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domenica 28 settembre 2008

Kenya wetu

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Sono in Italia e vedo lo stesso cielo grigio e triste (come un piccione morto) che vedevo a 9 ore di volo da qui…

Decido di scriverne.. per ricordare anche in futuro i colori, i profumi, meglio.. gli odori…

Incredibile come siano passate in fretta 3 settimane. Prima di partire sembrava un’infinità di tempo. Il pomeriggio della domenica che sono arrivata mi veniva da dire “l’altro giorno” per riferire il non arrivo dei bagagli della mattina stessa. Erano passate solo poche ore, ma tutto era nuovo. Quello che sentivo, quello che vedevo, tante novità come se passassero giorni. E ora invece sembra sia ieri quando quel fiume di 700 bambini ha invaso la mia vista, ha riempito di bordeaux il paesaggio verde e rosso chiaro.

Ripercorro le giornate… cerco di riviverle ora qui nella mia mente, mentre il pullman che non dà emozioni da matatu e guida dalla parte giusta della strada, prende le rotonde a destra e mi riporta a casa. I bagagli non arrivano, un piatto enorme mezzo bianco e mezzo verde che non finisce mai, non finisce mai, mai mai… sola con una bandiera e 90 bambini che ridono, ma non sola sola, ci sono altri 583 bimbi che ridono, 8 amici e Luca. Ragazzi in divisa blu con un pallone da pallavolo annoiato che si sfoga fino a bucarsi, no quello costa troppo: è solo colla. Lacrime davanti a un mitra carico, paura, ma lì, nessuno ci fa caso. L’incontro con i giovani kamitiani che diventa qualcosa di più concreto a un matrimonio sconosciuto con un succo di mango arancione. Finisce la prima settimana. Sono felice.



2 giorni in campeggio, in una tenda multicolore che esprime le mie sensazioni tutte diverse, tante nella stessa vacanza. Zebre, giraffe, antilopi, gazzelle, pumba, senza pericolo. Ci si cala in un letto circondato da rocce muschiose con acqua calda, senza paura. Fuori e dentro dalla sabbia in bici immersi in un paesaggio da film, no anzi, da favola…

Inizia Korogocho, un’immagine di Dio nuova, mi piace, Dio come mamma, che abbraccia i suoi figli e soffre con loro. Ci si deve riflettere. Ma nella prima fase, quella dell’innamoramento non vedi i difetti, quelli escono solo col passare del tempo e allora si capisce che è solo un’idea che magari non è perfetta, però ora è davvero una bella immagine. Che sofferenza, un’altissima montagna, non verde, grigia, con persone piegate. Che brutta immagine, eppure mi dico è vera, ma non credibile e i bimbi ridono, non può essere. Li sta davvero abbracciando?! E poi si presenta Rose, che accoglie nella sua casa 16 persone sconosciute offrendo da bere e trasformando 10mq in una reggia di benvenuto. Il Dio mamma che va a cercare gli street-children per portarli a scuola, che offre un’opportunità, con quello sguardo dolce, in quelle strade che di dolce non sanno proprio.


L’ultima settimana. Si cercava di non pensarci, ma discorsi sull’aereo sono nell’aria. Ci si attacca ancora di più alle persone. 10 amici uniti da lunghe e profonde condivisioni, preghiere. Si salutano i bimbi increduli che ridono, e ora piangono anche. Hakuna matata.. no tanti pensieri…

Vivrà nel cuore.

Barby

sabato 27 settembre 2008

"Scatta il cantiere", ambito "Volti da raccontare"

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1° CLASSIFICATA
 
Chiara Beniamino – LIBANO – Volti da raccontare

2° CLASSIFICATO
 

Pirota Valentina – KENYA – Unaituo nani

3° CLASSIFICATA EX AEQUO
 

Valeria Villa – BOLIVIA – Wiphala

3° CLASSIFICATO EX AEQUO
Fabio Giudici – BOLIVIA – Dolcezza
 

venerdì 26 settembre 2008

"Scatta il cantiere", ambito "La comunità locale accoglie"

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1° CLASSIFICATA

Barbara Grassi – KENYA – Rose

2° CLASSIFICATA

Alessandra Fornari – MOLDOVA – La domenica a pranzo… dalle nonne


3° CLASSIFICATO

Fabio Giudici - BOLIVIA - e' arrivato Padre Sergio!

giovedì 25 settembre 2008

"Scatta il cantiere", ambito "Scenari di gruppo"

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1° CLASSIFICATA

Alessandra Fornari – MOLDOVA – Insieme siamo grandi

2° CLASSIFICATA
Giulia Misani – GIORDANIA – Un gruppo con un cuore di… Petra

3° CLASSIFICATA

Margherita Quaglia – BOLIVIA – Sulle Ande
 

mercoledì 24 settembre 2008

"Scatta il cantiere", ambito "Diritti in cantiere"

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1° CLASSIFICATO
 
Pietro Raimondi – BOLIVIA – Lavori in corso

2° CLASSIFICATA

Alice Gini – MOLDOVA – Dietro ad un bancone

3° CLASSIFICATA
 
Laura Renditore - INDIA ANDAMANE - Diritto all'istruzione


 

martedì 23 settembre 2008

"Scatta il cantiere", ambito "Lavorare con... Insieme per..."

