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domenica 25 dicembre 2011

Krismasi Njema!

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KRISMASI NJEMA!
noi qui ci apprestiamo a festeggiare alla maniera Kenyana, che poi tanto diversa da quella italiana non è....

venerdì 16 dicembre 2011

TUKO PAMOJA DAY

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Abbiamo voluto questo giorno come nostra ultima occasione di organizzare qualcosa di grande, un segno di ciò che abbiamo fatto quest'anno e un ricordo a coloro che non ci vedranno più tra pochi giorni. 
Abbiamo discusso, contrattato, ricontrattato, riricontrattato perchè tutto venisse come lo volevamo. 
Abbiamo voluto che tutti fossero trattati come ospiti, anche se prigionieri in un carcere, girando in tondo tutto il giorno nel tentativo di regalare un sorriso a tutti i presenti.
Abbiamo servito buon cibo e sode.
Abbiamo proposto intrattenimenti: danze, acrobati, speeches.
Abbiamo giocato (ahimè, le nostre squadre hanno perso) e fatto da allenatori (ahimè, le nostre squadre hanno perso).


E' stata la nostra festa, uno degli ultimi regali ai ragazzi della Cafasso, che amano giocare e raramente hanno la possibilità di organizzare e partecipare a eventi simili.
Un regalo anche per i ragazzi del YCTC, che hanno accompagnato questo nostro anno e che a cui sono affezionata quanto i ragazzi della comunità.
Un regalo anche ai prigionieri della Medium Prison, che indirettamente hanno partecipato a questa esperienza, incontrati tutti i giorni in giro per il compound, salutati come amici e vicini.


Tutti si sono divertiti, tutti hanno apprezzato il nostro gesto. Oggi ci hanno persino fatto entrare in Maximum prison senza controlli e permessi, perchè noi siamo quelli che hanno organizzato il torneo. 


Quindi, una volta tanto, caro Lele, ci faccio un applauso per quello che siamo riusciti a fare e per i risultati ottenuti, ora che raccogliamo i frutti del nostro duro lavoro. Una volta tanto non ti prendo in giro e metto solo una nostra bella foto insieme! (una delle poche)


martedì 13 dicembre 2011

HUMAN RIGHTS DAY 10-12-2011

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Abbiamo passato la giornata mondiale per i diritti umani nel carcere di media sicurezza di Kamiti (pene intorno ai 5/6 anni), cercando di organizzare un sabato più...umano. Abbiamo chiamato la giornata TUKO PAMOJA DAY, che in swahili significa "TUTTI INSIEME"...



lunedì 7 novembre 2011

Ora vi racconto una storia

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Torno a casa, Anna da camera sua grida: “ Hey Eli, guarda il computer, parlano di casini a Genova”. In trenta secondi la sacca del compuer e’ a terra, cosi’ come giacca e borsa, e subito mi sintonizzo sul sito del Secolo XIX, primo quotidiano cittadino.


Non ci vuole molto a capire: il Bisagno e’ esondato, ora sembra cosi’ chiaro che sarebbe successo.



Parlano di quattro vittime, una sembra avere 15 anni..tremo, non posso non pensare a mia sorella; ma ecco un video: quella e’ casa di mia zia.. chiamo, il cellulare non prende, allora provo a casa. Il primo tentativo va a vuoto (lo “Tsunami” ora e’ nella mia testa), ritento e finalmente una voce tentennante: “Etta sto bene, me la sono scampata per un pelo”.

Le vittime non hanno ancora nome, ma già sai che con ogni probabilità qualcuna la conoscerai, ed effettivamente è così.



L’impotenza che provi è pari ai chilometri che ti separano dai tuoi luoghi, ma quel pandemonio lo stai osservando in direttissima, perchè i registi sono le stesse persone che si trovano al centro del ciclone: guardano attoniti lo sfacelo dietro gli schermi dei loro cellulari. Nessun filtro, quella è realtà e quasi sorrido sentendo quel burbero accento che ora mi suona tanto familiare, quanto buffo.


Una realta’ mediatica, che ti accorgi diventare concreta quando in quadro ci sono le starde che hai sempre calpestato. Come un “aforismo”, le immagini mediatiche, sono verita’ dette in brevi spezzoni .


Chi avrebbe mai pensato che “la superba”: citta’ dal clima mite, dove le genti dell’estremo nord venivano a trascorrere gli inverni ; si stia ora trasformando in una Thailandia mediterranea, dal clima monsonico.


Anni di incurie in luoghi dove gia’ da principio non si sarebbe dovuto costruire e eventi climitaci straordinari , sono la cattiva ricetta di questi giori trascorsi fra rabbia ed incredulita’.


Bollettini ufficiali che indicano “allerta 2”, ma cosa significa? in molti se lo sono chiesti, perche’ oggi la situazione, e non di Genova solamente, e’ da massima allerta. Gli indicatori del passato sono incoerenti rispetto le nuove circostanze che ci troviamo a vivere.


Ora vorrei essere a casa mia, stivali da pioggi e pala in mano, ad aiutare i miei amici e quelli che lo diventerebbero, fra un metro e mezzo di fango e due etti di focaccia.


Quando ho pensato a questo post, il mio scopo era quello di scrivere riguardo al sentore che proviamo davanti alle diverse immagini ..rileggendo mi accorgo di essere uscita fuori tema, o semplicemente di essere andata oltre, perche’ la "veduta da fuori" e' possibile solo per chi si sente distante.



