martedì 30 ottobre 2018

Sbarcata sull'isola di Cristoforo Colombo

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Già è passato quasi un mese dal mio arrivo ad Haiti. Sembra ieri, sembra il secolo scorso.
La partenza, come sempre non è stata facile: saluti, abbracci, progetti, timori, preoccupazioni. Il salto nel vuoto. Prendere un aereo, lasciare la propria vita, il proprio Paese, la comodità di ciò che si conosce. 
Atterro, dopo circa 36 ore di viaggio e due scali all'aeroporto internazionale di Port-au-Prince. Ad attendermi agli arrivi Suor Luisa, la mia capa per il prossimo anno. 
Non perdiamo tempo e subito andiamo a Kay Chal, la scuola/centro di aggregazione giovanile in cui lavorerò. Il centro è grande, nuovo, colorato. Il quartiere, situato nella zona di Delmas 31 è uno dei quartieri popolari della città. Non il peggiore, sicuramente non tra i migliori. Una ravina, una specie di fiumiciattolo, in relatà una discarica a cielo aperto, divide due quartieri: da un lato citè Okay, dall'altra citè Jeremy.
Si potrebbe pensare che non sia stato il migliore degli inizi, eppure in questo panorama si scorge una bellezza di sottofondo: un sorriso, una canzone sparata a tutto volume, i bambini che giocano rincorrendosi. C'è molto da scoprire, c'è molto da apprezzare, se non ci si ferma all'apparenza.
Attraversando un corridoio strettissimo, della misura di una cariola, tra le case raggiungiamo, dopo una camminata di circa 10 minuti la Comunità delle Piccole Sorelle di Charles de Focauld. Casa.
Passo le prime due settimane sull'isola visitando alcune realtà con cui Caritas collabora: in particolare la casa della Papa Giovanni XXIII, Kay Beniamino (un altro CAG) a Port-au-Prince, la parrocchia di Mare Rouge, a nord. 
Uscire dalla città significa fare un viaggio di moltissimi chilometri: improvvisamente non sei più nelle Antille, in America Centrale. Ti ritrovi in qualche paese africano non bene definito. Usi, costumi, abitazioni, tutto mi fa pensare all'Africa. Scopro così un paese decisamente diverso da quello che mi aspettavo, non per questo meno bello, anzi! Direi che è stata una bella sorpresa. 
Il Paese è molto povero, la gente spesso non vive, sopravvive. Le case spesso sono poco più che catapecchie, mangiano una volta al giorno, quando va bene. Le speranze e le prospettive di un miglioramento futuro sono molto scarse, se non il prendere e partire: Cile, USA, fuori da quest'isola. Eppure la gente vive, vive ogni secondo al massimo. L'ospitalità è molto sentita e ti puoi ritrovare a sorseggiare un cocco appena colto chiacchierando con persone sconosciute. 
Inoltre la bellezza della natura di questo Paese è indescrivibile. Visito Mole St. Nicola, dove Cristoforo Colombo toccò terra, convinto di aver raggiunto le Indie. Un mare cristallino, una spiaggia bianca, deserta: il paradiso terrestre. Poco lontano dalla costa un relitto di una nave, la tradizione vuole che sia la carcassa di una delle tre caravelle. 
Ho anche la fortuna di visitare la costa sud dell'isola, verso Okay. Per la prima volta vedo la barriera corallina... Potrei passare le ore con la testa in acqua a seguire, importunando, i pesciolini che, veloci, scappano a rifugiarsi fra i coralli. 
Sono ad Haiti da  quasi un mese, comincio a comprendere il creolo, la lingua del Paese, comincio piano piano a riconoscere alcuni segni, alcuni aspetti della cultura. Mi sono abituata agli sguardi stupiti delle persone quando cammino per strada, ai bambini che urlano blanch quando mi incontrano. Si dice che chi ben comincia è a metà dell'opera, per ora, non posso che essere soddisfatta e contenta della decisione di ripartire. 

lunedì 22 ottobre 2018

Thailandia: l'esperienza di Giorgia, casco bianco di Caritas Italiana

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Ottobre 2017 - Ottobre 2018 LA MIA ESPERIENZA DI SERVIZIO CIVILE con Caritas Italiana
DOVE: Thap Lamu - Provincia di Phang Nga - Thailandia

Giorgia Romanelli, volontaria originaria della Diocesi di Milano, ha appena terminato l'esperienza di servizio civile all'estero, inserita in un progetto "Caschi Bianchi" promosso da Caritas Italiana.
Caritas Ambrosiana, a seguito del terribile Tsunami del 2004, ha sostenuto per diversi anni le organizzazioni locali, sia attraverso il finanziamento di progetti, sia attraverso l'invio di volontari durante il periodo estivo ("Cantieri della solidarietà").
Pubblichiamo volentieri un video-racconto del suo anno di servizio e la traduzione in italiano dei testi descrittivi che accompagnano le immagini presenti nel filmato.