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1° classificato

Paolo Dell’Oca – KENYA – Cauboi e indiani
2° classificata

Barbara Spina – NICARAGUA – La classe dei “multisensoriali”
3° classificata

Giulia Mazzer – BOLIVIA – Punti di vista
 

sabato 20 settembre 2008

I caubòi di Emaus

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    Ed ecco in quello stesso anno due e più di loro erano in cammino per un villaggio distante circa cinquemilasettecento chilometri da Nairobi, di nome Milano, e conversavano di tutto quello che era accaduto. Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Kenya da non sapere ciò che vi è accaduto in questi anni?». Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i sommi manager e i nostri capi politici lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. Noi speravamo che fosse lui a liberare l’Africa; con tutto ciò son passati duemilaotto anni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi un mattino nello slum e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla discarica e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l’hanno visto».

Non l’hanno visto, my dear brothers&sisters. Non lo vedevamo. E come potevamo? Tra gli angeli c’era un bimbo ke giaceva in uno pneumatico, una copertina di mosche il suo unico vestito. Vedi solo quello, è troppo ingombrante.

La sua mamma?

Assente, pròf.

Ne sapete qualcosa?

No, pròf, cosa vuole… Avrà fatto sega con Dio.

Non c’è neanke lui?

Lei lo vede?


Inizio da qua, dalla fine, la fossa biologica del pianeta. Noi a camminarci intorno, occhio di ognuno aggrappato alla propria scarpa da ginnastica, non farlo sbarcare a terra, no no no no; e per quanto simulassimo indifferenza, il nostro passaggio era una passerella e non poteva essere altro; Zulander a confronto era discreto, e se lo fosse stato davvero sarebbe stato meglio per tutti quelli ke l’hanno visto.

Dona pane a chi ha fame e fame d giustizia a chi ha pane.

La nostra fama c precede, la loro fame la accoglie. Pensa se c guardassero con curiosità e basta, un 1° impatto tra 2 culture: stuzzicato dall’altra e fiero della tua. Un’asse d equilibrio: viventi nello stesso mondo, modo diverso nel vivere. Come succederebbe a un canadese in Danimarca, per dire; colla nana differenza ke non tutti i danesi vogliono vivere in Canada, e non tutti i canadesi non vivrebbero mai in Danimarca.

I legamenti tra Europa & Africa c stanno da molto; dapprima militari economici, poi anke culturali, e sempre politici. Pulitici, poletici? Nàààà. Politici. Sempre stati. Da prima ke fossero Stati.

Ci danno il benvenuto nelle voci dei bambini ke chiamano Auariù finchè non concediamo magnanimi 1 sorriso, una strizzata d mano. Che assillo l’assedio dei fans.

Cosa vuoi, un autografo?

Dove telo faccio?

Qua sul barattolo d colla?

Come ti chiami?

Non ho capito non importa.

Ecco, grazie, ciao. Sìcuro, mi ricorderò di te.


Come il Papa. Come un pappa accolto da Papa. Visto da Unpaeselontanolontano, in campo lungo, è assurdo: 6 in uno dei posti + miserrimi d ovunque e t trovi circondato da infanti ossessionati dallo stato della tua salute.

Come stai?

Bene, bene.

Come stai?

Bene, ti ricordi? L’ho appena detto al tuo amiketto d fianco.

Come stai?

Bene, aoh, cosa fate? Me la tirate?

Come stai?

Davvero vuoi saperlo? Come vuoi ke stia? Guarda cosa vedo..

M’inalbero, hai capito? Provo allora a bruciargli il tempo. Glielo kiedo io, stocco in anticipo.

Auàriù?



Forse in realtà non sanno cosa vuol dire, ripetono a pappa gallo, a mò d saluto. Improbabile ke si rifiutino d rispondermi, magari perchè non sanno mentire e non vogliono mettermi in difficoltà. E dove saremmo? In una bigottopoli? Forse non vogliono mettere la parola fine alla nostra relazione. (L’hai capita?).

Fàin. Ebbravo Paolo, intanto continua a stringere centinaia d manine fraffose, è Africa, i primi secondi è 1 sballo, poi c va messa + umanità pussibile. Nei miei occhi la preghiera “Which God taxi driver”. Se è nascosto da qke parte, qa parlerà l’inglese (d al pacino); lo parlano tutti tranne noi. Talvolta non sappiamo cosa dire, altre volte non sappiamo come dirlo. Dove non placcano le paranoie, la scuola italiana arriva corto. Short. Shortcut. Scorciatrota. Psicopompo. Apotropaico.

Conosci la differenza tra Mungu e musungu?

Sì. Su.

Bravo, quella sillaba lì.

Sì. Lì.


Ke se santo mi dà tanto, e in kiswahili (ki?) “giù” significa “su”, ci siamo: Dio sta sopra, l’omino bianco sotto. Ma sotto sotto, come te, non come viceDio. DiceDio kei primi saranno gli ultimi. Prima d allora saranno primi.

Ogni volta ke scrivo d’Africa sta frase balza fuori.

Già.

La traduci tu a loro, per gentilezza?

No, tu.