" Se gli architetti che hanno costruito Genova avessero avuto spazio, se avessero potuto abbandonarsi alla fantasia e senza ostacoli ai loro capricci, non avrebbero potuto trovare le infinite risorse e la multipla varietà di motivi, di disegni e disposizioni ai quali la facciata dei loro palazzi deve un’originalità di carattere, e che introduce in ogni anfratto l’inatteso della grandezza"







Louis Enault

lunedì 24 ottobre 2011

Siamo passati di lì due giorni fa...

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Kenya, meta turistica privilegiata, paese dell'Africa subsahariana stabile politicamente ed economicamente, punto di riferimento per l'Unione Africana e per i paesi confinanti, paese per il dialogo, mai sceso in campo con le armi: nelle ultime due settimane tutto questo viene messo in discussione.
Il problema del Kenya è la Somalia: la Somalia non ha un vero governo dal 1991, ma un agglomerato di regioni controllate dai signori della guerra o da corti islamiche, e il governo transitorio (istituito nel 2004) non controlla neanche Mogadisho. La capitale e il sud del paese sono controllati infatti da un gruppo di fondamentalisti islamici chiamati Al Shabaab, affiliati ad Al Quaeda. Le numerose incursioni dei terroristi nel territorio keniano mettono in crisi per l'ultima volta la celeberrima diplomazia dei vicini il mese scorso: due operatrici spagnole di Medici Senza Frontiere vengono rapite a Daadab, il campo profughi più grande del mondo, mentre altre due turiste europee vengono rapite su un'isola paradiso del turismo ("X"rossa nella foto), e il marito di una delle due viene ucciso. Il 16 ottobre le truppe keniane penetrano nel territorio somalo (freccia rossa nella foto). Due giorni dopo il Daily Nation (testata kenyana) scrive che i rapimenti hanno portato un “ major blow to the tourism industry “, il Kenya che “safley host tourists and one of the world's largest aid communities” ha secondo le ambascerie occidentali il diritto di perseguire i rapitori, ed al tempo stesso la coscienza che ciò farà del paese un obiettivo dei terroristi...
“Non entrate nel nostro territorio, voi avete grattacieli e ricchezza, noi caos, vi colpiremo nel cuore dei vostri interessi”:questa la minaccia di uno dei portavoce di Al Shabaab. Detto fatto: tra domenica e lunedì due granate sono state lanciate sulla folla a Nairobi, una in un pub, una alla stazione dei pullman ( foto sotto), causando 32 feriti ed un morto. Gli Usa stanno appoggiando logisticamente il Kenya in questa sfida, non si sa quanto pianificata, al terrorismo, e avevano previsto gli attacchi: ora la polizia keniana ha diramato tramite sms i nomi dei luoghi più “caldi”: vie, ristoranti, pub, una decina in tutto. I due attentati non sono ancora stati rivendicati, e a dire il vero anche l'anno scorso dei lanci di granate analoghi si sono verificati a Nairobi, ma forse la prima discesa in campo dell'esercito keniano ha sortito delle conseguenze che non erano state previste, addirittura oggi l'Igad (organizzazione politica commerciale dei paesi del corno d'Africa) ipotizza lo spostamento dei rifugiati di Daadab (500.000 somali) in altri stati, perchè la situazione non è più sicura...

Siamo passati di lì due giorni fa...

martedì 18 ottobre 2011

In una stanza sconosciuta

2 commenti:


C’è sempre un momento in cui un
viaggio comincia davvero. A volte capita quando si esce di casa, ma altre volte
è molto lontano da lì.

Tre storie, tre racconti, tre momenti diversi della vita della stessa persona. L’amicizia, l’amore, la morte. Le tappe fondamentali della crescita di un uomo vissute e raccontate attraverso il viaggio.
In “In una stanza sconosciuta” il viaggio non è strumento di conoscenza dell’altro che si visita, che si percorre, che si incontra, ma è soprattutto conoscenza di sé proprio grazie all’incontro con altri esseri umani. Le descrizioni dei paesaggi, delle culture e delle società che il protagonista incontra percorrendo diversi paesi (Zimbabwe, Inghilterra, Svizzera, India) sono del tutto assenti: uno sfondo sfuocato sul quale invece si tratteggia con cura e precisione la descrizione dei rapporti e delle relazioni. Molto dell’esperienza che il protagonista fa nel corso dei suoi tre viaggi è conseguenza diretta della relazione che egli instaura con i compagni di viaggio che per caso o per scelta lo accompagnano. La ricchezza del libro sta proprio nell’analisi dei rapporti umani, nello studio delle reazioni del protagonista di fronte ai personaggi che gli ruotano attorno. È infatti il confronto con i suoi compagni di viaggio che gli permette di studiarsi, di interrogarsi e di conoscersi.
Raccontando tre viaggi diversi in tre momenti cronologicamente diversi si narra l’evoluzione e la crescita sofferta di un giovane ragazzo, che viaggiando si fa uomo.
Il viaggio detiene, nel bene e nel male, un potere catartico al quale il protagonista non rinuncia neppure quando è diventato ormai adulto. Gli permette di situarsi in uno spazio diverso da quello della quotidianità, uno spazio nel quale l’intensità dei momenti che vive gli garantisce la lucidità necessaria per analizzarsi.
Allo sconosciuto incontrato su un treno e all’ignoto che accoglie entrando nelle caotiche strade di una città africana è lasciato il compito di stimolare e di intensificare l’esistenza. Gli incontri che il protagonista fa durante i suoi tre viaggi spesso si rivelano più significativi del paese che sta
attraversando.
Non ci troviamo, infatti, di fronte a un racconto di viaggio, alla descrizione di un universo altro dal nostro. Bensì ci troviamo di fronte all’evoluzione di uno stesso uomo che, prima “seguace”, poi “amante” e infine “guardiano”, definisce se stesso e si confronta con i suoi limiti, i suoi fallimenti e le sue delusioni. Il passaggio continuo dalla prima alla terza persona si rivela efficace per rendere il lettore partecipe del dislocamento vissuto dal protagonista. Un dislocamento che non è appunto solo geografico, ma soprattutto interiore. Come se, nei momenti di disequilibrio e di perdita di punti di riferimento, al viaggio e a tutto ciò che il viaggio racchiude in sé venisse affidato il compito di ristabilire un ordine. Il protagonista sente l’esigenza di partire e di rimettersi sulla strada come un imperativo che, per quanto doloroso e terrorizzante, rappresenta l’unico modo di confrontarsi a fondo con se stesso grazie all’intensità e all’energia regalate dall’esperienza del viaggio.


