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venerdì 24 giugno 2016

AAA Cercasi: CiViLtA' della TeNeReZza...

1 commento:

“C’è una bella differenza tra pacifismo e non violenza. Oggi viviamo in un sistema profondamente violento, essenzialmente violento, patriarcale e maschilista, da cui dobbiamo uscire per approdare a una civiltà della tenerezza.” Korogocho di Alex Zanotelli p.151


Una foto fa aprire un’inchiesta sulla violenza della polizia in Kenya

[articolo di Internazionale 30/5/2016]

Il 16 maggio il caposervizio della sezione fotografica dell’Associated press in Africa orientale, Ben Curtis, stava seguendo le proteste contro la commissione elettorale a Nairoibi, in Kenya, quando ha visto la polizia che picchiava i manifestanti.
Una delle immagini che ha scattato durante le proteste ha documentato la brutalità delle repressioni in maniera così evidente, che il capo della polizia è stato convocato per un’inchiesta interna. Secondo la commissione nazionale del Kenya per i diritti umani, si è trattato di abuso di violenza e violazione dei diritti umani.

La foto cha ha fatto aprire l’inchiesta sulle violenze della polizia keniana, scattata il 16 maggio 2016 a Nairobi. - Ben Curtis, Ap/AnsaLa foto cha ha fatto aprire l’inchiesta sulle violenze della polizia keniana, scattata il 16 maggio 2016 a Nairobi. - Ben Curtis, Ap/Ansa
La foto cha ha fatto aprire l’inchiesta sulle violenze della polizia keniana, scattata il 16 maggio 2016 a Nairobi. - Ben Curtis, Ap/Ansa
La foto cha ha fatto aprire l’inchiesta sulle violenze della polizia keniana, scattata il 16 maggio 2016 a Nairobi. (Ben Curtis, Ap/Ansa)
Manifestanti scappano dai lacrimogeni della polizia, durante le proteste a Nairobi, in Kenya, il 16 maggio 2016. - Ben Curtis, Ap/AnsaL’uomo della foto è stato inizialmente dichiarato morto, mentre più tardi la radio nazionale ha dato la notizia che è ancora vivo. Si tratta di Boniface Manono, 36 anni, e vive nella baraccopoli di Kibera. Manono ha raccontato di aver provato a fuggire, ma quando è inciampato i poliziotti hanno cominciato a colpirlo mentre era steso a terra. Ha ricevuto otto colpi finché il bastone si è spezzato. In quel momento sono arrivati altre due poliziotti e hanno continuato a colpirlo. Poi un agente è intervenuto e ha fermato le violenze.
Il 23 maggio i keniani sono tornati in piazza in diverse città del paese. I manifestanti, guidati dal leader dell’opposizione Raila Odinga, accusano i componenti della Independent electoral and boundaries commission (Iebc) di non essere imparziali. Odinga sostiene che la Iebc sia favorevole al presidente Uhuru Kenyatta e che non possa quindi garantire l’equità alle prossime elezioni.
Manifestanti scappano dai lacrimogeni della polizia, durante le proteste a Nairobi, in Kenya, il 16 maggio 2016. (Ben Curtis, Ap/Ansa)
Durante gli scontri in Kenya sono morte almeno tre persone. Due sono morte a Siaya, nell’ovest del paese, dove gli agenti in tenuta antisommossa hanno dichiarato di aver sparato per legittima difesa. Nella vicina Kisumu una persona è morta per un trauma cranico cadendo mentre fuggiva dai gas lacrimogeni sparati dalla polizia.


