martedì 19 gennaio 2010

In certe situazioni non sono io, ma quello che rappresento.

2010 01 18, 22e49, Pt Blair

 
Il giubileo argenteo che ha coinvolto le migliaia di cattolici andamani (su un totale di 36mila) che potevano raggiungere la capitale in questi giorni si è concluso e ci ha lasciati epidermicamente provati: il vescovo Alex ha organizzato oggi una tappa di chiusura su un’isola dove il sole mi pesta come certi umani europei spetasciano uno scarafaggio; solo una tale violenza può giustificare questo rossore. Al momento lo scarafaggio non sente niente, ma neanch’io. In seguito lo scarafaggio non sente più niente, io sì. Che poi, chissà cosa centro.

 



Ho la bella intuizione di spiegarlo a 50 ragazze dei 2 kishori che stiamo affiancando in questi anni. Ma prima spiego a voi cosa sono i kishori: si tratta di corsi femminili residenziali della durata di una decina di mesi finalizzati a emancipare giovani donne di villaggi, altrimenti costrette in casa con livelli di alfabetizzazione e socializzazione infimi. A me il progetto pare interessante e lo step di monitoraggio pomeridiano prevede un incontro frontale con le dirette destinatarie dei corsi. Step cui arriviamo colpevolmente in ritardo di un’ora e mezza, e nel quale vengo invitato a presentarmi in inglese per aprire l’incontro.

 

“Ciao, io sono Paolo, lavoro per Caritas Ambrosiana. Sono mortificato per il ritardo, vi chiedo scusa. Eravamo su Ross Island. “Ross” in italiano significa “rosso”, ed è questo il colore che ci vedete in volto. A noi Ross Island fa quest’effetto”.

 
In certe situazioni sono io, ma anche quello che rappresento.

 
Alberto credo abbia l’aria di chi si sta chiedendo se ho detto veramente quello che ha sentito, ma ripiglio il discorso e lo conduco verso lidi più fermi. Sedutomi, la sedia continua a dondolare, postumo dell’ondeggiante viaggio mattutino sul traghetto. Le ragazze, una alla volta, raccontano perché gli piace il kishori, cosa faranno dopo e cosa credono possa essere migliorabile; hanno già scritto i loro pensieri sul quaderno, qualcuna li sta ripassando nascostamente.

 
Una di loro spiega di avere guadagnato autostima, e che ora riesce a parlare tranquillamente a persone maggiori di lei. Le rispondo è vero: il suo discorso è proceduto spedito. A quel punto però nessuna se la sente più di prendere la parola. Arguto commento, Paolo.

 
Le ragazze maggiori sono mie coetanee, ma non è il fattore anagrafico che affatica il momento. È il ricoprire il ruolo del donor, di quello che aiuta, di chi per lavoro fa il buono. Ricordo sorridendo quando nelle prigioni etiopi cogli altri italiani, gente ben navigata, ci smarcavamo al momento della consegna ai prigionieri dei vestiti raccolti dalla cappellaneria; ma bisognava farlo. Le partnership ti vogliono protagonista anche di situazioni che magari non creeresti proprio così.

 
Ci penso un po’, un paio d’ore dopo, camminando sulla spiaggia. Lo sciabordio delle stelle, i granchi che fuggono ai miei passi tra le radici delle alte palme.

E poi arrivo in stanza, entro nel mio bagno e c’è uno.

 
Paolo: Scusi, non sapevo, non ho bussato..

 
Uno: …

 
Faccio per girarmi per uscire, ma m’avvedo che non è una persona, bensì uno scarafaggio. E ringhia al mio indirizzo.

 



In certe situazioni sono io e basta.

 

Pesto come il sole su certi italiani alla Ross Island.

 

Che poi, chissà cosa c’entra.









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