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domenica 20 marzo 2011

Siamo in guerra

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Una due giorni intensa qui ad Amman.
Un lungo meeting ieri, un pò di relax girovagando oggi.
Quando arrivo a casa sarà qualche ora che non vedo le notizie.
Ci risiamo.
Quanto ci hanno messo poco a decidere questa volta.
é solo l'ennesima rincorsa di interessi occidentali travestita da guerra umanitaria?
Era pensabile di lasciare Gheddafi libero di massacrare il suo popolo?
Sarà un altro Iraq?
Il milan ha perso.
La "primavera araba" sta finendo nel peggiore dei modi?
C'è qualcuno della stampa che prova a rispondere a queste domande con onestà senza servire un qualche padrone?
é avanzata la pasta di oggi, così non devo neanche cucinare.
Sarà sicura l'Italia a un tiro di schioppo dal nostro alleato fino all'altroieri?
Il comando militare a Napoli. Wow.
Ci risiamo.
Riusciremo mai a espellere la guerra dalla storia dell'umanità?
Non adesso. Ripassare in un futuro indefinito.
La prima volta Ruby aveva 16 anni.
Tra poco rivedo casa.
Ci risiamo.
Not in my name.
Ma adesso è ora di dormire.
Chissà se lì si dorme.
Ne dubito, i missili fanno parecchio rumore.

lunedì 14 febbraio 2011

"Camminare" ad Amman

4 commenti:

Amman è una città collinare e, come Roma, è nata su sette colli. Ma oggi l'ondulata capitale giordana è talmente cresciuta da occuparne più di venti!!

Anche se le distanze sembrano brevi sulla carta, in realtà non è così... Per raggiungere qualsiasi posto bisogna procedere a zig zag tra pendenze varie, salite e discese.

A volte preferirei rotolarmi come una balla di fieno giù per la discesa, piuttosto che combattere la forza di gravità camminando in modo assolutamente disarticolato!! Per non parlare delle salite...il termine esatto sarebbe "arrampicata libera"!

Ma (c'è sempre un "ma") un modo per evitare tutto questo esiste, udite udite!! Basta prendere le scale!!!
Eh si, ci sono un'infinità di scalinate!! Non si sa dove portino esattamente, ma ci sono!!

Noi l'altra sera, ad esempio, abbiamo scovato una scalinata proprio vicino casa...era perfetta! L'unico problema è che non portava da nessuna parte, o meglio, ci ha portati dritti all'uscio di un nostro vicino di casa!! Per fortuna nessuno di noi assomigliava a Diabolik o a Eva Kant!!

lunedì 13 settembre 2010

devi sorridermi se puoi, non sarà facile ma sai

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si muore un po' per poter vivere

sarebbe bello partire e basta
così
passaporto e due soldi in tasca
e basta




oppure scegliere cinque cose che servono davvero e portare via solo quelle
cose che poi usi e non ci pensi, alla storia che queste cose hanno




essere pirati
nuovo porto, nuova vita
e basta




ma non si può
ma non si riesce




sarebbe bello non pensarci
prontivia
e basta




ma poi ci pensi
e non sei pronta
e non vai via




cioè, per andare via, vado via




ma poi torno




ciao.

martedì 15 giugno 2010

Storie di ordinaria follia (calcistica)

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Sabato 12 giugno. Un mio collega giordano entra in ufficio con un foglio stampato formato lenzuolo.

- Vedrai che ci tornerà utile per le prossime settimane. Attaccalo in bella vista.

Comincio a leggere. Sabato 12, ore 14.30 Argentina-Nigeria. Ore 17.30, Corea del Sud- Grecia. Ore 21.30, Inghilterra-Stati Uniti. Domenica 13, ore 14.30 Algeria-Slovenia.. C’è pure l’aggiustamento all’ora locale.

Continuo a non capire.

- Vedi, giovedì scorso abbiamo chiamato una parrocchia per organizzare un incontro per oggi, ma non c’è stato verso. Ci son troppi tifosi dell’Argentina. Idem per mercoledì, abbiamo dovuto rimandare la riunione perché i comitati non si vogliono perdere la partita della Spagna.
- ?
- In una parrocchia di Zarqa hanno allestito un mega schermo per poter vedere le partite. Per l’Italia stai sicuro che ci sarà un bel po’ di gente.
***

Pomeriggio dello stesso giorno. Rainbow Street, Jabal Amman. Questa via, coi suoi cafè e coi suoi locali sfavillanti è uno dei luoghi della movida ammanita. Tornando dall’ufficio mi fermo in un fast-food per prendere uno shawarma (una specie di piadina con kebab di pollo). Lo schermo è sintonizzato su Argentina-Nigeria. Esco col mio panino e mi accorgo che TUTTI i bar e i café che mi circondano sono sintonizzati sulla partita, con volumi in alcuni casi davvero imbarazzanti. Mi mancano i video delle discinte cantanti libanesi che parlano di amore eterno e di buoni sentimenti.

Passo oltre i ragazzini che vendono i gagliardetti delle squadre (ma avranno anche quello della Corea del Nord? Ammetto che non mi fermo a controllare..), ma non posso fare a meno di constatare che i Suv che tentano di schiacciarmi i piedi tifano chiaramente Brasile - le bandierine che escono dai finestrini non mentono.