Questo è uno degli esempi di articoli di giornale riguardo notizie in Africa – Kenya -, ma ce ne sono tantissimi altri localizzati in Europa come a Parigi, Svizzera, Milano ed anche in America Latina.
Tornando alla mia breve esperienza keniota di questi primi dieci mesi, mi vengono in mente molte situazioni violente a cui ho assistito e ne sono stata parte.
Questo pensiero ha iniziato a prender piede nel mese di Marzo appena prima di partire per le vacanze in Tanzania e Zanzibar con due amiche; ho iniziato ad interrogarmi sul fare servizio: sul ricevere e sul dare gratuitamente, ma fino a quando ci si annulla? Come si fa a porre un limite al dare/darsi? Quando bisogna pensare solo a se stessi? E tante altre domande…
Arrivata a Zanzibar mi sono detta: “Basta pensieri, voglio solo farmi coccolare dal mare cristallino, dai coralli, dalla sabbia bianchissima e dal silenzio che regna!”.  
E … invece No!
Sono rimasta colpita da alcune scene piuttosto limpide di turismo sessuale (anche tra bianchi/bianche che vanno in terra africana per lavori nel sociale) e sono stata “scavallata” (termine tecnico suggerito dal fratello) della mia borsetta di ritorno al campeggio dal ristorantino di una Mama molto gentile.
Tornata a Nairobi dopo le ferie, ho incontrato un amico e ho cercato di godermi un fine-settimana di svago.
E … invece No!
Mi sono fatta spiegare il motivo del suo viaggio in Kenya e mi ha raccontato dell’ultimo rinoceronte bianco sulla terra e di come viene protetto; alla fine del suo racconto però il focus era completamente cambiato: il gruppo di guardie che protegge ogni giorno quest’animale ha ucciso a sangue freddo durante la notte un gruppo di bracconieri che aveva cercato di entrare nell’area protetta.
Qui un link piacevole e allo stesso tempo interessante da leggere:

A contrasto di tutto ciò, hanno iniziato a venirmi alcuni dubbi sull’uomo bianco, sulla colonizzazione, su come il popolo bianco ha sottomesso in maniera violenta quello nero e di come il passato si ripercuote sul presente.
A gennaio ho scritto in un post in cui raccontavo che uscendo da casa vedevo di continuo genitori che accompagnavano i propri figli a scuola, portando loro la cartella e la mattina quando ho la possibilità e voglio iniziare con carica positiva la giornata cerco di uscire alle 7.30 così da vedere questa scena.
E … Sì!
Quest’immagine rimane impressa nella mia mente e mi trasmette energia, mi stampa letteralmente un sorriso sulla faccia.
Dopo circa dieci mesi che vivo a Nairobi, o comunque nella sua periferia, è raro che mi accorga di coppie, giovani, adulti o anziani, che si tengano per mano o mostrino dei gesti di affetto in pubblico.
E … Sì!
Mi succede a volte di vedere molto più spesso due ragazzi giovani camminare mano nella mano oppure uomini adulti aprire la porta alla donna che lo accompagna o farla salire prima sul matatu. Questo mi ricorda i momenti di felicità tra le coppie della mia famiglia: le carezze tra i miei nonni, i baci tra i miei genitori e soprattutto la relazione con il mio ragazzo, che mi manca.
Insomma, molto probabilmente, non è d’usanza della cultura keniota fare regali.
E … Sì!
Io ne ho ricevuti ben due di numero!!! Il primo (la mia prima sottogonna bianca rifinita con pizzo) l’ho ricevuto come regalo a sorpresa da una Mama, ovvero dall’house-mother di Kibiko, una comunità vicino a Nairobi che ospita ex-bambini di strada provenienti dallo slum di Korogocho. Il secondo (un mazzo di 15/20 rose colorate) me lo ha donato una coppia in una stradina del centro città senza un motivo preciso.
Senza doverlo dire: ho ricevuto due regali bellissimi, è vero anche che mi accontento con poco ma è stato fantastico veramente ricevere da quasi sconosciuti un qualcosa per me stessa, anche per valorizzare il mio essere femmina e donna, cosa che a Cafasso tralascio un po’.


P.S. Era da un po’di tempo che continuavo a dirmi e a dire: devo ri-iniziare a scrivere sul blog, ma…blocco della scrittrice?!? Connessione internet?!? Poca voglia?!? Mancanza di tempo?!?…
Bah, vedetela un po’ come volete
J
Ora mi fido dei Cantieristi che in sette potranno scrivere molto più di me e Gianlu messi insieme!!!

mercoledì 24 febbraio 2016

Oltre le quattro dita...

