giovedì 25 dicembre 2008

racconto naif decadente d 1 natale d 1 anno

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Oggi fa freddo ed è il 23.12. Non so dove sono. Non so ke ore sono. So solo ke è notte. E ke mi sto muovendo. Non fisicamente, tecnicamente. Sono sun treno. Senza telefonino. Ho abbracciato l’offerta duna compagnia telefoninica ke mi consente di comunicare gratis per un’altra settimana. Un vincolo consiste però nell’avere il cellulare con me. Soprattutto non ho da leggere, se non l’Internazionale + noioso d mai. Guardo il vetro del finestrino del mio scompartimento. Vedo il riflesso dun ragazzo che mi osserva dal riflesso del vetro opposto, quello che dà sul corridoio del mio intrepido intercity. Ci guardiamo dandoci le spalle. Fa sempre comodo una spalla. Così poi possiamo spalleggiare. Da adolescente mimpegnavo molto ma non riuscivo a fare + di 4 spalleggi d testa.

Odio non avere da leggere da fare. Una penna e il retro d un’agendina. Oggi il terremoto ha vibrato per la terra che devo attraversare per tornarmene a casa. Il treno è così in megaritardo e la gente natalizia sbraita. Quella non natalizia no: un ritardo ferroviario fa notizia come la pioggia. Come il governo ladro. Come gli scout in braghe corte. Oggi ho visto una felpa viola con cappuccio con disegnato sopra un fungo gigante bianco dalla cappella verde a macchie bianche.

Qualcuno dice che sono a Bologna. Un anno in Etiopia mi ha messo in discussione ed ora mi sono appassionato. Una certa libertà. Quasi quasi dormo. Nel Duomo di Firenze delle giapponesine mi sbirciavano e ridevano. Poi, a turno, mhan kiesto di fare una foto con me. Si son fatte coraggio tra squittii agglutinanti. Il perché non lo saprò mai, anke se il sospetto è quello di essere + buffo ke avvenente. Comunque ho trovato divertente ridere ank’io.

L’orologio dun campanile sbuca nelle nebbie emiliane. La spettralità dell’apparizione mi distrae dal controllare l’ora. Son rimasto solo. Neutralizzo l’illuminazione e l’altoparlante. Mi sdraio sui sedili. Scelgo di dormire.

Sono nello stesso scompartimento tranviario. Ma la giornata ke si affaccia dal finestrino è luminosa. E sto volando. Sono solo, nello scompartimento tranviario di un aereo diretto a Milano. Solo che non ci arriviamo: non so perché, ma l’aereo perde quota e scende in atterraggio d’emergenza suna lombarda pianura innevata. L’aereo è circondato da persone vestite grezzamente, che vogliono assaltarlo. Una leggera inquietudine sbava in una giornata così chiara. Forse per evitare l’assedio, l’aereo riparte, ma con difficoltà. Il grosso velivolo plana da pochi metri d’altezza, evitando l’impatto immediato col terreno semplicemente perché anche il terreno scende in un dirupo. Ma lo schianto è rimandato di pochi secondi. M’infilo la felpa rossa, e mentre la testa fuoriesce mi sorprendo serenamente a pensare in che modo particolare sto morendo.

Apro gli occhi. Buio. La notte non è mai stata così bassa. Fuori riconosco Milano. Delle voci da uno scompartimento lontano. Entro in stazione centrale.

Traggo un profondo respiro. “Sono tornato”, dico.

Paolo

col 2009 v'invito a leggere le beghe dei nostri successori.

qua basta x davvero

punto

Buon Natale

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Oh, oh, oh...Buon Natale! Mentre navigavo per trovare qualche messaggio educativo per il mio nipotonzolo (e ovviamente non poteva venire da me qualcosa di educativo, prrrrr) ho trovato questo testo e mi è piaciuto.
Un abbraccio natalizio
Or


Natale, un giorno

Perchè
dappertutto ci sono così tanti recinti?
In fondo tutto il mondo è un grande recinto.

Perchè
la gente parla lingue diverse?
In fondo diciamo tutti la stessa cosa.

Perchè
il colore della pelle non è indifferente?
In fondo siamo tutti diversi.

Perchè
gli adulti fanno la guerra?
Dio certamente non lo vuole.

Perchè
avvelenano la terra?
Abbiamo solo quella.

A Natale - un giorno - gli uomini andranno d'accordo in tutto il mondo.
Allora ci sarà un enorme alberodi Natale con milioni di candele.
Ognuno ne terrà una in mano, e nessuno riuscirà a vedere l'enorme albero fino alla punta.

Allora tutti si diranno "Buon Natale"a Natale un giorno.