E’ tutto molto folcloristico. Almeno fino a quando non mi imbatto in due giordani con la parrucca, la maglia dell’Argentina e la faccia pitturata con strisce bianco-azzurre-blu. Questo è già più inquietante.

La partita volge al termine. Non sono ancora a casa quando degli improbabili caroselli stanno già festeggiando la vittoria di Maradona e soci in giro per la città.
***

Domenica 13 giugno. Entro in una cartoleria per cercare del materiale di cancelleria. Il commesso è letteralmente sdraiato sulla sua sedia girevole, non mi guarda nemmeno. Una gracchiante telecronaca in arabo sta catturando tutta la sua attenzione. Serbia – Ghana.

- Ancora 0-0?
- Già, non è una gran partita.
- Ma per quale tieni delle due?
- No per nessuna, io son per il Brasile.

Faccio per incamminarmi verso casa, ma ho dimenticato di prendere la frutta. Dal baracchino del fruttivendolo, non più grande di 4m per 4, mi arriva di nuovo la familiare voce del telecronista di Al-jazeera Sport. Sto scegliendo delle fragole quando tutto si ferma. Rigore per il Ghana. Ragazzini del quartiere, anziani sheykh che non capiscono che sta succedendo, signore coi bambini che sono lì per comprare pomodori e mulukhye si ammassano a portata di televisore. Quasi mi emoziono quando l’attaccante ghanese la butta dentro, anche se mi sorge il dubbio che gli altri spettatori non stravedano per gli africani.
***

Oggi, martedì 15 giugno. Questa mattina vado in prigione a visitare un detenuto. Le guardie fanno i loro controlli di rito e mi chiedono documenti.
- Francese?
- No, italiano.
- Ma che è successo ieri?

Per un attimo mi si gela il sangue. Oddio, cosa abbiamo combinato ieri? Ma è solo un attimo e gli rispondo.

- Guarda, non me ne parlare. Anche a me girano le scatole per questo pareggio!

Succede in Giordania

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Man sentenced to 10-year prison term for murdering his sister
By Rana Husseini - Jordan Times

AMMAN - The Criminal Court on Monday sentenced a 25-year-old Jordan Valley resident to 10 years in prison for murdering his unmarried sister in July 2009.
The court first handed the defendant, a company employee, the death penalty for the premeditated murder of his 26-year-old pregnant sister on July 9.
But the tribunal immediately decided to reduce the sentence to 10 years in prison because the victim’s father dropped charges against his son.
The court also acquitted a 37-year-old taxi driver, H.M., who was standing trial on charges of raping the victim, for lack of evidence. Leggi tutto...


www.jordantimes.com

martedì 13 aprile 2010

Voi non sapete cos'è la mia città

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stormi di piccioni volano in circoli sempre più ampi, per poi tornare da dove sono venuti
aquiloni altissimi che non si capisce da dove partano né dove vogliano andare
il sole che si oscura l'aria pesante e la tempesta di sabbia che riempie i polmoni e la casa
poi all'improvviso di nuovo l'estate
poi all'improvviso di nuovo l'inverno
i bambini vanno e vengono da scuola a piedi da soli poi nel pomeriggio giocano in mezzo alla strada
un cane abbaia
l'acqua a Jebel al-Lweibdeh arriva il mercoledì sera
case moschee chiese scale salite discese ancora case cortili giardini automobili
poi all'improvviso una bicicletta
il verde che non ti aspetti
i gelsomini in fiore
l'alba ha l'odore del pane e della polvere
le donne riempiono i saloni di parrucchieri il giovedì pomeriggio poi escono nel vento velate
le sere illuminate dai colli
Jebel Qalaa
Jebel Hussein
Jebel Amman
Abdoun
Al-Shmeisani
Umm Summac
Umm Raed ci fa il té tutte le mattine
le madri qui sono madri per sempre anche nel nome
la famiglia
pranzo da Hashem, falafel e hummus
milan o inter
real madrid o barcelona
fairuz solo la mattina
l'houd da Jafra
andare via da Amman
tornare sempre ad Amman




la nonna del beduino
mio padre era nell'esercito. quando è tornato a casa, ha portato con sé una radio. ascoltava sempre Umm Kulthum. una sera si è addormentato con la radio accesa e mia nonna è andata e l'ha coperto. poi ha coperto anche la radio. ma la voce di Umm Kulthum si sentiva ancora. allora ha messo un'altra coperta sulla radio. ma si sentiva ancora. ha continuato a mettere coperte finchè non ha sentito di nuovo il silenzio del deserto.
la mattina dopo, mia nonna è andata da mio padre per lamentarsi di quella donna nella scatola che aveva continuato a lamentarsi tutta notte per il freddo.

sabato 27 febbraio 2010

Un fiorino!

2 commenti:

Dove i volontari italiani provano a fare le cose per bene, con metodo, informandosi prima. Dove decidono che ne sanno a sufficienza per richiedere il permesso di soggiorno, e allora ci provano davvero.

Prima tappa. Stazione di polizia di Jabal Hussein.

Poliziotti all’entrata.

- Cosa volete?
- Siamo stranieri, dobbiamo rinnovare il permesso di soggiorno. Siamo italiani. La nostra ambasciata ci ha detto di venire qui per il rinnovo del visto.
- Dove abitate?
- Jabal al-Lweibdeh.
- Di che nazionalità siete?
- Siamo italiani.
- Ok, prego. Terza porta sulla destra.