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Oggi, venerdì 19, sono andata in centro da sola per controllare la situazione del nostro annual permit all’ufficio immigrazione e ho cercato di rilassarmi per quanto possibile su un matatu viste le tensioni che ci sono al lavoro e che indirettamente convivono nella mia sfera personale.
Ho da sempre percepito Kahawa West, quartiere di periferia dove viviamo un po’ come Baggio – quartiere di periferia dove ho sempre vissuto con i miei genitori – d’altronde senza traffico cisi mette lo stesso tempo per arrivare in centro città Nairobi/Milano: 40 minuti con il matatu/l’autobus.
Il mitico mezzo: matatu n°44 ;)
Il paesaggio è molto diverso: qui ci sono molti spazi aperti, verdi e pochi edifici alti pieni di appartamenti, non c’è la metropolitana ma c’è comunque qualche pazzo che va in bicicletta (stile Teo Bodini: con tutta l’attrezzatura da casco a scarpette adeguate, non come me!) e rischia la vita ad ogni pedalata viste le regole che vigono in strada. La mia intenzione era di leggere un libro, ma non riesco a non guardarmi intorno e vedere che, come al solito anche a Milano, sono quella che è meno profumata, curata, non truccata e indosso vestiti normali (un po’ da lavoro, forse...hehe) mentre gli uomini indossano camicia e pantaloni eleganti, le donne in tailleur come se tutti dovessero andare in ufficio, lo spero! Gli odori durante il tragitto mi ricordano quelli milanesi che si respirano in autobus: sudore di più persone accalcate tutte in uno stesso posto, gas di scarico e, a piccole dosi, qualche ondata di buon profumo che qualche donna si sarà spruzzata a casa prima di uscire.
Faccio tutto quel che devo fare in Nairobi Town, piena di gente, traffico e persone di corsa, e dedico un po’ di tempo anche a faccende personali su internet per poi riprendere il matatu per tornare in quel di Kahawa West direttamente a Cafasso per l’ora di pranzo. Ora, il mezzo di trasporto è meno pieno di gente e respiro felice in quanto so che sto tornando direttamente a Cafasso, posto che mi trasmette tranquillità e serenità il più delle volte nonostante sia nel quartiere delle prigioni: è in mezzo alla natura, non si sentono, se non raramente, il rumore del traffico e delle macchine, i ragazzi mi fanno sentire a casa! ...

Un po’ di sere fa io e Gialu ci siamo guardati un film: Patch Adams e mi ha colpito questo discorso: “Oltre le quattro dita”.
Patch guarda il bicchiere bucato del professore Arthur che sta perdendo caffè macchiando una pila di fogli; prende un adesivo che trova sulla scrivania e lo attacca al bicchiere riparandolo, questo attira l’attenzione di Arthur che, guardandolo, dice: “Quante ne vedi?” (dritto con la mano di Patch puntata verso lui)
Patch: “Sono quattro dita, Arthur…”; ma il professore ribatte:” No no no, guarda me...ti stai concentrando sul problema, se ti concentri sul problema non vedrai mai la soluzione! Mai concentrarsi sul problema, guarda me! Quante ne vedi…? Guarda oltre le tue dita...Quante ne vedi?”
Patch.:”Otto!”
Arthur: “Si si si!!! Otto è una buona risposta! Si, vedi quello che nessun altro vede, vedi quello che tutti gli altri scelgono di non vedere! Senza paura conformismo o pigrizia, vedi il mondo intero come nuovo ogni giorno”.
Il discorso mi ha aperto un po’ la visione che avevo del mio stare qui, a volte vedo solo i problemi e non anche le cose belle e positive che accadono senza tener conto del contesto e di tutte gli altri elementi variabili o meno che ci sono in questo paese con la sua cultura molto diversa da quella italiana e da quella che ero stata abituata a vivere fino a quattro mesi fa della mia vita.
Per il servizio dove stiamo prestando il nostro servizio, molti giorni ora lavoriamo molto sodo e duramente a volte senza neanche i ragazzi di fianco con cui parlare, confrontarsi, relazionarsi in quanto le cose non stanno proprio andando benissimo. A causa della mancanza di soldi e di una buona comunicazione interna tra lo staff, i ragazzi stanno peggiorando i loro comportamenti in quanto non soddisfatti del loro stare a Cafasso, i progetti necessitano cura, unione e voglia di lavorare sodo e rialzarsi di corsa se qualcosa è andato storto e, per ora, ciò non avviene.
Questo rende spesso le cose difficili e a volte frustranti in quanto, nonostante il lavoro che faccio, non riesco a vedere i risultati ma neanche a coinvolgere lo staff ad avere un atteggiamento più positivo, fiducioso e entusiasta.
Ecco che allora mi è venuta in mente anche una frase di Madre Teresa di Calcutta che un amico di Cafasso ripete spesso: “We ourselves feel that what we are doing is just a drop in the ocea. But if the drop was not in the ocean, I think the ocean would be less because of the missing drop”.