Tutti primi, tutti ultimi, evvaiva. Utopie cattocomuniste, forse anke un po’ arcigay. Qua gli uomini non sono uguali, semmai sono ugali, tanto ne mangiano. Tanto è insapore, mica l’injera. Cosa c’entra? Non uscire dai confini. Ma d fronte alla sofferenza ke conduce senza esitazioni alla morte, io non sono degno d pensarmi tuo fratello. Tu ingolli Jet Five, distillato dall’olio bruciato degli aerei; noi ci compriamo magliette da 70€.

Non ha senso, lo capisci ke non ha senso?



Dài, ciumbia, Chiara è riuscita a fare credere ad un militare ke non stava fotografando lui ma 1 albero perché a Milano non c sono!


Va bene, allora, ok. Ci sto. Facciamo saltare tutto. Katabuum! Vediamo cosa succede. Io seguo, non guido. Non Guido, sarebbe semanticamente iperbolico. Seguo a scrivere.

Noi siamo caubòi venuti giù a Nairobi con camicia (shirt) e pantaloncino (sempre shirt, giacché shirts è pantaloncini) blu, portiamo i sogni del 2° mondo, cerkiamo i bimbi ke abbiamo visto alla tivù. I caubòi van giò a Nairòbi, coi salumi e l’ultima sigaretta. Han poki soldi e vengon da lontan e una vita sola non gli basta +.

Noi siamo caubòi, e nel nostro mondo c sono anke gli indiani. Nel mondo degli indiani ci sono anke i caubòi. Ognuno ha la sua casa, ognuno il suo villaggio, le feste ed il lavoro, la paura ed il coraggio.. Stessa luna, a fettine o tutta intera.. Mma sse mangiano una mucca cucinata sopra il fuoco sotto c’è la stessa fame e scusateci se è poco. Poco.. con una capra ci abbiamo pasteggiato in 20, e non tutti avevano spazio per la prelibatezza dell’intestino cotto ripieno d cuore polmoni sangue. Una mucca non è poco, piuttosto scusateci se questa mucca non ce l’avete. Scusateci se magari non avete niente. E se gli indiani son finiti male. Se resistono nostalgici in racconti mielanconici da Natale.

Visto ke è arrivato lo spazio dello scusa, so kè soltanto un’altra scusa, ma mi siedo d fianco ed è come se non fossi qui, scusateci anke voi, piccoletti kenyani ke avete imparato i nostri nomi. Una scusa preventiva, prima d tirarvi in ballo (e vai avanti, muovendo i fianki, poi torna indietro indietro indietro ancora un po’), per vaccinarmi da sensi d colpa cerebrali. Qua la scrivo, la firmo, P a o l o. Sottoscrivo il pacco: Auguri.

C’era una matata (un problema, fratemo!) i primi giorni: sarebbero affluiti poki bambini, giusto qualche decina. Ma l’ho scritto, è collassato tutto. Prendi Matrix, Truman Show, Alice nel Paese delle Meraviglie, the Game, the Island. No, ecco, The Island, riposala, da bravo. È successo qcsa d simile. Ne erano previsti 60, furono 673. Colline brulicanti d pupetti. L’esercito d Saruman, continuano ad arrivarne, scappiamo, siamo spacciati. Saremmo stati spacciati se non fosse stato per il nostro Mago. Gandalf a confronto è un ipnotizzatore di licheni. E allora il cavo della corrente ke si sgancia sulle nostre teste, le guardie ke ci bloccano sia la strada verso il campo sia quella per il carcere giovanile, diventano minuzie presto scordate. Ma anke prima suonavano male.

Il 2° giorno la carica dei 673 c impedisce d raggiungere il luogo del ritrovo, c si scapicollano incontro in rapide umane. Poi abbiam fatto le gare e hanno smesso d venire, però quella è un’altra storia. Una storia in cui i rarissimi bambini ke riuscivano a competere si toglievano scarpe e calze x spuntare in testa alla corsa. Spunta in testa il donBello ritornello dei caski bianki caritasambrosiani d quest’anno: “a piedi scalzi verso traguardi di pace”: i giovani atleti sanno ke così si è + veloci. Oppure è anke una questione di direzione, il piede calzato (giovane ricco) vizia la traiettoria?

A camminare trale casette dove “lavoravamo”.. dove giocavamo, risuonavano i nostri nomi: “Marcooo, Valentinooo, Stivennn”. Ke anke se sai d essere un pistola se succede una roba del genere, t senti un pistola importante. Ke so io, Bassolino, Putin, Scajola, Beretta.

Ogni Revoluzione ke si rispecti esige un costo in termine d vite umane, solitamente collegata al cambio d potere: Ema andava sacrificato al termine d pirotecnike giornate elettorali, non fosse ke riuscì a ricomprarci con shopping e nutella (la sua superiorità concepì promesse diversificate per genere sessuale). Il popolino si accontentò d salivare alla prima edizione di Miss Affettato 2008. Faccio outing: gli agognati salami volarono poi ad Addis con me, cacca d Lele, lupo insieme al bòs (fui complice nell’affiancarlo nell’acquisto dell’amato Sandwich Beef...).


