mercoledì 8 dicembre 2010

A Chennai farai

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Lista dei supposti professionismi incrociati all’aeroporto di Chennai, in India

Il salutatore

Lo spostafile

L’apritore di passaporti

La controllora di passaporti

L’indicatore di valigie

Il porgitore di valigie

Il portatore di valigie, portante anche un cartello metallico lungo 2 metri con sovrascritto “portatore di valigie”

L’estirpatore di bigliettino nel passaporto

Il guardatore di viaggiatori

I guardatori di sé nel riflesso del vetro

L’ammiraglio controllore di biglietti aerei e riprenditore di addetti a qualcosa cercanti di bigiare il lavoro

Gli addetti a qualcosa

Lo scivolista

La scrutatrice di valigie

La supervisor del transfer di valigie che si dimentica di timbrare i biglietti

La militare cercante i timbri sui biglietti

Il militare non parlante

Alberto&Paolo


Virtuosismi da parabrezza

domenica 28 novembre 2010

Sriligioni

1 commento:
Lo Sri Lanka ospita numerose confessioni. Non spontanee rivelazioni rispetto a misfatti passati, bensì religioni con verità e riti relativi.


Mi reco in un tempio buddhista, e a piedi nudi mi acciambello a fianco degli oranti (o tecnicamente forse solo recitanti). Da cattolico so non essere presente il Santissimo, ma da uomo vi percepisco una sacralità. Se vivessi in un Paese senza chiese, preferirei pregare in templi di altre religioni o in luoghi non dichiaratamente religiosi? E se un fedele di un’altra religione, che so, un induista, sentisse parimenti il desiderio di pregare i suoi dei in una chiesa cattolica, che effetto mi farebbe?

Beppe ci racconta come la bestemmia esista solo in Italia, e Alberto si chiede quante preghiere ogni secondo vengano pronunciate sulla Terra. E verrà un secondo in cui, invece, la linea sarà libera? E un primo?

Un monaco dagli occhi truccati c’invita ad entrare a casa sua, il sacerdote che ci accompagna è suo amico e lui vuole fare la nostra conoscenza. Il sacerdote ci spiega come in ogni chiesa ci sia chi cerca più appassionatamente il dialogo e chi guarda ad esso come una deviazione dalla propria missione.

Scopriamo che “Dagoba” non è solo il nome del pianeta in cui Luke ha conosciuto il maestro Yoda, ma anche di alcuni cupole buddhiste dalla guglia prominente, di cui abbiamo visto un gran bell’esempio ad Anuradhapura.


2° me contengono qualche arma segreta che l’ONU sfodererà qdo gli alieni proveranno a sottometterci nel 2012 m.d.C. Qua c’è chi dice rappresentino il corpo del Buddha (…) chi crede rappresentino i 5 elementi.

- 5 elementi?
- Cosa ho scritto?
- Troppo cinema.. Quale sarebbe il 5°?
- Il nulla
- Il nulla non vale
- Quanto tempo mediti?
- Bella domanda. Vale tutto? Un’ora.
- Al giorno?
- Alla vita

Accendiamo un lumino che un solerte cacciatore di turisti ci offre. Il mio non prende fuoco, allora provo ad appizzarlo da quello di Alberto. Ottengo il risultato di spegnerlo. Il cacciatore ci soccorre e, riaccesi entrambi, sentiamo uno scroscio nel cielo. Sperando che la cupola non si divida (non siamo pronti per l’invasione), capiamo che ad Anuradhapura abbiam dato tutto.


Paolo

ps. A Badulla, prima di iniziare le lezioni, gli studenti meditano per un’ora in piedi, immobili ed eleganti nel portamento e nella loro divisa scolastica “so Brit”

Foto di Alberto Minoia

Su al Nord

2 commenti:
Anuradhapura, 23 novembre 2010

Un po’ x scrivere un post ad “Anuradhapura” (che il correttore ortografico di Word2007 già conosceva), un po’ x scrivere che del lembo di missione al nord, a Jaffna e a Kilinochchi (che il correttore ortografico di word2007, a qsto punto con l’iniziale minuscola, non conosceva, con mio sentimento di rivalsa), non se ne potrà scrivere. Perché è meglio di no, ci viene spiegato. E noi, dalla zona militarizzata dello Sri Lanka, non si può che obbedire. L’unica nazione che ha sconfitto il terrorismo, vien detto da una parte.

Tra le cose che non si possono scrivere ci sarebbe sincero apprezzamento per alcuni, non perché a loro cambi qcsa (beh, purtroppo sì, ma forse in peggio), ma x la dedizione ammirevole alla propria missione. Con un pezzo di bomba nella testa e cicatrici nel cuore.

E poi i bambini, che sono coloro che le guerre meno le possono capire e più se le portano addosso, svuotati di anni di sorrisi e di corse alla porta di casa. Giocare con loro non era richiesto dalla missione, ma l’ha spruzzata di un senso, emotivo, che non vorrei smarrire.


Sempre lodato sia il cicicicià.

Un’immagine memorizzata in qste giornate è una ragazza con una maglietta nera di google che passa sotto un arco artigianale creato con il corpo ferro che sostiene le catene due altalene, con le stesse ormai inestricabilmente arrotolate sopra, gingilli che guerra e tecnologia, dove autonome, dove compresenti, rendono decadenti ornamenti delle odierne cittadine.

Salendo al nord si avvistano con frequenza cartelloni pubblicitari volti verso i mezzi che arrivano. Spot di assicurazioni e telefonini e shampoo. Nel nulla delle brughiere bruciate dagli scontri e delle paludi abbandonate ad antiche solitudini, la vita riprende a rilucere dai cartelloni rappresentanti occidentali sorridenti.

Beppe ci ha omaggiato di un quaderno fatto al 50% di sterco riciclato di elefante: in Sri Lanka i 2800 elefanti rimasti sono considerati animali nobili e cortesi, meno che dai contadini, che ne invocano il trasferimento. Si dice che questo sia l’unico posto del pianeta dove puoi avere le balene davanti e gli elefanti dietro. Non una posizione esattamente comoda.


Badulla, 24 novembre 2010

I pachidermi sembra che portino fortuna perché vicini alle nuvole, e quindi alla pioggia. Certo è che forse ne portano troppa, considerati gli allagamenti a Colombo di oggi e la nostra traversata a sud in macchina fino a Badulla, contro muri d’acqua e banchi di nebbia. Ha smesso di piovere solo nelle occasioni di visite in cui dovevamo avanzare a piedi scalzi, per poi riprendere burlone quando ci trovavamo troppo distanti dalle nostre scarpe sportive.