A parte piccoli momenti in cui mi demoralizzo, e penso siano normali, cerco sempre e comunque di arrivare a Cafasso ogni mattina con un sorriso, tanta energia e voglia di lavorare sodo così da cercare di trasmetterlo alla staff e farmi coinvolgere e contagiare dall’entusiasmo che i ragazzi, tramite una battuta o uno scherzo, hanno dentro di loro scambiandolo con un gesto di cura nei loro confronti: carezza, abbraccio, scherzo, battuta, sfida a braccio di ferro, cucinare insieme…
Non mancano momenti di svago e gioco insieme ai ragazzi, motivo per cui il sorriso e la speranza non possono mancare, così come la voglia di stare qui.
GreenHouse in Cafasso – Non mancano i momenti in cui, stanchi di lavorare o fare sforzi, i ragazzi si fermano un attimo e si mettono a ballare anche solo per due o tre secondi, ma serve a loro per scaricare le tensioni e poi ripartire freschi come se nulla fosse accaduto prima…che invidia!
Sala da pranzo in Cafasso – Dopo cena, il giorno in cui siamo rimasti a dormire nel servizio, abbiamo iniziato a cantare insegnando loro “Bella Ciao!” e poi abbiamo donato loro fili e perline, erano tutti felicissimi, proprio come una grande famiglia!
YCTC – Gianlu e tutti gli altri ragazzi in campo, noi osserviamo la partita e commentiamo, divertendoci. Guardate che brutte facce!!! J
Un abbraccio a tutti, belli e brutti! :) 
Ire







domenica 21 febbraio 2016

SPAMMATELO!! The new brochure is ready!

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Here we are: the new brochure is ready!!!

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martedì 12 gennaio 2016

un Anno Unico e Speciale per ME: la mia quotidianità “Cafassiana”

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Inizia un altro anno, un nuovo anno: il 2016!
Come mi ha fatto notare il mio OLP (Operatore Locale di Progetto), quest’anno non è uno qualsiasi ma è speciale per me: sto vivendo in un altro continente, con un ragazzo che fino a tre mesi fa non conoscevo neanche e sto collaborando con St. Joseph Cafasso Consolation House, servizio che ho conosciuto tramite la lettura del progetto per il Servizio Civile all’Estero ”Impronte di pace 2015”.
Ho celebrato a Nairobi la fine dell’anno 2015 e l’inizio del 2016 in un pub vicinissimo a casa nostra a Kahawa West: abbiamo aspettato la mezza notte e poi alzato in alto la bottiglia di Tusker per festeggiare insieme ai locali presenti. In quel momento non ho prestato molta attenzione al fatto ma, ripensando ora a tutte le possibilità che avevo, ho portato avanti la mia decisione di spendere questo unico anno speciale per me nel luogo in cui ho scelto di vivere questa esperienza: il Servizio Civile all’Estero.
Il presepe...

e l'albero di Natale!

















