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martedì 19 settembre 2017

Muri con radici profonde

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La Red Jesuita con migrantes è una rete di organizzazioni gesuite disseminate in tutto il centro america che ha come obbiettivo quello di appoggiare e accompagnare le persone migranti in questa area attraverso tre tipi di azione: l’assistenza diretta alla persona migrante, un lavoro di ricerca ed investigazione sul fenomeno migratorio e l’appoggio a reti e organizzazioni di migranti che rivendichino i propri diritti.
Nell'ambito dei cantieri della solidarietà 2017 abbiamo avuto occasione di incontrare Lea Montes, la direttrice di tale organizzazione a Managua.

Qui un breve resoconto della sua esposizione sulla situazione delle migrazioni in Centro America e alcune considerazioni.

Si possono individuare tre fasi della migrazione in Centro America: negli anni ‘70 la migrazione è soprattutto dalla campagna alla città, negli anni ‘80 si verifica una ondata di migrazioni forzate dovute ai diversi conflitti nella regione, infine negli anni ’90 in concomitanza con l’inizio della globalizzazione si assiste ad una trasformazione e ad un aumento del fenomeno migratorio, cambiano le cause dello spostamento e cambia la composizione dei soggetti in particolare per quanto riguarda quella che viene definita una crescente feminizzazione delle migrazioni.

Risultati immagini per frontiera messico stati uniti
Con l’aumento delle migrazioni a partire dagli anni novanta, cresce in concomitanza l’effetto delle rimesse sul PIL nazionale dei diversi Paesi centroamericani. Ad esempio in Nicaragua le rimesse passano da rappresentare il 2% del PIL a rappresentarne il 9,6%.
Molte sono le famiglie che sopravvivono in Nicaragua grazie alle rimesse mandate dai parenti migrati in Costa Rica o negli Stati Uniti. E la possibilità di supportare un intero nucleo famigliare, spesso è la ragione che spinge donne e uomini a intraprendere lo spaventoso viaggio verso Nord o verso Sud, le infinite difficoltà e i rischi che la migrazione comporta.

Secondo alcuni dati riportati dalla dottoressa Montes sarebbero fra le 200 e 400 mila persone, quelle che ogni anno passano il confine messicano.
Il viaggio attraverso il Centro America è estremamente pericoloso e il 45,7% di coloro che attraversano il Messico diventano vittime del crimine organizzato. Considerando l’esponenziale aumento di minori non accompagnati e donne su questa rotta, alti sono i tassi di violenze e abusi ai danni di questi ultimi (64% delle donne migranti afferma di aver ricevuto abusi).
Si calcola che siano approssimativamente 2464 i migranti scomparsi nella rotta fra Messico e Stati Uniti. Negli anni si sono formati gruppi di madri che, come le madri di plaza de Mayo argentine, lottano per ottenere giustizia e ritrovare le proprie figlie e i propri desaparecidos. 

Nel film “Desierto” uscito nel 2015, viene rappresentato tutto l’orrore del passaggio della frontiera in una forma poco realistica, eppure in parte efficace nel permette allo spettatore di vivere in un ora e poco più di film un'ansia che può ricordare quella che vivono le migranti e i migranti durante tutto il percorso di attraversamento dell'america centrale. Nella pellicola un razzista nordamericano e il suo cane passano il tempo a dare la caccia ai migranti nel deserto on lo scopo di ucciderli; viene messa in scena una caccia all'uomo che ricorda la caccia agli schiavi fuggiaschi dalle piantagioni, battute che spesso e volentieri finivano con i fuggitivi raggiunti e poi sbranati dai cani addestrati, fine che faranno anche diversi dei protagonisti del film.

Risultati immagini per frontiera messico stati unitiStando all'analogia si potrebbe aggiungere che per lo meno gli schiavi, quando riuscivano a fuggire e raggiungere le montagne, erano liberi, i migranti di oggi quando anche riescano a passare il confine si ritrovano schiavizzati dal ricatto costante dei documenti, che nella maggior parte dei casi non otterranno mai e che li costringerà all'invisibilità e allo sfruttamento, spesso quasi schiavistico.

Significativo è anche il dato sul numero di espulsioni, che fra il 2014 e il 2016 ha visto un incremento soprattutto nei casi effettuati via terra, cioè direttamente alla frontiera, su quelle via aereo, evidenziando l’inasprimento dei controlli frontalieri.

La frontiera degli Stati Uniti è ormai in Messico” constata la relatrice, “grazie ad un processo di militarizzazione e securitarizzazione della frontiera che è ben precedente all'era Trump, che ha le sue radici nel rafforzamento militare delle frontiere nel 1994, anno in cui viene firmata la NAFTA (North American Free Trade Agreement) e in cui di contro si assiste al levantamiento zapatista".
Dal '94 in avanti diverse sono state le riforme e i provvedimenti di rafforzamento dei confini, in particolare a seguito dell'attentato del 2001, che ha portato nel 2002 una nuova politica per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti eccezionalmente restrittiva rispetto alla mobilità. E poi ancora riforme nel 2005 con un incremento della polizia di frontiera, nel 2008 con il trattato internazionale di sicurezza siglato da U.S.A. e Messico e ancora nel 2014 con un'ulteriore inasprimento dei controlli alla frontiera. Conclude Lea Montes: “il muro di Trump esiste già”.

Esattamente come in Europa il processo di apertura delle frontiere alle merci, viene immediatamente contrappesata da una chiusura e un controllo sul passaggio delle persone considerate un “rischio” per la sicurezza dei paesi coinvolti nei trattati di libero commercio e la conseguente militarizzazione dei territori.