Hirokazu Ogura

mercoledì 17 dicembre 2008

Finalmente, Chapare

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Purtroppo avevo un sonno pazzo, e lungo il tragitto per il Chapare che mi avevano detto bellissimo ho dormito. Eppure curiosissima. Del Chapare, del tropico, qui a Cochabamba me ne avevano parlato più volte come di un paradiso. Fiumi, giungla! E tante volte era ritornato con quella cantilena “Ehe, se vedessi il tropico...” e dei puntini di sospensione che si allargavano nello spazio tra l’ultima parola ed un sospiro.
.
Il Chapare si estende a est di Cochabamba dopo l’ultimo residuo di montagne boliviane. Zona di turismo, coca e frutta tropicale è incanto e orrore. Fiumi larghi e sinuosi carichi di pesci che nella stagione delle pioggie rubano spazio alla terra e uccidono esseri umani. Alberi altissimi e fecondi, fitta maglia verde che dona frutti. Pianta di coca che da’ pane ed energia ma può trasformarsi in polvere bianca e mortifera.

Finalmente, Chapare. Riapro gli occhi sulla strada per Eterazama, centro di poche case e tanta terra. Per noi abituati a posti in cui ci si pesta i piedi anche stando fermi, il Chapare è un verdissimo deserto.

Ad Eterazama ci andiamo per visitare una scuola in costruzione: corsi di infermeria, agronomia e informatica. La scuola è inspiegabilmente grande per i miei occhi, ma tra un succo di ananas e un fazzoletto pieno di sudore scopro che in quella zona che a me sembra deserta ci sono più di 8000 giovani. Con pochi sbocchi in loco, spesso emigrano verso le città o l’estero in cerca di lavoro, studio e stimoli. La scuola vuole mantenerli lì, con le loro famiglie e un lavoro dignitoso. Dignitoso nella paga ma anche nella costanza e possibilità di fare una vita serena.

Qui in Chapare non sempre si può. Da una parte i prodotti della terra – frutta tropicale, più che altro – sono venduti sul mercato interno e internazionale a prezzi troppo bassi per dirsi dignitosi o equi, dall’altra brucia la piaga della produzione di cocaina. La coca in Bolivia è prima di tutto una pianta tradizionale dai molti usi terapeutici e sociali. All’estero è nota per tutt’altro. Ondeggia nella testa la parola, e subito la lingua l’articola: cocaina.
Saltellando tra le buche e scansando le fronde abbondanti sulle strade del Chapare, penso che qui inizia quel viaggio infausto che passa mani e frontiere. In Chapare lascia soldi facili, insicurezza, disgregazione, violenza, mafie. Penso questo guardando un paesaggio meraviglioso e penso che sì, con i loro occhi abituati a tanta bellezza, i giovani di qui meritano davvero qualcosa di meglio! Bello!

sabato 13 dicembre 2008

Last but not least...day!

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Ultimo giorno in Libano. Nell'anno 2008. Si riprenderà, tuttavia, l'avventura nel nuovo anno che termina con 9...e nove sono i mesi che mi rimarranno da trascorrere in Libano prima della fine del progetto di servizio civile.

Non vi ho ancora parlato di Lei e lo farò in seguito perchè il giorno prima della partenza bisognerebbe anche fare una valigia. Sono contenta di tornare ma Lei un po' mi mancherà...Ivonne è la mia preferita. Non si dovrebbe ma è così, se vi pare. Allora:

Ciaooooooo Ivonne! A presto! (Lei non capirebbe e risponderebbe "Mabaref", non so).
Abbracci

Aspettando i baci e gli abbracci di....

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Sono in treno. Sto tornando a Mantova dopo questi 2 mesi di R.Moldova. Il viaggio è andato benissimo. L’aereo è partito e arrivato in orario e il pericoloso sciopero dei treni che era previsto per oggi in Italia è stato sospeso visti i grossi disagi del maltempo che ci sono stati in questi giorni.

Aspettando di ricevere baci e abbracci da mia sorellina di 8 anni, penso a quante belle partite di “battaglia navale” e “domino” ci siamo fatti finora su skype e visto che eravamo più impegnati a giocare che a parlare spero di poterle raccontare tante belle cose del mio viaggio.

Aspettando di ricevere baci e abbracci dei miei compagni SCE, penso alla settimana intensa che ci aspetta tra il residenziale di Villa Pizzone e le giornate in Caritas che sono sicuro passeremo con la stessa gioia dei giorni di formazione fatti in ottobre.

Aspettando di ricevere baci e abbracci dei miei amici, penso a quanto poco li ho sentiti e quanto molto ho da raccontar loro.

Aspettando di ricevere baci e abbracci dai nostri capi progetto, penso a quanto lavoro svolgono per noi e per i nostri progetti, a quanta passione e serietà ci mettono e quindi per questo li ringrazio.