 I primi giorni qui in Kenya mi sono stati utili per riambientarmi e per iniziare con calma a riprendere il ritmo sostenuto i due mesi precedenti.
Sono rimasta molto colpita in positivo su come abbiamo ritrovato la casa: pulita, in ordine e soprattutto con poche blatte (timore che avevo, non da sottovalutare!).
Già il 1° e 2° giorno del nuovo anno siamo andati per qualche ora a Cafasso per salutare la staff ed i ragazzi e farci aggiornare un po’ sulle novità e sui cambiamenti in atto. Un elemento che mi metteva un po’ in agitazione era il cambio di house-mother che, nonostante tutto, si è rivelato positivo in quanto la nuova donna sembra gentile, disponibile ed efficiente, oltre che ciò mi ha “spinto” ad avere una relazione di intermezzo tra i ragazzi e la nuova house-mother in quanto ho una, seppur minima, maggiore esperienza nel servizio e conoscenza dei ragazzi stessi.
Lunedì 4 gennaio abbiamo iniziato a pieno ritmo i lavori a Cafasso: qualche ora ad inizio giornata (tra le 9 e le 11) in shamba a vangare affianco ai ragazzi che, nel tempo in cui io vango una parte di aiuola, loro ne fanno il triplo rivoltando molta più terra della sottoscritta; poi pausa tè o porrige e altre due orette di lavoro ancora in shamba o a tagliare l’erba per le mucche, sfruttando l’ombra della stalla, o a dipingere la nuova casa degli ospiti.
Dopo pranzo, invece, visto il caldo prepotente, cerco di stare con i ragazzi che si dividono: chi dormicchia o si riposa in stanza, chi va in classe a leggere o a disegnare e chi va sotto l’albero di mango a giocare a carte.












Sono soddisfatta in quanto mi sento più libera di condividere anche i momenti di svago con i ragazzi, di porre loro domande anche sul loro passato e di scherzare o giocare a carte con loro anche se capisco ben poco in quanto tra loro parlano Swahili. Al contempo sono contenta di me stessa in quanto mi sono rafforzata fisicamente: prima di Natale non riuscivo a finire di vangare nemmeno una linea, mentre ora a intervalli riesco a farne anche molteplici; non riuscivo neppure a tagliare l’erba con una macchina specifica invece, questa settimana, sono riuscita anche per un po’ di tempo ad usarla dando il cambio ad un ragazzo che stava morendo dal caldo e dalla fatica.

Mi sento appagata anche perché i ragazzi ultimamente vengono a chiedermi cose non solo relative alla cucina e provano a coinvolgermi maggiormente nei lavori che prima non osavano nemmeno propormi (es. tagliare l’erba con la macchina).

Così come per me, anche tutti i bambini e i ragazzi frequentanti la scuola hanno iniziato un nuovo anno scolastico.
È stato molto bello ed emozionante vedere come, sebbene la cultura di base sia differente così come le usanze, il primo giorno di scuola (lunedì 4, martedì 5 o mercoledì 6, in base alle diverse scuole) i genitori hanno accompagnato i propri figli a scuola. L’immagine che ho davanti agli occhi è di mamme e/o papà che camminano sulla stradina sterrata all’interno del Kamiti compound con in spalla la cartella/zainetto del proprio figlio e lo accompagnano tenendolo per mano così da condividere questo importante momento per loro. Mi sono venuti in mente i miei primi giorni di scuola, così come il mio primo giorno a Cafasso.
Qui in Kenya, il sistema scolastico è differente dal nostro per cui l’anno scolastico inizia nel mese di gennaio per poi terminare nel mese di novembre dello stesso anno con lo svolgimento di una prova d’esame, qualora si debba passare dalla scuola di primo a quella di secondo grado o all’high-school o si cambi concretamente scuola. Gli studenti hanno una pausa di una settimana ogni tre mesi, quindi a marzo, giugno e settembre e le nostre “vacanze estive” corrispondono al periodo tra metà/fine novembre a inizio/metà gennaio. Per ultimo, ma non meno importante, e che ci ha piuttosto spiazzato è il fatto che gli esiti degli esami vengono fatti pervenire agli studenti, anche universitari, dopo circa tre mesi dalla data effettiva dell’esame quindi lo scolaro se deve passare di grado scolastico ha solo qualche settimana per decidere in quale scuola andare poi o se deve ridare l’esame stesso dopo qualche mese o l’anno successivo.
Un abbraccio, 
Ire