A me non piace lasciare la strada, accentua la sensazione di vulnerabilità. induce una specie di ansia primoridiale. Ma questo è anche uno degli elementi più irresistibili di un viaggio, il senso di terrore che soggiace a tutto, che rende più intense e acute le sensazioni, il mondo è carico di un'energia che nella vita normale non ha.

Olivia

http://www.caritas.it/10/donazioni/formdona.asp?dnid=357

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lunedì 17 ottobre 2011

Vita

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"Vita" in kiswahili vuol dire "Guerra". E anche se ancora di guerra non si può parlare, questo è ciò che la gente pensa di ciò che sta accadendo in questi giorni in Kenya.

Nelle ultime settimane a Lamu è stato ucciso un inglese e rapita la moglie, dopo pochi giorni un francese è scomparso nell'isola di fronte. Questa settimana due donne spagnole sono state rapite poco lontane dal campo profughi di Dadaab, dove lavoravano per Medici senza frontiere. Negli ultimi mesi, passati inosservati dalla stampa, altri civili kenyani e due militari sono stati rapiti.

Queste azioni sono a carico di una cellula di Al-Qaeda chiamata Al-Shabaab.


L'esercito Kenyano è entrato nel territorio Somalo per 100 km alla ricerca dei rapiti e degli estremisti di Al-Shabaab , per garantire una "zona tampone" e evitare ulteriori attacchi sul territorio kenyano. L'aeronautica e la marina militare sono pronte ad intervenire in caso di bisogno.

Il ministro della sicurezza ha dichiarato: "Non si può più tollerare questa situazione e ciò vuol dire che d'ora i poi dovremo perseguire i nostri nemici, ossia gli islamisti somali shebab, ovunque essi siano, anche nel loro Paese"

La risposta di Al-Shabaab non si è fatta attendere: la vita di migliaia di kenyani sarà in pericolo se il governo continuerà questa azione militare sul territorio somalo. ''Il Kenya ha violato i diritti territoriali della Somalia entrando nella nostra terra santa, ma vi assicuro che se ne andranno delusi. I combattenti li obbligheranno ad affrontare la prova delle pallottole'', ha detto ai giornalisti un capo shabaab Sheikh Hassan Turki

Non so se i telegiornali italiani ne parlano, ma se qualcuno fosse interessato, questo è il sito del Daily Nation.

http://www.nation.co.ke/News/politics/-/1064/1256998/-/item/0/-/adyjpxz/-/index.html

lunedì 10 ottobre 2011

Una strada che divide la Bolivia

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Da ormai due mesi è cominciata la marcia delle popolazioni indigene contro la strada che dovrebbe attraversare il TIPNIS (Territorio Indigeno Parque Nacional Isiboro Sécure), la maggior riserva ecologica della Bolivia, abitata da 50.000 persone. Il parco è minacciato dalla costruzione di oltre 300 km di autostrada che spaccheranno in due questa zona dell’Amazzonia boliviana, imponendo l’abbattimento di circa mezzo milione di alberi.

Gli scontri sono stati molto forti e la polizia è arrivata a bloccare la marcia il 25 di settembre così che il malcontento nei confronti di Morales è aumentato ancora di più: le popolazioni indigene non si sentono più rappresentate e questa iniziativa ha finalmente fatto cadere la maschera ambientalista e indigenista del presindente. Circa mille dei dimostranti sono stati fermati e dispersi violentemente con gas lacrimogeni e cariche della polizia nonostante fosse una marcia pacifica e tra i dimostranti ci fossero anche bambini e donne incinte.


già ma quali gli interessi in gioco???



L’autostrada fa parte di un progetto internazionale che prevede di collegare la costa est dell’America Latina con l’Oceano Pacifico; i nativi non chiedono la sospensione dell’opera, ma che venga rivisto il tracciato in modo che non venga tagliato a metà il loro territorio, ma che la strada lo tocchi solo in periferia.

Dall’altra parte, a favore della costruzione dell’autostrada ci sono ovviamente pesanti interessi economici, del Brasile in primis. Il Brasile in particolare sostiene l’opera con l’80% dell’investimento , in quanto ha bisogno di uno sbocco sull’Oceano Pacifico per esportare i propri prodotti verso i mercati dell’est asiatico, per non parlare dei coltivatori e trafficanti di cocaina che avrebbero un’importante e comoda via di comunicazione per i loro commerci.

Il presidente Morales ha riassunto il tutto dicendo che sarà una opportunità di sviluppo per la regione e per tutta la Bolivia, tralasciando di parlare delle pressioni economiche esercitate dal Brasile.


