Visualizzazione post con etichetta Fede Uez. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Fede Uez. Mostra tutti i post

venerdì 1 settembre 2017

Haiti: Dov'è casa mia?

Nessun commento:


“Scusi, per casa mia?”
Sono seriamente afflitto da una grave patologia, riconosciuta soltanto dopo aver interpellato diversi specialisti.
La conferma medica  mi è stata recapitata in seguito al ritorno dal cantiere della solidarietà, realizzato in maniera itinerante, come il più pazzo e stravagante dei circhi gitani, per tutto il Nord di Haiti.
La malattia da cui sono stato colpito si chiama “Dov’è casa mia?”, in latino, sulle migliori guide mediche, la nomenclatura corretta è “ ubi est domus mea?”( un grazie speciale all’ aiuto da casa, il fratello della mia collega Silvia). Dicono che una grande percentuale delle vittime, attorno al 70%, siano servizio civilisti internazionali.
Tornando dal cantiere, mi sono subito emozionato, un po’ sorpreso e spaventato, nell’accorgermi che rientrando nella caotica, polverosa e pazza Port au Prince, mi sentivo a casa, come di ritorno da una lunga vacanza in paesi lontani, esotici e tropicali.
Entrare a casa mia è stato come quando dopo una bella vacanza arrivo nella mia piccola Trento, nel mio appartamento, un po’ triste e un po’ contento.
Dov’è casa mia?
Già, perché tra poche settimane ritornerò a casa mia. Dov’è? Credo a Trento, o credo a Port au Prince. Difficile dirlo.
Sicuramente, come mio solito, proverò a chiedere alla gente. Qualcuno riuscirà a darmi un’informazione corretta no? Oppure, haitianamente, mi verrà risposto con un bel “Pa Konen”( non lo so)?
E’ curioso, affascinante, come in un anno, una persona riesca a costruire dei legami così intensi e forti, vuoi per il tipo di esperienze condivise, vuoi perché alla fine le persone sono spinte a volersi bene, aiutarsi, accogliersi a vicenda. Con tante difficoltà, certo, perché altrimenti che gusto ci sarebbe se fosse tutto facile? In un anno mi sono stupito mille volte, sono stato preso alla sprovvista, non ho capito e ho capito tante cose, sono stato felicissimo e triste allo stesso tempo.
E’ curioso, affascinante, come ora penso ai miei amici in italia, ma anche ai miei amici ad haiti, haitiani.
Come penso alla mia routine italiana, ma anche alla mia routine haitiana.
Come penso con nostalgia a qualche cibo italiano, ma come sia abituato alla cucina creola.
Come penso alle partite di basket al campetto di Trento, ma anche a quello di Lilavois, qui ad Haiti.
Insomma, è fantastica, in fin dei conti, questa malattia. Nel cuore credo di sapere dove si trovi casa mia, ma mi piace tanto pensare che semplicemente, dopo quest’anno, casa mia non importa dove sia: è in questo bizzarro mondo, nero, bianco, giallo, colorato. E i miei vicini di casa parlano varie lingue diverse e si chiamano Shelove, Stanley, Falou, Silvia, Cecilia, Bryan, Clemance … Semplicemente abitanti del condominio Terrra.
Perché alla fine, in questo post che non voleva essere un “tirare le fila”, ma forse un po’ lo eh, non lo so, semplicemente mi accorgo di come in quest’anno abbia interiorizzato il principio del COME: è COME scelgo di vivere che fa la differenza, più del dove io sia nato o stia lavorando, più delle opportunità che ho.
E qui a Kay Chal e Haiti, ho conosciuto tanta gente,  haitiana, italiana e un po’ da ogni dove, che ha scelto un COME vivere che mi piace molto: condivisione, accoglienza e confronto col diverso, kè kontan (felicità, in creolo).
Ora, credo accantonerò il referto medico, godendomi appieno la mia malattia.
Fede

lunedì 30 gennaio 2017

… “Coi piedi neri”…

Nessun commento:


CAPOEIRA

Una danza dentro una lotta.
La nonviolenza nella violenza.
E’ affascinante, semplice e bello. Difficile.
Educare e ascoltare nella strada, nella bidonville. Insegnare che tutti sono uguali, che non vince affatto il più forte: che tutti siamo accolti nel gruppo.
E sporcarsi i piedi assieme. Martedì scorso i miei piedi scalzi erano neri, impolverati e un po’ indolenziti ..indolenziti come quelli degli altri miei 20 compagni, neri e impolverati come i loro, mentre assieme seguivamo gli esercizi, a ritmo di musica, del maestro. Assieme abbiamo sudato, abbiamo sbagliato e fatto bene. 

ASSIEME

Assieme, vuol dire condividere. E in quel momento, mi sono quasi dimenticato di essere bianco, italiano e che gli altri ragazzi erano haitiani. Eravamo semplicemente noi, ASSIEME.
CONDIVIDERE

Condividere, avere i piedi scalzi neri, impolverati e un po’ indolenziti è credo sia il segreto per essere prossimi all’altro, per  dare, ma soprattutto apprendere dall’altro; per ricordarsi che siamo piccoli in questo mondo, con tanto da imparare e che davvero, mi rendo conto qui a Port au Prince, ogni giorni dobbiamo rimetterci in discussione. Trovare un modo per essere ASSIEME e CONDIVIDERE, per ricordarci che non è sempre giusto come e dove viviamo; che Haiti, l’Italia e ogni altro paese non sono “mondi diversi”, ma mondi diversi in un mondo comune, lo stesso. Accorgerci che questo mondo comune spesso è ingiusto e che ogni Paese ha una sua ricchezza e una sua povertà.

ACCORGERSI

Ad Haiti la cosa che sto imparando maggiormente è accorgermi: fare attenzione alle piccole cose, farmi mille domande e non dare nulla, davvero nulla, per scontato. Mettere sempre in discussione e così sempre rinnovare ciò che invece ritengo una “certezza” nella mia vita.

Fede

giovedì 5 gennaio 2017

Rabbia e Sogni

Nessun commento:


Fa rabbia.
Fa rabbia la disparità di questo mondo, fa rabbia il sistema , fa rabbia che sembra impossibile cambiarlo.
Mi fa rabbia Federico, che torna da Haiti e si adatta così facilmente al suo Trentino: speravo o temevo di starci malissimo, di non dormirci la notte. Invece, forse, perché volontariamente cerco di concentrarmi su dove sono ora, a Trento, coi miei amici, affetti, parenti, sono felice. Come sono felice, molto, quando sono a Port au Prince.
E’ casa mia questa, e sono cresciuto così e forse , ragionavo mentre ero nei Caraibi, quello che posso fare, che possiamo fare, è continuare a farci domande, metterci in gioco e vivere con gli occhi aperti al mondo, indipendentemente da dove noi siamo. Ma soprattutto, sto riflettendo sul fatto che ciò che può davvero fare la differenza, quantomeno per me, è il  MODO.
Non so come spiegarlo, ma credo che, posto il fatto è che mi ritrovo a vivere in un mondo così strano, così poco paritario, la differenza la può fare il come io vivo nella mia piccola Trento o nella grande Port au Prince, e così via, insomma, ovunque io sia , conta il COME vivo. E non credo sia facile.
Vivere con uno sguardo amplio sul mondo, aperto; vivere cercando ogni giorno di donare semplicemente un sorriso all’altro; vivere cercando di cambiare le cose nel nostro piccolo: nei rapporti coi vicini, nel cercare di fare comunità, nell’accogliere tutti i giorni, nonostante le difficoltà. Nel limitare gli sprechi, nel puntare ad un’economia sostenibile, aver un occhio di riguardo per l’ambiente. Mettersi in gioco socialmente e politicamente, nelle cose piccole del quotidiano. Sono solo alcuni degli spunti che mi stanno venendo in mente nei miei “viaggi mentali”.
Il punto centrale infine, credo sia questo: non so se è o meno una fortuna essere nato a Trento, fatto sta che ci sono sempre stato bene; ma ciò che è una certezza, è che qui io ho un infinito numero di opportunità e possibilità: possibilità di scegliere, potrei dire, qualsiasi cosa. Ad Haiti invece di opportunità ce ne sono davvero poche.
Credo che quindi la prima cosa che posso fare nei confronti di tutta la gente che ho incontrato a Port au Prince è non avere paura di non ottenere un posto fisso; è non avere paura di non riuscire a fare carriera, o di pagare un mutuo, o di  non riuscire a invecchiare fino a 90 anni. Credo che il primo gesto di rispetto sia quello di lottare fino all’ultimo per ogni mio sogno, per ogni mio idealismo, passando magari per sciocco o sognatore. Ma , come disse Mandela, “un sognatore è un vincitore che non ha mai smesso di sognare” e invito col cuore me e soprattutto tutti i giovani che come me hanno mille opportunità, di inseguire sempre ciò che sentono dentro, non fermarsi per la paura e la mancanza di certezze, perché a Port au Prince non ci si arrende nemmeno di fronte all’assenza di cibo, di lavoro e di opportunità, ma si continua a vivere, provare a sorridere e lottare. Credo sia un nostro dovere non avere paura, paura di sognare,
Fede