P.S. Pitturando qualcuno è diventato più bianco di noi!!! J


sabato 5 dicembre 2015

I discorsi di due grandi

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Il Pontefice e Il Fundi: come parlare ai giovani
The Holy Father, His Holiness Pope Francis – il Pontefice – è venuto anche qui in Kenya dal 25 al 27 novembre ed anche i servizio civilisti presenti nel paese sono andati a sentirlo!!!
Venerdì 27 novembre ci alziamo di buona mattina, sebbene il discorso sia alle 10.00 e lo Stadio sia a soli 20 minuti di matatu da casa nostra: si prospetta un delirio nello stadio stesso e per strada. Fatto sta che alle 6.30 prendiamo il matatu ed effettivamente ci sediamo alle 9 dopo una serie di code e controlli, quindi la nostra previdenza è stata ricompensata.
Al contrario di ieri alla messa in Università, il Papa ritarda un pochino e prendiamo qualche goccia di pioggia, poi il cielo si apre ed esce fuori un sole bello caldo. L’atmosfera però è già calda, solare, gioiosa, armoniosa, felice di per sé: c’è musica; un uomo incita la folla in Kiswahili e ci si scalda facendo una serie di “ole” che partono da una parte dello stadio fino all’altra, da brividi sulla schiena per il perfetto coordinamento!
E, finalmente, il Pontefice arriva: mani in alto, folla in delirio… Dopo poco Papa Francesco inizia il suo discorso conciso, breve e verso mezzogiorno guarda l’orologio chiedendo a noi giovani se abbiamo fame perché è quasi ora di pranzo e quindi a breve concluderà il ragionamento.
Quello che più mi ha colpita dal discorso di Francesco è stata la sua chiarezza e trasparenza riguardo il tema della corruzione e del creare relazioni vere, concrete, di vicinanza.
La corruzione è ovunque anche in Vaticano; è qualcosa che mangia da dentro e le persone corrotte non vivono la loro vita in pace. [..] La corruzione non è un cammino di vita ma un cammino di morte. […] La corruzione è come zucchero, dolce, facile; ti piace, è ovunque ma alla fine ti rovina da dentro come il diabete e così anche il paese diventa diabetico”.
Questi sono alcuni appunti che ho preso direttamente allo Stadio Kasarani, confrontati con quanto scritto nel giornale settimanale The EastAfrican (November 28 – December 4, 2015).
E poi il Papa continua dicendo che le espressioni facciali, le parole, i sorrisi servono per comunicare anche con i bisognosi e le persone non accettate dalla società. Si sofferma sui giovani e sui bambini, così come sugli anziani, dicendo che ciascuno deve fare tutto in suo potere per difendere la famiglia e “Se non ricevi amore, dona amore; se sei da solo, cerca gli altri”.
Ecco che allora conclude chiedendo a noi giovani di prenderci per mano, tutti insieme, perché “Noi siamo tutti una nazione, e così è come i nostri cuori dovrebbero essere”.






Venerdì 4 dicembre, giorno come tutti gli altri, unica eccezione è che oggi si cercherà di portare a termine la costruzione della nuova stalla a Cafasso.
La campana che avvisa che il pranzo è pronto suona alle 12.30, ma nessuno dei ragazzi, contrariamente al solito, si muove dalla posizione in cui è: i ragazzi, i fundi (esperti/tecnici), Gianluca, Felix sono tutti a lavorare sotto la stalla cercando di sollevarla di circa un metro, un metro e mezzo dalla posizione di partenza. Non vedendo arrivare nessuno anche noi donne (House-mother, sister, Angeline ed io) e dopo aver preparato i piatti, ci rechiamo anche noi alla stalla per osservare il lavoro: tutti concentrati, ciascuno al proprio posto, un vero e proprio gioco di squadra perfetto.
Circa un’ora dopo, quando tutta la costruzione è messa a norma, il capo fundi comunica ai ragazzi che ora si può correre a mangiare in quanto molto affamati, ma che nessuno dovrà lasciare la sala da pranzo prima che lui dica alcune cose. La curiosità nasce in tutti, ma vince la fame: tutti di corsa in sala da pranzo!
Ecco che Waboni, così è il nome del capo fundi, esce dalla stanza da pranzo e vi ritorna con due casse: una piena di pane e l’altra di bibite in completo silenzio, la suspance e l’interesse aumenta.