Talvolta una statua gigante del Buddha inframezza il panorama. Altrimenti tutto verde. Alberto ipotizza che il verde nasca da qua e poi venga esportato. Certamente questo succede con il tè. Quello verde e quello nero.


Paolo

Foto di Alberto Minoia

domenica 21 novembre 2010

Oh, Kandy!

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Poi andiamo a Kandy, nel bel mezzo dell’isola, all’altitudine di mezzo km, resistita alle occupazioni straniere 3 secoli + del resto del Paese.

Giusto per: la nostra visita a Kandy non ha niente a che vedere con il pullulìo di cartoni animati vintage sulle immagini di profili facebook; quella è Candy. Ci dà invece da vedere un pullulìo di animali: elefanti, similiguana, scimmie, scoiattoli. Niente draghi o lupi, ma qsta è la fine.

Qsto è l’inizio: ci rechiamo in treno, ed è un bel recarsi: la nostra carrozza di seconda classe è confortevole e ci dà modo di osservare il panorama alla comoda velocità media di 28 kmh. L’unico mezzo di trasporto, 2° Alberto, sul quale è possibile fare girare l’hula hop da fermi.

Dettaglio della cucina del Seminario cattolico di Kandy, di Alberto Minoia

A Kandy vi è il seminario nazionale srilankese, dove siamo ospitati dal premuroso Father Raveen, e il Tempio del Sacro Dente, per la precisione il canino sx del Buddha. Lo Sri Lanka è (ancor di + dopo il conflitto interno concluso nell’aprile del 2009) un Paese a maggioranza buddhista, ed abbiamo occasione di visitare tale reliquia. Questa è conservata, piccola matrioska, dentro 7 scrigni dorati e quindi non visibile.

Lo spettacolo più interessante è costituito dalla situazione sociale che si crea nell'ambiente adiacente: si tratta di uno spazio poco più ampio di un corridoio ad un lato lungo del quale stanno i fedeli, in contemplazione, mentre al centro dell’altro lato lungo lo spazio con il venerato dente, dietro una coperta di fiori. E fin qua, nulla di rilevante. Ma in mezzo al corridoio ci stanno i turisti (“occidentali” e asiatici) meno toccati dalla sacralità della (circo)stanza che, armati fino ai ***** di tecnologia, fotografano gli scrigni. E anche qua: può indispettire, ma è un classico dell’arte religiosa: se esposta in luoghi di culto si presta, quando non è proibito, ad essere contemporaneamente oggetto di preghiere e flash. La mia sorpresa sta nel fatto che il mirino degli apparecchi era sovente puntato sulle scimmie aggrappate fuori, nell’apparente indifferenza verso il raccoglimento dei credenti (perché in Sri Lanka il Buddhismo è considerato “religione”), davanti ai quali si sostava rumorosamente.

Dettaglio della camera del Sacro Dente, di Alberto Minoia

Scritta temo non renda, ma non c'è tempo per perfezionare; e c’è anche da dire che parevamo gli unici stupiti da tutto ciò e forse dovrei meditare a riguardo. Intanto, dopo avere filmato la scena (...), l’ho scritto qua. A fianco di 1 avvertimento maschile: ricordatevi di portare mutande quando andate in Sri Lanka. E se doveste accidentalmente –capita- dimenticarle e non aveste raggiunto –capita- considerevoli picchi di sobrietà nello stile di vita, acquistatele di misure enormi, a prescindere dalla vostra –capita- virilità. Pare che il bacino srilankese sia insospettabilmente stretto. Un bacinino. O che il negozio vendesse abbigliamento per minori, ma preferisco non pensarci.

Siam certi che il nostro inglese risulta incomprensibile ai più: le mie battute migliori ieri sono state accolte con incorrotti silenzi dall’assemblea di seminaristi (e la buona sorte vuole che io non rida delle mie battute); c’è da registrare, però, lodevoli tentativi di italiano da parte di 1 aitante studente che ci ha raccontato di conoscere un lupo che aveva a che fare con un drago e per questo era spesso fuori di testa. Agli strabuzzamenti miei e di Alberto ci ha tradotto in inglese che conosceva un gruppo di tossicodipendenti.

Ci siamo divertiti: un po’ di interreligiosità qua a Kandy che quella si può scrivere (rimangono rispettosamente nella tastiera le centinaia di freddure con "denti"), ma ne servirebbe di più. E di trasversalità mediatiche. E quelle, invece, bastano così.

Kandy, oh Kandy, nella vita sola non sei,
anche nella neve più bianca, più alta che mai
Kandy, oh Kandy, che sorrisi grandi che fai,
che sapore dolce, che occhi puliti che hai...


Paolo

sabato 20 novembre 2010

La mensa dell'amicizia

4 commenti:

E fu mattina e fu pomeriggio e fu sera e fu nebbia.

(Cari Paolo ed Alberto voi sì che siete al calduccio)

Noi (Irene e Sergio) si parte non senza aver sbirciato le previsioni del tempo e le temperature che ti accolgono quando arrivi in un Paese dell’est Europa. Nel nostro caso il sole e una temperatura tiepida dovrebbero assicurarci giorni senza calzamaglia e mutande di lana.

Arrivi a Sofia (“ e fu pomeriggio”) e ti convinci che il web è una bella risorsa.

Padre Remo ci aspetta con V. che lo ha accompagnato nel lungo viaggio che ci riporterà a Malchika dove Sabato (oggi, ndr) verrà inaugurato il Centro comunitario cofinanziato dalla Diocesi di Milano nell’Avvento 2009: la mensa dell’amicizia

Sosta per cenare e ora guido un po’ io. E fu sera e fu nebbia. 120 km di muro. Valpadana. 40 km/h di media. Occhi spiaccicati sul cruscotto alla ricerca di una riga di mezzeria che ti aiuti a capire come tenere il volante.

Tutta colpa del Danubio. Arrivati.

E fu notte.

Freddo. Coperta. Freddo. Due coperte. Freddo.

Web non ti sopporto.

E fu mattina, primo giorno.

Nebbia e funerale. Qui si usa così. I parenti siedono accanto al feretro adagiato sul carro seguito da conoscenti e amici.

Noi seguiamo Remo per fare gli ultimi acquisti in vista della festa. Sono settimane che gli uomini e le donne del villaggio, terminato il lavoro nei campi e le faccende domestiche, lavorano senza sosta per finire di sistemare il centro comunitario.
Anche V. fa parte del gruppo. E’ brillante V. Quando lo vedi gesticolare sembra un italiano vero. E spesso sul volto gli si disegna un sorriso accogliente.

Stasera arrivano i nostri!