mercoledì 23 novembre 2016

Di elezioni e cieli stellati

Nessun commento:

E’ strano …

E’strano Haiti, è strana questa realtà, è strano vivere queste giornate proprio qui.

Da domenica scorsa stiamo  vivendo il fermento elettorale del Paese: i candidati hanno ultimato le loro campagne elettorali e in strada non si vedono che cartelloni inneggianti a Jude Celestin, piuttosto che Jovenel Moise, passando per altri candidati.

Ci sono ragazzi haitiani che volevano andare a votare e ce ne sono, molti, che non sono andati, perché la fiducia nella politica e nei candidati è praticamente nulla. Un po’ come in tutto il mondo diciamo … però qui ad Haiti è strano, perché da domenica sera, finite le elezioni, sono iniziati i disordini. Tensioni, traffico, atti intimidatori, rivoluzioni invocate, Aristide, nostalgico dittatore, che rivuole il potere, la polizia che è autorizzata a intervenire per tutelare le votazioni. Intanto, noi siamo qui a casa in attesa di notizie, scalpitanti e pronti a ritornare a Kay Chal: i ragazzi ci mancano, sarebbe bello essere lì con loro.  Comunque, fino a domenica  non si saprà nulla e bisognerà attendere i risultati.

E’ belo però …

Perché in tutto ciò, la vita continua, continua qui nella missione, in cui noi prepariamo materiale e attività per Kay Chal; continua nel villaggio qui vicino, dove la gente continua a giocare a calcio, basket, studiare nella biblioteca del centro; continua in città, dove, ci racconta suor Luisa, al nostro centro i ragazzi, magari un po’ meno, vengono comunque.

E’ semplicemente vita, ed è bello perché ti accorgi che nulla può fermarla. Ed è bella.

E’ strano però …

In tutto ciò fermarci ieri sera a guardare il cielo stellato, così bello, così pieno, così dolce. Così vivo, quasi se ne infischiasse di Aristide; delle tensioni; della politica, dei disordini. Ma così vicino a ognuno di noi, a ogni haitiano che lotta e si districa in questo paese così sfortunato, ma abitato da un popolo forte, resistente, che continua a ripartire da zero, anche di fronte a tornado, terremoti, colera, dittatori, fame: gli haitiani ripartono da zero ogni volta, con dignità, e non si può  arrendersi.