Aspettando di ricevere la Domy, penso a tutti gli scontrini che ho accumulato (spero) in modo corretto con Giulia e quindi spero di ricevere baci e abbracci anche da lei dopo che avremo finito di fare la contabilità.

Aspettando di ricevere baci e abbracci dai mie colleghi di lavoro moldavi al mio rientro in gennaio, penso quello che ho visto che ho fatto finora e quello che mi attende per i prossimi 9 mesi circa in R. Moldova. Il lavoro da fare qua in R.Moldova è ancora molto; devo imparare una lingua che mi è fondamentale per rapportarmi con le persone e una volta che sarò abbastanza padrone della mia parlantina rumena dovrò cimentarmi in progetti, riunioni, incontri, campi estivi e chi sa cos’altro. Quindi il sostegno di questi colleghi moldavi mi sarà fondamentale!!


Ovviamente oltre a ricevere sarò ben contento di dare anche i miei baci e abbracci a chiunque ne abbia bisogno!

A presto, Lorenzo.

Io, figlia di tante persone

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17 anni.
17 anni che non si possono raccontare tutto d’un fiato. Sono cresciuta fino ad ora grazie a delle persone che in un modo o nell’altro hanno voluto aiutarmi.
Da piccola c’erano i miei genitori che mi aiutavano, mi hanno cresciuta, mi hanno accudita, ma poveri loro i problemi erano tanti forse troppi per loro. Oggi i miei ricordi vagano da una parte all’atra, mi ricordo di loro che abbracciavano nelle loro braccia, di loro che bevevano, di loro che mi portavano d’estate a giocare nei campi, di loro che dopo ogni cena litigavano….

Dopo anni di tira e molla i miei genitori scompaiono, io rimango da sola e vado a vivere in istituto. Con me molti altri ragazzi e ragazze che hanno avuto anche loro un passato pesante alle spalle e hanno poca fiducia di quello che gli può offrire il mondo. Anche stare con loro e appoggiarci a vicenda mi ha aiutato ma il tempo scorreva sterile in questo posto. Ogni giorno lo stesso tram-tram quotidiano. I maestri e tutti gli adulti che c’erano avevano una gran voglia di aiutarci ma eravamo troppi, troppi da poter gestire, troppi da poter ascoltare uno a uno, troppi da poter portare sulla retta via. Ma più eravamo e più la direttrice era contenta perché riceveva più contributi statali e la sua “baracca” poteva andare avanti bene, magari riuscendo pure a tenersi qualcosa da parte…..

Gli anni in istituto mi hanno insegnato tanto ma anche niente. Tra poco sarei uscita ma non avevo niente da fare, nessuno da cui andare. I miei genitori sono sempre attaccati alla bottiglia, i miei fratelli sono morti e i pochi parenti che ho non hanno posto per me nella mia vita.
Un giorno degli uomini mi propongo di andare in una casa. Una casa con altre ragazze, alcune sono proprio del mio istituto, le conosco.
Penso subito che sia come un altro istituto, però per ragazze un po’ più grandi. Sono titubante ma accetto, le alternative non sono poi così tante.

Questi uomini e donne che mi stanno aiutando sono come tutti quelli che mi hanno aiutato finora. Sono uomini e donne semplici, con la stessa voglia di donare loro stessi come l’hanno avuta i miei genitori, i miei maestri e tutte le persone che ho incontrato nella mia vita. Con questi uomini e donne sto imparando tante cose utili: mi fanno studiare per impare un lavoro, mi insegnano a cucinare, mi insegnano a gestirmi la vita e tutto quello che mi circonda.

Spero un giorno di poter essere indipendente e fare a meno di queste persone che mi aiutano, anzi magari in un prossimo futuro spero di poter essere io a poter dare una mano ai miei figli, ai miei amici e a tutte le persone che mi chiederanno aiuto o che vedrò in difficoltà.

(non è una storia vera, è una mia interpretazione raccontata così, come mi è venuta in mente la sera che l’ho scritta - Lorenzo)