I manifestanti chiedono che venga rispettata la costituzione che lo stesso Morales ha promulgato: ogni azione sul territorio della foresta pluviale deve essere presa solo dopo la consultazione con le popolazioni locali. Sotto pressione e dopo le dimissioni di due ministri del suo governo in seguito alla violenza della polizia nel bloccare i manifestanti, il presidente ha momentaneamente bloccato il progetto nell’attesa che si calmino le polemiche, anche se il primo tratto è già in fase di costruzione.

Il 12 di ottobre i manifestanti dovrebbero arrivare a La Paz, in giorni in cui tra l’altro è proibito manifestare, a causa delle elezioni per eleggere i membri della magistratura (in cui tutti i candidati appartengono al MAS, il partito di Morales!).

Le tensioni sono forti…e le preoccupazioni di Morales adesso ancora di più!

Corso di sopravvivenza casalinga

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Ebbene si, nuovi volontari arriveranno dopo di noi, a febbraio. Allora pensavo, ma in formazione, non è possibile organizzare dei corsi di sopravvivenza casalinga?


Qui siamo stati senza acqua per giorni, ma al catino per lavarci ci siamo abituati. Tutto sommato è più comodo della doccia che ci da la scossa ogni volta che cerchiamo di mettere l'acqua calda.








Però siamo senza acqua, e i piatti si accumulano nel lavandino. Si, riempiamo le taniche di acqua dalla parrocchia, ma ad un certo punto bisogna fare una scelta: uso l'acqua per lavare noi stessi o i piatti? 

Naturalmente scegliamo di essere almeno presentabili e attendiamo pazienti il ritorno dell'acqua. 
Che poi ancora non ho capito per quale strana invenzione inglese, l'acqua del bagno arriva da... non lo sappiamo, sta di fatto che abbiamo una tanica sotto il soffitto, e quanto si sente il tin-tin sul metallo urliamo "maji!!!" e speriamo che duri almeno due giorni.
Mentre l'acqua della cucina arriva da una fonte ancora più sconosciuta: o c'è o non c'è. Sta di fatto che non sempre cucina e bagno sono riforniti allo stesso tempo.

Poi per qualche giorno l'acqua torna, uno si decide a lavare i vestiti, tutti quelli rimasti indietro da giorni per evitare sprechi. E naturalmente, come ormai sappiamo la legge di Murphy ogni tanto ci azzecca, piove. Al che la scelta è:
1- lascio tutto sotto la pioggia, tanto bagnati per bagnati
2- tiro i fili in casa e spero paziente che in una settimana tutto asciughi.

Soggiorno
camera mia

Settimana scorsa per forza di cose ho optato per la prima opzione, ma i vestiti inzuppati, tra cui mutande e lenzuola, di pioggia non sono un gran che. Questa settimana abbiamo deciso ancora una volta per le maniere forti, trasformando casa nostra in una lavanderia...



lunedì 3 ottobre 2011

Paese che vai, animale che trovi...

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Si dice che la Moldova sia il paese delle cicogne: in primavera, infatti, i villaggi sono pieni di nidi, c’è chi pratica il birdwatching, le leggende narrano che se si vede una coppia di questo animale appollaiata sul nido ci si sposi entro l’anno.
Molte case vinicole riportano sulla bottiglia il disegno di una cicogna che porta nel becco un grappolo d’uva; vi è perfino un tipo di cognac chiamato “la cicogna bianca”.

Quando però si tratta di portare i bebè nel becco, le cicogne moldave non se la passano molto bene, e la loro vita ricorda un po’ il corto della Pixar. Con l’aggiunta che qui, spesso, non vi è il lieto fine.
Si stima infatti che annualmente vengano abbandonati 400 bambini sotto i 6 anni, e che a fronte dei circa 40 000 bambini nati nel 2009, siano stati effettuati più di 14 500 aborti legali.

Diaconia, in collaborazione con Caritas Ambrosiana, ha recentemente aperto il centro maternale “In braccio alla mamma”. Il centro, in un paese dove 1 donna su 3 subisce violenza in famiglia, si preoccupa di accogliere ragazze sole con i loro bambini, insegnando loro come gestire il rapporto con il figlio e cercando di inserirle nel mondo lavorativo. Attualmente, tra le ospiti, vi è una ragazza di 16 anni. Rimasta incinta in seguito ad abuso, è stata abbandonata dalla famiglia per vergogna.

Oggi è nata la sua bambina. In bocca al lupo a lei, alla sua mamma ed al neo-nato centro maternale. Non alle cicogne!

sabato 1 ottobre 2011

Kenya (che fantasia che ho, nè?)

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Questo è il Kenya, in pochi chilometri il paesaggio cambia completamente...
Lamu con le sue spiaggie e le sue barche a vela...

Lamu con il suo paesino medievale e i suoi asinelli

Malindi e il suo mare dalle spiaggie bianche

La depressione di Marafa, vicino a Malindi, chiamata La cucina del diavolo

Maralal e il suo paesaggio da copertina

Maralal e i suoi campi interminabili

Nairobi, la capitale, che si allarga sempre di più a nord, ma lascia intatto un parco nazionale a sud
Tamugh, villaggio Pokot, immerso nelle montagne e di cui ho parlato in un vecchio post...

lunedì 26 settembre 2011

Lossapevate???

3 commenti:

Già, come diceva Vulvia, l'immortale presentatrice di Rieducational Channel interpretata dal grande Corrado Guzzanti, Lossapevate???

