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sabato 17 giugno 2017

Hakuna unga

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"Hakuna unga"
(Non c'è farina)

Foto da: http://www.grace4needy.com/projects/food/

L'alimento principale in Kenya è l'ugali, una specie di polenta, più asciutta e meno cotta, che solitamente si accompagna alla sukuma wiki, una verdura verde che cresce con molta facilità (sukuma wiki in swahili letteralmente significa "spingere la settimana", inteso come praticamente l'alimento per la sopravvivenza).

La pesante carestia che sta colpendo l'Africa Orientale, dovuta principalmente alla violenta siccità che sta dilaniando l'Est Africa da più di un anno, ha inficiato in maniera profonda la coltivazione e la produzione di mais, e di conseguenza la farina per preparare l'ugali.

Un paio di giorni fa stavo tranquillamente facevo la spesa al Cleanshelf, il piccolo supermercato di Kahawa West, e insieme a me c'era Angeline, una delle volontarie di Cafasso, che controllava se ci fosse la farina, per prenderla eventualmente per i ragazzi.

Constatato che la farina non fosse arrivata, ci siamo avvicinate alla cassa e proprio in quel momento uno dei dipendenti del supermercato è entrato portando alcune confezioni di farina.
Angeline mi ha presa per mano e mi ha trascinata all'inseguimento del ragazzo, dicendomi "vieni, in fretta, che se ne può prendere solo uno a testa!".
Io sono stata letteralmente trasportata da un gruppo numeroso di persone che inseguiva la farina.
In qualcosa come 20 secondi è stata distribuita tutta la farina che era arrivata.
La gente si spintonava, allungava le mani, urlava, insultava, per due chili di farina.
Io per fortuna ero in prima fila, perché tonta come sono mi sarei sicuramente fatta "fregare" il posto.

Uscita dal supermercato ero frastornata, sorpresa e sconvolta allo stesso tempo.
Non ho mai vissuto un'esperienza del genere, dove la gente si spintona per il cibo.
Fuori le persone si chiamavano al telefono per dirsi: "è arrivata la farina, corri!" (anche se ne frattempo era già finita).

E ho pensato a cosa potrebbe voler dire per me in Italia.
Ho pensato che l'unica coda per aspettare qualcosa l'ho vista in qualche telegiornale quando facevano vedere chi aspettava l'ultimo modello di i-phone.
Ho pensato a come potremmo sentirci noi, arrivando al supermercato e trovando lo scaffale della pasta vuoto.
Ho pensato che quando noi andiamo al supermercato possiamo scegliere fra 8 marche di pasta, di mille formati e grani diversi.
E ho pensato alla gente che si spintonava per la farina.

Ho pensato che noi ci lamentiamo se non troviamo quella o quell'altra marca di burro.
Mentre qui non hanno tempo di pensare alle marche, o se la farina sia o meno integrale o biologica.
Qui pensano che non hanno l'alimento principale per sopravvivere, e quindi quando arriva, sono disposti a tutto per accaparrarselo.

Tante cose sono difficili da accettare, dopo 8 mesi in Africa.
È difficile accettare che a volte si apre il rubinetto e l'acqua non scende.
È difficile accettare di trovarsi insetti e topi in casa.
È difficile accettare alcune dinamiche, tanto troppo distanti da quelle a cui siamo abituati.

Ma la cosa più difficile da accettare è l'ingiustizia, e l'iniquità.
Perché fra pochi mesi tornerò ad avere l'acqua e vivrò in una casa confortevole.
Ma l'ingiustizia qui resterà, e la gente continuerà a spintonarsi per avere due chili di farina.

lunedì 8 maggio 2017

Siccità, land grabbing ed elezioni: gli ingredienti perfetti per un disastro

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Il Kenya sta affrontando un periodo di profonda tensione, provocata da svariati elementi che messi nel calderone sembrano essere la ricetta perfetta per una potente esplosione.

Le prossime elezioni, previste per l'8 agosto, in un clima già surriscaldato per la siccità che ha colpito tutta l'Africa Orientale, stanno favorendo una violenza crescente, riaccendendo i conflitti su base etnica e contro i ricchi proprietari terrieri colpevoli di land grabbing.