Francesca, Andrea e Marina hanno fatto parte del gruppo Bulgaria del Cantiere della solidarietà e vogliono fare festa con la comunità che li ha accolti durante la loro esperienza estiva.

Arrivano anche 4 giovani da Fermo. Dal 2004 anche la loro Diocesi collabora con P.Remo attraverso il servizio di giovani che spendono parte delle vacanze per stare accanto alla comunità di Malchika http://malcika.altervista.org/

Si può mangiare la pizza! Arrivano i giovani del villaggio.

E si condivide la storia di questi anni di amicizia e di costruzione di un sogno condiviso. Non far morire questo villaggio.

Anche se si deve partire per studiare, lavorare, emigrare, la comunità continua ad alimentarsi con un servizio fraterno che non dimentica gli anziani, i bambini, i disabili, le famiglie che ancora credono che un futuro a Malchika sia possibile.

P.Remo è agitatissimo.

Tra un abbraccio ad un ospite in arrivo e un saluto ai suoi parrocchiani,

non smette di sistemare le ultime cose.

Sta arrivando il nunzio apostolico, il vescovo, il provinciale dei Padri passionisti, tanti sacerdoti della diocesi, la sua gente.

E’ festa. Uno di questi giovani non sente e non parla.

E’ V. Lui ha inventato un linguaggio dei segni tutto suo con cui riesce perfettamente a comunicare con tutti. Perché il villaggio non lo esclude, non lo emargina e così tutti possono sedere

alla mensa dell’amicizia.



Sergio

E fu Sri Lanka

2 commenti:
E fu sera e fu mattina. Quasi niente notte. Funziona così qdo voli ad est di sera.

E fu Milano e fu Colombo. Quasi niente Dubai. Funziona così qdo il volo è in ritardo e lo scalo è uno scalino.

Voli subito di nuovo. Inciampi. Nel sonno.

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Ad accoglierci con una rosa il buon Beppe, cauntrirèp di Caritas Italiana, ed una capitale srilankese in festa, che il suo presidente e capo delle forze armate (e da domani anche ministro delle finanze e ministro dei trasporti) Mahinda Rajapaksa inaugura un nuovo porto. Ma non è politica l'unica festa in cui incappiamo, dal momento che ci assediano simil-abeti decorati e slitte agganciate ad improbabili alci di cartapesta e canzoni cantate da rugosi afroamericani. Babbonatale è buddhista? Sverna in Sri Lanka?

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Il pomeriggio piove e al ritorno in guest house una banda di squatter ci attende in camera, a tenderci un agguato. Scarafaggi squatter. Grossa veloce scarpa da ginnastica. Pupille spalancate. Palpebre abbassate. Pupille spalancate. E fu notte e fu mattina.

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Ha così inizio la missione di Alberto e Paolo in Sri Lanka, isola dove si parla singalese; lo straniero non asiatico si chiama “suda” e risponde “sì” (c'è tanta umidità che i libri di notte si aprono a ventaglio, a favore degli squatter lettori), “signora” si dice “nohna” e non si può scrivere cosa rispondono le giovani italiane così appellate.

È il blog d Caritas Ambrosiana, fratelli. Non un tg italiano. Mica si può scrivere tutto, ci spiega Beppe.


Questa non è una foto significativa. E' l'unica che ho scattato prima che si esaurisse la batteria. Particolare della stazione ferroviaria di Colombo. Meglio una foto insignificante che niente.

Paolo

martedì 16 novembre 2010

La Via Lattea sorridente

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Esco da un piccolo bar… il primo dopo quasi tre settimane di permanenza sull’isola haitiana. Quattro chiacchiere, un sorso di birra, un momento di condivisione e relax. Beh, quale stupore più grande, arrivati alla soglia, nell’alzare gli occhi verso il cielo e sentirsi immensamente piccoli, avvolti da un manto stellato incredibile e da una sorridente via lattea. Non so l’ultima volta che ho visto una meraviglia del genere… che bello provare stupore di fronte a tanta abbondanza del creato!!! Ancora una volta scopro di essere piccola, forse un nonnulla; è una piacevole sensazione perché è come sentirmi racchiusa in un grande abbraccio. La vita notturna di Mare Rouge sta per concludersi: sono le 19.00. E’ ora di rientrare alla base. Mi sono dimenticata la pila: ancora non sono entrata nella logica di non avere sempre a disposizione la corrente. Le strade sono buie ma riusciamo a trovare lo stesso il cammino. Il non dare per scontato le comodità che per noi sono quotidiane, fa apprezzare per esempio la luce nella stanza che stasera funziona e mi permette quindi di scrivere, o l’acqua calda del tè bevuto a cena, perché oggi qualcuno è andato a riempire le taniche di acqua alla fonte di Mare Rouge.


Elisa Brivio


Foto di Stefania Cardinale

venerdì 12 novembre 2010

Se saremo ancora vivi

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Sono nella stanza con altre venti persone. Un letto è occupato da una donna malata. Attaccato al suo braccio una flebo… è arrugginita. Sugli altri tre letti ci siamo seduti tutti noi, che attendiamo la visita dal dottore. Sì, perché non ci sono sedie a sufficienza per tutti. Due persone si scambiano un piccolo pacchetto plastificato, poi cominciano a ridere: quell’uomo incita la “mademoiselle" a comprare la cura magica; si tratta di una medicina tradizionale (un misto di erbe e pasta fatta in casa). Per 2.000$ haitiani potrebbe essere la soluzione più facile per risolvere o alleviare le sofferenze fisiche e psichiche di gran lunga più complesse. Nella stanza non c’è la corrente: le luci sono spente e l’aria comincia ad essere pesante ed umida. Il dottore arriva nella sala e propone alla signora stesa sul letto di andare a Port de Paix e, se avesse la possibilità, a Port au Prince, per “risolvere” la malattia che l’attanaglia. I presenti nella sala ascoltano il responso del medico. Qui tutti conoscono tutto, non esiste privacy: le gioie come le sofferenze sono condivise.


Ogni volta si ripropone il medesimo problema: nelle piccole cliniche disperse sui monti di Mare Rouge è quasi impossibile riuscire a trovare una cura e dei dottori in grado di far fronte ai problemi e malattie dei suoi abitanti: le medicine e gli specialisti non arrivano fin quassù! Effettivamente per raggiungere Mare Rouge sono necessarie quattro ore di fuoristrada da Port de Paix, nove ore di fuoristrada dalla capitale. È terra argillosa e rossa quella che accompagna ogni giorno i passi della moltitudine di persone che si spostano per raggiungere fonti d’acqua e vendere i propri prodotti al mercato. È terra scivolosa, che si interpica tra banani e manghi. È terra che offre sostentamento ma che, nel contempo, obbliga ad un isolamento che segna il confine tra la vita e la morte. La gente che vive sui monti è di classe B, tra le povertà e miserie che affliggono l’intero Paese. Si muore di diabete perché non si trova l’insulina! Si muore soli, perché anche le famiglie abbandonano il proprio caro: è la legge della sopravvivenza, del più forte, ognuno deve pensare a se stesso. La vita, come la terra, se non produce più frutto, non serve a nulla.