I luoghi comuni si sa, abbondano sempre, e quindi sono poco utili eventuali commenti a questo post che sciorinino frasi fatte del tipo gli esami non finiscono mai, non si finisce mai di imparare, le lingue sono importanti e via dicendo.

Già, proprio le lingue. Effettivamente nell'era della comunicazione globale, di internet e dei viaggi istantanei c'è il rischio, come diceva Totò, che le lingue si ingarbuglino. Per questo è importante studiare l'inglese, che molti dicono è il latino della nostra epoca, ma anche le altre lingue post-coloniali come francese e spagnolo, o quelle più esotiche come arabo, russo, cinese, giapponese e chi più ne ha più ne metta.

Prima di tutto ciò però, vi consiglio di andare a rivedere l'italiano, adesso che io lo devo fare per preparare le lezioni della lingua di Dante qui in Giordania come parte del mio Servizio Civile. E quali incredibili segreti che si scoprono, regole grammaticali di cui ignoravo totalmente l'esistenza, e che infatti spesso violavo con la stessa sistematicità con cui i nostri governanti violano i codici della giustizia e del pudore.

Adesso senza fare un lungo elenco delle strabilianti regole della lingua italiana in cui mi sono imbattuto, invito ad alzare la mano chi di voi sa rispondere a questa domanda, ovviamente senza leggere la soluzione al quesito che riporto sotto:

In che occasione si usa l'articolo indeterminativo maschile "Un" e in quale l'altro indeterminativo maschile "Uno"????

..............................

.......................................

....................................

Non ne avete alcuna idea, vero???

Ecco la Risposta:

Si usa "Uno" in quattro occasioni:

A) Quando il sostantivo specificato dall'articolo comincia con s+consonante. (Es. Uno studente).

B) Quando il sostantivo specificato comincia con z. (Es. Uno zaino).

C) Quando il sostantivo specificato comincia con p+s. (Es. Uno psicologo).

D) Quando il sostantivo specificato comincia con y. (Es. Uno yoghurt, o anche uno Yuri, se volete degradarmi al ruolo di oggetto).

Nelle restanti situazioni, si usa "Un"

E adesso provate a dirmi che lossapevate.

sabato 24 settembre 2011

Questione di … classe

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Sulla trece (il “nostro” autobus).

Frenata. Davanti a noi c’è un autobus fermo. Non riesce a girare perché c’è una macchina che impedisce il passaggio. È una situazione assurda, perché basterebbe che uno dei due mezzi faccia un minimo di retro e già si sarebbe risolto l’ ingorgo. Ma nessuno si muove.
La signora di fianco a me spiega: “Questione di principio”.

Passano venti minuti. Nessuno scende dal mezzo. Si gridano l’ un l’ altro a vicenda, aspettando l’ arrivo della polizia. Il rumore dei clacson delle auto, che nel frattempo hanno formato una lunga coda, è assordante. C’è ancora tutto lo spazio necessario alla manovra, per entrambi i mezzi.

Arriva la polizia. Un agente si avvicina al bus, poi all’ auto. L’ autista dell’ autobus, senza dire nulla, fa retromarcia e lascia passare l’ auto. Il poliziotto si avvicina al finestrino della trece e spiega al nostro autista che il signore dell’ auto è uno “de alto grado”.

L’ auto mi passa a fianco. Il signore ha un volto serio e deciso. Al suo fianco una bambina spiaccicata al finestrino guarda gli autobus e le macchine ormai in silenzio.
La signora di fianco a me sospira: “Questione di classe”.

giovedì 15 settembre 2011

Il passato davanti a sé

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Ognuno dei libri che ho letto in questo ultimo periodo mi ha aiutata nella comprensione dell’universo che mi circonda e come per magia le loro parole hanno acquistato un senso particolare nella tela di esperienze che sto tessendo.
Uno dei primi libri che ho letto una volta arrivata Kindu è stato “Il passato davanti a sé” di Gilbert Gatore, regalo di un’amica prima della tanto sperata partenza. Il primo paese africano in cui ho messo piede non è stato infatti la Repubblica Democratica del Congo, bensì il Ruanda anche se per un veloce passaggio. Ho avuto l’occasione di attraversarlo in auto e di poter osservare fugacemente questo piccolo paese ornato da mille colline. E così questo libro, che racconta un pezzo di storia del Ruanda, mi ha accompagnata in questo primo assaggio di Africa.
Il passato davanti a sé” è un libro in cui il confine tra spazio onirico e spazio reale è incerto. Ma il contesto di riferimento del libro che ne è causa, ragione e fine in se stessa è un evento reale. Un evento umano, tragicamente e desolatamente umano: il genocidio della popolazione di etnia tutsi che ha avuto luogo in Ruanda nel 1994. È il racconto del tentativo di convivere con una tragedia di enormi proporzioni. Metaforicamente è il tentativo di convivere con la tragedia dell’essere creatura umana. Della convivenza di male e bene, dello sbiadito e confuso limite che talvolta impedisce all’uomo di oltrepassare ciò che è moralmente accettabile. Di momenti in cui il confine scompare e la follia diviene collettiva ce ne sono stati, ce ne sono e, malgrado tutto, sempre ce ne saranno nella storia dell’uomo. Nel 1994 in Ruanda la follia ha contagiato la stragrande maggioranza della popolazione e l’istinto di uccidere, di eliminare il diverso, l’altro, ha preso il sopravvento sulla capacità di giudizio. Di passaggio a Kigali mi è capitato di visitare il museo del genocidio. In una stanza esagonale sei nicchie accolgono, appese in file ordinate, le foto di alcune delle persone che sono state vittime di questa follia. La cifra esatta è incalcolabile, ma secondo stime ufficiali si aggirerebbe attorno agli 800.000 – 1.000.000. Ad un prete, testimone del massacro che ha avuto come teatro il Ruanda, è stato chiesto se la sua fede in Dio fosse stata minata dall’aver assistito ad un genocidio. “No, la mia fede in Dio è intatta. È la mia fede negli esseri umani che è andata distrutta per sempre”. Ed è forse la stessa impossibilità di recuperare la fiducia nell’essere umano che spinge Gatore a costruire questo romanzo a due voci: la voce del genocidario e la voce della sopravvissuta. Che spinge Gatore ad indagare i più reconditi recessi dell’animo umano, mostrandoci la tragedia di chi è assassino, di chi sa che non può cercare perdono e la tragedia di chi, sopravvissuto, non trova in sé la forza di perdonare e di andare avanti. Tanto più che il mondo che lo circonda è abitato da individui che hanno scelto di ignorare le tragedie dell’umanità, di quella più vicina a loro come di quella più distante.