Poi, aspirato dalle chitarre di Bar Bra (un passato da alcoolista veronese) Lele e Ma, il Liga kiede un momento a Dio, ispirati dalle giraffe di Naivasha glielo kiediamo anke noi, non siamo così vicini al cielo, ma è tempo per noi, menziono 2 segni. Abbiam già lasciato in giro la prima pelle abbronzata, per lo strippo strappo dei bambini ke tra il fregarci le braccia x scolorirci e l’ammirarci i peli delle ascelle erano gioiosissimi (sì, non conoscevo tantissimi joki da proporgli). Non mimì facevo + il letto così non correvo il riskio ke las mosquitos penetrassero oltre la zanzariera e dormivo quindi in una palla d coperte. Ma poi abbiam insindacabilmente sconfitto le zanzare col malarOne, quando Marianna ne ha spetasciata una colla relativa scatola.

Eravamo definitivamente pronti ad incontrare Dio. E qua torniamo all’inizio. Ke può essere un modo per concludere un racconto, la narrazione circolare, non fosse ke non ho nessuna intenzione d kiudere, vediamo dove si va. Si torna in baraccopoli, stavolta a Kibera. Un pelo d’ascella + sgamati, ne avevamo parlato e pregato e vediamo cosa succede. Succede ke non troviamo Dio, ma una replica d Korogocho. E allora ci kiediamo come vorremmo Dio. Qualcuno non lo vorrebbe popo, almeno x il momento, lo strozzerebbe; ke sarebbe un casino, tribunale celeste, gli usa non l’hanno ratificato ma kenya & italia sì. Qualcuno invece non lo vorrebbe così permissivo e riflette ke con tutta la sofferenza ke siam capaci d creare, forse sarebbe davvero meglio ke fossimo privati della libertà. Qualcuno lo vorrebbe seduto con noi, a tentare d spiegare; magari si arrampikerebbe sui vetri, ma sappiamo ke nessun cherubino verrà a prenderlo al volo.

In mancanza d altri, abbiam consultato il Korogocho d Alex, dove il comboniano scrive di un Dio debole, ossimoro ad effetto, un Dio mamma ke tiene trale braccia un bimbo malato ma non ci può fare niente, se non amarlo; impotente, un Dio da aiutare, perché ha deciso d autolimitarsi x noi. Io ci sto in qsta lettura. C sto ke Dio c offra la sua vicinanza attraverso lo Spirito, ma siam noi ke cambiamo il reale riflettendoLo. Anke x’ credo in Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v'è stato preparato fin dalla fondazione del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi. Credo ke Lui sia stato torturato e sfottuto e appeso al legno da noi. E credo allora ke Dio fosse presente negli slum, fosse il bambino dentro alla ruota, fosse la nostra dolcissima accompagnatrice malata d aids, fosse dappertutto, fosse onnipresente nella fossa biologica del mondo. Credo nelle rovesciate di Van Basten.

Poi distribuiamo casualmente (casualmente, melaverde, non causalmente) frasi del Vg, da tenersi al polso x un giorno, e leggere alla sera alla luce delle ore trascorse. Bòn, a me capita: “Tutto è possibile presso Dio”. Frase ke smonta l’algoritmo su cui m’appoggiavo; a meno ke non le si faccia dire “Tutto è possibile presso Dio attraverso di me”. Uff. Comunque è andata così tra noi, e diciamo ke è un po’ come l’ippototamo d Mc. Cioè lui è stato pazientissimo ad aspettarlo e alla fine l’ha anke visto. Però così dice lui, x’ dalle foto non si evince un niente. Io però mi fido. L’avrei anke votato. Nemmeno un trucco è cambiato che: che se il mondo cambia, qualche mondo non cambia mai.

Mi trova lì anke Padre Daniele (succeduto ad Alex) qdo ci confida ke la qualità soggettiva della vita prescinde da pil, sofferenza, nro morti evitabili. E io sono quello ke durante la sua meravigliosa celebrazione per i malati, fisso il crocifisso, 2 listelli dipinti a mano, e osservo come le moske si posino sul sangue pitturato d Gesù. Il reale surclassa l’immaginazione e gli uomini la kiamano magia, ma ci sono sempre i trukki, e per una magia così, dice, val la pena vivere.

E ci sarà dentro te e aldilà dell’orizzonte una piccola magia, ci sarà e forse esiste già di là dell’orizzonte una magia anche per te. Vorrei rinascere per te e ricominciare insieme come se non sentissi + dolore. Ma tu hai tessuto sogni di cristallo troppo coraggiosi e fragili per morire adesso solo per un rimpianto. Altro sortilegio cromatico riscontrabile sul muro della chiesa d korogocho: pigmentazioni epiteliali non erano rosee o more, a seconda del soggetto, ma vie di mezzo, irriconoscibili, sfumature. E le sfumature fanno la differenza, s’imparò in Bosnia. Quando capita anche a noi di vedere in bianco e nero ricordiamoci che il mondo è da guardare tutto intero. I colori sono tanti e le lingue ancor di più ma i bambini riescon a dire viva tutte le tribù.

(Salto)

Al riatteraggio il campo sé trasformato in una discesa, noi prendiamo velocità e la fine giunge prima del dovuto, lo fulmicotona in fuga; potremmo andare tutti quanti allo zoo comunale a guardare nelle gabbie le bestie feroci, o proporre “Bella raga, andiamo al museo!”. E vedere d nascosto l’effetto ke fa.

