martedì 5 marzo 2019

Un mese a Mombasa

Oggi è un mese che LeDis sono a Mombasa, in Kenya, per trascorrere l'anno di Servizio Civile all'estero.
Giorgia, la mia compagna di viaggio ed io ci siamo ritrovate dal freddo pungente di Milano al caldo africano, con una media di 33/35 gradi al giorno. Un vero trauma!!!







Inoltre, siamo state accolte dalla cucina kenyana che sta quasi diventando una droga: samoza, riso al cocco, chapati, pilau...una vera bontà!



Ritornare qui dopo sei mesi dal cantiere estivo ha suscitato in me strane sensazioni ed emozioni: rivedere i luoghi e incontrare nuovamente le persone conosciute in agosto mi ha fatto pensare "Cavolo Greta conosci una piccolissima parte di mondo che sta all'equatore, conosci persone e sai muoverti qui, è fantastico!"
E mi sono anche detta che nulla accade per caso, un motivo per cui io sia riuscita a tornare in questa città a distanza di pochi mesi ci sarà e non vedo l'ora di scoprirlo, di vivere a pieno l'anno che mi aspetta qui.


Ma come è questa Mombasa?

Mombasa è la seconda città più grande del Kenya e già in un mese ho notato le mille sfaccettature con cui si presenta. Si passa da quartieri ricchi con ville e strade pulite a baraccopoli e discarica aperta all'angolo della strada. E' una città caotica, sembra non si fermi, nemmeno durante la notte: la musica, insieme ai clacson, è uno dei sottofondi principali. 
L'intreccio e la convivenza di tantissime religioni  nello stesso posto mi ha un po' stupita: musulmani, cattolici, buddisti, indù convivono a Mombasa.
Lungo la strada le persone lavorano vendendo frutta, verdura, cassava fritta, cibo di ogni genere, vestiti, poltrone,
divani, bare, letti e tanto altro.



I conductor dei matatu (pullmino-taxi con 14 posti) urlano dal finestrino per cercare passeggeri da trasportare, con un costo molto basso. I driver dei tuk tuk (una specie di Apecar-taxi con 3 posti) girovagano per la città alla ricerca di passeggeri più benestanti.








Quelli meno fortunati trainano pesantissimi carretti di legno sotto al sole, a piedi nudi, sull'asfalto cuocente; altri conducono una bicicletta carica di sacchi e cassette contenenti cipolle, banane o verze. Quelli meno fortunati ancora un lavoro non ce l'hanno.





Durante questo mese di osservazione della città, delle persone che la vivono e del modo in cui la vivono mi sono dovuta mordere la lingua già un'infinità di volte, ho dovuto trattenere le lacrime e le parole contando fino a 10. Di certo il contesto non è semplice, ma è comunque una gioia vedere nelle persone e nei bambini quel sorriso smagliante e dico "Wow".

WOW




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