Il villaggio di Thap Lamu è abitato da immigrati birmani; la maggior parte di loro vive in povertà e ha problemi con documenti, droga, prostituzione e sfruttamento.
È in questo contesto che nasce il Learning Centre, creato grazie alla volontà degli abitanti birmani per garantire un’educazione scolastica ai bambini del villaggio. Bambini che altrimenti, a causa di problemi finanziari o mancanza di documenti, non possono permettersi di frequentare la scuola governativa thailandese.
Il Centro di Apprendimento è sostenuto dal Disac (Azione Sociale Diocesana della diocesi di Suratthani), da Caritas Italiana e da donazioni private. Supporti che garantiscono il pagamento degli insegnanti, vengono utilizzati per sistemare le carenze strutturali e per l’acquisto del materiale scolastico utile agli studenti.
Le materie insegnate presso il Centro di Apprendimento sono il birmano, il thailandese, l’inglese e la matematica. Anche l'insegnamento della religione ha un grande valore. Il metodo di insegnamento utilizza principalmente tecniche mnemoniche, che non tengono conto delle peculiarità individuali e si avvale di punizioni corporali basandosi sul potere autoritario.
Le debolezze strutturali richiedono una manutenzione continua, gli spazi sono limitati per il gran numero di studenti (circa 60) e i soldi non sono sufficienti a pagare più di un insegnante. 
Il preside del Centro Didattico lavora come volontario. 
Sono circa 60 i bambini, di età compresa tra 3 e 15 anni,iscritti al Centro di Apprendimento. Provenendo da famiglie povere e spesso problematiche, vengono poco spronati e spesso crescono con modelli violenti e disfunzionali
Molti bambini hanno comportamenti violenti, livello di attenzione basso e difficoltà nel relazionarsi positivamente. Spesso l'unica modalità di comunicazione conosciuta dai bambini è la punizione violenta e fisica. Modalità che non solo gli adulti di riferimento utilizzano nella relazione con i bambini, ma che i bambini stanno imparando a utilizzare tra loro
Per tutte le ragioni sopra menzionate, la necessità di fissare nuovi obiettivi, di lavorare su diversi aspetti della vita dei bambini, cercando di fornire nuovi modelli, nuove esperienze, stimolare abilità che altrimenti rischiano di rimanere latenti e creare nuove modalità di relazione pacifiche e collaborative.
La possibilità data da Caritas di avere a disposizione un fondo per attuare un progetto che vada a lavorare su questi obiettivi, ha dato origine a idee.
L'idea della Pet Therapy nasce dalla possibilità di avere un ampio spazio disponibile e dalla funzione mediativa e stimolante che gli animali possono avere, con effetti positivi sui bambini.

LA PET THERAPY

Questi interventi funzionano grazie al rapporto instaurato tra un animale domestico ed un utente: una sintonia complessa e delicata che stimola l'attivazione emotiva e favorisce l'apertura a nuove esperienze, nuovi modi di comunicare, nuovi interessi. L'animale non giudica, non rifiuta, si dona totalmente, stimola i sorrisi, aiuta la socializzazione, aumenta l'autostima e non ha pregiudizi. In sua compagnia il battito cardiaco diminuisce così come le ansie e le paure. Inoltre, favorisce la piena espressione delle persone, che tra umani di solito si riduce al solo linguaggio verbale.
Interagire con un animale può significare per un bambino sviluppare processi di apprendimento più rapidi e imparare a prendersi cura di qualcuno diverso da lui. Una buona opportunità di crescita, perché l'animale ha un grande valore emotivo per lui: accarezzare e coccolare provoca un piacevole contatto fisico e stimola la creatività e la capacità di osservare.
L'esperienza è stata accolta molto positivamente da bambini che non avevano mai avuto l'opportunità di prendersi cura di un animale. I bambini erano molto felici dell'idea di prendersi cura dei conigli, abbiamo progettato insieme il recinto, che sarebbe stato usato per ospitare i conigli nel cortile della scuola, e l'abbiamo costruito insieme. Attività che consente di sviluppare abilità di programmazione, cooperazione e sviluppo delle abilità manuali. I bambini si sono presi cura dei conigli, avendo cura di fornire il cibo, pulire la gabbia, portarli dalla casa delle insegnanti a scuola.
Un riscontro molto positivo sul progetto di Pet Therapy deriva dall'essere stato in grado di coinvolgere molto intensamente un bambino con una storia familiare molto travagliata e disfunzionale, con difficoltà relazionali, aggressività repressa, comportamento violento e manifesta necessità di attenzione. La relazione con i conigli ha ripetutamente permesso di tranquillizzare l’aggressività del bambino, aiutandolo a recuperare la calma. 
Il progetto di Pet Therapy ha funzionato come mediazione tra me e i bambini e ha permesso loro di trovare un passatempo visitando i conigli a casa nostra al di fuori dell'orario scolastico.
Gli aspetti negativi dell'esperienza riguardano principalmente le difficoltà incontrate durante la stagione delle piogge, durante la quale i conigli non potevano essere portati nel cortile della scuola. Persino lo spazio riservato a loro in casa, durante la stagione delle piogge era esposto all'acqua e questo ha impedito ai bambini di prendersi cura degli animali in modo continuativo. Ciò ha causato una perdita di interesse da parte dei bambini nei confronti dei conigli.

Credo che l'esperienza della Pet Therapy sia stata sicuramente positiva per i bambini; e che, insieme ad altre attività implementate durante l'anno, abbia portato i bambini a crescere e maturare. Penso che uno degli aspetti positivi sia stato il mantenere l'attenzione sul fornire ai bambini nuovi stimoli, nuovi modelli rispetto a metodi di comunicazione e relazionali funzionali.
Il progetto Pet Therapy è stato senza dubbio un progetto a termine che non avrà continuità. 
Ritengo però che possa essere utile continuare a perseguire gli obiettivi su cui puntava, utilizzando anche diversi metodi e risorse.

“Per insegnare bisogna emozionare. Molti però pensano ancora che se ti diverti non impari”
(Maria Montessori)

Giorgia Romanelli,
casco bianco 2017-2018 in Thailandia, Caritas Italiana