Ke po3bbe finire qua, eh, e noi ne usciremmo non dico da vincitori, ma in piedi.

Non fosse ke.

Il dietro le quinte della baraccopoli vuole kei bambini gridino “Hauàiù” ai bianki, perché questo in kiswahili significa “sei una patata”, e quindi si sbellikino qdo noi gli sorridiamo, e gli diamo la mano, ringraziandoli per averci dato della “patata”. L’abbiamo scoperto gli ultimi giorni, e quando Marianna ha provato a fare dire a BEL, la bambina canterina, “io sono una patata”, lei al massimo (ma alla marianna) ha detto “Io sono hakuna matata”, io sono senza problemi. I kenyani intercalano i loro discorsi domandando se tra noi ci sia Celine Diòn, così: “Selindiò?”; per confonderci. Sono superiori, non c’è niente da fare; sbircia una qualunque messa concerto. O il podio d una qualsiasi gara di corsa olimpica, secoli d polestra c farebbero pareggiare. O come ognuno tra il Dr Martin, il Dr Mèthiuu, Denzel, Charles&Joseph, Evaristo (tanzano, scusate se insisto) abbia emesso un suono diverso all’inkiesta scientifica di Marco sul verso del coccodrillo. Loro facevano il verso al coccodrillo. Macòffi. Loro sanno ke in kiesa non bisogna spellarsi le mani durante le canzoni: dovresti battere le mani x te stesso, x’ senti la musica e t viene da muovert, da farne parte. Non applaudire perfarti sentire, anke x’ se così fosse non arriveresti alla prima lettura.

Ma cerkiamo d farti arrivare alla fine qsta prima lettura, exit strategy: procedere a ritroso ritracciando kiavi d lettura, ke poi tutta sta roba mi torna utile qua in Etiopia, ke non è Africa fino ad un certo pto, da quel punto in poi è Africa, e io non vorrei impuntarmi e neppure impantanarmi.

Nella valle delle zebre, dove crescono i chapati, non esistono citofoni, e anche Dio el ciàpa el matato... scià dài, alùra giò! E i cau boi vànn sö a milàn: senza camicie e la radio che la và! Fànn un casòtt de veri "italiàn" e allo stewart gli fanno un palloncin.

!muubataK. Ke Dio t’assista, la preghiera nei miei occhi. E i cau boi i vànn a lavurà nel lünedè che 'l paar un cucudrìll (!) e lavurà e sempru lavurà... Una mattina mi son svegliato, o Kenya ciao, Kenya ciao, Kenya ciao ciao ciao. Ognuno ha le sue notti, ognuno i suoi mattini, le mamme ed i papà, i nonni ed i bambini... Ho provato in più modi a farli piangere, non esiste ke qsti non piangano x’ non è la loro cultura. Beh, belìn, alla fine mi sono anke mancati. Come quando ho sbottato con degli autoctoni, e un’ora dopo era come se non fosse mai successo. Boh, mistero. Buh. La magia ha dominato (magie, magie, magie d Ema), ma tu… understand? Under stand? Sotto stai? Giù? Su? Mezzo? Vuoto? Saccopieno? 1 2 3 stella! Senza cielo. Celò. Un contenitorino, con le lacrime versate nella mia vita. Tutte le volte che il mio volto ha dimostrato la mia debolezza, che mi son reso vulnerabile, che mi son sentito un perdonato. Perdona e dimentikerai: per quanto possa fare male, in fondo, sai, che 6 ancora qui. E dare tutto e dare tanto quanto il tempo in cui il tuo segno rimarrà… questo nodo lo sciolga il sole come sa fare con la neve.

Le palle di neve: poki link più esotici x il Chenia. Ma non ho trovato d meglio e tutti sappiam far girare le 3 palline, ciascuno le proprie, tranne qualcuno ke, formidabile, sa fare girare anke quelle degli altri, ma l’ultimo vero trucco è Suo, io vi lascio qua, saluto ed esco, facendo piano, el fico, per non svegliarvi; vado a skitarrare alle ragazze con Marco; vado in Etiopia a salutare; arrivo, jambo, salàm, tenestli.

[25]Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! [26]Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». [27]E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. [28]Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. [29]Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. [30]Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. [31]Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero.

    paul

sabato 13 settembre 2008

sentii (e dissi) in Kahawa West

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Paolo: Ti ci sta quella statua della Madonna nel tuo dito finto? (a Marco, durante pallosissimi ringraziamenti per la festa della chiesa)

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Massi: Ciao, io sono Massi e voglio un figlio bianco (tale Massi ke si presenta a Luca e a Paolo)

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Tutti: Celin Diòn? (tutti i kenyani nei loro discorsi)

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Chiara: Marco tiene in camera sua le foto d tutte le persone che ha conosciuto cui ha fatto mettere il naso rosso da clown!
Evaristo: Ah, mi spiace molto


Paolo: Perché l’ambulanza non viene fatta passare?
Michael: Perché siamo in Kenya

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Ragazza: Joseph mi ha detto ke mi devi dire una cosa… (ragazza a Paolo)

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Lele: Il malarone serve davvero contro la malaria! (commentando lo spetasciamento d’una zanzara da parte di Marianna con la confezione del Malarone)

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Paolo (in combutta con Luca): Sì, però gli animali li abbiamo già visti. Potrebbe essere interessante… non so, non c’è un museo a Nairobi?