Rapidità encomiabile. Stai a vedere che la cosa si risolve in un attimo. Altro che la burocrazia italiana.

Terza porta sulla destra. Sono dentro in quattro.

- Siamo italiani, vorremmo rinnovare il permesso di soggiorno e…

Nessuno dei quattro apre bocca, solo uno muove leggermente la testa verso destra. Un movimento rapido e impercettibile – solo chi è stato nei Paesi arabi sa di cosa parlo – ma inequivocabile: abbiamo sbagliato porta, dobbiamo andare nell’ufficio a fianco.

Quarta porta sulla destra. Tre poliziotti, un uomo e due donne.


- Cosa volete?
- Vorremmo fare il rinnovo del permesso di soggiorno per tre mesi e..
- Da dove venite?
- Italia.
- Dove abitate?
- Jebel al-Lweibdeh. Ci hanno detto di venire qua e…
- Uhm, al-Lweibdeh. No, non è qua che dovete venire.
- Ma veramente.. l’ambasciata ci ha detto…
- Tsk, Tsk. Dovete andare alla stazione al-Madina.
- Ma questa stazione è più vicina a casa nostra. Davvero dobbiamo andare là?
- Si, sicuro.

Seconda tappa. Stazione di polizia al-Madina.

Wasat al-Balad, città vecchia di Amman. La parte più bassa e più inquinata della città, la più incasinata, la più affascinante. Il taxi ci mette un’ora per fare il chilometro di strada che separa il nostro ufficio dalla downtown ammanita.

Eccoci alla stazione al-Madina. Un poliziotto ventenne in tuta mimetica, la carnagione scura tipica dei giordani di origine beduina, ci accoglie.

- Cosa volete?
- Siamo italiani. Siamo qui per il permesso di soggiorno. Ci hanno mandato da Jabal Hussein e…
- Prego. Di sopra.

Mentre saliamo andiamo incontro a una nuvola di polvere. Degli operai stanno tirando giù dei calcinacci dai muri. Arriviamo al secondo piano. Due stanze sono completamente sventrate, non si riesce nemmeno a respirare per la quantità di polvere. Guardando meglio intravediamo degli agenti. La stazione di polizia è proprio su questo piano.

Entriamo in uno degli uffici appena rinnovati. L’odore di vernice è veramente fastidioso, devono aver ridipinto la stanza qualche ora prima.

- Cosa volete?
- Siamo italiani. Siamo venuti qui per fare il rinnovo del visto e..
- Dove abitate?
- Abitiamo a al-Lweibdeh.
- Ah. Ma allora non dovete venire qui.

Ecco. Lo sapevo che dovevamo insistere a Jabal Hussein. E noi che ci siamo fidati..

- Ma come? Ci hanno mandato qua da Jabal Hussein. Hanno proprio specificato di venire qua.
- Un attimo. Prego, sedetevi.
- Veramente stiamo volentieri in piedi. E’ tutto il giorno che stiamo seduti.
- Prego, sedetevi.

La stazione è un brulicare di gente in divisa. Nella stanza accanto alla nostra ci sono cinque poliziotti, forse sei. E una gabbia metallica con dentro un ragazzino. Sembra di vedere una di quelle serie americane degli anni settanta-ottanta, dove c’è sempre un borseggiatore che viene portato in centrale per “accertamenti”.

Diverse persone si avvicendano nel “nostro” ufficio. Io e Marta ci rialziamo, non ne possiamo più di stare seduti. Io faccio per appoggiarmi al muro, giusto il tempo di impiastricciarmi la giacca di vernice bianca ancora fresca.
Arriva un altro agente. Confabula con quello di prima, poi si rivolge a noi.

- Cosa volete?
- Siamo italiani. Siamo qui per il permesso di soggiorno..
- Dove abitate?
- Stiamo a Jabal al-Lweibedeh..
- Sicuri che dovevate venire qua?
- Si si, ci hanno proprio detto così..
- Un attimo. Prego, sedetevi.
- No grazie, rimaniamo in piedi.
- No, per favore. Sedetevi.

Torniamo a sederci. Fuori dalla stanza gli operai stanno stuccando il corridoio sotto gli occhi di mezza centrale. Il ragazzino nell’altro ufficio è sempre nella gabbia, però ora sta sorseggiando una Mirinda (tipica bevanda giordana al gusto di zucchero).

Chissà chi tra noi uscirà prima da qua.

Ritorna il primo ufficiale che avevamo incontrato. Lavora al computer, ci chiede i passaporti, ci chiede il test dell’AIDS che abbiamo appena fatto per poter chiedere il rinnovo. Forse ci siamo. Ci fa segno di seguirlo. Bisogna incontrare il mudir, il comandante della stazione. Ripassiamo di nuovo attraverso la nebulosa di polvere e ci troviamo in una sala molto elegante. Ci accoglie un uomo sulla quarantina, con fare cordiale. Scribacchia i nostri nomi su un promemoria. Torniamo nell’ufficio di prima. Riconsegniamo il passaporto e il test dell’AIDS. L’impiegato tira fuori un timbro da una cassetta di sicurezza.

Questa volta è fatta. Oso chiedere conferma.

