mano che scoprivano che lontani dal caos della capitale si sentono gli uccellini cantare, si possono trovare delle qualità di fiori e di piante molto belle...e ancora le api, che i monaci benedettini allevano e curano per produrre del miele buonissimo, e come si produce il miele??  viva la curiosità.

Ieri sul pullman tornando a casa ho sentito di aver concluso un capitolo della mia vita con la fine di Kay Chal mattina, ho trovato con questa esperienza una trentina di fratellini e sorelline più piccoli, ho trovato dei colleghi più esperti ai quali mi sono appoggiata e ho chiesto aiuto quando avevo bisogno e altri alle prime armi come me con i quali sono cresciuta e mi sono confrontata.
Ho trovato una bella famiglia capace di condividere la gioia che ha dentro (pataje lajwa ki nan kè) cosa non facile in questo paese così strano e controverso.
Ho visto le situazioni più difficili che hanno mosso in me tanti quesiti e tanti dubbi e mi sono trovata a ragionare su come intervenire insieme ai miei colleghi, ho visto le case dei bambini e le sistemazioni discutibili nelle quali sono stati costretti ad adattarsi, ho medicato le ferite provocate dalle “amorevoli” persone con cui vivono e nonostante questo ho conosciuto la dignità del rialzarsi ogni volta e del r-esistere nonostante tutto, beh imparare questo da bambini di 9 o 10 anni ti smuove dentro parecchie emozioni...

Kay Chal mattina mi ha cambiato la vita in qualche modo che ancora non capisco bene ma che sicuramente sarà in positivo. E allora...
Grazie.

Silvia

sabato 17 giugno 2017

Hakuna unga

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"Hakuna unga"
(Non c'è farina)

Foto da: http://www.grace4needy.com/projects/food/

L'alimento principale in Kenya è l'ugali, una specie di polenta, più asciutta e meno cotta, che solitamente si accompagna alla sukuma wiki, una verdura verde che cresce con molta facilità (sukuma wiki in swahili letteralmente significa "spingere la settimana", inteso come praticamente l'alimento per la sopravvivenza).

La pesante carestia che sta colpendo l'Africa Orientale, dovuta principalmente alla violenta siccità che sta dilaniando l'Est Africa da più di un anno, ha inficiato in maniera profonda la coltivazione e la produzione di mais, e di conseguenza la farina per preparare l'ugali.

Un paio di giorni fa stavo tranquillamente facevo la spesa al Cleanshelf, il piccolo supermercato di Kahawa West, e insieme a me c'era Angeline, una delle volontarie di Cafasso, che controllava se ci fosse la farina, per prenderla eventualmente per i ragazzi.

Constatato che la farina non fosse arrivata, ci siamo avvicinate alla cassa e proprio in quel momento uno dei dipendenti del supermercato è entrato portando alcune confezioni di farina.
Angeline mi ha presa per mano e mi ha trascinata all'inseguimento del ragazzo, dicendomi "vieni, in fretta, che se ne può prendere solo uno a testa!".
Io sono stata letteralmente trasportata da un gruppo numeroso di persone che inseguiva la farina.
In qualcosa come 20 secondi è stata distribuita tutta la farina che era arrivata.
La gente si spintonava, allungava le mani, urlava, insultava, per due chili di farina.
Io per fortuna ero in prima fila, perché tonta come sono mi sarei sicuramente fatta "fregare" il posto.

Uscita dal supermercato ero frastornata, sorpresa e sconvolta allo stesso tempo.
Non ho mai vissuto un'esperienza del genere, dove la gente si spintona per il cibo.
Fuori le persone si chiamavano al telefono per dirsi: "è arrivata la farina, corri!" (anche se ne frattempo era già finita).

E ho pensato a cosa potrebbe voler dire per me in Italia.
Ho pensato che l'unica coda per aspettare qualcosa l'ho vista in qualche telegiornale quando facevano vedere chi aspettava l'ultimo modello di i-phone.
Ho pensato a come potremmo sentirci noi, arrivando al supermercato e trovando lo scaffale della pasta vuoto.
Ho pensato che quando noi andiamo al supermercato possiamo scegliere fra 8 marche di pasta, di mille formati e grani diversi.
E ho pensato alla gente che si spintonava per la farina.

Ho pensato che noi ci lamentiamo se non troviamo quella o quell'altra marca di burro.
Mentre qui non hanno tempo di pensare alle marche, o se la farina sia o meno integrale o biologica.
Qui pensano che non hanno l'alimento principale per sopravvivere, e quindi quando arriva, sono disposti a tutto per accaparrarselo.

Tante cose sono difficili da accettare, dopo 8 mesi in Africa.
È difficile accettare che a volte si apre il rubinetto e l'acqua non scende.
È difficile accettare di trovarsi insetti e topi in casa.
È difficile accettare alcune dinamiche, tanto troppo distanti da quelle a cui siamo abituati.

Ma la cosa più difficile da accettare è l'ingiustizia, e l'iniquità.
Perché fra pochi mesi tornerò ad avere l'acqua e vivrò in una casa confortevole.
Ma l'ingiustizia qui resterà, e la gente continuerà a spintonarsi per avere due chili di farina.

lunedì 8 maggio 2017

Siccità, land grabbing ed elezioni: gli ingredienti perfetti per un disastro

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Il Kenya sta affrontando un periodo di profonda tensione, provocata da svariati elementi che messi nel calderone sembrano essere la ricetta perfetta per una potente esplosione.

Le prossime elezioni, previste per l'8 agosto, in un clima già surriscaldato per la siccità che ha colpito tutta l'Africa Orientale, stanno favorendo una violenza crescente, riaccendendo i conflitti su base etnica e contro i ricchi proprietari terrieri colpevoli di land grabbing.