Barby: Ma le spose africane si vestono di nero?

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Paolo: I leoni quando mordono ti attaccano la malaria?

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Welcome! Hi! (coccodrilli)

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P. Denzel: Qualè la parola italiana che avete imparato? Uattènciù (ai bambini in chiesa durante la predica)

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Paolo: Posso baciarti?
Mathieu (tra l'irritato e lo spaventato e il disgustato): Non mi devi toccare, Paolo!

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Stefano: Io sono Stefano, ho 24 anni e sono molto contento di fermarmi qua in Kenya 3 mesi (alla presentazione durante la messa)

venerdì 12 settembre 2008

sonbaggio kenyano

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Oh, allora, prima ke cisi dimentiki troppo, buttiamo giù un sondaggio aperto ai camponenti keniani. Qual è stato il magic momenz della vacanza?

• Il coccodrillo come fa? – L’inkiesta verità della iena Marco

• La Nutella elettorale – La mossa alla Silvio d Ema

• Gli assedi di Massi, desiderosa d avere figli bianki

• La carica dei 673 bambini del 1° giorno



• La guardia carceraria che insegue Chiara, rea di averla fotografata

• Il silenzio di Lele, interrogata da Martin nella prima preghiera

• Il bambino cui Marco ha appena estratto un fazzoletto dall’orecchio, sommerso da una folla di altri bambini curiosi di esaminargli l’orecchio

• La camminata tra zebre e giraffe

• Luca che urla il risultato di bandiera: “3 a 2!”, e poi cerca invano di fermare i bambini numero 3 e 2, ke, sentitisi kiamati, son partiti per prendere il fazzoletto

• Rose

• Il concorso d bellezza degli affettati



• Charles&Joseph tirati scemi da Luca, colla bottiglia e il tappo o colle forkette e lo stuzzicadenti

• Il riempimento di Denzel dell’intestino della capra con sangue viscere cuore polmoni

• La Barby ghiotta di ugali

• Chiara che spiega sparetta, fa la prova, si gira dopo avere sparato e i bambini, che non hanno capito niente, sono tutti per terra. Perde un po’ scritto così

• Marco che corre col fazzoletto di bandiera inseguito da tutti i bambini

mercoledì 10 settembre 2008

kenya

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Dio, dove sei?
Vai in giro e la gente non solo si permette di essere bianca, ma in più neanche ti saluta.
Cammini per la strada e i bambini non ti riconoscono.
Ti svegli la mattina e vai a letto la sera senza dover alzare un velo per coricarti.
Aspetti i tuoi amici e, eventualmente, ti puoi accendere una sigaretta.
Ma dove sono?
Questa città per tratti la riconosco, è così famigliare. Per tratti la trovo completamente estranea.
Dio, dove sei?
E fino a una settimana fa dov’ero io? Dove ho vissuto? Che persone ho incontrato? Che luoghi ho visto? Che animali ho fotografato? Erano scolpiti nella mia mente, erano entrati nella mia quotidianità come se lì fossero sempre stati e ora, di punto in bianco, tanto improvvisamente come può essere improvviso trovarsi a far parte della giuria di un concorso di salami, così improvvisamente sono svaniti ed è necessario parlarne, guardare foto e video, scriverne, affinché il ricordo rimanga vivo.

Dio, dove sei?
Il ricordo che non rimarrà tale, perché noi ci abbiamo riflettuto sopra insieme, noi ci abbiamo sbattuto la testa contro, ci abbiamo litigato e ci abbiamo discusso, quindi ora non sarà mai più un ricordo, ma sarà un piccolo ruscello di acqua calda accanto alla nostra strada che ci starà vicino, farà immergere noi, se lo vogliamo, farà immergere la gente che ci sta intorno e quella che incontriamo per caso, se lo vogliamo.

Dio, dove sei?
Tanti anni aspettando che il momento giusto arrivi, il momento per entrare in un’altra realtà, per stare 9 ore su un aereo, per essere pronto a mangiare cose che non avresti mai voluto mangiare, il momento che forse più che giusto è solo il momento che deve arrivare.

Dio, dove sei?
E poi quando arriva ti organizzi, prepari la tua valigia, solo una perché l’altra serve a qualcun altro; decidi i giochi, già sapendo inconsciamente che non serviranno; fai le vaccinazioni o non le fai che tanto zanzare non se ne vedono; compri fazzoletti, disinfettanti, cerotti o non li compri, perché tanto hai già conosciuto la Vale e sai più o meno che è una farmacia ambulante.

Dio, dove sei?
E alla fine non c’è niente da fare. Ci sei dentro. E ti alzi la mattina alle8, contento di alzarti a quell’ora, col senno di poi, ovvio; vai incontro al campo da calcio, scoprendo poco dopo che è lui che viene incontro a te; mangi assuefatto due panini emmezzo con prosciutto annegato nelle salse+banana; entri in un carcere sapendo che tu ci uscirai prima di 4mesi; ti ritrovi a pregare un Dio che ancora non conosci, o meglio, un Dio che non ri-conosci, e poi correre a casa che il coprifuoco non perdona; ti lavi per quanto puoi, mangi più che puoi e poi ti trovi. Con quelli che ora sono i tuoi amici.