- Questo è il visto per i tre mesi giusto?
- Si, cioè..no.

- In che senso?
- Questa è l’attestazione di residenza. Non posso farvi il permesso di soggiorno.
- E quindi?
- Dovete andare alla stazione di polizia Filadelfia. Domani però, perchè adesso l'ufficio è chiuso.
- Ma quindi qui non avete fatto..cioè non è possibile fare…dobbiamo proprio tornare…
- Stazione Filadelfia. Bukra (domani).

Terza tappa. Stazione di polizia Filadelfia.

Questa volta ci portiamo rinforzi. C’è con noi Amin, il responsabile logistica del nostro ufficio, uno di quei personaggi che difficilmente avrebbero un senso fuori da un Paese mediorientale. Questa volta la stazione di polizia è situata dalla parte opposta del centro città, verso l’antico Teatro Romano. Ci ributtiamo nel traffico, facendo lo slalom tra i taxi clacsonanti e i camioncini del gas.

La stazione di polizia Filadelfia sta sopra un negozio di vestiti.

Mi vien da pensare che non sia un buon segno.

Al piano terra ci sono due agenti.

- Salve. Siamo qui per il permesso di soggiorno. Siamo italiani e dovremmo fare il rinnovo dei tre mesi..
- Si. Dove abitate?
- Abitiamo a Jabal al-Lweibdeh.
- Perché siete venuti qua?
- Ci hanno detto di venire qua. Siamo andati a Jabal Hussein e ci hanno detto di andare nella stazione di al-Madina. Da al-Madina ci hanno mandato qua.
- Di che nazionalità siete?
- Italiani.
- E dove avete detto che abitate?
- A al-Lweibdeh.
- Un attimo. Prego.

La guardia ritorna al suo gabbiotto. Alza la cornetta del telefono, discute animatamente col suo interlocutore. Si gira verso di me.

- Mi spiace. Oggi non si può.

Gelo.

- Perché non si può?
- Non si può. Il computer è rotto. Non si può fare niente fino a domenica prossima. Tornate settimana prossima.
- Come rotto? Ma non possiamo tornare domenica! Abbiamo bisogno di farlo ora!Ma c’è solo un computer in tutto l’ufficio?
- Mi spiace.
- Non possiamo andare da qualche altra parte?
- No.
- Non c’è nessun posto dove possiamo andare per il rinnovo del permesso di soggiorno?
- No. Però se volete potete andare alla stazione di Marka. Magari lì ve lo fanno, insh'allah.

Beato fatalismo. Ritorniamo da Amin, che ci aveva atteso in macchina. Ormai la giornata è persa, tanto vale provare anche Marka. Nel frattempo si alza il vento, trascinandosi dietro delle minacciose nuvole nere. Tutto congiura contro il nostro permesso di soggiorno. Amin chiama qualcuno per avere indicazioni su dove sia la stazione di polizia. Dal tono concitato della telefonata sembra che stia utilizzando il suo aiuto da casa, e non voglia assolutamente sprecarlo.

Quarta tappa. Stazione di polizia di Marka.

Marka, zona di periferia, una delle aree di Amman a più alta densità di popolazione palestinese, a mezz’ora di macchina dal nostro ufficio. Questa volta Amin entra con noi. Andiamo dritti al secondo piano, ci dirigiamo verso una stanza dove due ufficiali stanno amabilmente conversando. Lasciamo le presentazioni ad Amin, per cinque minuti buoni è lui a condurre il gioco. Poi uno degli agenti si gira verso di noi e sorride.

- Italiani? Conosco l’Italia.. sono stato a Vicenza, molto bello.. voi di dove siete?
- di Milano.
- Ah, bella città. E cosa volete?
- Abitiamo a Jabal al-Lweibdeh, volevamo chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno per tre mesi e..
- A Jabal al-Lweibedeh?
- Si.
- Ma non dovreste farlo qua.
- Ci hanno detto di venire qua. Siamo andati a Jabal Hussein, poi alla stazione di Madina, poi a quella di Filadelfia ma c’era il computer rotto.

Ormai è diventata una questione di principio. Sono pronto ad andare a chiedere il rinnovo anche ad Aqaba se necessario. Invece succede l'impensabile.

- Dovevate venire subito da me. Anzi, d’ora in poi venite sempre qua, ve lo faccio io. Mi piace molto il vostro Paese. Si mangia davvero bene.
- Grazie, ma..
- Datemi i passaporti, faccio in un attimo.

Dopo un minuto ci restituisce i passaporti. Non crediamo ai nostri occhi, il rinnovo effettivamente c'è.


Usciamo dalla stazione ancora rintronati, chiedendoci se tutto ciò abbia avuto un qualche senso. Forse è il caso di berci sopra del te'...

venerdì 22 gennaio 2010

Metti un venerdì pomeriggio ad Amman

2 commenti:
sottotitolo: sono andata al cinema e non ero sola.

Ciao, io sono un ragazzino quindicenne un po’ nerd.

C***o!