Passa tra i ragazzi un foglio bianco con al centro un piccolo pallino nero e Waboni ci interpella chiedendoci cosa vediamo e rispondiamo: “Un pallino nero disegnato su un foglio bianco”.
Ecco che il fundi inizia, quasi come un grande saggio, a parlare: abbiamo visto e dedicato attenzione tutti subito al punto nero e il foglio bianco è stato tralasciato in secondo piano; questo è un po’ un paragone della nostra vita poiché la vita è come se fosse il foglio bianco pieno di esperienze da fare e vivere ma noi ci soffermiamo la maggior parte sui punti neri, ovvero quelle delusioni, quelle preoccupazioni e quelle difficoltà che ci preoccupano.
Quindi, tornando al foglio, i punti neri sono una parte insignificante del foglio ma questi occupano la maggior parte dei nostri pensieri quotidianamente, lasciando poco spazio ai momenti positivi; ci ha invitato quindi a dedicare maggior attenzione e cogliere prevalentemente il bianco rispetto al nero, le risorse degli altri in questo caso rispetto alle loro mancanze.













Poi Waboni ci ha mostrato un coperchio pieno di fango e ha chiesto cosa vedevamo, la risposta ovvia di tutti è stata: “Solo del fango”; invece muovendo il fango c’era al di sotto un pezzo di carta che sembrava un semplice foglio con delle scritte sopra ma, lavandolo con acqua, in realtà era una banconota. Ciò a significare che se non poniamo attenzione nelle e alle cose non ci accorgiamo nemmeno del loro valore e di come in fretta, solo con del fango, le cose stesse possono cambiare valore se non valorizzate.
La reazione dei ragazzi è stata di grande ed immensa sorpresa alla fine e di ascolto completo durante tutto il discorso del fundi!


Un abbraccio a tutti,
prestissimo ci si rivede!

Ire


lunedì 16 novembre 2015

Scambio culinario, “Mambo!”, Matrimonio, Parigi, Flora Hostel: via libera ai pensieri!

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Scrivo con calma, un po’ in ritardo rispetto a quanto mi ero prefissata ma siamo pieni di impegni.
Scrivo da casa, da sola, in quanto il piccolo uomo è andato a tastare il terreno a Nyeri, cittadina ai piedi del monte Kenya, e scrivo soprattutto dopo una colazione spaziale che mi sono cucinata con successo: Mandazi (triangoli fatti di farina, lievito, sale, zucchero e acqua e poi fritti)!...MmMmMm, buoni!
Per continuare con l’argomento…Appuntamento fisso per me a partire dalla scorsa settimana, o addirittura da quella prima, è di scopo culinario: un pomeriggio a settimana “organizzo” uno scambio culinario nella nostra cucina tra me e le due ragazze volontarie di Cafasso. Come chi mi conosce bene, mangiare cose strane, assaggiare e provare a cucinarle per me è veramente un’emozione! E così compro gli ingredienti che servono e poi ci si trova nella nostra casetta per un the (immancabile quando si invita qualcuno a casa qui in Kenya) con biscotti e poi si cucina! Fino ad ora lo scambio è stato un po’ ineguale: ho insegnato loro a fare il budino ed invece loro chapati, samosa e mandazi con grande successo!
È una cosa che mi dà molta soddisfazione cucinare e condividere le tradizioni in questo campo e questa settimana una delle due ragazze – Angeline – si è anche fermata a cena!
Chapati in arrivo...


Samosa di carne e di verdura, salame e grana! :)






















Colazione da signora: Mandazi
Cena con l'ospite d'onore!
















Tutte le mattine camminiamo su stradine sempre più infangate e tante volte sono mezza addormentata e parlicchio con Gialu. Un episodio che ci ha fatto ridere molto e ha dato un risvolto positivo alla giornata è accaduto la scorsa settimana in cui, sulla strada per Cafasso già in Kamiti, parlavamo di Rambo (non ricordo esattamente il motivo, presumo per il fatto di arrivare al lavoro già sporchi) e proprio mentre pronunciavo la parola “Rambo”, è passata una ragazza piuttosto carina e ha risposto “Poa!”…Io e Gianlu ci siamo trattenuti dal ridere subito in seguito alla risposta della ragazza in quanto, in realtà, qui tra i giovani e informalmente il saluto maggiormente diffuso è: “Mambo!”, “Poa!”.
Questo episodio è un po’ per dire che ci stiamo rendendo conto che forse, forse necessitiamo di un corso/qualche lezione di Swahili in quanto da soli o comunque solo parlando con i ragazzi in Cafasso non è abbastanza: ci dimentichiamo subito le parole che ci dicono se non le scriviamo e le parole in sé sono difficili!
Speriamo di trovare e iniziare ancora prima del rientro in Italia a sperimentarci un po’, tornando magari in un’aula dietro a dei banchi, ahah…
Peccato che il desiderio da parte di entrambi sia quello di conoscere sempre meglio il posto dove siamo “capitati” e di stare a contatto con le persone!
Via vicino a casa nostra