L’oscenità del mondo non è nella sfilata dell’orrore e dell’ingiustizia, bensì nell’atteggiamento di chi non sa dire altro che “è tremendo, certo, ma…”, di chi non sa fare altro che allusioni tra un caffè e una battuta, altro che compiere il rito dell’indignazione per poi passare ad altro: alla vita normale.

Il lettore si ritrova così a partecipare in prima persona a questa indagine e, spinto a prendere parte per una delle due voci che si rincorrono nel libro, si ritrae impaurito quando ai sentimenti che prova per l’una e l’altra viene dato un volto. Quando all’improvviso ne viene svelato l’orrore. Gatore conduce con grande maestria la sua riflessione sulla tragedia ruandese su due piani paralleli, il soggettivo e l’oggettivo, spingendo il lettore a riflettere in entrambe le direzioni.


Olivia

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(.. Ma è proprio attraverso la negazione presente in questa massima , che ai sensi appare come l'esplicazione di una realtà assoluta, che rifletto.)














In media in repubblica Moldava vengono abbandonati in istituti residenziali più di 400 bambini all'anno, la cui età oscilla fra 0 e 6 anni.












Solamente per il 22,2 % viene offerta una soluzione definitiva, mentre il 75,6 % rimane negli istituti residenziali, gli internat.




Nel 2009 , dei 40803 nati, 14634 sono stati abbandonati e quasi tutti da ragazze adolescenti.



L'Indennità mensile offerta dallo stato per le madri non assicurate è di circa 250


lei ( 16 euro circa).




Una confezione di pannoloni sufficiente per due settimane costa 245 lei.




Missione sociale Diaconia, in collaborazione con Caritas Ambrosia


na e Caritas Vienna ha dato vita ad un centro di accoglienza


per madri sole . “In braccio alla mamma” accoglie 10 coppie madre-bambino, garantisce loro assistenza di varia origine e soprattutto da una nuova alternativa alle donne che altra scelta non avrebbero se non quella di abbandonare il pr


oprio piccolo.






Le difficili condizioni di vita, sommate ad un'ancora presente cultura omerica "della vergogna" , costringono ( fra i vari casi) ragazze poco più che bambine e violate a dover abbandonare il tetto familliare, perché sono gli stessi consanguinei a lavarsene le mani.







I casi estremi, di illimitata ingiustizia, si intrecciano a fatti di ordinaria normalità: Donne sedotte ed abbandonate, gravidanze non previste ( o previste e poi ignorate).



Altro da dire non mi resta, se non augurare in bocca al lupo alla nuova squadra!





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domenica 11 settembre 2011

Smiley, smiley, smiley!

1 commento:
Sono una persona strana. Lo so, perché quest’anno ti costringe a guardarti dentro. Lo so perché a volte chi incontro me lo dice proprio.
Nella mia stranezza, quando sono in possesso delle mie facoltà mentali, vivo esperienze toccanti mantenendo un distacco innaturale (perché abitualmente sono molto emotiva). E poi magari dopo poche ore, o a volte giorni, tutto ciò che mi è successo comincia a sopraffarmi, e allora mi fermo a pensare.