Meglio di Spiderman (il primo), meglio di XMen (sempre il primo), meglio di un Signore degli Anelli qualsiasi, meglio del Prigioniero di Azkaban (che Harry Potter, lui, è un po’ noiosetto, con tutti i suoi sorrisini e le sue cosine), meglio di una qualsiasi Guerra Stellare, anzi, meglio di tutte le Guerre Stellari, le prime e le ultime, che poi sarebbero le prime ma non importa, meglio di Star Trek, vecchio e nuovo, meglio di Hulk (che non mi era neanche piaciuto), meglio dei Fantastici Quattro (e io adoro i Fantastici Quattro), meglio di tutti i Batman messi assieme, in calzamaglia e non, meglio di Iron Man, Lanterna Verde e Daredevil messi assieme. Altro che Justice League e 300. Altro che The Punisher. Perfino meglio di Emma Frost (sì, vabbè,un film suo non l’hanno fatto, ma dovrebbero…cioè, io me ne sono fatti anche più d'uno, di film di Emma Frost). Pensavo che il massimo in fatto di tecniche e effetti speciali fosse Sin City, e invece….

Che se non c’era tutta quella gente attorno, mi sarei messo a gridare, ma per tutto il film, mica solo in certe scene, tanto che ero preso. Voi l’avete visto? Cioè, è spettacolare. Insomma, tutto, la storia, le scenografie, i colori, la fotografia, il super 3D, tutto. Il bene contro il male, l’uomo contro la natura e gli uomini contro-natura. Che poi ci sono pure i temi sociali: lui, il protagonista, è un marine americano che decide di ribellarsi, di andare non solo contro la sua nazione ma addirittura contro la sua stessa specie e alla fine resta coi mostri, lì, che non mi ricordo più come si chiamavano.

Eccicredo: pure io se fossi paralizzato dalla vita in giù e fossi sopravvissuto a mio fratello, preferirei trasformarmi in un coso alto due metri e mezzo normodotato con la fidanzata e un popolo che mi venera come suo salvatore!

Alla fine del film, dopo tre ore incredibili, ero talmente fuso che mi sono fatto un kebab grosso così.


Ciao, io sono una (giovane) donne fertile che si avvia sola verso i trent’anni appassionata di complotti e dietrologia.

C***o!

Pensavo che dopo le tirate di Capitan America (o era Lanterna Verde) sui comunisti e quelle di 300 sui mostri persiani idolatri, certe c****te from Usa ce le potessimo anche risparmiare. E invece no. Eccola l’ennesima pellicola ad uso e consumo della loro iconografia nazionalpopolare.

Che se non c’era tutta quella gente attorno, mi sarei messa a gridare, per tutta la durata del film, dall’inizio alla fine, tanto che ero arrabbiata. NO! Non avevamo bisogno di un costosissimo filmaccio con cosi volanti, una trama scontata e il generale dei marine che pare uscito direttamente dai G.I. Joe, che pure Big Jim era più umano. Non avevamo bisogno che un canadese che ha iniziato la sua carriera con Terminator ci venisse a spiegare quanto è importante salvaguardare la natura, come non ci serviva che un soldato americano infiltrato nel clan dei Navi ci dicesse quanto è brutta la Terra ora che ci siamo mangiati via tutto il verde. E poi, vogliamo parlare del sottotesto? Buoni contro cattivi, coi buoni infinitamente buoni, e tecnologicamente arretrati, e i cattivi infinitamente cattivi, e tecnologicamente avanzati. Provate un po’ ad indovinare chi vince? E ci vogliamo negare un aggancio con la realtà? I militari americani che sbarcano in forze su di un altro pianeta per ‘convincere’ un intero popolo a fare le valigie perché proprio lì ci vogliono stare loro, gli americani, per interessi loro, prettamente economici…mi pare di averla già sentita…E quanto sono carini questi indigeni dai nasi schiacciati trapassati da legnetti, con le perline nei capelli, che ringhiano ed emettono suoni gutturali, si arrampicano sugli alberi e cadono in trance ai piedi dell’albero sacro...

E io sono qui a distribuire coperte a gente che, senza essere alta due metri e mezzo e senza volare su pterodattili, è stata cacciata di casa, ha perso tutto, perché qualcuno voleva la sua terra, il suo orto, il suo albero sacro.

Alla fine del film, dopo tre ore terribili, ero talmente arrabbiata che mi sono abbattuta su un kebab grosso così.


Ciao, io sono LaMarta.

C***o!

Se ogni volta dovessi pagare il biglietto per tutte le mie personalità multiple e disturbate finirei sul lastrico!

Io, Davide e tutti quei simpatici omini che abitano le pigne che stanno nella mia testa, siamo andati a vedere Avatar in un centro commerciale di Amman di venerdì pomeriggio. L'esperimento sociologico nell'esperimento sociologico: partecipare ad un fenomeno mondiale (Avatar) partecipando ad un rito locale collettivo (il venerdì pomeriggio in un centro commerciale).

Beh, ad esperimento concluso, davanti all'immenso kebab che mi sono concessa uscendo dal cinema, interrogate le mie multiple personalità sul rituale consumistico, devo dire che ci siamo sentiti tutti un po' tanto in imbarazzo, a fare a gomitate tra torme di adolescenti giordani e famiglie pasciute nel più classico dei non luoghi. In Italia non l'avrei mai fatto, di infilarmi in un mall all'ora di punta (e lo dice una che ha lavorato per otto anni in un grande supermercato). Per quanto riguarda il film, devo dire che il mio spirito tardo-adolescenziale ha vito su tutti gli altri: c***o, è solo un film, mica ci vogliamo trovare significati nascosti. I buoni vincono e i cattivi perdono. Se i cattivi muoiono di morte violenta, chissene. E vissero tutti felici e contenti. Tutti tranne i cattivi (che vengono cacciati via dal pianeta, perchè i buoni, che sono sempre più buoni, mica li sterminano tutti i cattivi, no, li rimpatriano...i buoni rimpatriano i cattivi...devo avere già sentito anche questa).