Le popolazioni nomadi che sopravvivevano grazie alle stagioni delle piogge, si sono ritrovate da più di un anno a combattere contro la siccità e a spostarsi lontano per cercare acqua, purtroppo senza successo. Allo stesso tempo, però, riserve fertili e enormi di proprietà di ricchi terrieri, pullulavano di erba verde e acqua; questo ha fatto sì che i nomadi iniziassero a sconfinare nelle proprietà private, per nutrire ed abbeverare il bestiame. Proprietari e guardie (in alcuni casi addirittura l'esercito-vedi news) hanno perciò iniziato a difendersi, scacciando pastori e bestiami e dando di conseguenza vita ad episodi violenti che hanno portato addirittura alla morte di alcune persone ed al ferimento di altre (vedi news 1, 2, 3).

In questo clima, già teso e colmo di violenza, i politici locali stanno correndo verso le elezioni di agosto, che si preannunciano particolarmente delicate, soprattutto per il vivo ricordo di ciò accaduto nel 2007.

Rispetto ad un primo momento dove sembrava netta la vittoria di Uhuru Kenyatta, presidente uscente, la competizione si è riaperta dopo che, alla fine di aprile, il principale partito d'opposizione, l'ODM, capitanato dallo storico leader Raila Odinga, è riuscito ad accordarsi con numerevoli piccoli altri partiti, promettendo più equità e più dialogo fra le diverse componenti e tribù, e garantendo una posizione fra quelle più ambite ad ogni rappresentate delle minoranze (vedi news).

Il clima è però di forte tensione, e lo dimostrano gli epidosi violenti che hanno caratterizzato tutto il periodo delle primarie, durante le quali sono stati molteplici i brogli e i tentativi di corruzione e di compravendita dei voti (vedi news 1, 2).

La situazione è delicata e pesante, il Kenya ha la possibilità di distinguersi come paese unito sotto ideali e valori che vadano oltre i conflitti etnici e le violenza, vedremo se accetterà questa sfida.

lunedì 9 gennaio 2017

Un poeta inaspettato

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L'altro giorno chiacchierando con George mi ha detto che mentre era al Y.C.T.C. ha scritto alcune poesie. Dopo averle lette gli ho chiesto se avessi potuto pubblicarle sul nostro blog e lui pieno di orgoglio mi ha risposto: "of course!".
E quindi periodicamente pubblicherò questi piccoli capolavori di bellezza perché, come diceva un magnifico professor Keating: "Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana, e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento, ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, sono queste le cose che ci tengono in vita". (Tratto dal film L'attimo fuggente, 1989)

PS: grazie a Elia per l'aiuto e il sostegno (... e non solo nelle traduzioni)

La St. Joseph Cafasso Consolation House verso l'ora del tramonto


You can't take away

You can take away my freedom
You can take away my life
But you can't take away my Lord Jesus Christ
You can put me in a cell and throw away the key
But you can't take away the peace that lives in me
You can take away my loved ones
But you can't take away my God-given joys
You can tell evil lives persecute me
But you can't take away the Holy Spirit who has already set me free


Non potete privarmi

Potete privarmi della libertà
Potete privarmi della vita
Ma non potete privarmi del Signore Gesù Cristo
Potete mettermi in una cella e gettare la chiave
Ma non potete privarmi della pace che vive in me
Potete privarmi delle persone che amo
Ma non potete privarmi delle gioie che Dio mi ha donato
Potete dire che vite cattive mi perseguitano
Ma non potete privarmi dello Spirito Santo che già mi ha liberato

George

sabato 10 dicembre 2016

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 Cavalli e uccelli convivono pacificamente (Nairobi, Kenya)

E chi lo dice che due creature molto diverse non possano vivere in armonia?

(di calorose riflessioni mattutine di una muzungu* in terra africana)

__________
*muzungu è un sostantivo in lingua swahili che sta per "straniero, strano" ed è il nome con cui i keniani chiamano i bianchi. E a dirla tutta a me non è che piaccia tanto, ma si sa com'è, a forza di dirlo poi uno si sente proprio così, è la profezia che si autoadempie.



martedì 6 dicembre 2016

Matone ya maji

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Matone ya maji.
Gocce d'acqua.