Ormai nella piccola sala d’attesa del dispensario, si distinguono solo occhi che, irrequieti, cercano tra le quattro mura una soluzione. Ma la notte è già calata come un manto su tutto: copre le sofferenze e le speranze; domani sarà un nuovo giorno e, si Bondye vlé, sarà ancora Lui la presenza nella quale affidarsi, sarà Lui ad indicare nuove strade… se saremo ancora vivi.


Elisa Brivio

Foto di Stefania Cardinale

giovedì 11 novembre 2010

Se fossi nata ad Haiti

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Se fossi nata ad Haiti, oggi non saprei la mia data di nascita, quindi la mia età.

Se fossi nata ad Haiti avrei cinque, sette, otto figli da sfamare, diversi uomini da soddisfare, un solo amore vero ancora da sognare ed aspettare. Vivrei in quattro mura e qualche pezzo di lamiera tra i vicoli di Port de Paix: senza una rete fognaria, ogni mattina avrei dovuto scavalcare il rigagnolo di urina e odore che separerebbe la mia casa dalla strada.

Se fossi nata ad Haiti la mia giornata sarebbe cominciata alle 5.00, ai primi raggi del sole. Con il mio cesto di galline sulla testa ed i frutti raccolti da qualche banano e mango: sarei andata al mercato più vicino per appoggiare i miei prodotti sulle assi di legno ed attendere l’interessamento di qualcuno.

Se fossi nata ad Haiti, starei seduta al mercato in attesa: sguardo perso nel vuoto perché sarebbe davvero impossibile porre l’attenzione a tutte quelle persone, macchine, motorini, cani, bambini, carri, asini, cesti, cappelli, frutti, quaderni, carne, taniche di benzina, sandali, piedi scalzi,… che mi passerebbero davanti.

Se fossi nata ad Haiti la polvere di Port de Paix mi avrebbe infastidito gli occhi, i clacson dei fuoristrada ed i motorini mi avrebbero danneggiato i timpani, la terra dura e l’assenza di sandali adeguati mi avrebbero reso i piedi grandi e callosi.

Se fossi nata ad Haiti avrei chiesto “ghiv mi e dolar” al primo bianco incontrato.

Se fossi nata ad Haiti avrei dovuto trovare l’argent per comprare le divise richieste dalla scuola dei miei bimbi ed i nastrini colorati da appendere ai loro capelli crespi e soffici.

Se fossi nata ad Haiti ogni mattina mi sarebbe venuto spontaneo ringraziare il Signore per la vita, per il pane quotidiano, per la salute, per la forza fisica nel sopportare le fatiche della giornata.

Se fossi nata ad Haiti oggi non avrei potuto scappare da questo Paese che comincia di nuovo a morire schiacciato da una minaccia chiamata colera: avrei atteso inerme, imperterrita, il mio destino, pregando il buon Dio di risparmiarmi anche questa volta.

Elisa Brivio



Stefania Cardinale ed Elisa Brivio con l'equipe di Port de Paix

mercoledì 10 novembre 2010

Haiti continua a tremare

1 commento:

Troppo facile descrivere ciò che si vede rimanendo chiusi in una macchina e scattando qualche fotografia dai finestrini alla moltitudine di tende e gente che brulica per le strade affollate di Port au Prince. Difficile scacciare la polvere che si appiccica alla pelle ed entra negli occhi: polvere di calcinacci, di case crollate, di vite distrutte. Haiti continua a tremare, sotto gli ombrelli colorati della moltitudine di venditori ambulanti, nei “tap tap” (mezzi di trasporti locali) carichi di persone ammassate l’una all’altra, nella vita quotidiana di chi, vivendo nelle tendopoli, cerca di nascondersi da occhi indiscreti mentre si lava in una tinozza di plastica. Haiti continua a tremare, ora più che mai, perché un terremoto lascia segni indelebili nel paesaggio ma soprattutto nella mente e nel cuore delle persone: crepe difficili da risanare perché sono le ennesime, dopo secoli di schiavitù e sottomissione. Questo è un popolo forte, che non si arrende facilmente ma che, nel contempo, si indurisce: è raro incrociare lo sguardo di un haitiano, difficile far credere di essere venuti per aiutare, quando “il bianco” ha sempre significato supremazia e violazione; il passato non si dimentica ed il presente certo non aiuta a riacquisire fiducia in se stessi e negli altri.


Il Palazzo Nazionale e la Cattedrale sono ridotti ad un cumulo di macerie: tutto è crollato come un castello di carte. Ormai questi edifici sono diventati l’emblema di attrazione da parte di europei ed americani: i bambini ci invitano a vedere gli avanzi di terra e cemento “vieni, qui è ancora più distrutto! …se vuoi posso accompagnarti all’interno!” nella speranza di ricevere qualche gourde in cambio della “visita turistica”. Mi sento a disagio perché ho la strana sensazione di essere nella realtà, ma completamente schermata da una campana di vetro che mi permette di essere mera osservatrice e non attrice.


Al calar del sole bisogna rientrare rapidi a casa, così dicono le regole previste dalle Nazioni Unite. Poche luci e qualche fuoco fanno intravedere la vita notturna della città: con passi spediti tutti ritornano alle proprie “case”: è trascorso un altro giorno, e già si sentono in lontananza voci che inneggiano canti e litanie; un ringraziamento semplice e sincero per un nuovo giorno che comincerà domani.

Elisa Brivio
Foto di Stefania Cardinale

martedì 2 novembre 2010

Bonus track #1

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jacuzzi, di Maddalena Villa (Thailandia)



Jordan flag, di Anna Ogliari (Giordania)



Sono italiani e si devono far riconoscere, di Andrea Buonopane (Bulgaria)

lunedì 18 ottobre 2010

Scatta il cantiere, categoria Volti

1 commento:
Ok, ultima categoria premiata al concorso di quest'anno è quella del Volti (primi piani), che vede primeggiare (e secondeggiare) il Kenya. All'anno prossimo con chi ci sarà!