Venerdì sono Andata in un ospedale a Nairobi con quel gruppo di artisti di cui ho parlato in altri post, Sarakasi trust hospital project.
Al mattino siamo stati nel reparto di pediatria generale, siamo andati a chiamare i bambini nelle varie stanze.
Ecco, le stanze: lettini piccoli e conciati male, tenuti puliti solo per la tenerezza delle mamme, alcuni dormivano in due sullo stesso materasso. I bimbi avevano patologie generali, chi più gravi come tremore continuo, chi meno. Tanti con la pancia talmente gonfia da faticare a muoversi ed alzarsi.
Sarakazi ha allestito un teatrino per i pupazzi e messo un tappeto per i bimbi in mezzo al corridoio. Hanno giocato, narrato storie, fatto uno spettacolo con pupazzi…
Al pomeriggio abbiamo cambiato piano e il gruppo di artisti si è diviso. Da una parte si trovava il reparto delle lunghe degenze, alcuni con malattie psichiatriche. I bambini sono arrivati di corsa, urlanti e festosi, ballavano, parlavano, non stavano zitti un secondo. Anche qui pupazzi, disegni, animazione. Però io sono rimasta per poco e poi sono andata nell’altro reparto: ustioni.
Gente che dormiva per terra su un materasso, lenzuola sporche sparse in giro, e un odore che mi è rimasto nel naso per un giorno: un misto di farmaci, pelle bruciata… e non continuo nella descrizione.
I bimbi erano ustionati gravi, la loro pelle è ormai bianca dopo le ustioni; alcuni non riuscivano a camminare per le cicatrici, in giro nudi o con bende. Un bimbo piccolissimo era talmente ustionato da non avere più le dita, solo un moncherino. Voleva colorare e riusciva ad incastrare il pastello nell’incavo tra il pollice e l’indice. Ma anche loro erano desiderosi di un attimo di divertimento, e quindi sono ricominciate le storie, le danze, le canzoni.
Ad un certo punto ho sentito che qualcuno diceva muzungu ma non capivo chi. Poi mi sono girata e ho visto un bambino che mi ha detto “kuja(vieni)”.
Era ustionato dalla testa al bacino, completamente bendato, braccia e mani comprese, orecchie entrambe ustionate e parzialmente la faccia. Le braccia erano bendate in modo da restare aperte e uscire dal letto. Lui era immobile ma ha cominciato a farmi mille domande. Si chiama Dennis, 11 anni. Continuava a muovere l’unica cosa che riusciva a muovere: le gambe. E mi diceva che lui non vedeva niente da li, ma voleva che chiedessi al chitarrista di andare da lui successivamente.
Si sentiva solo, di sicuro, quindi continuava a chiamarmi “auntie” e chiedermi un favore. L’ho aiutato a bere il te con una cannuccia, mi ha chiesto persino di pulirgli le orecchie (mi sono rifiutata, non avrei voluto fargli male). Poi ha cominciato a sentire dolore al braccio, quindi gli spostavo il cuscinetto per non fargli sentire la sbarra di ferro che premeva contro la ferita. A volte mi giravo e lo vedevo piangere silenziosamente. Alla fine ho chiamato il chitarrista che, con uno dei volontari, gli hanno cantato le sue canzoni preferite. E Dennis intanto mi guardava e cantava con la sua vocina flebile.

La mattina non sono rimasta colpita dall’esperienza, sono uscita dall’ospedale pensierosa, e chiedendomi cosa avevo fatto veramente per quei bambini durante il giorno. Poi mi sono resa conto che durante la sera l’odore mi perseguitava. Ma soprattutto il ricordo di Dennis. Un ricordo di una tenerezza infinita, lui immobile a letto che mi chiama “auntie”… e poi i sorrisi divertiti dei bambini, anche mentre prendevano i medicinali, i pianti quando ce ne stavamo andando (“ti prego, resta qui con me!”). E’ bastato davvero poco per renderli felici per qualche ora, in un ambiente in cui si trovano spaventati e impauriti.

Questa è l’Africa, ti regala emozioni continue. E’ bene non farsi sopraffare, ma ogni tanto fermarsi e pensare a cosa stiamo vivendo aiuta a ricavare il meglio da ogni esperienza.

Nessuna foto, è un ricordo che terrò privatamente dentro di me.

giovedì 8 settembre 2011

La multi ani, Moldova!

2 commenti:

1 su tre sono le donne moldave che subiscono violenza tra le mura domestiche.

2 milioni circa le bottiglie conservate nella cantina di Mileştii Mici, la più grande del mondo.

3 su 10 sono le persone in età lavorativa che hanno abbandonato il paese.

4 volte mi sono versata yogurt nella tazza pensando fosse latte, che la confezione è la stessa

5 i parchi di Chisinau che offrono la connessione Wi-Fi.

+6% la crescita del PIL nel 2010.

7 i colli su cui sorge la capitale Chisinau.

8 i diversi tipi di placinta (una specie di torta salata) offerti nei ristoranti locali.

9 gli album già pubblicati dagli zdob si zdub; il decimo uscirà nel gennaio 2012.

10 le coppie mamma-bambino che saranno accolte nel centro “In braccio alla mamma”, in apertura sabato

11 % della superficie italiana corrisponde a quella moldava

12 mila almeno, i bambini moldavi residenti negli internat

13 le copie di quotidiani vendute ogni 1000 abitanti

14a armata russa, ancora presente in Transnistria (regione moldava autoproclamatasi indipendente)

15 la mortalità infantile, su 1000 nati vivi

16
le squadre che partecipano al campionato di calcio moldavo

17 lei moldavi (circa) equivalgono ad un euro. Lo stipendio medio qui è di 3000 lei (circa 180 euro). Un litro di latte costa 9 lei (mezzo euro) …

18 litri di alcool puro procapite all’anno fanno della Moldova lo stato in cui si beve più alcool al mondo.

19 scarpe nere a punta ogni 20 uomini moldavi (nella foto, la versione estiva)

20 anni dall’Indipendenza … Auguri, Moldova!

Billy Elliot parlava russo...

4 commenti:




Mi sono ritrovata indecisa sul titolo da dare a questo post, ho utilizzato il cursore canc. svariate volte.
Ho giudicato che " L'elefante e la farfalla" potesse risultare offensivo. ( per me stessa più che altro).



Step 1

Quando ero poco più bassa di adesso e di anni ne avevo 5 , io ballavo.
Ricordo una cascata di boccoli ed un tutù rosa.

Step 2

Oggi di anni ne ho 24, porto capelli taglio corto e i boccoli sono indisciplinati ( mi piace definirli in auto gestione), ma c'è una cosa che mi accomuna a quella bambina (oltre l'altezza) , perché oggi io torno ad essere ballerina.