mercoledì 10 dicembre 2008

La chanson des vieux amants

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La pioggia mi rende malinconica e sulle note di Jacques Brel questo malumore si radica nel profondo. Domenica tornerò alla casa di origine e i giorni di formazione mi chiederanno di "tirar fuori", mi svuoteranno. Un'analisi della situazione vissuta fino ad ora sarà doverosa. Genero l'impressione di temere questo momento? Ebbene un po' è così. Ora, è troppo presto tornare e raccontare un vissuto ancora incompreso, a partire dalla questione di base: qual è il mio ruolo? Esiste un ruolo? Sono Oriana là e qui...qui ogni tanto sono anche Soraya, Rania per gli adorabili distratti o Rura per le ragazze palestinesi incontrate a Siblin durante l'evento sportivo delle "Palestiniadi" (eh, eh post ancora in itinere).
Prima di partire, su un cartellone bianco caro a Matteo (a proposito il limite di tre fogli a giorno è ancora valido?), avevo scritto nella metà dei soggetti discussi ma che destavano ancora dubbi la parola SVILUPPO. Dopo un mese e mezzo di presenza nel campo, tuttavia, questo argomento non si è chiarificato e anzi ha sollevato maggiori perplessità.
Penso a loro e a come li ritroverò: forse già inseriti, "imparati", convinti, decisi, consapevoli. Questo pensiero mi fa sentire manchevole. Sospetto di non essermi spinta al di là degli umani limiti, luogo dove sono normalmente condotta dalla mia curiostià. O forse, i miei compagni di viaggio, saranno complici del mio stato d'animo, ancora una volta con loro non mi sentirò sola e tirerò un gran sospiro di sollievo.
"Due buoni compagni di viaggio non dovrebbero lasciarsi mai. Potranno scegliere imbarchi diversi, saranno sempre due marinai." Francesco De Gregori, Compagni di Viaggio.

martedì 9 dicembre 2008

Rachel...

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Vi propongo il testo di una canzone della Casa del Vento, ispirata da una poesia che Rachel scrisse alla madre pochi giorni prima di morire.
Rachel Corrie, ragazza pacifista statunitense di 23 anni, voleva impedire, facendo scudo col proprio corpo, che i alcuni bulldozer abbattessero degli insediamenti lungo la striscia di Gaza, Palestina. Si adagiò in traiettoria del Bulldozer di 9 tonnellate, disarmata e chiaramente visibile. La ruspa guidata da un soldato, sotto gli ordini del suo comandante, la travolse. Era il 16 marzo del 2003.



Rachel and the Storm
(Casa del Vento feat Elisa)

È arrivato il momento
Io non posso aspettare
È un momento perfetto
Per decidere di andare.

Vorrei farvi vedere
L'arida terra su cui cammino
Tutti i segni del fuoco
E dove crescono i loro bambini.

Not in some distant place
Not a far away day
If I stuble and fall down
I will stand up again.

In the light of the dawn
I'll see the birds soar beyond the wall
I'll give them my strenght
I cannot believe in the end of the world.

And so I shall go
In the rage of the storm
'cos only on earth
I find heaven.

Rachel hold her head high
Against the storm.

Come il cielo e la terra
Noi ci incontreremo
Dopo il sogno e la veglia
Noi ci incammineremo.

We dance on the edge
We challenge the fear of the void
We cannot allow
This fall towards the end of the world.

And so I shall go
In the rage of the storm
'cos only on earth
I find heaven.

Rachel hold her head high
Against the storm.

Rachel hold her head high
Against the storm.


Un abbraccio.

korogocho

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Korogocho, è una parola Kikuyu che significa caos, confusione. Questo slum si trova alle porte della discarica di Nairobi, lontano dal centro, lontano dai quartieri ricchi, lontano dagli occhi. Passeggiando tra i vicoli di questo quartiere senti l'odore, la puzza dell'immensa distesa di rifiuti..è un odore a volte insopportabile. In mezzo a questa baraccopoli scorre anche un fiume. Acqua nera. Sembra che scorra catrame, pece. Spazzatura e immondizia in ogni angolo. Con l'arrivo dell'estate e il grande caldo, qua e là si intravedono alcuni fuochi accendersi, per autocombustione. Quello che brucia è diossina pura, basta pensare che qui arrivano anche gli scarichi dei tre aeroporti di Nairobi. Qui arrivano due milioni di tonnellate di rifiuti al giorno. È una discarica da primo mondo: televisioni, monitor, rifiuti altamente tossici. E in mezzo a tutto ciò bambini, uomini, donne, che raccolgono i rifiuti, raccolgono tutto ciò che è rivendibile. Ai lati delle strade puoi vedere posate, piatti, scarpe, televisioni, libri. Di tutto. Qui è tutto riutilizzabile: i fogli di giornale per avvolgere i chapati, un telefono da mettere in casa per fare bella figura con chi ti viene a trovare, anche se non funziona. Di tutto quello che viene venduto, parte del ricavato lo prende il boss di turno. Già perché in discarica regna l'eco-mafia: ogni ragazzino, ogni persona, può prendere i rifiuti di una zona, non di un'altra; può raccogliere solo certi tipi di rifiuti, non altri. I privilegiati sono quelli che possono rovistare tra la spazzatura che arriva da Karen, o da Langata, i quartieri dei ricchi e della maggior parte degli occidentali. È una mafia malsana, come l'ambiente in cui queste persone lavorano, che guadagna sul consumismo della grande città.