Prima classificata

Silenziosa attesa di Silvia Bombelli (Kenya)

Seconda classificata

Mary di Marta Annoni (Kenya)

Terza classificata

Baba Agnesa di Andrea Buonopane (Bulgaria)

Prossimamente qualche bonus track non selezionata tra i vincitori ma meritevole di nota per vari motivi..

venerdì 15 ottobre 2010

I Fantastici 4 ed il mio amico Alfred JT II

1 commento:
Liberamente tratto dai ricordi dell’unico neurone dei cantieristi georgiani


Avvertenze:
1. non proseguire oltre se si hanno problemi non guaribili con 2 semplici compresse di Imodium
2. non proseguire oltre se si hanno altri problemi di sorta, vari ed eventuali o presunti tali

Starring
Beppe “La cosa” Beretta
Laura “La donna invisibile” Broggini
Fabio “Elastic man” Giudici
Lorenzo “La torcia umana” Raineri

Special guest
Alfred John Timmy II

Supervisors
1. Elisa Magnifico
2. Irene Baldissarri

Numbers
4 protagonisti
3 uomini
1 donna
3 co-protagonisti
3 a 1 le elezioni
3 uomini e 1 neurone (depositato presso terzi)
3 a 1 la vittoria totale

Incipit
”Oh! Oh! Svegliati, devi andare in Georgia! E’ ora! E smettila di parlare nel sonno di terre lontane al di là dei due mari, di terre ai piedi delle montagne, di terre dove splende il sole ma anche no, di terre dove la temperatura è alta ed il cibo è squisito, che spaventi il nonno! Guardalo: è già 2 mattine che quando entro in camera vostra lo trovo arrampicato sull’armadio che ti guarda con gli occhi sbarrati mentre trangugia grappa!”

“Trangugia grappa!?? Nonno! Ridammi subito la mia fiaschetta che devo partire, e vieni giù dall’armadio!”

“Wei, sbarbatello, ho fatto la campagna di Russia io, sempre in canotta, e nessuno mi ha mai chiesto indietro una fiaschetta di grappa. Tira su i quattro tuoi stracci e muoviti che l’aereo mica t’aspetta!”

Questo è l’inizio un po’ sgangherato di un’avventura altrettanto sgangherata ricca di colpi di scena e gesti di straordinaria eroicità ed altruismo. Vabbè, se leggete solo fino a “sgangherata” avete il quadro giusto.

Interno mattina…molto…molto mattina (il check-in è alle 2.45) – Aeroporto – Malpensa – Italia
“Elastic man”: “Oh guardate! Da qui si vede il Resegone…scusi, scusi, lei dell’aeroporto, mi sa dire se quello è il Resegone?”

“Quale? Quello sul poster invisibile? Guarda che è prestissimo: è buio pesto e non si vede niente!”

“Vabbè, allora riprovo: il sole da dove sorge? Da lì o da là?”

“Non lo so.”

Bene, bell’inizio

Interno sera – alloggio Caritas – Tbilisi – Georgia
Conclusi gli incontri di presentazione dei cantieri, terminati i colloqui di orientamento, archiviata la prima giornata di formazione, vissuta la 2 giorni di Castellanza, lette tutte le e-mail di coordinamento delle Supervisors, inviate le risposte ai messaggi, messo alle spalle il primo pomeriggio di cantiere ed a serata ormai inoltrata… “La torcia umana” al Supervisor n° 2: “Come ti chiami?”

No comment


Interno sera – alloggio di padre Misha – Arali – Georgia
Il clima è teso...d’altronde si sa, come dicevano alla formazione…ogni esperienza ha il suo momento difficile. La tensione comunque è davvero tangibile tant’è che cantieristi a disposizione e Supervisors sono tutti riuniti in salotto. Il clima è di attesa spasmodica; la serata è strana rispetto alle precedenti: un preoccupante gelo è sceso sui presenti e scuote gli animi. Il dubbio si dipinge sui volti di chi si sta ponendo un’evidente ma tacita domanda dettata dalla contingenza della situazione: “La torcia umana” sta facendo la doccia ed è un problema, perchè per fare la doccia s’è allontanato parecchio dalla tazza di ceramica su cui abitualmente siede negli ultimi 2 giorni.

Ma eccola che finalmente compare e si riunisce ai compagni ricomponendo il quartetto
apparentemente incolume: come sarà andata realmente? Tutti sono in attesa delle sue parole quand’eccole arrivare: “Oh ragazzi…qualcuno mi lava le mutande?”

Se non fossimo stati tutti lì a sentirlo non ci avremmo creduto

Interno pomeriggio - Arali - Georgia
“La torcia umana” fissa “Elastic man” dritto negli occhi, poi si volta verso “La cosa” ed esclama: “la distanza tra il campo da gioco e casa è di un vitello dai piedi di balsa”.

Elio il contapassi

Interno sera – alloggio di padre Misha – Arali – Georgia
Siamo vicini al “giro di boa” del cantiere ed il Supervisor n° 1 ci saluterà a breve per tornare in Italia.

Si vocifera di elezioni a suffragio universale tra i 4 cantieristi per l’elezione del nuovo Supervisors n° 1.

Nel mezzo della campagna elettorale, durante un’impegnata ed intensa discussione, “La cosa” interviene con parole di autostima: “Ma io cosa parlo a fare che dall’Italia non ho portato nemmeno i capelli?”

Realtà

Interno sera – alloggio di padre Misha – Arali – Georgia
Le elezioni a suffragio universale affidano con larga maggioranza alla “Donna invisibile” il posto di Supervisor n° 1 nonché di vero capo del cantiere e di persona depositaria dell’unico neurone comune.

Un referendum pilotato la proclama anche capo-Supervisor destituendo di fatto dalla carica il Supervisor n° 2… il cantiere è in mano ai cantieristi.

Vittoria!

Interno sera – alloggio di padre Misha – Arali – Georgia
Unilateralmente annullate dal Supervisor n° 2 le per noi regolarissime elezioni a causa di presunti ma mai dimostrati brogli, l’oligarchia del cantiere si trasforma in monarchia assoluta ereditaria.

Sconfortati e demoralizzati da un inaspettato ed inaspettabile epilogo, i cantieristi tentano di volgere a loro favore la situazione cambiando l’ordinamento politico di riferimento e giocando così la carta della dittatura patriarcale…”La torcia umana” indicando “La cosa” dice al Supervisor n° 2: “Non capisco perché se lui è più vecchio il capo lo devi fare tu!”

Nessun effetto

Interno mattina – alloggio di padre Misha - Arali - Georgia
“La torcia umana”: “Cosa, alzati che son le otto”.

“La cosa”: “Non è vero”.