Ringrazio per avere la fortuna di vivere queste sensazioni, emozioni forti, belle, anche queste difficoltà e queste paure, cercando, pian piano, di comprendere, ma soprattutto apprendere da questa gente.

Fede Uez

mercoledì 9 novembre 2016

Potrei dirvi … invece vi dirò

Nessun commento:


Prima di partire immaginavo di arrivare ad Haiti e iniziare subito a scrivere un sacco di pagine, di getto, colto dalle emozioni e dalle sorprese.
Invece eccomi qui, a una settimana esatta dalla mia partenza, a buttar giù queste prime righe, prime riflessioni e pensieri di un anno che prevedo sarà intenso, difficile, forte, bello.
Bhè, per cominciare potrei dirvi molte cose su Haiti, su ciò che ho visto e sentito, sugli odori respirati …
Potrei dirvi che dall’aereo in fase d’atterraggio non si vedevano altro che baracche e i tetti di lamiera luccicavano come stelle, solo situate dalla parte sbagliata del cielo. Invece vi dirò quanto sia bello il manto blu che mi culla prima di addormentarmi, con migliaia di astri che mi sfiorano.
Potrei dirvi di come l’odore di smog impregna le strade di Port au Prince. Invece vi dirò come sono affascinanti i tap tap in corsa, gremiti di gente, colorati e dipinti con passione da diversi artisti, raffiguranti Messi, Cristiano Ronaldo e l’immancabile Gesù.


Potrei dirvi di come sia stato macabro, inquietante e strano essere in un cimitero, unici bianchi, durante la festa dei morti (degli spiriti!direbbe un vodooista per bene) e osservare, sperando invano di non dare nell’occhio, i rituali vodoo. Invece vi dirò quanto sia stato bello e interessante entrare in questo spaccato di tradizione e religione, sentirsi testimoni di qualcosa di unico al mondo, speciale.

Potrei dirvi di come sia stato claustrofobico entrare in Citè Jeremie, la bidonville vicina a Kay Chal, di come siano sporchi e vissuti i suoi vicoli. Invece vi dirò come sia stato impattante entrare e vedere tutti questi bambini che correvano e salutavano  con grandi sorrisi il loro animatore, che ci accompagnava.
Potrei dirvi di come gli haitiani spesso sulla strada siano scorbutici. Invece vi dirò come a un sorriso accennato rispondano sempre con un sorriso ancora più grande, con dei denti bianchissimi e ben curati, dimenticando la smorfia precedente.

Potrei dirvi di come sia un peccato vedere suor Luisa vivere in casa da sola mentre porta avanti la sua missione.  Invece vi dirò come sia fantastico e ispirante vedere la sua energia, l’amore che emana, i suoi sorrisi.
Potrei dirvi di come gli haitiani siano un popolo difficile, con delle prospettive difficili. Invece vi dirò come, durante la messa della misericordia allo stadio nazionale, l’arcivescovo abbia ispirato la gente per un futuro migliore, un popolo che ha voglia di riscatto, che lo applaudiva con forza, che ballava, tutti assieme, cantando il “magnificat”, con un’energia tale da mettermi la pelle d’oca, scottati da un sole cocente.

Potrei dirvi di come la gente qui viva in uno stato di povertà degradante, di come alcuni ragazzi che incontro ogni giorno a Kay Chal non riescano a godere di un pasto quotidiano. Invece vi dirò di come un ragazzino di 17 anni , seppur con poche energie, seppur non sempre abbia cibo, seppur non abbia una famiglia alle spalle che lo segue, ogni pomeriggio si rechi al centro per fare l’animatore, aiutare i più piccoli, insegnar loro a fare qualche braccialetto, essere un esempio, un fratello maggiore.

Infine, potrei semplicemente concludere e  dirvi come Haiti sia un paese devastato, povero. Invece vi dirò che Haiti è un paese bello, ricco, e io sono contento di essere qui.

  Fede