Step 3

Ha inizio la mia nuova vita da danzatrice, solo a dirlo mi sento già più ricercata, distinta. Quindi via i 12 tacchetti e avanti scarpette (che poi altro non sono che ciabatte informi, ma la legge dell'eleganza non ammette volgarità).

Step 4

Seguo le rigide regole del maestro e mi presento puntuale alla lezione indossando un vestito come da richiesta, ma presto mi accorgo di essere la sola a portarlo.

Step 5

Anche se i passi sembrano interpretati alla moviola, percepisco di non cavarmela poi così male.

Step 6

Qualche problema con la rotula, ma con "eleganza" mi rimetto in sesto.

Step 7

Se chiudo gli occhi sono baby di dirty dancing: forse anche a lei sarà capitato di vestirsi in modo inappropriato, con costanti dolori alla milza.

Step 7

Solitamente nel calcio "lo straniero" è motivo d'orgoglio, ma non riesco a fiutare se questa mia peculiarità sia stata colta o se, semplicemente, credono io sia una moldava poco dotata.

Step 8

M
i accorgo di non essere l'unica straniera.

Step 9

Sulla carta io sono l'unica straniera: unica a non essere nata in questo paese e unica a non essere in possesso del passaporto moldavo. Queste persone però parlano lingue diverse ed è qui che la lezione assume un tono singolare.

Step 10

Mi soffermo ad osservare il momento ( intanto mi riposo), che altro non è che normale routine qui in Moldova, un paese bilingue, nato da genitori stranieri. Il Romeno ed il russo che si intersecano con estrema semplicità, un automatismo che aimhè rende difficile la comprensione e che non mi permette di integrarmi del tutto.
Il maestro interrompe la danza e muta la lingua: è la stessa persona di due minuti prima, ma a me appare come un nuovo Vlad . E' buffo, le espressioni e la gestualità commutano così come il suo codice . Quasi stessi assistendo ad un teatrino, all'imitazione comica del “carattere” di un paese straniero e alle sue consuetudini, sorrido.

Step 11

L'argomento è spinoso; d'altronde la lingua ufficiale è il romeno, ma sembra che la popolazione di ceppo russo non abbia alcuna intenzione di convertirsi ad essa. In molti sentenziano sull'accadimento. Io credo semplicemente che questo sia frutto della storia di un paese, non capriccioso, ma costretto a subire continui cambiamenti. Il tempo sovietico non è un ricordo sfumato, ma ancora ben nitido, così come la romantica reminiscenza dei tempi passati che dura soprattutto nei villaggi. Molti giovani invece lamentano il pigro processo di sviluppo e per questo migrano, perché il loro tempo è molto più celere di un semplice ricordo.

Step 12

LAVORI IN CORSO:

Il processo metamorfico é ancora in via si svolgimento.
Se prima ero calciatrice con l'animo gentile della ballerina, oggi sono ballerina con il fisico grave della calciatrice (a fine carriera).. ma l'impazienza non si addice alle signore sofisticate , quindi attendo.

P.s: Prossimamente invierò l'invito per il saggio di Natale.

L'estate di Myrella

1 commento:

Per me che non ci sono (ancora) stato, il Sudamerica è fatto di istantanee prese tutte dal mio immaginario, nutrito da letture, film, racconti e magari qualche stereotipo. Mi viene in mente la lunga serie di intrepidi rivoluzionari di cui Guevara è solo il rappresentante più famoso, la stoica resistenza delle popolazioni indigene, l'esplosività di colori, suoni e danze, la fantasia nel calcio rappresentata al massimo dall'argentino Pibe de Oro che deliziò Napoli e il mondo con le sue giocate divine.

Ma da adesso, il continente reaparecido mi farà venire in mente anche qualcos'altro, ovvero il viso di una ragazza dolce che ho avuto la fortuna di conoscere qui ad Amman, precisamente nella prigione femminile della capitale giordana. La sua storia è stata già raccontata un paio di anni fa da Sara, una vecchia serviziocivilista qui in Giordania, ma vale la pena di ripeterla.

Myrella nel suo Perù assistette al fallimento della panetteria di famiglia, che stava costando la casa in odore di pegnoramento e allora con l'incoscenza tipica della sua età decise di accettare la proposta di un narcotrafficante di trasportare in Giordania ovuli di droga ingerendoli prima di salire sull'aereo. Purtroppo la cosa non andò bene, ed esplose un ovulo dentro il suo stomaco, portandola quasi alla morte. I dottori riuscirono a salvarla giusto in tempo, ma al risveglio trovò oltre cinque anni di galera da scontare a migliaia di chilometri di distanza da casa sua.

Myrella è uscita il 21 giugno, il giorno in cui entra l'estate, e allegoricamente è cominciata anche l'estate della sua esistenza, libera finalmente dal debito da pagare. Quando siamo andati a trovarla è stato molto emozionante, poterla vedere dal vivo e non attraverso un vetro, e anche il suo sorriso aveva preso una luce nuova, o forse era solo la luce del sole che finalmente le irradiava il viso dopo tanti anni di oscurità.

Come lei ce ne sono altre che visito settimanalmente, ma di nessuna avrò la fortuna di vederle dal vivo come lei, perchè tutte hanno una pena che terminerà quando il mio servizio civile sarà già finito da tempo, e vedrò questo anno come una cosa passata ma sicuro le sensazioni che loro e Myrella mi hanno dato saranno ancora vive dentro di me.