Ipse dixit

Interno mattina – alloggio di padre Misha – Arali – Georgia
Vista la situazione di stallo, “La torcia umana” commenta: “Va bene, mi siedo, fisso un punto sul muro ed aspetto che i fatti si volgano in mio favore”. Colti dalla certezza che egli è depositario del neurone comune (probabilmente rubato alla “Donna Invisibile” in un momento di distrazione) anche “La cosa” ed “Elastic man” si siedono e fissano il vuoto sapendo che è la cosa corretta da fare. Pochi secondi dopo compare Padre Misha che porta la colazione.

Proverbiale

Interno giorno - Pulmino - tragitto Arali-Khizabavra - Georgia
Sebbene la rivoluzione patriarcale non abbia sortito effetti, pur di non rimanere sotto la dittatura del Supervisor n° 2, i 4 cantieristi giocano la carta jolly: indicono una crisi di governo e propongono nuovamente elezioni immediate da tenersi per alzata di mano, per evitare brogli, seduta stante. “La cosa”, “Elastic man” e “La torcia umana” propongono nuovamente “La donna invisibile” quale unica depositaria del potere. Come previsto dai taciti accordi carbonari pre-elettorali tra i cantieristi, “La donna invisibile” continua a proporre il Supervisor n° 2 al ruolo di ras del cantiere...tanto per darle un contentino...o meglio, per darle l’illusione di essere ancora lei il boss. Le elezioni si concludono con il trionfo della “Donna invisibile”, già depositaria dell’unico neurone in comune (nel frattempo recuperato dalla “Torcia umana”), che ora possiede anche il “potere di controllo” del cantiere.

Un grugnito soddisfatto di Joska (il fratello grosso della “Cosa”) conferma il risultato.

Per festeggiare: risate suine ed ignoranti

Interno sera – alloggio di padre Paata – Khizabavra – Georgia
Comparendo dal nulla con il portatile in mano padre Paata riunisce il gruppo per una comunicazione di vitale importanza: “Oh, guardate questo Power Point degli italiani che parcheggiano” (un famoso video di Bruno Bozzetto sugli italiani).

Disarmante

Interno mattina – alloggio Caritas – Tbilisi – Georgia

Supervisor n° 2: “Va bene, ma voi 5 cosa dite?”

...Silenzio...

Supervisor n° 2: “Scusate, volevo dire voi 4”

...Silenzio...

...i 4 cantieristi si guardano...


“La torcia umana” (accarezzando l’aria con le mani come per scompigliare i capelli di un bambino seduto di fianco a lui): “Ma come? Ti sei dimenticata del piccolo Alfred?”

Sì, Alfred… l’amico invisibile di tutti i cantieristi georgiani…una domanda comunque serpeggia per il gruppo e voci di corridoio ne rendono l’eco sempre più evidente nelle menti vuote di “Elastic man”, “La cosa” e “La torcia umana”…

Alfred…è il figlio segreto della “Donna invisibile”?

Interno pomeriggio – Aeroporto – Malpensa – Italia
I Fantastici 4 compiono la loro missione più grande e difficile. In attesa dei bagagli davanti al nastro trasportatore si accorgono di una situazione pericolosissima. Dal bagno delle donne esce una fila di giapponesi in coda ed in attesa. Senza indugi ma ponendosi una sola domanda… ”Ma cosa facciamo? Interveniamo?” …i nostri eroi, coadiuvati dal Supervisor n° 2, risolvono la situazione avvicinandosi alle signore con l’indice puntato in una precisa direzione e dicendo: “There’s another toilet there!”

Impareggiabili!

Interno pomeriggio – Aeroporto – Malpensa – Italia
Dopo un’attesa spasmodica dei bagagli ormai protrattasi oltre i 2 minuti, “La cosa”, “Elastic man” e “La torcia umana” cercano (con fatica e senza risultati immediati) il banco dei reclami per segnalare la situazione. Al banco un uomo di capelli non munito e visibilmente alterato dice allo sventurato impiegato: “E’ quaranta minuti (falsità) che aspettiamo i bagagli, sono arrivati quelli dell’altro volo ed hanno interrotto la consegna dei nostri! Gli altri sono arrivati dopo ed hanno già tutte le loro cose!”.

Da dietro l’uomo notevolmente irrequieto, guardando l’impiegato dell’aeroporto, “La cosa” con impareggiabile coraggio incalza: “Sì, volevo dire anch’io la stessa cosa”.

Opportunisti

Fine

Come avrete notato, questa storia, in alcuni punti davvero liberamente ripresa, è fatta di soli “interni”; non ci sono azioni, parole, ricordi o pensieri che si riferiscano all’esterno. Questo non perché l’intero cantiere si sia svolto al chiuso, non sarebbe ovviamente possibile. Non perché noi avessimo una particolare predilezione per gli ambienti interni, non sarebbe vero. In questa storia non ci sono esterni perché fuori ci sono i giochi dei bambini, le risate dei ragazzi e le urla di vittoria, c’è il pianto dei più piccoli che sono caduti correndo, ci sono i canti ed i cerchi “tutti in piedi” per fare i bans, c’è la benda di “mosca cieca” ed i campi di gioco, ci sono 2 capitani che scelgono tra i loro amici i compagni di squadra, c’è una schiacciata con il pallone da pallavolo ed i bambini che il giorno dopo ritornano per giocare… Fuori c’è padre Paata che impiega 1 ora e mezza di fuoristrada tra una parrocchia e l’altra, c’è Simon che gioca con un bastoncino ed una lattina, che si arrampica sul carretto sporco e che ride guardando nella macchina fotografica. Fuori ci sono anche gli amici che lo prendono in giro e lui che ride per un palloncino con disegnata sopra una faccia (il bambino più felice del mondo?). Fuori c’è Simon che quella lattina cerca solo di romperla con il bastoncino… è il gioco più bello della Terra? Fuori… c’è il cantiere.

Giuseppe Beretta, Laura Broggini, Fabio Giudici e Lorenzo Raineri

Questa "storia" è la vincitrice (ex aequo) del concorso "Che storia!" indetto dal Settore Internazionale di Caritas Ambrosiana tra i partecipanti all'edizione 2010 dei Cantieri della Solidarietà.

giovedì 14 ottobre 2010

Scatta il cantiere, categoria !

1 commento:
Eccoci arrivati al trittico vincitore della categoria "!", da alcuni battezzata "categoria oohhohooòh...!?". Giusto per intendersi suscritta categoria era stata presentata come "categoria jolly: foto che vi piacciono ma che non rientrano nelle precedenti categorie". Quei vestiti per i quali non esiste la stagione. Quella stagione per la quale non esiste la pizza. Quella pizza per la quale non esiste il vestito.

Non il calzone, insomma. Passiamo alle foto vincitrici?

