“Scusi, per casa mia?”
Sono seriamente afflitto da una grave patologia,
riconosciuta soltanto dopo aver interpellato diversi specialisti.
La conferma medica mi
è stata recapitata in seguito al ritorno dal cantiere della solidarietà,
realizzato in maniera itinerante, come il più pazzo e stravagante dei circhi
gitani, per tutto il Nord di Haiti.
La malattia da cui sono stato colpito si chiama “Dov’è casa
mia?”, in latino, sulle migliori guide mediche, la nomenclatura corretta è “
ubi est domus mea?”( un grazie speciale all’ aiuto da casa, il fratello della
mia collega Silvia). Dicono che una grande percentuale delle vittime, attorno
al 70%, siano servizio civilisti internazionali.
Tornando dal cantiere, mi sono subito emozionato, un po’
sorpreso e spaventato, nell’accorgermi che rientrando nella caotica, polverosa
e pazza Port au Prince, mi sentivo a casa, come di ritorno da una lunga vacanza
in paesi lontani, esotici e tropicali.
Entrare a casa mia è stato come quando dopo una bella
vacanza arrivo nella mia piccola Trento, nel mio appartamento, un po’ triste e
un po’ contento.
Dov’è casa mia?
Già, perché tra poche settimane ritornerò a casa mia. Dov’è?
Credo a Trento, o credo a Port au Prince. Difficile dirlo.
Sicuramente, come mio solito, proverò a chiedere alla gente.
Qualcuno riuscirà a darmi un’informazione corretta no? Oppure, haitianamente,
mi verrà risposto con un bel “Pa Konen”( non lo so)?
E’ curioso, affascinante, come in un anno, una persona
riesca a costruire dei legami così intensi e forti, vuoi per il tipo di
esperienze condivise, vuoi perché alla fine le persone sono spinte a volersi
bene, aiutarsi, accogliersi a vicenda. Con tante difficoltà, certo, perché
altrimenti che gusto ci sarebbe se fosse tutto facile? In un anno mi sono
stupito mille volte, sono stato preso alla sprovvista, non ho capito e ho
capito tante cose, sono stato felicissimo e triste allo stesso tempo.
E’ curioso, affascinante, come ora penso ai miei amici in
italia, ma anche ai miei amici ad haiti, haitiani.
Come penso alla mia routine italiana, ma anche alla mia
routine haitiana.
Come penso con nostalgia a qualche cibo italiano, ma come
sia abituato alla cucina creola.
Come penso alle partite di basket al campetto di Trento, ma
anche a quello di Lilavois, qui ad Haiti.
Insomma, è fantastica, in fin dei conti, questa malattia.
Nel cuore credo di sapere dove si trovi casa mia, ma mi piace tanto pensare che
semplicemente, dopo quest’anno, casa mia non importa dove sia: è in questo
bizzarro mondo, nero, bianco, giallo, colorato. E i miei vicini di casa parlano
varie lingue diverse e si chiamano Shelove, Stanley, Falou, Silvia, Cecilia,
Bryan, Clemance … Semplicemente abitanti del condominio Terrra.
Perché alla fine, in questo post che non voleva essere un
“tirare le fila”, ma forse un po’ lo eh, non lo so, semplicemente mi accorgo di
come in quest’anno abbia interiorizzato il principio del COME: è COME scelgo di
vivere che fa la differenza, più del dove io sia nato o stia lavorando, più
delle opportunità che ho.
E qui a Kay Chal e Haiti, ho conosciuto tanta gente, haitiana, italiana e un po’ da ogni dove, che
ha scelto un COME vivere che mi piace molto: condivisione, accoglienza e
confronto col diverso, kè kontan (felicità, in creolo).
Ora, credo accantonerò il referto medico, godendomi appieno
la mia malattia.
Fede
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