Forse si poteva fare un buon film spendendo meno di 400 milioni di dollari, magari si poteva pure fare a meno della terza dimensione che due erano più che sufficienti, ma vabbè, è andata così.

Se l'avessi visto a casa mia, da sola, avrei passato tre ore urlando e saltando sul divano, un po' come la MariaTerni davanti al MotoMondiale...



Quindi...

Avatar RULEZ, però 3D S**KS!


sabato 16 gennaio 2010

Il sole a strisce.0

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Le ragazze escono dalle celle a piccoli gruppi e si allineano nel cortile interno. Filippine cingalesi, indonesiane: ne contiamo circa quaranta, ma probabilmente ce ne sono almeno altrettante rimaste dentro. Basta volgere lo sguardo alle porte di ferro ormai chiuse, dove decine di volti incuriositi si alternano febbrilmente dietro gli spioncini. Devono avere tra i venti e i trent’anni, forse di più. Alcune ci salutano con un sorriso, incredule di ricevere finalmente una visita.

Siamo nella sezione femminile del carcere di Juweideh, periferia meridionale di Amman. Qui si trova l’unico carcere femminile della Giordania, con tanto di sezione per le cosiddette detenute temporanee. Qui vengono condotte le donne immigrate clandestine con permesso di soggiorno scaduto.

Riesco a parlare con una ragazza filippina. Con la voce rotta dal pianto mi racconta di esser venuta in Giordania per lavorare come collaboratrice domestica, e di esser stata trovata dalla polizia sprovvista di permesso di soggiorno. Non si può permettere di pagare la multa, così le autorità la trattengono in carcere. Un’altra ragazza mi dice di aver già pronti i soldi per potersi “comprare” l’uscita dal Paese, e di aver ancora abbastanza denaro per il viaggio di ritorno nelle Filippine, ma per qualche ragione è ancora in carcere. Qualcosa deve essersi inceppato ed è ancora qui, da più di due mesi.

Sono partito da questa piccola esperienza per raccontare il dramma delle lavoratrici domestiche straniere in Giordania. La stragrande maggioranza di queste provengono dall’Asia Meridionale e Orientale, soprattutto da Indonesia, Filippine e Sri Lanka. Lasciano il Paese di origine sperando di trovare qui un lavoro dignitoso, contribuendo così a sostenere la famiglia rimasta in patria, ma finiscono spesso in una spirale interminabile di sfruttamento: sono vittime di abusi e maltrattamenti – se non di veri e propri pestaggi - da parte dei propri datori di lavoro; lavorano dalle 16 alle 19 ore giornaliere, spesso dovendo aspettare mesi per ricevere lo stipendio o parte di esso (a volte sono le agenzie di reclutamento a trattenere parte dei soldi); vengono tenute segregate nella casa dove lavorano per impedirne la fuga.

A volte, anche quando le ragazze riescono a fuggire, l’amara sorpresa è dietro l’angolo. Impossibile lasciare il paese: il datore di lavoro, responsabile per legge dell’adempimento, non ha mai provveduto all’estensione del loro permesso di soggiorno. Non potendo pagare la multa – ogni giorno di presenza irregolare in Giordania costa alla persona un dinaro e mezzo – le ragazze finiscono così in carcere, senza sapere se e quando riusciranno a uscire. In alcuni casi la situazione è ancora peggiore: non volendo rischiare conseguenze penali o amministrative per l’irregolarità, alcune famiglie cercano di liberarsi delle lavoratrici denunciandole alla polizia per maltrattamenti o per furto (è recente la notizia di una collaboratrice cingalese imprigionata, e poi rilasciata per mancanza di prove, in seguito all’accusa di aver rubato alcuni gioielli e aver abusato della bambina della famiglia presso cui lavorava).

Del resto, come mi dice una terza ragazza a Juweideh, la fuga può anche essere sorprendentemente breve. Una volta raggiunto il miraggio del rimpatrio, molte sue connazionali hanno ripreso subito la strada della Giordania, finendo nuovamente in carcere. Lei però non ci potrà riprovare: sul passaporto le hanno messo un timbro recante la scritta “Denied Entry”, che verosimilmente le impedirà di rivedere le colline di Amman per almeno cinque anni.

Secondo Amnesty International sarebbero oltre 70.000 le collaboratrici domestiche presenti in Giordania, di cui circa 30.000 non registrate. Diverse organizzazioni, tra cui Human Rights Watch, hanno denunciato questa pratica, in contrasto con le stesse leggi giordane. Lo stesso governo si sarebbe impegnato a emendare la propria legislazione del lavoro, promettendo di dedicare un’attenzione specifica ai diritti delle lavoratrici domestiche.


Per chi volesse ulteriormente approfondire la questione:
Report di Amnesty International;

Analisi di Human Rights Watch sulla nuova legislazione del lavoro in Giordania;

Articolo del Jordan Times a proposito di un recente caso di maltrattamento.

martedì 17 novembre 2009

Vite nell'acquario

1 commento:
Sette anni e mezzo. Più cinquemila dinari di multa.