Le popolazioni nomadi che sopravvivevano grazie alle stagioni delle piogge, si sono ritrovate da più di un anno a combattere contro la siccità e a spostarsi lontano per cercare acqua, purtroppo senza successo. Allo stesso tempo, però, riserve fertili e enormi di proprietà di ricchi terrieri, pullulavano di erba verde e acqua; questo ha fatto sì che i nomadi iniziassero a sconfinare nelle proprietà private, per nutrire ed abbeverare il bestiame. Proprietari e guardie (in alcuni casi addirittura l'esercito-vedi news) hanno perciò iniziato a difendersi, scacciando pastori e bestiami e dando di conseguenza vita ad episodi violenti che hanno portato addirittura alla morte di alcune persone ed al ferimento di altre (vedi news 1, 2, 3).

In questo clima, già teso e colmo di violenza, i politici locali stanno correndo verso le elezioni di agosto, che si preannunciano particolarmente delicate, soprattutto per il vivo ricordo di ciò accaduto nel 2007.

Rispetto ad un primo momento dove sembrava netta la vittoria di Uhuru Kenyatta, presidente uscente, la competizione si è riaperta dopo che, alla fine di aprile, il principale partito d'opposizione, l'ODM, capitanato dallo storico leader Raila Odinga, è riuscito ad accordarsi con numerevoli piccoli altri partiti, promettendo più equità e più dialogo fra le diverse componenti e tribù, e garantendo una posizione fra quelle più ambite ad ogni rappresentate delle minoranze (vedi news).

Il clima è però di forte tensione, e lo dimostrano gli epidosi violenti che hanno caratterizzato tutto il periodo delle primarie, durante le quali sono stati molteplici i brogli e i tentativi di corruzione e di compravendita dei voti (vedi news 1, 2).

La situazione è delicata e pesante, il Kenya ha la possibilità di distinguersi come paese unito sotto ideali e valori che vadano oltre i conflitti etnici e le violenza, vedremo se accetterà questa sfida.

giovedì 20 aprile 2017

Donne in difesa dei loro territorii

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Managua 19 Aprile
Quattro donne diverse per storia e provenienza unite da una comune lotta per la difesa della terra e del proprio territorio, hanno raccontato la loro esperienza ad un pubblico altrettanto variegato in un incontro organizzato da “Iniciativa Nicaragüense de Defensoras de los DDHH de las Mujeres” con l’appoggio dell’organizzazione “Popolna”, ospitato dall’Universitá Centro Americana di Managua.
In un’epoca di estrattivismo e grandi opere, cosa succede ai territori? Come si organizza la resistenza? Queste le domande che hanno aperto l’incontro.

Dolene Miller, di origine creola, vive a  Bluefield  e racconta delle problematiche della Costa dell’Atlantico Sud. La Costa ha ottenuto l’autonomia nel 1987, ma per molti aspetti questa autonomia non viene riconosciuta e la lotta che Dolene porta avanti è di riappropriazione del senso di questa autonomia, promuovendo la partecipazione della comunitá nella costruzione della stessa.
Lottie Cunningham, che arriva invece dalla provincia di Waspan nella regione dell’Atlantico Nord, è di origine Miskito, il gruppo indigeno maggioritario in Nicaragua. Parla, infatti, della legge 445, quella che riconosce nel Paese i diritti dei popoli indigeni e la proprietá comune della terra, legge che, a detta dell’oratrice, viene costantemente calpestata.
Nell’area dell’Atlantico Nord numerosi sono stati gli scontri fra gli indigeni e i “coloni”, gruppi sfollati da altre zone del Paese e ricollocati dal governo nel territorio Miskito. Questo porta, secondo Lottie, ad una continua tensione nella zona.

Dall’Atlantico si passa poi all’entroterra: prende parola Haydee Castillo, della Nuova Segovia.
Comincia dicendo che, in quanto femminista, il primo territorio che difende è il suo proprio corpo e accenna alla guerra che si sta portando avanti contro le donne di questo Paese e i loro corpi.
Della nuova Segovia racconta di ettari e ettari di terra, un  tempo foresta, svenduti a potenze straniere, privando gli abitanti delle proprie risorse. I contadini della Segovia ora hanno come unica alternativa alla migrazione, lo sfruttamento.

Infine parla Francisca Ramirez, detta Doña Chica, celebre leader del movimento campesino in difesa delle terre minacciate dalla costruzione di un canale interoceanico.
L’accordo del 2013, firmato dal presidente Ortega e l’imprenditore cinese Wang Jing per la costruzione del canale, viene sigillato da una legge, la 840: “ Legge speciale per lo sviluppo di infrastrutture e trasporti nella zona del canale, zone di libero commercio e simili”. La legge permette all’imprenditore di disporre per piú di cento anni di tutte le risorse naturali, proprietá pubbliche, private o comunitarie in qualsiasi parte della nazione, che siano necessarie per il progetto.  Ed è proprio alla svendita del territorio ad un impresa straniera, nel totale disinteresse dei suoi abitanti, che il movimento campesino, guidato da doña Chica, si sta opponendo.
Francisca Ramirez ricorda che la lotta non è solo dei contadini che verranno colpiti dal canale, ma deve necessariamente essere una lotta di tutti gli abitanti di questo paese.

Il 22 Aprile, Giorno Internazionale della Terra, si svolgerá a Juigalpa la ottantasettesima marcia contro il canale e in difesa della terra; l’invito viene rivolto a tutti.

Donne afrodiscendenti, indigene, campesinas sono le indiscutibili protagoniste di questi nuovi movimenti in difesa della terra che stanno prendendo piede in tutto il Nicaragua. Marginalizzate da sempre, ora alzano la voce rivendicando sovranitá e autonomia. Come non ascoltarle?