Now you’re my friend?

Non capisco. Cosa mi chiedi? Se sono tua amica? Ma come faccio a essere tua amica? Non ti conosco neanche, non ti ho mai vista prima di questa settimana, a malapena mi ricordo il tuo nome e me l’hai ripetuto più di tre volte. Poi però ricordo…

Of course. Now we are friends. Abbiamo mangiato insieme. E percorrendo questa strada che ci riporterà a Kahawa West, forse stiamo arrivando più lontano.

Dio, dove sei?
Perché tu pedali e tenti di non cadere sopra questa sabbia con la quale all’inizio ti divertivi a cercare di stare in piedi, ma poi diventa una sfida tra te e lei. Il terreno è instabile e il tuo mezzo forse non è tra i più adeguati. Ma in ogni caso sarebbe difficile non cadere di fronte a un Dio che ti chiede di aiutarlo e ti fa arrabbiare; di fronte a dei bambini che ti chiedono dei palloncini al di là di una rete di filo spinato; di fronte a Benson che salutandoti ti bacia sulla guancia; di fronte a una signora che ospita nella sua casa più persone di quante ce ne potrebbero stare; di fronte a un ragazzo che ti regala una spina di porcospino; di fronte a un tappo che alla fine ci entra nella bottiglia; di fronte ai poveri, qualsiasi essi siano. E allora dalla bicicletta ci puoi anche cadere perché sei giustificato, ma l’importante è che poi la riprendi in mano e ti rimetti sopra e continui a pedalare su questa sabbia.
Come hai fatto.


Dio, dove sei?
Una domanda ha accompagnato questo nostro viaggio. Sempre presente, ma particolarmente assillante percorrendo le baraccopoli. Una domanda a cui ancora non abbiamo una risposta e forse mai l’avremo. Tuttavia questo viaggio ha dato una bella spinta alla nostra ricerca e accompagnati dalla fede scopriremo, prima o poi, qual è il verso del coccodrillo. Ma forse scopriremo anche dov’è Dio.

Dio, dove sei?
Che poi di domande ne abbiamo avute sempre in abbondanza, perché guardando gli occhi dei bambini, guardando nelle scelte dei bambini che non solo non hanno bisogno delle scarpe da corsa per correre, bensì proprio se le tolgono le scarpe, perché loro corrono; guardando gli occhi di Rose, guardando nella vita di Rose e accorgendoti che non solo lei non te la nasconde, ma addirittura ci tiene che tu ne cominci a far parte, tu che poi non sei nient’altro che uno sconosciuto; guardando gli occhi dei ragazzi, guardando nei loro sogni e scoprendo a poco a poco, mentre loro te ne parlano, che questi sogni non si realizzeranno mai; guardando gli occhi di padre Daniele, guardando nel suo di sogno e ammirare che forse una parte è stata raggiunta; guardando gli occhi di Martin, guardando i suoi sacrifici, per trascorrere venti giorni con 9 italiani che non ha mai visto; guardando gli occhi di Matthew guardando la pazienza di Matthew, di fronte a proposte indecenti e di fronte a un Kenya per il quale il futuro si propone ottimista; guardando gli occhi degli altri volontari, guardando nelle malattie degli altri volontari, che nonostante questo continuano a trascorrere il loro tempo a Soweto, quando non sono in ospedale; guardando gli occhi del Kenya, guardando le contraddizioni del Kenya, guardando tutto questo coi nostri di occhi, occhi per certi versi appena nati, cresciuti più in venti giorni che in venti anni, di domande ne crescono tante quante sono le manciate di ugali che sei costretto a mangiare per non offendere il tuo ospite.

Dio, dove sei?
Dove sei mentre questi bambini chiedono a me come sto e io rispondo “fine”? Certo, io sto bene, siete voi che state male, sono io che devo chiedere a voi “how are you?” o “sei una banana”, sono io che ho la presunzione di aiutare voi. Ma siete voi che state aiutando me. È così che doveva andare?
Non lo so, ma ancora io mi chiedo Dio dove sei?


Dio, dove sei?
Oggi Dio non lo so dove sei. Non ho la più pallida idea di dove tu sia finito, se stai coi poveri, se stai coi ricchi, chi sono i poveri e chi sono i ricchi. Io però so che in questo viaggio probabilmente ti ho incontrato più volte di quante non me ne sia effettivamente resa conto.

Il pregiudizio di chi vede Dio che è morto e quindi non può essere con loro. Il pregiudizio di chi conosce la realtà e quindi pensa che non possa più stupirlo.”
Questo pregiudizio lo avevo. Ed è solo una delle tante cose inutili con cui sono partita e che ora ho affidato ad Evaristo, scusate se insisto

Tornerete? No, non torneremo, inutile raccontarci bugie.
Ma forse non ce ne andremo mai. E sicuramente, per un po’, staremo ancora li con voi, più che qua, con loro.