Nel 2004, p. Daniele e p. Paolo, due missionari comboniani, hanno manifestato contro la discarica, ma sono stati colpiti a sassate da alcuni bambini per disperdere la manifestazione: i bambini erano stati assoldati dai boss dell'eco-mafia per far sgomberare le persone. A questi bambini era stata data la ricompensa di poter cercare rifiuti dove volevano, senza rispettare le regole.

Sopra la discarica si vedono volare alti nel cielo per poi posarsi uccellacci neri, con un'apertura alare di 3 metri, inquietanti, orribili: molte volte quando scendono in picchiata a prendere il cibo colpiscono anche i bambini, uccidendoli con il loro enorme becco.

Korogocho è già una discarica di per sé: sulle bancarelle dei mercati vedi i resti dei grandi ristoranti, dei grandi hotel; vedi infatti solo teste e zampe di gallina e di capra, perché il resto del corpo lo hanno già cucinato; vedi friggere in grosse padelle solo la testa, la coda e la lisca dei pesci, vedi friggere e mangiare gli scarti. Così gli albergatori guadagnano due volte. Addirittura dagli alberghi arriva anche la droga, che poi i ragazzi ne fanno largo uso: i turisti acquistano droga a bassissimo prezzo, ma ne comprano talmente tanta che poi rimane nelle stanze degli alberghi; così, dopo aver attraversato tutta la città, arriva a Korogocho.

I progetti per bonificare la discarica ci sono: punti di raccolta in tutta la città, per poter raccogliere rifiuti riciclabili, e quello che non è riciclabile in grandi vasche di contenimento fuori da Nairobi, bonificare il terreno, sempre che la terra non si ribelli.

Nonostante questo abbiamo passato una giornata indimenticabile a Korogocho, in compagnia di p. Paolo, e altri due volontari, chiacchierando, cercando di capire, visitando i progetti che danno speranza a questi bambini, ragazzi, già rovinati dall'uso della colla, delle droghe. Per dare speranza alle donne, sole, o altre volte picchiate da mariti ubriachi. Da circa 20 anni i comboniani lavorano in questa discarica, in questa “confusione”, prima con p. Alex Zanotelli, poi con p. Daniele ed ora con p. Paolo. Un lavoro lento e costante, al fianco dei miseri, dei più deboli, dei più poveri. I risultati si vedono, molti ragazzi iniziano a uscire dai giri della colla e dell'eco-mafia, si intravede la vita che esplode da questi sorrisi, da questi volti, è la vita che esplode...

lunedì 8 dicembre 2008

Canzone popolare

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Abbiamo assistito a un bello spettacolo in teatro.

Vi lascio uno scorcio di musica popolare. Spero sia capibile nonostante la bassa qualità di video.

domenica 7 dicembre 2008

Cancro si scrive con la C

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Ho letto un articolo interessante.

Una storia di donne, donne “senza speranza”, donne rinchiuse in un ospedale, asettico e da quell’odore inconfondibile, donne povere, ma donne che non smettono mai di lottare.
Fino alla fine.

Così scopro di questo progetto del comune di Managua nell’ospedale Bertha Calderòn, iniziato il 19 febbraio del 2007, per l’alfabetizzazione di venticinque donne malate di cancro.
Non sono certa, ma credo che la cosa proceda.

All’inizio, lo ammetto, ho creduto fosse solo una specie “d’intrattenimento”, un “far passare il tempo”, come un lavoro all’uncinetto, come quattro chiacchiere con la vicina, una partita a carte....
Già, l’ho pensato, che stupida.

Forse perchè io so leggere. Forse perchè io so scrivere.

Allora, all’improvviso, ho realizzato cosa possa aver significato, per queste donne, scrivere una lettera ai figli, lasciare dei pensieri impressi su un pezzetto di carta, scoprire di poterlo fare, di poter studiare, anche durante una chemioterapia, quando ti è stata succhiata tutta l’energia necessaria, ma non la voglia di vivere.
Ho sentito quel gorgoglìo nello stomaco immaginando l’orgoglio nel mostrare una frase tremante.

Noi lo diamo per scontato, diamo tutto, sempre, per scontato.
Studiare? Un diritto o una forzatura, però riesce sempre a scioccarmi come altrove il poter studiare sia considerato invece una ‘fortuna’, un’opportunità, una chance, banalmente, per una vita migliore.
O, come per queste donne, un piccolo, grande, traguardo.

