Le ragazze escono dalle celle a piccoli gruppi e si allineano nel cortile interno. Filippine cingalesi, indonesiane: ne contiamo circa quaranta, ma probabilmente ce ne sono almeno altrettante rimaste dentro. Basta volgere lo sguardo alle porte di ferro ormai chiuse, dove decine di volti incuriositi si alternano febbrilmente dietro gli spioncini. Devono avere tra i venti e i trent’anni, forse di più. Alcune ci salutano con un sorriso, incredule di ricevere finalmente una visita.
Siamo nella sezione femminile del carcere di Juweideh, periferia meridionale di Amman. Qui si trova l’unico carcere femminile della Giordania, con tanto di sezione per le cosiddette detenute temporanee. Qui vengono condotte le donne immigrate clandestine con permesso di soggiorno scaduto.
Riesco a parlare con una ragazza filippina. Con la voce rotta dal pianto mi racconta di esser venuta in Giordania per lavorare come collaboratrice domestica, e di esser stata trovata dalla polizia sprovvista di permesso di soggiorno. Non si può permettere di pagare la multa, così le autorità la trattengono in carcere. Un’altra ragazza mi dice di aver già pronti i soldi per potersi “comprare” l’uscita dal Paese, e di aver ancora abbastanza denaro per il viaggio di ritorno nelle Filippine, ma per qualche ragione è ancora in carcere. Qualcosa deve essersi inceppato ed è ancora qui, da più di due mesi.
Sono partito da questa piccola esperienza per raccontare il dramma delle lavoratrici domestiche straniere in Giordania. La stragrande maggioranza di queste provengono dall’Asia Meridionale e Orientale, soprattutto da Indonesia, Filippine e Sri Lanka. Lasciano il Paese di origine sperando di trovare qui un lavoro dignitoso, contribuendo così a sostenere la famiglia rimasta in patria, ma finiscono spesso in una spirale interminabile di sfruttamento: sono vittime di abusi e maltrattamenti – se non di veri e propri pestaggi - da parte dei propri datori di lavoro; lavorano dalle 16 alle 19 ore giornaliere, spesso dovendo aspettare mesi per ricevere lo stipendio o parte di esso (a volte sono le agenzie di reclutamento a trattenere parte dei soldi); vengono tenute segregate nella casa dove lavorano per impedirne la fuga.
A volte, anche quando le ragazze riescono a fuggire, l’amara sorpresa è dietro l’angolo. Impossibile lasciare il paese: il datore di lavoro, responsabile per legge dell’adempimento, non ha mai provveduto all’estensione del loro permesso di soggiorno. Non potendo pagare la multa – ogni giorno di presenza irregolare in Giordania costa alla persona un dinaro e mezzo – le ragazze finiscono così in carcere, senza sapere se e quando riusciranno a uscire. In alcuni casi la situazione è ancora peggiore: non volendo rischiare conseguenze penali o amministrative per l’irregolarità, alcune famiglie cercano di liberarsi delle lavoratrici denunciandole alla polizia per maltrattamenti o per furto (è recente la notizia di una collaboratrice cingalese imprigionata, e poi rilasciata per mancanza di prove, in seguito all’accusa di aver rubato alcuni gioielli e aver abusato della bambina della famiglia presso cui lavorava).
Del resto, come mi dice una terza ragazza a Juweideh, la fuga può anche essere sorprendentemente breve. Una volta raggiunto il miraggio del rimpatrio, molte sue connazionali hanno ripreso subito la strada della Giordania, finendo nuovamente in carcere. Lei però non ci potrà riprovare: sul passaporto le hanno messo un timbro recante la scritta “Denied Entry”, che verosimilmente le impedirà di rivedere le colline di Amman per almeno cinque anni.
Secondo Amnesty International sarebbero oltre 70.000 le collaboratrici domestiche presenti in Giordania, di cui circa 30.000 non registrate. Diverse organizzazioni, tra cui Human Rights Watch, hanno denunciato questa pratica, in contrasto con le stesse leggi giordane. Lo stesso governo si sarebbe impegnato a emendare la propria legislazione del lavoro, promettendo di dedicare un’attenzione specifica ai diritti delle lavoratrici domestiche.
Per chi volesse ulteriormente approfondire la questione:
Report di Amnesty International;
Analisi di Human Rights Watch sulla nuova legislazione del lavoro in Giordania;
Articolo del Jordan Times a proposito di un recente caso di maltrattamento.
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