Gocce d'acqua che scendono incessanti dagli occhi stanchi di questa donna.
Occhi di chi ne ha vissute molte e viste di più.

Occhi che ti guardano e sembrano dire: io non so più cosa fare, aiutatemi.

Una donna, una nonna. Disarmata di fronte all'ennesimo guaio del nipote, disarmata di fronte alla vita che l'ha vista crescere in una baraccopoli, che ha visto morire sua figlia per avere in eredità un nipote arrabbiato con se stesso e col mondo.

K. è una di quelle persone che ti prendono a pugni in pancia ancora prima di conoscerlo.
K. non ha nemmeno 17 anni e ha visto e fatto talmente tante cose, belle e brutte, che ne potrebbe avere sessanta.


K. viveva in baraccopoli con i nonni, anziani, poveri, stancati da una vita di stenti al limite della sopravvivenza.
K. lo cercano in tanti, per fargliela pagare. Per questo la sicurezza ha dato un po' di soldi ai suoi nonni, per tenerlo lontano dallo slum. Altrimenti, dicono, we shoot, spariamo.

K. non voleva uscire dal carcere minorile, perché temeva per la sua vita.
E le ha provate tutte. Ha rubato prima al maestro e poi al catechista, stando ben attento a farsi beccare, per prolungare la sua permanenza fra le sbarre.

Quando K. ha capito che lo avrebbero comunque liberato, ha implorato di venire in Cafasso. Ne abbiamo parlato. Sembrava una situazione troppo difficile per una struttura come Cafasso.
Che si fa?

Arriva la notizia: K. ha provato a togliersi la vita in carcere.
La differenza di sensibilità fa sì che io veda le foto scattategli subito dopo.
Quella notte non riesco a chiudere occhio, figuriamoci lui.

K. arriva in Cafasso. E' un bambino nel corpo di un uomo. Ha un sorriso luminoso e fa sempre delle facce sciocche.
K. è grande, è alto. I pantaloni sono troppo corti, le ciabatte almeno un centimetro più piccole dei suoi piedoni, le maglie una taglia in meno.
Sembra che chi doveva provvedere a lui non si sia accorto che è cresciuto. Forse non se n'è accorto nemmeno lui.

Venerdì mattina Joseph, il coordinatore, mi scrive: vieni appena puoi, abbiamo un problema con tre ragazzi.
Volo in Cafasso. M., J. e K. hanno comprato della droga e ne hanno fatto uso la sera prima.
Sono incredula. Sono stata sempre con loro il giorno prima, come cavolo hanno fatto ad acquistare la sostanza?
Comunque ormai la frittata è fatta. Arriva la mamma di M., lui l'ha materialmente comprata, non ci sono alternative, la sicurezza non ne vuole sapere. E' fuori.
J. viene ripreso, ma lui è tanto tempo che è qui, lo conoscono bene, sanno della sua fragilità e scelgono di dargli una seconda chance.

E' il turno di K.
Arrivano i suoi nonni. Scarpe bucate e occhi lucidi.

Matone ya maji. Gocce d'acqua dagli occhi mentre raccontano di come K. minacciava i vicini per avere i soldi per bere e fumare.
Vediamo le foto della loro casa. Una stanza con le pareti di lamiera.

Piange questa nonna affranta. Non ha le forze per affrontare anche questa, non ha le forze per provvedere a se stessa, figuriamoci al nipote.
Piange forte, ma con dignità.

Piange anche K.

Piange il bambino restato senza mamma.
Piange il ragazzo che ha dovuto imparare a cavarsela da solo.
Piange il nipote che ha ferito i nonni per l'ennesima volta.
Piange K. perché sa che comunque quelle due persone, anziane e povere, sono tutto ciò che gli è rimasto.

La vita non è stata gentile con te, K.
Spero che tu riesca ad essere gentile con te stesso, e ti prometto che farò di tutto per far sì che questo accada.