E l’articolo si conclude con una domanda a doña Juana Tòrrez:
-Ha paura della morte?
-(Sorride) No, non ho paura. Siamo nati per questo, per morire.
Però penso alle mie povere figlie che rimarranno sole.

giovedì 4 dicembre 2008

Non c`e` giustizia senza perdono

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Incontro di Taizé a Nairobi: 6.000 giovani da ogni parte dell'Africa; tra questi Mozambico, Ghana, Togo, Madagascar, Angola, Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Congo Brazaville, Rwanda, Burundi, Uganda, Tanzania, Kenya. Alcuni giovani dall'Asia, un centinaio dall'Europa.

Le famiglie keniane hanno aperto le loro porte per accogliere tutti questi 6.000 giovani tra i 18 e i 30 anni. Tutte le parrocchie di Nairobi hanno accolto calorosamente i pellegrini di Taizé, Kariobangi, Dagorethi, per citarne alcune; anche Kahawa West, la nostra parrocchia, ha ospitato una cinquantina di persone da Kenya, Uganda e Tanzania. E Italia. Un ragazzo e una ragazza da Torino, Riccardo e Ilaria, dopo mille peripezie, e dopo svariati rimbalzi da una parrocchia all'altra sono arrivati qui da noi.

Al mattino con il gruppo giovani siamo andati a visitare luoghi di speranza nei dintorni della parrocchia: abbiamo visitato i progetti della Comunità di Papa Giovanni XXIII a Soweto, il Rainbow Project e Baba Yetu; un altro giorno invece Sister Raquel ci ha parlato della Cafasso House.

E poi liberamente alcuni ragazzi hanno condiviso alcune riflessioni, alcune impressioni su questo evento: uno dei temi ricorrenti era il bisogno di pace e di perdono. In particolare qui in Kenya, dopo le violenze di dicembre che sono poi continuate fino a febbraio, i giovani hanno espresso il desiderio e la volontà di perdonare e di dimenticare: forgive and forget era il motivo che ritornava sulla loro bocca. Questo meeting di Taizé è stata un'occasione importantissima per la riconciliazione fra le varie tribù che abitano il Kenya: famiglie di ogni etnia hanno aperto le porte delle loro case a giovani Luo, Kikuyu, Kisi, Kalenjin. È stato un passo importantissimo verso la riconciliazione, verso il perdono, verso la convivenza pacifica. C'è bisogno di perdonare per costruire una nazione nuova e soprattutto una nazione unita.

Ma sappiamo quanto è difficile perdonare, dimenticare i torti fatti e subiti; un prete proveniente dalla Tanzania durante una condivisione spontanea ci ha rivolto questo indovinello: cos'è quella cosa che è facile da cantare, ma molto difficile da ballare? Le risposte sono due: amore e perdono; tanto facile a dirsi, si dicono tante belle parole, tanti buoni propositi, ma siamo veramente capaci poi di ballare, di metter in pratica queste parole?

Quando i ragazzi parlavano del bisogno di perdonare, ma anche di dimenticare per poter vivere in un mondo più giusto, mi è venuto in mente il titolo del libro scritto da Desmond Tutu, “Non c'è giustizia senza perdono”, proprio a sottolineare l'urgenza di vivere nella pace e nel perdono, di vivere cercando un mondo diverso.

Per il pranzo invece ci si recava ogni giorno al seminario diocesano Queen of Apostoles con pullman organizzati appositamente da Taizé: qui i 6.000 pellegrini si ritrovavano per il pranzo e per la preghiera. I momenti della preghiera sono stati momenti quasi magici, emozionanti, straordinari. Abbiamo visto mischiarsi l'energia dei canti e balli africani con il silenzio e i canti meditativi della comunità di Taizé, in un vortice di spiritualità e di preghiera. Le riflessioni del priore della comunità di Taizé, frére Alois e le parole del vescovo di Nairobi, hanno riempito l'evento con parole di pace, di speranza. Il vescovo, in un discorso breve ma intenso, ha sottolineato il fatto che prima di essere keniani, congolesi, spagnoli, rwandesi, sudafricani, italiani, siamo esseri umani, siamo creature di Dio, capaci di amare e di perdonare. Durante le preghiere eravamo seduti per terra, in tendoni enormi costruiti per l'evento: eravamo 6.000 persone e nessuno era seduto di fianco ad un altro del suo stesso paese, talmente era forte il mescolamento di culture, etnie, lingue, costumi, capigliature e stili di vita.

Il tutto condito dai workshop del pomeriggio, con rappresentazioni teatrali, di danze e canti da ogni parte dell'Africa, laboratori di testimonianze di vite di cristiani, dialogo interreligioso guidati dai fratelli della comunità.