Campo da basket nella casa degli street children -
Ass. Papa Giovanni 23°



Sabato 14 siamo andati al nostro primo matrimonio qui in Kenya invitati con tanto di partecipazione piuttosto trash da una ragazza, figlia di una ufficiale nella prigione. Partecipiamo contenti di vivere questo momento meno formale con i ragazzi; ma, quando mi sveglio, piove tantissimo tanto che solo per arrivare a Cafasso ho le rane dentro le scarpe e l’acqua ha anche quasi trapassato l’impermeabilità della giacca a vento! Grazie al cielo incontriamo una volontaria che con la macchina ci dà uno strappo fino alla chiesa e, dopo la celebrazione, si va tutti e 11 con una macchina da 5 al ricevimento, che ridere!!! Arrivati lì mangiamo non molto ma ci divertiamo ad imitare i ragazzi e gli altri invitati a ballare e facciamo alcune foto…Ah, la preparazione per il matrimonio consiste nell’esserci fatti fare entrambi su misura degli abiti tipici ed io ho anche chiesto ai ragazzi di tagliarmi i capelli con un esito molto positivo!!!
I due sposi...
Il gruppo di rappresentanza di Cafasso al matrimonio!!!






Al ricevimento incontriamo anche le due volontarie austriache che vengono da due settimane ogni lunedì a Cafasso ma solo per un mese e ci dicono se sappiamo qualcosa di quanto è accaduto a Parigi. Dopo il loro racconto rimaniamo basiti e quando siamo a casa ci colleghiamo subito per leggere alcuni stralci di notizia. Leggo l’articolo di Repubblica dal cellulare, tutto d’un fiato, facendo scorrere il dito sullo schermo e a volte mi blocco perché non escono le parole; finito l’articolo rimaniamo due o tre minuti in silenzio, fermi, immobili.
Spaventati? Preoccupati? Perplessi? Confusi? Sinceramente, non so da un nome a quell’insieme di emozioni provate in quegli istanti. Cosa sta succedendo nel mondo non so spiegarlo, ma sto osservando sempre più come è difficile stare insieme alle persone senza litigare: esempio lampante è Cafasso, dove 15/20 adolescenti di provenienza diversa vivono sotto lo stesso tetto ed è normale che a volte ci siano screzi e litigi. Ma come si fa ad arrivare a così tanto? Beirut, Parigi a distanza di soli pochi giorni!...
 
Kahawa West - nostro quartiere - vista dall'interno di Kamiti Prison
Ieri, domenica 15 novembre, ci troviamo presto con i ragazzi di Cafasso per andare al Flora Hostel, sede delle Suore della Consolata, per incontrare i giovani della parrocchia con cui il servizio è praticamente “gemellato”. Ci spostiamo noleggiando un matatu tutto per noi in quanto lo riempiamo ed i ragazzi aprono istintivamente tutti i finestrini: forse per la curiosità di vedere meglio cosa c’è fuori da Kamiti, io invece apprezzo la brezza che entra e la musica che si diffonde contagiando l’atmosfera di serenità e tranquillità.
È stata una giornata molto piacevole, sebbene lunga, vissuta in mezzo ai ragazzi cantando canzoni in swahili nel coro durante la messa, ballando con loro durante le prove per i balli della celebrazione, giocando a mimi e ad interpretare scenette, presentandomi per la prima volta completamente in lingua e condividendo con loro l’intera giornata.
Ho potuto percepire alcune volte un senso di inadeguatezza che provavano, in quanto si avvertiva una certa distanza nonostante la fascia d’età simile: il solo modo di vestire, gli oggetti posseduti (macchina fotografica, occhiali da sole, …).

Prove dei canti prima della messa al Flora Hostel
Recita del poem di Cafasso al Flora Hostel





















Tutaonana! (= A presto!)
Un abbraccio a tutti,

Ire