Prima classificata


Playboy di Davide Gnes (Giordania)

Seconda classificata


Crescere insieme di Silvia Bombelli (Kenya)

Terza classificata


Notturno a Khizabavra, di Fabio Giudici (Georgia)

A domani con la mai abbastanza attesa (e ancora inedita) storia georgiana!

mercoledì 13 ottobre 2010

Scatta il cantiere, categoria Now

1 commento:
Categoria Now: "Il senso dell'essere lì in quel momento, il perché, l’essenza del cantiere". Wow. Laselezionevincitriceècompostada:

Prima classificata


You are welcome, di Francesco Minoia (Giordania)

Seconda classificata


Regalami un sorriso, di Silvia Bombelli (Kenya)

Terza classificata


Clown, di Carlo Cecchetto (Nicaragua)

martedì 12 ottobre 2010

Scatta il cantiere, categoria Act

2 commenti:
La categoria "Act" era stata descritta come "le attività del Cantiere, cantieristi in azione, un momento del loro servizio".

Prima classificata


Pirati spensierati, di Francesca De Francesco (Moldova)

Seconda classificata


Impossible is nothing, di Francesco Minoia (Giordania)

Terza classificata


Birra e salsicce, di Giuditta Personeni (Palermo)

lunedì 11 ottobre 2010

Scatta il cantiere, categoria Zero Poverty

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Postiamo le foto (in versione ridotta) vincitrici della quarta edizione del concorso fotografico aperto ai partecipanti dell'edizione 2010 dei Cantieri della Solidarietà.

Questo il podio della categoria "Zero Poverty" (foto che ben rappresentano il contesto in cui i cantieristi si sono trovati).

Prima classificata


Tetti, di Matilde Saletta (Perù)

Seconda classificata


Balconi, di Giuditta Personeni (Palermo)

Terza classificata


kids in black, di Anna Perego (Thailandia)

venerdì 8 ottobre 2010

Laura è tornata dal cantiere georgiano

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Anche quest’anno ho deciso di dedicare le mie ferie estive al volontariato prendendo parte ai “Cantieri della Solidarietà” organizzati da Caritas Ambrosiana, destinazione: Georgia, un piccolo Paese nel Caucaso, ricchissimo di tesori artistici, tradizioni antiche e paesaggi splendidi.

La Georgia sta cercando di superare le difficoltà sorte dopo il crollo dell’Unione Sovietica e causate dalle guerre avvenute tra il 1991 e il 2008 con le regioni separatiste.


Io e gli altri quattro volontari abbiamo svolto attività di animazione per i bambini in due villaggi del sud del Paese dove vivono due comunità cattoliche (i cattolici in Georgia sono lo 0,8 % della popolazione, cioè meno di 40.000, mentre la maggioranza è ortodossa).

Nel primo villaggio abbiamo trovato una serie di attività già avviate e ben organizzate da Padre Misha, un giovane sacerdote con tanta voglia di fare. Con l’aiuto degli animatori locali non è stato difficile coinvolgere una cinquantina di bambini in giochi, balli e canti.

Nel secondo villaggio, invece, abbiamo incontrato una comunità un po’ “spenta” dove purtroppo il prete è presente solo il fine settimana e quindi lui stesso ha delle difficoltà ad organizzare qualsiasi attività. Dopo lo sconforto del primo giorno in cui i bambini presenti erano solo 8, quanta soddisfazione nel vedere che ogni giorno aumentavano arrivando fino a una trentina!


Dopo queste due settimane così ricche di emozioni, ripenso volentieri alla calorosa accoglienza che ci è stata riservata, ai bambini che giocavano senza mai stancarsi sotto il sole caldissimo e che l’ultimo giorno hanno chiesto i nostri autografi sulle braccia, ai giovani che guardavano incuriositi i giochi e le nostre scenette per i più piccoli e aspettavano la sera per sfidarci a pallavolo. Bello anche ripensare ai tanti momenti di divertimento e di risate tra noi volontari, al sentirsi parte di una comunità grande come il mondo durante la Messa domenicale, alla semplicità di una mano tesa verso chi era abituato ad essere escluso dai giochi perché considerato “diverso” e il valore dell’immenso sorriso con cui si veniva ripagati.

Però l’episodio che porterò sempre nel cuore riguarda Simoni, un bimbo di 7 anni che stava sempre in disparte ed era spesso preso in giro dai suoi coetanei. Una sera lo abbiamo visto giocare con una lattina e un bastoncino di legno, così abbiamo pensato di regalargli un palloncino con occhi, naso e bocca disegnati con lo scotch di carta. Simoni sembrava il bambino più felice del mondo e per la prima volta lo abbiamo visto ridere e chiacchierare con il suo nuovo compagno di giochi. In quel momento mi sono ricordata quanto siano importanti i gesti semplici per fare felici gli altri.


Laura Broggini

L'articolo postato è stato originariamente scritto da Laura per il giornalino della Parrocchia S. Alessandro Cascinetta di Gallarate.

Dall'alto: Ritorno a casa di Laura Broggini, non ci sono diversi e la gioia del dono di Elisa Magnifico

giovedì 7 ottobre 2010

con le valigie già pronte

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Quando sono tornata dalla Thai ho avuto x un po' di tempo il rifiuto per tutto ciò che mi circondava..tutto mi sembrava così sbagliato..così esagerato..e io mi sentivo così a disagio e fuori posto..sì uscivo con le solite persone con cui esco sempre però mi sembravano così diverse da me..come se io non c'entrassi niente con loro e infatti riuscivo a raccontare ben poco di tutto quello che ho visto e vissuto..insomma avrei fatto volentieri le valigie per tornare a Takuapa..anzi le valigie erano già pronte..


ma poi in questi giorni ho parlato con un'amica che è stata a Zanzibar..lei, pur avendo vissuto una vacanza da turista, mi ha detto che aveva apprezzato la semplicità e la capacità di essere felice per le piccole cose..in un primo momento mi sono innervosita pensando..ma cosa vuoi che ne sappia questa che è stata in un villaggio turistico a zanzibar..non ha visto il sorriso di Kamande e non ha camminato per le strade di un villaggio morgan..poi però mi sono ritrovata a pensare cosa mi insegnano queste tre settimane di cantiere..io non posso trasferirmi a Ranong o a Kahawa perchè la mia vita almeno x adesso è qui..e non posso pretendere di salvare davvero la vita a nessuno dei cafasso o dei bimbi birmani..quindi..perchè sono andata in Thai o a Kahawa?cosa ho imparato scegliendo di non fare tre settimane al mare, a Mombasa o a Phuket?


in tutti i giorni che vivo c'è almeno un motivo x alzarsi dal letto al mattino quando suona la sveglia e vorresti lanciarla fuori dalla finestra..anke se magari solo x un momento di sicuro ogni giorno penso..meno male che mi sono alzata..vuoi perchè riesco a capire anche solo un passaggio di una dimostrazione..vuoi x il rapporto bello che sto instaurando con mia sorella in questo periodo..o x una chiacchierata con un'amica..ma nessuna giornata è sprecata..anche se, è vero, la valigia è sempre pronta..


