Troppo facile descrivere ciò che si vede rimanendo chiusi in una macchina e scattando qualche fotografia dai finestrini alla moltitudine di tende e gente che brulica per le strade affollate di Port au Prince. Difficile scacciare la polvere che si appiccica alla pelle ed entra negli occhi: polvere di calcinacci, di case crollate, di vite distrutte. Haiti continua a tremare, sotto gli ombrelli colorati della moltitudine di venditori ambulanti, nei “tap tap” (mezzi di trasporti locali) carichi di persone ammassate l’una all’altra, nella vita quotidiana di chi, vivendo nelle tendopoli, cerca di nascondersi da occhi indiscreti mentre si lava in una tinozza di plastica. Haiti continua a tremare, ora più che mai, perché un terremoto lascia segni indelebili nel paesaggio ma soprattutto nella mente e nel cuore delle persone: crepe difficili da risanare perché sono le ennesime, dopo secoli di schiavitù e sottomissione. Questo è un popolo forte, che non si arrende facilmente ma che, nel contempo, si indurisce: è raro incrociare lo sguardo di un haitiano, difficile far credere di essere venuti per aiutare, quando “il bianco” ha sempre significato supremazia e violazione; il passato non si dimentica ed il presente certo non aiuta a riacquisire fiducia in se stessi e negli altri.
Il Palazzo Nazionale e la Cattedrale sono ridotti ad un cumulo di macerie: tutto è crollato come un castello di carte. Ormai questi edifici sono diventati l’emblema di attrazione da parte di europei ed americani: i bambini ci invitano a vedere gli avanzi di terra e cemento “vieni, qui è ancora più distrutto! …se vuoi posso accompagnarti all’interno!” nella speranza di ricevere qualche gourde in cambio della “visita turistica”. Mi sento a disagio perché ho la strana sensazione di essere nella realtà, ma completamente schermata da una campana di vetro che mi permette di essere mera osservatrice e non attrice.
Al calar del sole bisogna rientrare rapidi a casa, così dicono le regole previste dalle Nazioni Unite. Poche luci e qualche fuoco fanno intravedere la vita notturna della città: con passi spediti tutti ritornano alle proprie “case”: è trascorso un altro giorno, e già si sentono in lontananza voci che inneggiano canti e litanie; un ringraziamento semplice e sincero per un nuovo giorno che comincerà domani.
Elisa BrivioFoto di Stefania Cardinale
Delicatezza e trasparenza di occhi e parole di chi è partito, aiuta chi è rimasto a vigilare su quanto state vivendo.
RispondiEliminaGrazie
Elisa