domenica 11 settembre 2011

Smiley, smiley, smiley!

Sono una persona strana. Lo so, perché quest’anno ti costringe a guardarti dentro. Lo so perché a volte chi incontro me lo dice proprio.
Nella mia stranezza, quando sono in possesso delle mie facoltà mentali, vivo esperienze toccanti mantenendo un distacco innaturale (perché abitualmente sono molto emotiva). E poi magari dopo poche ore, o a volte giorni, tutto ciò che mi è successo comincia a sopraffarmi, e allora mi fermo a pensare.

Venerdì sono Andata in un ospedale a Nairobi con quel gruppo di artisti di cui ho parlato in altri post, Sarakasi trust hospital project.
Al mattino siamo stati nel reparto di pediatria generale, siamo andati a chiamare i bambini nelle varie stanze.
Ecco, le stanze: lettini piccoli e conciati male, tenuti puliti solo per la tenerezza delle mamme, alcuni dormivano in due sullo stesso materasso. I bimbi avevano patologie generali, chi più gravi come tremore continuo, chi meno. Tanti con la pancia talmente gonfia da faticare a muoversi ed alzarsi.
Sarakazi ha allestito un teatrino per i pupazzi e messo un tappeto per i bimbi in mezzo al corridoio. Hanno giocato, narrato storie, fatto uno spettacolo con pupazzi…
Al pomeriggio abbiamo cambiato piano e il gruppo di artisti si è diviso. Da una parte si trovava il reparto delle lunghe degenze, alcuni con malattie psichiatriche. I bambini sono arrivati di corsa, urlanti e festosi, ballavano, parlavano, non stavano zitti un secondo. Anche qui pupazzi, disegni, animazione. Però io sono rimasta per poco e poi sono andata nell’altro reparto: ustioni.
Gente che dormiva per terra su un materasso, lenzuola sporche sparse in giro, e un odore che mi è rimasto nel naso per un giorno: un misto di farmaci, pelle bruciata… e non continuo nella descrizione.
I bimbi erano ustionati gravi, la loro pelle è ormai bianca dopo le ustioni; alcuni non riuscivano a camminare per le cicatrici, in giro nudi o con bende. Un bimbo piccolissimo era talmente ustionato da non avere più le dita, solo un moncherino. Voleva colorare e riusciva ad incastrare il pastello nell’incavo tra il pollice e l’indice. Ma anche loro erano desiderosi di un attimo di divertimento, e quindi sono ricominciate le storie, le danze, le canzoni.
Ad un certo punto ho sentito che qualcuno diceva muzungu ma non capivo chi. Poi mi sono girata e ho visto un bambino che mi ha detto “kuja(vieni)”.
Era ustionato dalla testa al bacino, completamente bendato, braccia e mani comprese, orecchie entrambe ustionate e parzialmente la faccia. Le braccia erano bendate in modo da restare aperte e uscire dal letto. Lui era immobile ma ha cominciato a farmi mille domande. Si chiama Dennis, 11 anni. Continuava a muovere l’unica cosa che riusciva a muovere: le gambe. E mi diceva che lui non vedeva niente da li, ma voleva che chiedessi al chitarrista di andare da lui successivamente.
Si sentiva solo, di sicuro, quindi continuava a chiamarmi “auntie” e chiedermi un favore. L’ho aiutato a bere il te con una cannuccia, mi ha chiesto persino di pulirgli le orecchie (mi sono rifiutata, non avrei voluto fargli male). Poi ha cominciato a sentire dolore al braccio, quindi gli spostavo il cuscinetto per non fargli sentire la sbarra di ferro che premeva contro la ferita. A volte mi giravo e lo vedevo piangere silenziosamente. Alla fine ho chiamato il chitarrista che, con uno dei volontari, gli hanno cantato le sue canzoni preferite. E Dennis intanto mi guardava e cantava con la sua vocina flebile.

La mattina non sono rimasta colpita dall’esperienza, sono uscita dall’ospedale pensierosa, e chiedendomi cosa avevo fatto veramente per quei bambini durante il giorno. Poi mi sono resa conto che durante la sera l’odore mi perseguitava. Ma soprattutto il ricordo di Dennis. Un ricordo di una tenerezza infinita, lui immobile a letto che mi chiama “auntie”… e poi i sorrisi divertiti dei bambini, anche mentre prendevano i medicinali, i pianti quando ce ne stavamo andando (“ti prego, resta qui con me!”). E’ bastato davvero poco per renderli felici per qualche ora, in un ambiente in cui si trovano spaventati e impauriti.

Questa è l’Africa, ti regala emozioni continue. E’ bene non farsi sopraffare, ma ogni tanto fermarsi e pensare a cosa stiamo vivendo aiuta a ricavare il meglio da ogni esperienza.

Nessuna foto, è un ricordo che terrò privatamente dentro di me.

1 commento:

  1. oggi è esplosa una condotta di petrolio nello slum Sinai della zona industriale di nairobi, più di 100 morti bruciati, nell'ospedale di cui parla Simona più di 112 ricoverati per ustioni di terzo grado...

    http://www.nation.co.ke/News/-/1056/1234794/-/10fx634z/-/index.html

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