martedì 23 aprile 2013

Storie e parole del terremoto

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Il 19 aprile 2013, con la consegna delle chiavi delle case, si è concluso il progetto di costruzione delle abitazioni per gli sfollati del terremoto del 2010. Ecco 2 storie di quella tragedia!
 
 
Una delle case costruite

Wilner davanti alla porta della sua nuova casa
Beauchamp Wilner, sfollato nella cittadina natale di Môle St. Nicola a più di 200 km dalla capitale: “La sera, quando ripenso a quello che è successo mi accorgo di aver dimenticato dei pezzi. Ricordo […] che l’edificio ha cominciato ad oscillare e che mia sorella mi ha detto: “questa è la casa che sta crollando!” Quando ho cominciato a correre per uscire, la porta (aperta per beneficiare dell’effetto del fumo) si è chiusa e dopo la chiusura c’è stata un’altra oscillazione: correvo perché non avevo mai sentito un rumore così. Siamo usciti e mi sono accorto di avere le gambe molli. […] Il problema che avevo era che la casa era crollata completamente ed avevo perso tutto. Avevo studiato a Port-au-Prince, avevo deciso di restarci e vi avevo lavorato: facevo il meccanico e sollevavo cose pesantissime, poi avevo sostenuto una prova (d’esame), ero diventato operatore (meccanico) e poi è passato il terremoto. Sono tornato a Môle ma sfortunatamente qui non c’è possibilità di fare il mio lavoro. Questo che abbiamo concluso è un bel progetto, dico grazie a Caritas e non riesco ancora a credere che adesso ho una casa.”
 
Jacques durante la consegna delle chiavi
Jacques Illiener, è l’ingegnere della Caritas diocesana di Port-de-Paix (con cui Caritas Ambrosiana collabora) che ha diretto e supervisionato tutti i cantieri. Lui stesso è uno sfollato che ha cercato riparo dopo il terremoto nella principale città della regione del Nord-Ovest a 220 km da Port-au-Prince: qui ha trovato lavoro presso la Caritas locale reinventandosi una vita e diventando il responsabile diocesano unico del settore “costruzioni”e di quello “rischi e disastri” che cerca di dare risposte e di fare prevenzione, con i pochi mezzi a disposizione, proprio in merito a quelle catastrofi che hanno segnato così profondamente la sua stessa vita. Il 12 gennaio 2010, si trovava in capitale: il terremoto lo ha sepolto sotto la sua abitazione dalla quale è stato estratto vivo dopo più di un giorno di attesa, speranze e chissà quali pensieri.

Speranza da questo lato del mondo

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ovvero, un mucchio di sensazioni da ritorno. Ma soprattutto una.

Tornare dall'altro lato del mondo ti dà la sensazione di essere tornata da una vacanza, un vacanza a casa tua.
La sensazione di ritrovare qualcosa che non ti appartiene e non ti apparterà mai al 100%, ma che ormai è un pezzo di te. E tu sei un pezzo di lei.
La sensazione di eterno caldo, innaturale per una cresciuta nell'estremo nord italico; un caldo opprimente, ma familiare. Familiare come i gusti, gli odori, i colori. Familiare come una città, una 'pericolosa capitale del centroamerica', idea che ti fa sorridere come si sorride quando si sente parlare di qualcosa che tu conosci e gli altri no. Familiare come una casa e tutti i suoi ben noti problemi (primi topi compresi...). Familiare come i vicini, gli amici 'di qui', le persone che rincontri e ti dicono 'bentornata'.

Tornare dall'altro lato del mondo e sentirti chiedere come va nel tuo ti conferma poi un'altra sensazione, già intuita e masticata prima e adesso pienamente confermata. Quella di riuscire ancora a vedere la 'luce alla fine del tunnel'. Sì, nonostante tutti gli enormi problemi, qui si pensa ad un domani, si progetta il futuro, si lavora per costruire qualcosa. Si immagina qualcosa di nuovo e diverso, con la sensazione che abbia senso farlo. Che davvero sia possibile. Non facile, ma possibile.

Questo spirito si respira invece troppo poco nel tuo lato del mondo. Quella luce lì è spenta o coperta da qualcosa che ti viene da chiamare, come farebbero qui, desesperanza. Che non è proprio disperazione, ma più assenza di speranza, sconforto. Quella sorta di vaga depressione diffusa che ti si è inevitabilmente un po' appiccicata addosso, nella 'vacanza a casa' degli ultimi due mesi. Perché è dovunque, nella maledetta televisione, nelle conversazioni con gli amici che non trovano lavoro o che cercano di sopravvivere accontentandosi, perché è tutto quello che ti viene offerto, nella crisi di sistemi economici e politici miopi e vecchi.

Poi tutto questo te lo conferma anche un amico di quel lato del mondo che è venuto in questo, solo un po' più a sud, a cercare un lavoro. E l'ha trovato. E ti dice che respira la stessa cosa: possibilità di sperimentare, apertura al nuovo. È come se ti sollevassero di dosso un peso.
Ti sembra allora di capire cosa si respirava anche nel tuo lato del mondo solo qualche decina d'anni fa, quello spirito che tua nonna ti trasmette quando racconta l'Italia nel dopoguerra. Ecco, quello. Siamo messi male, ma miglioreremo, guardiamo avanti.
Il tuo lato del mondo, che oggi sulla carta è sicuramente messo meno male, continua invece a guardarsi l'ombelico e perciò non vede vie d'uscita.

Tornare dall'altro lato del mondo ti fa sperare che il tuo, di lato del mondo, si lasci un po' 'infettare' da questo spirito di possibilità, di immaginazione. È un po' quello che ci sta già poco a poco insegnando quell'uomo vestito di bianco che, non a caso direi, proprio da questo lato del mondo ha fatto arrivare una ventata di possibilità di cambiamento, di novità, in uno degli ambienti che ne avevano più bisogno.

Tornare dall'altro lato del mondo ti ricorda quanto ami il tuo, di lato del mondo, per un sacco di motivi stupidi e altrettanti motivi seri.
Soprattutto ti ricorda che da qui è più facile amarlo, come tutte le cose viste da lontano.