Leggevo le labbra, senza sentire cosa dicessero.
Sara parlava con loro, urlando nella cornetta per farsi sentire al di sopra delle urla delle guardie.
Pesci nell'acquario. Gli occhi vivi, i sorrisi aperti di chi è DAVVERO contento di vederti. Perchè non ha nient'altro da fare che aspettare te. Tutto il giorno, per sette anni e mezzo.

Non ci sono foto in questo post, perchè per andare a fare visita alle detenute non puoi portare nulla con te. Lasci lì quindici minuti della tua vita. Hai in cambio tutta la loro.

venerdì 6 novembre 2009

Vivere sani

1 commento:
Girando per le vie di Amman capita a volte di imbattersi in banchetti curiosi. Come quello che vende succo di canna da zucchero. Il gestore ne prende una e te la trita al momento, facendola passare nel macchinario che potete vedere qui a fianco.

Ora, sapevo che i succhi di frutta fanno generalmente bene all'organismo; ma questo è niente in confronto agli effetti benefici che questa bevanda ammanita avrà sul vostro corpo. Traducendo direttamente dall'inglese giordano, e chiedendo venia per eventuali errori:

- sostegno sessuale (??)
- abbassamento del colesterolo
- prevenzione dell'arteriosclerosi
- pulizia del torace (intestino?)
- miglioramento della vista
- prevenzione della tensione nervosa
- prevenzione di dolori alle articolazioni
- attivazione della circolazione sanguigna

Nel dubbio, io l'ho provato. A parte il gusto, che comunque non è niente male, vi saprò dire qualcosa in più nei prossimi giorni. Attendo fiducioso.

martedì 23 giugno 2009

Mirella Lopez

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...ed anche oggi ad Amman fa un bel caldino!
Saltiamo in macchina io Sara e Jeries in direzione sud a visitare la prigione femminile di
al-Jueyda. E' la seconda volta che ci introduciamo nei ridenti ambienti di questa prigione.

Mirella Lopez ha 24 anni, e da 4 vive nelle celle al femminile. Ha pensato bene di ingerire un quantitativo di cocaina e partirsene dal Perù per portarlo in Giordania. Il fato ha voluto che la seconda volta l'ovetto di cocaina le esplodesse in pancia. La morte non l'ha richiamata a sè, e dopo due interventi è stata imprigionata in quel di Amman.

Mirella Lopez ha degli occhi bellissimi, che attraverso il vetro di separazione tra il mondo "libero" e il mondo "imprigionato", non mollano un attimo i miei.

La cocaina se l'è inghiottita per salvare i suoi da una preannunciata bancarotta. L'investimento fatto dal padre alcuni anni prima, utilizzando i risparmi di una vita, non ha portato i frutti sperati. Gli aguzzini si facevano sempre più vicini. Il suo coraggio l'ha spinta ad imbarcarsi in un'avventura più grande di lei, mossa dalla volontà di aiutare la famiglia a risollevarsi da sorti che non lasciavano presagire nulla di buono.

E' scomparsa nel nulla, la famiglia all' oscuro di tutto!

Dopo tre anni di prigione le hanno permesso di chiamare casa...

Quando siamo insieme, separati dal vetro i nostri mondi si incontrano. Lei mi racconta il suo, io ascolto il suo, lei vede il mio.

Fra due anni sarà nuovamente libera.

lunedì 11 maggio 2009

Il Papa ad Amman

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In una Amman in assetto da guerra ma gioiosa, che non si è fatta mancare nemmeno i cecchini bardati di tutto punto e disseminati sui tetti dei palazzi, ieri mattina allo Stadio Internazionale di Amman si è svolto l'evento che tutti i fedeli attendevano, l'arrivo di Benedetto XVI e la celebrazione della Santa Messa.
Lo staff Caritas, che negli ultimi 10 giorni aveva contribuito all'organizzazione dell'evento con grande fervore, ha passato la notte tra il sabato e la domenica allo stadio per gli ultimi agitati preparativi.
Alle 2 SCE è stato concesso il lusso di assistere all'evento da normali spettatrici e sono comodamente partite da casa alle 4.15 del mattino, via, assonnate e silenziose verso la chiesa di Jabal Amman, dove l'autobus per lo staff Caritas le attendeva per il trasporto verso lo stadio.
Ore 5.00 arrivate a destinazione, superati i cancelli, braccia e gambe divaricate per le perquisizioni di routine, tè caldo per difendersi da un vento del mattino un po’ troppo arrogante. Prendiamo posto sugli spalti ancora deserti. Ma non saremo arrivate un po’ troppo presto? Ormai ci siamo.
Ancora impastate di sonno osserviamo, con il passare delle ore, lo stadio che si riempie, che si colora, che trepida di emozioni, di cori, di linguaggi stridenti tra loro. I primi ad arrivare, insieme ai giordani, sono i filippini che lavorano qui, hanno approfittato del loro unico giorno libero per partecipare a questa grande festa, poi arrivano gruppi di libanesi, di siriani, di tedeschi, australiani, italiani, ognuno orgogliosamente sventolante la sua bandiera.
Qualche parola con i nostri colleghi di Caritas, sfiniti dalla veglia. Le ore passano, lo stadio è colmo. Dall'altoparlante gli spettatori vengono invitati a sedersi.
Una voce gracchiante comunica che il Papa sta arrivando. Applausi scroscianti, grida, tutti in piedi, eccolo nella sua papamobile, di bianco vestito, le braccia spalancate, fa un giro di pista benedicendo i fedeli impazziti per lui per poi prendere posto sull'altare.
Nel discorso di benvenuto il Papa viene simbolicamente accolto dalla comunità tutta, cristiana e musulmana, si parla di pace nel mondo, si stringe il focus sul Medio Oriente e sulla critica situazione del popolo di Terra Santa. Imprescindibili le parole sui rifugiati irakeni che la Giordania accoglie e sulla tutela delle necessità pastorali per gli irakeni di fede cristiana.
Poi sta al Papa, che parla come pastore di Dio. Parla della donna nella società giordana, del rispetto e della dignità per essa come segno di amore e civiltà. Poi passa alla Terra Santa, il Papa ricorda l'importanza della tradizione religiosa che da essa ha origine e la necessità del dialogo interreligioso.
Ma al di là delle parole del Papa, pronunciate in inglese e che non tutti avranno udito o capito, dopo gli incontri ufficiali di Benedetto XVI questa è stata la festa del popolo e il popolo ha risposto in massa.