Siamo stati testimoni di un evento intenso, spirituale e culturale: abbiamo visto e ascoltato storie di speranza e di pace. Una su tutte: un pullman arrivato a Nairobi per l'evento portava ragazzi da Bukavu e da Goma, città della Repubblica Democratica del Congo, insieme a ragazzi provenienti dal Rwanda; un gesto di pace che ha coinvolto due paesi che stanno affrontando difficili tensioni.

Infine frére Alois ha consegnato un'icona ai rappresentanti di ogni paese che ha partecipato all'incontro, in modo che coloro che erano presenti al meeting possano essere pellegrini di fiducia e di speranza nei loro paesi: ogni volta che veniva nominata la nazione un tripudio di applausi, fischi, urla e grida accoglievano i vari rappresentanti; gli applausi aumentavano per accogliere i paesi che attualmente sono più in conflitto: Congo, Sudan, Rwanda. E quando è stato il momento del Kenya un boato si è alzato dalle 6.000 persone, tutti hanno gioito per ringraziare della bellissima ospitalità offerta dalle famiglie di Nairobi e per la stupenda esperienza passata insieme a giovani da ogni dove dell'Africa.

La mia prima riunione de ‘La Escuela de padres’

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(31.10.2008)

Al Centro i ragazzi nn c'erano perchè i professori si stanno organizzando per le valutazioni, feste varie e, come sempre una volta al mese, c'è stato l'incontro coi genitori.

Non lo nego, ero emozionata.

Il tutto si snoda attorno al ‘pretesto’, vero ed utile, di spiegare ai genitori le disabilità dei loro figli...in maniera un po' più tecnica ma applicabile alla cura, al sostegno, alla prevenzione e poi all'improvviso tutta la loro 'magia di vite disperate' ha riscaldato el comedor dove si teneva la riunione.
Aprirsi, comunicare, condividere, ascoltare e, soprattutto, essere ascoltati da chi, come loro, è stato 'punito' con una creatura che non può ascoltarti, non può parlare, non può muoversi, non può capire tutto come lo capisci tu ma che non ti fa mancare il suo incredibile amore silenzioso o fatto di tanti gesti 'strani'.
E così, per una volta, anche questi genitori, che escono da un angolo di dolore, possono sfogarsi e sentirsi parte di qsa di più grande...

Alla nonna di Carlito sono morti due figli, insieme, in un incidente e, come non bastasse, la figlia torna e le 'molla', uno alla volta, tre dei suoi figli di cui uno, Carlito appunto, affetto da idrocefalia.
Ora questa fortissima donna si alza alle quattro del mattino per organizzare la vita dei suoi angioletti, poi va a lavorare, sola, povera, in una bidonville nicaraguense.
Ma lei Carlito non lo butta, lo ama e si sacrifica per fargli avere ciò che può.
Stavo seduta accanto lei che piangeva, emozionata, la guardavo....i piedi sporchi, le mani invecchiate dalle fatiche e sentivo tutta la sua forza...era una vibrazione enorme, mi scuoteva....

Ognuno di loro sedeva con un segreto ed il desiderio di una vita migliore per i propri figli.Mi sono sentita toccata, profondamente, da quest'esperienza umana...

C'era anche la mamma di Roberto che ha 18 anni e fa parte del gruppo di ritardo mentale e disturbi cognitivi...
E’ una donnona tutta d’un pezzo, alta e sorridente. Proprio come lui.
Robero tutte le volte che ti vede ti abbraccia, fortissimo, affettuosamente...lo fa con tutti...sorride sempre, ha gli occhi buoni, ha gli occhi dolci.
Come un pugno nel ventre quando poi mi hanno raccontato che, dato che sua madre è l'unico genitore per tre figli e deve andare a lavorare per farli vivere, lui passa tutto il giorno nelle strade di questo suo inferno e viene/veniva (come sapere tutta la verità?) abusato da un coetaneo.
Mi viene la pelle d'oca.
Peccato che qui sia una realtà troppo presente, troppo normale.
Storie di sopravvivenza.

mercoledì 3 dicembre 2008

Permesso di soggiorno - parte 1

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Ciao a tutti, vorrei condividere la nostra esperienza di emigranti che stanno cercando di ottenere il permesso di soggiorno.
Non so da altre parti, e non so neppure come sia in Italia, ma quà in Moldova stiamo facendo fatica. Oggi siamo andati all'ufficio del lavoro per poter fare il 1° dei tre passaggi che abbiamo da fare per ottenere il magico permesso.
Abbiamo preparato tutti i documenti, foto, dichiarazioni dal notaio....in ufficio la nostra controparte si è impegnata tantissimo per fare i loro documenti....ma niente.