Se vuoi sostenere la Cafasso House...

sabato 5 novembre 2016

Soltanto un uomo, incredibilmente umano

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Ore 3.50 atterriamo all'aeroporto di Nairobi.
Qualche pratica per il visto, prendiamo i bagagli e via.
Joseph ci accoglie e ci accompagna a casa.
Un pensiero mi accompagna da Milano: blatte, zanzare, insetti...

Già, non ve lo aspettavate. E ora state pensando che ci faccio in Africa se il mio unico pensiero sono le blatte.
Lo so, può sembrare così.
Ma nella vita si impara sempre, forse dalle cose faticose più che da quelle semplici, da quelle negative più che da quelle positive.
E quindi ho ripensato a quel libro che narra la storia di una persona che ha contribuito al cambiamento della mia vita, avvenuto più o meno un anno e mezzo fa a Scutari.
Quella persona è Padre Gianfranco Testa, un missionario della Consolata che nella vita le ha viste e provate tutte, eppure non ho mai conosciuto una persona così umile.
Soltanto un uomo, intitola lui. Incredibilmente umano, aggiungo io.

«Nel centro della stanza c'era un tavolo con un mucchio di libri, fogli sparsi, appunti... Avrei dovuto riorganizzare l'archivio parrocchiale.
Dietro una tenda c'era il gabinetto: un water fissato con cemento al suolo, nell'angolo una piccola conca con dell'acqua e una zucca tagliata per metà, utile per rovesciarmi l'acqua e fare la doccia.
Le pareti erano scrostate, pulite per quanto era possibile. Scorsi poi un enorme rospo che, alla mia vista, per togliere a me ogni tentazione aggressiva, cominciò a gonfiarsi minaccioso. Era la sua difesa.
Due piccole finestre con gli scuri fatti di assi. Avevo aperto la porta che dava sulla strada per avere un po' di luce e per far entrare un po' di aria.
Mi stava prendendo la delusione. Mi fermerò per davvero alcuni anni?
Si affacciò alla porta un bambino, si guardò intorno, mi vide, mi salutò appena. Avrà avuto sei o sette anni. Esplorò la stanza, tirò la tenda, esaminò il water, la piccola vaschetta con l'acqua e poi venne verso di me con la faccia compiaciuta.
“Che bello, qui” mi disse.
Mi vergognai di me stesso. Ringrazierò per sempre quel bambino. Mi ha insegnato a vedere.»

Tratto da E poi soltanto un uomo di Gianfranco Testa (Araba Fenice Editore, 2011)

Fonte immagine: http://www.arabafenicelibri.it

lunedì 24 ottobre 2016

Perdersi o trovarsi?

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“C’è chi viaggia per perdersi,
c’è chi viaggia per trovarsi”
G. Bufalino



Qualcuno diceva che non sono le persone che fanno i viaggi, ma i viaggi che fanno le persone.
E quindi eccomi, entusiasta ma anche spaventata, pronta per farmi plasmare da luoghi, persone, colori, profumi. Pronta per crescere assieme a ragazzi lontani, condividendo la fatica, a volte le sconfitte e più spesso i successi.

Pronta, sì. Anche se non lo si è mai davvero. Partiamo con una montagna di aspettative, idee, sogni, che probabilmente non vedremo soddisfatti perché noi giovani un filo matti, a volte sogniamo un po’ troppo in grande.

Pronta a scoprire, a lasciarmi trasportare in un mondo lontanissimo che già so che in poco tempo diventerà famigliare.

Pronta ma un po’ spaventata. La lingua e gli usi diversi, per non parlare della frustrazione che deriva dal dover accettare che non tutto proceda per una facile e dritta via e che a volte bisogna ricalibrare la bussola, rimettersi in gioco e in cammino.

Pronta ma spaventata dal lasciare gli affetti, che è così difficile sapere lontani, ma che danno carica e energia facendosi sentire vicini.

Pronta a condividere la vita, le gioie e i dolori, i successi e le sconfitte con qualcuno che qualche fato o qualche destino ha voluto che fosse insieme a me. Perché si sa, il dolore fa male, ma se si è in due a portarlo diventa più leggero. E perché, come dice bene il protagonista di “Into the wild”, la felicità è reale solo se è condivisa.

Pronta.
Pronti, attenti, via!
Un anno indimenticabile è appena iniziato…