mercoledì 9 ottobre 2019

Oltre le apparenze

Domani sarà il termine di presentazione delle domande per il servizio civile di quest'anno.
Io ripenso alla mia scelta di due anni fa di lasciare il lavoro a tempo indeterminato e di rischiare tutto presentando una domanda che non sapevo se sarebbe stata accolta o meno.
Ma il progetto era troppo bello per non buttarsi e rischiare tutto.
Mi ero addirittura commossa nel leggerlo pensando "è quello giusto, questo fa per me!".
il giorno della selezione di gruppo ricordo di aver inviato un messaggio a casa dicendo "niente da fare, non ce la farò mai!". I giovani candidati erano tanti, e molti con esperienze formative e lavorative incredibili alle spalle.
Mi sentivo un piccolo puntino invisibile in mezzo a tutti loro.
E invece poi ce l'ho fatta!
E' arrivato per me il tempo della partenza, con il cuore in gola e un misto di paura e felicità che mi impedivano di realizzare davvero quello che sarebbe successo di lì a poco.
Partire, restare, tornare.
Partire è emozionante: ti mette addosso il giusto mix di curiosità e di paura per l'ignoto che ti aspetta e il tutto che stai lasciando.
I primi giorni dall'altra parte del mondo sono tutti una scoperta, un'avventura, un caos di nuovi nomi, nuovi volti, nuove strade, nuovi cibi, nuovo tutto che ti travolge e ti scombussola, ma più di tutto ti affascina, ti ammalia, ti fa innamorare del "tuo" nuovo mondo.
Dopo un pò la nuvoletta rosa di zucchero filato che ricopriva tutto nel tuo immaginario si dilegua, e riesci a vedere anche le difficoltà, le sofferenze, le ingiustizie e le fatiche. C'è spazio per la rabbia, lo sconforto, il senso di solitudine, l'incomprensione,l'indignazione.
Solo il confronto e il dialogo permettono di razionalizzare, di non generalizzare, di rielaborare i vissuti e di dare a tutto un'ordine e un significato.
La fretta non aiuta ma il tempo di tornare si avvicina e ci si rende conto presto che il tempo di salutare e di fare le valige per rientrare è giunto.
Ma è solo dopo un pò di tempo che si torna alla vita di sempre che ci si rende conto di tutti i "grazie" che si sarebbero dovuti dire, per tutte le cose imparate in quell'anno incredibilmente pieno che si ha avuto il dono di vivere.
Grazie a Scheletri Nellarmadillo per aver creduto in me ancora prima che riuscissi ad imparare a farlo io.
Grazie ai miei compagni SCE, vicini e lontani, che mi hanno fatto da specchio e accompagnata in ogni momento.
Grazie alle persone che dopo qualche mese di testardaggine hanno smesso di chiamarmi "muzungu" e hanno iniziato a chiamarmi per nome.


Grazie alle Sisters e a Nicoletta che mi hanno fatto conoscere la "loro Nairobi", ma che mi hanno permesso di conoscere "la mia".
Grazie a Meshack che mi ha fatto un pò da papà.
Grazie ai ragazzi di Cafasso e della YCTC, per tutti i momenti belli e brutti trascorsi insieme.
Grazie a Simone e a Padre Maurizio, che mi hanno ricordato che un mondo nuovo è possibile, se ci crediamo e se ci impegniamo, noi in prima persona, a realizzarlo.
Grazie a chi mi ha fatta sentire " a casa" in un paese tanto lontano e diverso dal mio.
Grazie a chi a voluto incontrarmi per davvero, lasciando da parte i pregiudizi e aprendo il cuore.
Grazie a chi mi ha fatto amare, ancora una volta, l'incontro con l'Altro-da-me.
Grazie per avermi portata dentro alle vostre vite tenendomi per mano, facendomi salire in sella ai piki piki, spostandovi un pò sul matatu per farmi spazio, accompagnandomi nei negozi quando mi perdevo lasciando i vostri aperti e incustoditi, dandomi i consigli su dove recuperare un altro sacco della spazzatura durante il trasloco, accettando la mia compagnia e le mie chiacchiere senza aiuto mentre voi faticavate nei campi sotto al sole, aprendo la porta delle vostre case, trovando il coraggio di portare una straniera nelle vostre famiglie e nei vostri villaggi, mettendovi in gioco nei laboratori un pò strambi che di volta in volta proponevo, camminando accanto a me e zittendo chi mi infastidiva, fermandovi per strada ad offrirmi un passaggio quando mi avete vista stanca o nel bisogno, sorridendomi ogni volta che ci incontravamo anche se non ci conoscevamo, ripetendomi "Karibu Kenya, feel at home" anche nelle giornate in cui ero più scontrosa, chiedendomi "come stai?" ogni volta che mi vedevate stranamente silenziosa, arrostendo una pannocchia sul fuoco anche per me per farmi sedere con voi a chiacchierare in una lingua che non sono mai riuscita ad imparare, invitandomi a restare a mangiare con voi nel carcere solo per regalarci a vicenda ancora qualche pettegolezzo e qualche risata insieme.
Sicuramente l'anno di Servizio Civile che ho trascorso in Kenya non ha cambiato il mondo, nè ha salvato vite umane.
Ma ha cambiato me, profondamente.
Perchè l'incontro con ogni persona, con ogni storia, con ogni vita mi ha lasciato dentro un piccolo seme che sono certa al momento giusto saprà crescere a dovere.
Sentirsi stranieri,provare sulla propria pelle la fatica di sentirsi osservati, giudicati, controllati in ogni momento è qualcosa che tutti dovrebbero sperimentare.
Per capire com'è bello e prezioso che qualcuno poi riesca ad andare oltre al colore della tua pelle e faccia un passo verso di te per conoscerti davvero e accoglierti nella sua vita, anche se questo costa fatica.


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