Maddalena Villa

Dall'alto: camera con vista di Anna Perego, Adelina e Guendalina Bla Bla di Ileana D'Incecco, Momenti di gloria di Beatrice Malasoma

mercoledì 6 ottobre 2010

Ferragosto + 48

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uscendo dall'aula ci siamo accorti che, come al solito, eravamo senza coordinatore.
e come sempre: no coordinatore...no party.

all'ora ricordando le amene usanze georgiane abbiamo risolto l'empasse fermandoci e fissando un punto a caso sul muro e aspettando che la situazione volgesse a nostro favore: ed infatti dopo 10 (dieci/00) minuti ecco comparire elisa accompagnata da un volto a noi noto ma di cui non ci ricordiamo il nome.

salita la scala santa che ci porta al terzo piano, inizia la verifica...senza giuseppe impegnato a chiacchierare amabilmente con il gruppo "moldova1" che saluta dicendo "il momento è acrobatico...{silenzio d'incomprensione}...cioè...faccio un salto e vado fuori da cabbasisi"

ah, lo scherzo al cartellone del l'iban0 l'abbiamo fatto noi.

volevamo scrivere un post del blog, ma Dato che lorenzo se n'è anDato per correre a cambiare il disco orario, non possiamo scrivere niente, essì che...

lunedì 4 ottobre 2010

Lettera a un amico

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Caro Amico,

ti scrivo perchè sono tornata. Il mio mese in Perù è terminato e io, beh, io mi sento svuotata e ricolma al tempo stesso. È già passato qualche giorno dal mio rientro a casa e ora posso scriverti. Posso scriverti del piccolo Sharon, o della dolce Jeimy. Posso scriverti del giovane Ricardo e di Giovanni e Chiara. Posso parlarti a lungo di luoghi, volti, emozioni, paure, sorrisi e pianti. Posso descriverti la fatica di quei momenti e la gioia dopo una lunga giornata corsa da un posto all'altro, con pochi momenti di pausa... posso, potrei.... ma non voglio. Oggi in questa lettera voglio parlarti di un'Amica speciale, che incontrai per la prima volta domenica 8 agosto quando io e le mie compagne cantieriste mettemmo piede sul suolo di Agua Dulce, dove da qualche tempo sono iniziate le invasioni, ossia stanziamenti e assembramenti umani. Le persone ad Agua Dulce vivono in casa di estera o di adobe, patendo la calura estiva e soffrendo il gelido vento umido che soffia dall'oceano nei mesi invernali. Qui La vidi la prima volta. Era fuori e bussava incessantemente a tutte le porte, la gente non voleva che entrasse a sporcare una casa nata già polverosa e misera. Tutti la rifiutavano, ma Lei imperterrita tornava giorno dopo giorno, istante dopo istante e bussare a tutte le porte fisiche e mentali che ogni persona erige a protezioni dei propri possedimenti. Essa vide che La stavo scrutando e scaltra e maligna si avvicinò a me. Io non La riconobbi per quella che era subito alla prima occhiata. Allora Lei, indignata, soffiò contro di me e io finalmente La percepii..... sentii la Povertà come mai prima di allora. Sentii il suo odore portato dal vento fino alle mie narici. Il suo odore forte e acre misto alla polvere, sua eterna compagna. Polvere e Povertà due parole simili che da quel giorno la mia mente ha reso inscindibili. Insomma, caro amico, la Povertà mi scorse e corse ad abbracciarmi. Io mi pietrificai, cercai di scacciarLa di allontanarLa da me, ne ebbi paura e cercai di costringere i miei occhi verso il cielo. Non volevo vederLa, toccarLa o sentirLa in alcun modo. Poi ad un certo punto, non so come, non so perchè, mi accorsi che ero io ad abbracciare la Povertà, a volerLa vicina al mio cuore, iniziai ad amarLa e a comprenderLa. E in quell'istante i miei occhi videro attraverso di Essa, e videro la vita, la realtà e la ricchezza. Fu come indossare gli occhiali per la prima volta e notare la moltitudine di foglie che popolano i rami degli alberi, distinguendole una dall'altra. E vedendo Essa ed attraverso Essa vidi volti, sguardi, mani, carezze, abbracci, amore, curiosità, amicizia e tanta ricchezza. Quelle misere baracche per un istante mi parvero regge splendenti e la polvere si tramutò in una soffice erba smeraldina.


Scoprii la ricchezza dove inizialmente vidi la povertà e scoprii povertà dentro di me, i falsi miti di una vita, le fatue ambizioni di gloria e riscatto sociale... oh che orizzonti mi sono sempre prefissa? Cosa ho inseguito? Cosa sto inseguendo? Chi sono stata? Chi sono e sarò? Caro Amico, tu non hai visto e per questo forse ti sembro strana, ti sembro diversa. Non hai avuto l'immensa fortuna di abbracciare piccoli bambini con occhi da adulto, non sai come ci si sente dopo una giornata passata a cercare di donare qualcosa di te agli altri e non sai quanto invece di dare ho ricevuto. Per questo i miei nuovi orizzonti ti sembrano vane utopie. Mai io ho visto, ho respirato Polvere, mi sono vestita, anche se solo per un breve momento, di Povertà; io non posso continuare a chiudere gli occhi ora che per la prima volta ho potuto vedere oltre i confini del mio essere finito. Ho incontrato il Mondo Altro e scoperto un'Amica inaspettata. Per questo ti scrivo per l'ultima volta e per l'ultima volta ti chiamo Amico perchè è tempo di camminare verso un'altra direzione, magari non sarà quella giusta, ma io la percorrerò lo stesso e so che devo abbandonarti, devo cambiare e tu per una questione di estrema logica non puoi venire con me, non capiresti. Per questo di saluto. Addio vecchio Amico, addio a te che sei stato il compagno di questi anni, addio mio vecchio IO.

Letizia Rivolta, Elisa Gritti e Irene Raso


Questa "storia" è la vincitrice (ex aequo) del concorso "Che storia!" indetto dal Settore Internazionale di Caritas Ambrosiana tra i partecipanti all'edizione 2010 dei Cantieri della Solidarietà.