Oggi all'ufficio del lavoro siamo stati accolti da un burocrate integerrimo. Ha controllato i documenti che gli abbiamo dato e in 2 secondi ci ha liquidato dicendo che non sapeva come fare perchè essendo qua volontari e non pagati dalla controparte locale non aveva i dati sufficenti per fare la procedura. Quindi ci ha mandato dal capo che parlando col nostro collega moldavo ci ha mandati a casa con un nulla di fatto. Ora dobbiamo trovare il modo per far comparire che in qualche modo abbiamo un budget per mangiare e vivere qua in Moldova.

Qua in Moldova non esiste una legge che regola il volontariato, quindi la nostra posizione non è chiara. Non essendoci neanche un accordo tra lo Stato Italiano e quello Moldano non possiamo neanche presentare il nostro contratto di Servizio Civile.
Insomma dobbiamo cercare un cavillo nelle procedure moldave per poter continuare questa lunga procedura!!

Possiamo ritenerci fortunati che abbiamo dei colleghi moldavi che ci aiutano nelle procedure e nella lingua quando c'è da litigare con questi burocrati.
Con questa esperienza dò tutta la mia solidarietà alla persone che cercano di avere il permesso di soggiorno in Italia che, da quel pochissimo che so, non è facile. E spero che anche queste persone possano trovare delle brave persone italiane (come noi abbiamo trovato delle brave persone moldave) che possano aiutarli nelle lunghe e stressanti procedure che ci sono.

Dedicato alle mie amiche SCE...

3 commenti:
Mea culpa.
Nemmeno due righe da quando, finalmente, siamo riusciti ad aprire il blog...Perdono!

No, no, non siamo sparite, queste Nicaraguensi!!!...
Avrei milioni di cose da dirvi e, a proposito, se in formazione prima di partire abbiam lasciato il segno con logorroicismo vario, suggerirei a Matteo, Sergio, Maurizio & co di fare una bella cura di Supradin prima del nostro rientro...

Fatta la premessa vorrei iniziare il mio contributo informatico con una poesia, una poesia di Gioconda Belli (poetessa nicaraguense), una poesia forse poco conosciuta, una poesia che dedico alle mie nove compagne sparse per il mondo.
Vi abbraccio.

REGLAS DEL JUEGO PARA LOS HOMBRES QUE QUIERAN AMAR A MUJERES MUJERES

I
El hombre que me ame
deberà saber descorrer las cortinas de la piel,
encontrar la profundidad de mis ojos
y conocer lo que anida en mì,
la golondrina trasparente de la ternura.

II
El hombre que me ame
no querrà poseerme como una mercancìa,
ni exhibirme como un trofeo de caza,
sabrà star a mi lado
con el mismo amor
conque yo estarè al lado suyo.

III
El amor del hombre que me ame
serà fuerte como los arboles de ceibo,
protector y seguro como ellos,
limpio como una manana de diciembre.

IV
El hombre que me ame
no didarà de mi sonrisa
ni temerà la abundancia de mi pelo,
respetarà la tristeza, el silencio
y con caricia tocarà mi ventre como guitarra
para que brote mùsica y alegrìa
desde el fondo de mi cuerpo.

V
El hombre que me ame
podrà encontrar en mì
la hamaca donde descansar
el pesado fardo de sus preocupaciones,
la amiga con quien compartir sus ìintimos secretos,
el lago donde flotar
sin miedo de que el ancla del compromiso
le impida volar cuando se le occurra ser pàjaro.

VI
El hombre que me ame
harà poesìa con su vida,
costruyendo cada dìa
con la mirada puesta en el futuro.

VII
Por sobre todas las cosas,
el hombre que me ame
deberà amar al pueblo
no como una abstracta palabra
sacada de la manga,
sino como algo real, concreto,
ante quien rendir homenaje con acciones
y dar la vida si es necessario.

VIII
El hombre que me ame
reconocerà mi rostro en la trinchera
rodilla en tierra me amarà
mientras los dos disparamos juntos
contra el enemigo.

IX
El amore de mi hombre
no conocerà el miedo e la entrega,
ni temerà descubrirse ante la magia del
enamoramiento
en una plaza llena de multitudes.
Podrà gritar -te quiero-
o hacer ròtulos en lo alto de los edificios
proclamando su derecho a sentir
el màs hermoso y humano de los sentimientos.

X
El amor de mi hombre
no le huirà a la cocinas,
ni a los panales del hijo,
serà como un viento fresco
llevandose entre nubes de sueno y de pasado,
las debilidades que, por singolos, nos mantuvieron
separados
como seres de distinta estatura.

XI
El amor de mi hombre
no querrà rotularme y etiquetarme,
me darà aire, espacio,
alimento para crecer y ser mejor,
como una Revoluciòn
que hace de cada dìa
el comienzo de una nueva victoria.