giovedì 7 maggio 2009

Papagrinaggio in Giordania

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Fermento extra-ordinario nel quartier generale di Caritas Jordan ad Amman. Sì perché la Giordania tutta si sta preparando ad un grande evento: la visita di Papa Benedetto XVI tra l'8 e l'11 maggio.
Il Papa farà tappa ad Amman nell'ambito del suo pellegrinaggio in Giordania e Terra Santa in cui oltre ad incontrare la comunità cristiane e musulmane, ripercorrerà i luoghi di Gesù cari al cristianesimo.
E se dalla sponda italiana Alitalia comunica orgogliosa che il Papa volerà sull'Airbus 320 "Dante Alighieri", la gioia e l'orgoglio di questo viaggio sono tutti giordani.
Sul viaggio del Papa l'attenzione è inevitabilmente concentrata sui preparativi a Gerusalemme ma c'è un aspetto molto importante che fino ad ora è passato sorprendentemente inosservato. La novità più significativa rispetto ai due precedenti viaggi di Paolo VI e Giovanni Paolo II è infatti il peso maggiore che la visita di Benedetto XVI avrà sull'economia del pellegrinaggio. Infatti su 8 giorni di viaggio il Papa ne trascorrerà 3 in Giordania, fatto nuovo visto che Wojtila nel 2000 di giorni in Giordania ne trascorse solamente 1. Un grosso regalo dunque per la comunità cristiana giordana che si sta dando da fare affinché l'organizzazione dell'evento sia impeccabile.
In una conferenza stampa il nunzio Francis Assisi Chullikat ha dichiarato che la Giordania è orgogliosa di essere la prima tappa del pellegrinaggio di Benedetto XVI in Medio Oriente.
In Giordania il Papa celebrerà la S. Messa allo stadio di Amman, farà un incontro con i giovani, incontrerà re Abdallah e consorte in un'udienza privata, visiterà il Monte Nebo, benedirà il luogo su cui sorgerà la nuova chiesa cattolica a Wadi al Kharrar. Ma è previsto un altro momento molto importante ovvero la visita alla moschea Al Hussein, nella capitale. Sarà dunque la seconda volta, dopo la visita nel 2006 alla Moschea Blu di Istanbul, che Papa Benedetto XVI farà il suo ingresso in un luogo islamico. Questa visita sarà anche l'occasione per il primo dei due incontri che il Papa ha in programma con i rappresentanti della comunità islamica, il primo qui, il secondo a Gerusalemme, sulla Spianata, dove il Papa incontrerà il Gran Muftì.
La visita alla moschea di Amman è un evento molto importante nel cammino di dialogo tra cristiani e musulmani. Un dialogo su cui la corona giordana sta investendo molto puntando ad accreditarsi, in aperta concorrenza con l'Arabia Saudita, come punto di riferimento nel mondo musulmano per il dialogo tra cristiani e musulmani.
Dal canto loro la Fratellanza Musulmana e il Fronte di Azione Islamica come suo rappresentante politico fanno sapere attraverso la stampa giordana che attendono ancora le scuse da parte del Papa per le sue affermazioni del 2006 contro l'Islam e il suo Profeta Muhammad. Affermazioni cui il vescovo Sayegh ha risposto dicendo che "i musulmani sono nostri fratelli " e aggiungendo che "non vogliamo che rimangano ai margini di un evento così importante".
Questo pellegrinaggio ha già tutte le caratteristiche di un evento memorabile.

domenica 23 novembre 2008

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Dalla terrazza del super trendy, cosmopolita e per certi aspetti futuristico Wild Jordan café, la vista del wasat al-balad, la zona più popolare di Amman, colpisce per l'anarchico arroccamento di parabole giganti sui tetti delle povere case di povera gente.
Anche qui modernità fa rima con televisione e interconnessione mondiale. Avanti tutta! Che nessuno rimanga indietro! Si può campare con un piatto di hummus e quattro falafel al giorno ma che nessuno tocchi la TV...