Loro, che poi sono le nostre domande. Ma forse, se perdiamo tempo a farci domande, ci dimentichiamo di viverlo questo Kenya, di viverlo nella nostra vita, il compito più difficile, anche più difficile del trovare le risposte.

E ora è questo il compito che abbiamo.

Perciò, Dio, io non ti pongo più una domanda, non ti chiedo dove sei, ma ti dò una risposta: ok, Dio, io ti aiuto.

 

venerdì 29 agosto 2008

Sarah, angelo all'inferno.

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Oggi il mondo mi fa schifo.

Camminavo tra quelle “strade” con lo spirito che avevo ad Auschwitz. Solo che qui le persone erano ancora vive. Ancora. Sarah almeno per ora.

Ci avviciniamo alla “scuola” di questa baraccopoli e vedo una bambina alta tanto quanto il mio ginocchio, a piedi nudi, in mezzo allo schifo, in una specie di fosso, appoggiata ad una parete che non riesce a passare. Piange. Non è giusto che sia li. Dovrebbe esserci vicino a lei una mamma che le ha comprato un sacco di vestiti e di scarpe, quelle che ti fanno impazzire da quanto sono piccoline; che non la lascia andare in giro da sola neanche per casa. Ma quale casa?


La ferrovia passa qua in mezzo, nella larghezza di 6 metri. Ci fermiamo perchè sta per arrivare il treno. Mi riposo un po’. Volto gli occhi e un panorama di tetti di lamiera invade la mia testa. Come quelli che vedi nei libri di scuola, quelle foto che guardi un attimo, ma giri subito pagina perchè lo sai che ci sono queste cose, ma cosa ci puoi fare tu? E poi mica è colpa tua, oh!

Sarah ci accompagna in questo nostro giro. Sarah è una donna bella con gli occhi che ridono sorridendo.
A un certo punto ci fa entrare in una baracca e non capisco bene perchè.
Poi ci spiega.
È casa sua.
Una minuscola stanza con un sacco di cose accatastate alle pareti; un tavolino in mezzo circondato da tre “panchette”. Una parete è un lenzuolo che copre la stanza da letto. La stanza in cui siamo ora è cucina, salottino..tutto quello che non è stanza da letto.

Ne va fiera.

Ci sediamo e ci chiede se può offrirci da bere.
Cerchiamo di rifiutare, ma insiste.
Poi esce per tornare poco dopo con una bottiglia di coca, una di sprite, una di fanta e una di limonata. Sorridendo le appoggia sul tavolino. Poi si gira, si abbassa e tira fuori dei bicchieri. Si ferma e va nell’ “altra stanza” tornando con un fazzoletto con cui li spolvera. Le chiediamo cosa vuole, ma lei risponde che ha già la sua cosa da bere e sparisce di nuovo per tornare con una bottiglia di fanta già cominciata. Rimane in piedi perchè per lei non cè più posto e ci racconta che vive li con suo marito (un elettricista), suo figlio, sua nipote e un ragazzo che hanno “adottato”. È fiera e contenta della sua famiglia. E della sua casa. Si libera un posto e la invitiamo a sedersi. Io la guardo e...

No Sarah. Tu non puoi.
Mi viene il sospetto che Sarah abbia l’aids.
No Sarah, tu non puoi.
Le carte ci sono.

Brutta tosse -Sarah, smettila di tossire, cazzo!-; foulard in testa -togliti quello stupido foluard Sarah!-; voce bassa –alza la voce Sarah, maledizione!- e macchie sulla pelle –vatti a lavare la faccia Sarah, ti prego, vatti a lavare la faccia...-.
No Sarah, tu non puoi.

Ci ringrazia per essere li con lei, è molto contenta ci dice. Ci fa vedere delle foto. Sarah, in queste foto non avevi il foulard, perchè ora ce l’hai? Toglitelo Sarah, per favore.
Arriva suo figlio e lei ce lo presenta parlando con gli occhi.
Usciamo e facciamo una foto tutti insieme. Ci avviamo verso l’uscita della baraccopoli, dove ci saluta uno ad uno. Dicendoci infine:

grazie, vi porterò nel mio cuore per sempre. È stato uno dei giorni più belli della mia vita.

No Sarah, tu non devi.

Oggi, amico Dio, stammi pure alla larga che tanto io non ho nessuna voglia di vederti.

Oggi il mondo fa schifo.




martedì 26 agosto 2008

Mi mancano....

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le galline che vagano tra la spazzatura, le capre libere lungo la strada, P. Daniele, la terra dura sotto i piedi camminando verso Kamiti, i carcerati che ci salutano, il sole che brucia, i matatu che fanno inversioni pazze a kahawa, l’odore di kanyano che alla fine avevamo anche noi, 700 bambini o quel che erano che ci guardavano, il dott. Martin e le sue preghiere, Denzel e le sue mani sporche di capretto, i balloons, il grande Mattiewww, l’allegria dell’Africa, le bici di Naivasha, il frisbie, gli asini bianco-neri, l’Orizon, i nostri salumi, gli youth di Kamiti, il prosciutto kenyano coperto di salse per avere un po’ di taste,YCTC, l’ugali, il chapati, Evaristo, le zanzare, un sacco di altre cose…..

Ste

Ste alle prese con il Kenya