Quello che la nostra interlocutrice ci fa capire è che il muro di Trump, non è la volontà di un folle che verrà costruito da un giorno con l’altro fuori da qualsiasi legge, ma un processo ben radicato nel tempo che pietra dopo pietra miete costantemente vittime in nome della libertà di pochi e dello sfruttamento di molti. Di tale processo  Trump non è altro che l’ultimo e più convinto portavoce.


mercoledì 30 agosto 2017

Piccola storia di una Scuola

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Il Centro Escolar di Redes de Solidaridad a Nueva Vida, Ciudad Sandino è una scuola elementare sui generis pensando al contesto nella quale è inserita.
Non é la scuola ideale, né un utopia in quanto vive anch’essa delle sue contraddizioni, ma è comunque una bolla nella quale rifugiarsi nei primi anni di crescita e apprendimento e che costa fatica abbandonare allo scadere del sesto anno, tanto per le bambine e i bambini, quanto per le madri e i padri degli stessi bambinx.
Le maestre e i maestri sono appasionati e presenti; alla didattica frontale si sommano innumerevoli laboratori di arte, teatro e danza; un' attenzione speciale é dedicata alla promozione della lettura; grande spazio viene dato allo sport, ma anche alla ricreazione e al gioco.
Oltre a tutto questo colpisce, in maniera particolare, la volontá, all’interno di un contesto tanto machista, di crescere ed educarele bambine e bambini nel segno della paritá di genere.
È uno sforzo imperfetto, ma costante per tentare di eliminare, quanto possibile, le separazioni forzate fra maschi e femmine, di distruggere i falsi miti di principi e principesse e di rafforzare la coscienza dei diritti paritari delle e dei bambini.
Sforzo costante, appunto, che si scontra altrettanto costantemente con la realtá esterna alla bolla, la quale plasma violentemente bambinx e professorx cercando di reincanalarli in quella binarietá e rigiditá dei generi tanto pericolosa.

Ogni hanno Zoyla, la bibliotecaria organizza un laboratorio teatrale con l’obbiettivo di mettere in scena le storie del Nicaragua dalla conquista dell’America fino alla Rivoluzione Sandinista. Ad ogni classe viene affidata una diversa parte della storia.
(Qui si potrebbe aprire una parentesi in cui interrogarsi sulle scelte delle storie e le loro interpretazioni, spesso estrapolate direttamente dai libri di testo.)
Zoyla, per dare continuitá al discorso di paritá di genere ha utilizzato alcune strategie come, da un lato,  rivisitare parzialmente la storia cambiando il genere di alcuni personaggi, dall’altro, recuperare alcune figure femminili marginalizzate o dimenticate dalle storie ufficiali. E’ questo il caso, ad esempio, della rappresentazione della resistenza indigena  in cui si affianca alla figura del cachique Diriangen, leader della resistenza, la figura di Itza, donna indigena e combattente valorosa, giá recuperata dall’oblio della storia dal romanzo di Gioconda Belli “La donna abitata”, in nome di tutte le indigene i cui nomi non appaiono nella Storia.
Cosí pirati e guerriglieri sono interpretati in egual misura tanto da bambini, quanto da bambine.
È sempre in base a questo principio che la scelta del personaggio di Cristoforo Colombo era ricaduta su Sharon, una bambina dallo sguardo vispo e dalle ottime capacitá sceniche.
Dopo due settimane di prove apprendo che la piccola attrice è stata sostituita e al suo posto sará un altro bambino ad assumere il ruolo di Colombo, mentre a Sharon toccherá un personaggio secondario.
Alan, maestro della terza elementare, mi spiega che il cambiamento è stato dovuto alla visita alla scuola della madre di Sharon che ha trovato inaccettabile che sua figlia ricoprisse un ruolo maschile e ha chiesto espressamente che fosse cambiato il ruolo da lei interpretato.
Allo stesso modo si è dovuto aggiungere una scena extra, ambientata alla corte spagnola, poiché una madre aveva giá preparato il vestito da principessa per la figlia, prima ancora di conoscere i dettagli dello spettacolo.
È cosí che la bolla esplode e si interseca bruscamente con la realtá, ed è in questo stesso punto che comincia la vera sfida, è in questa frattura fra ideale e realtá che bisogna lavorare e mettere le mani. È proprio il contatto quotidiano e reale con il contesto in cui è situato il Centro Escolar che puó renderlo un incredibile laboratorio di educazione popolare e di genere, di un educazione che si da come fine, come obbiettivo la trasformazione e il cambio sociale. Sperando che la bolla continui a esplodere.
Quando mi hanno detto del cambio di attrice ero sconsolata, piú io della bambina a cui hanno cambiato ruolo, poi Zoyla mi ha detto: “Non importa, inventeremo un inseparabile e fondaentale aiutante di Colombo e sará una donna”.
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giovedì 20 aprile 2017

Donne in difesa dei loro territorii

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Managua 19 Aprile
Quattro donne diverse per storia e provenienza unite da una comune lotta per la difesa della terra e del proprio territorio, hanno raccontato la loro esperienza ad un pubblico altrettanto variegato in un incontro organizzato da “Iniciativa Nicaragüense de Defensoras de los DDHH de las Mujeres” con l’appoggio dell’organizzazione “Popolna”, ospitato dall’Universitá Centro Americana di Managua.
In un’epoca di estrattivismo e grandi opere, cosa succede ai territori? Come si organizza la resistenza? Queste le domande che hanno aperto l’incontro.

Dolene Miller, di origine creola, vive a  Bluefield  e racconta delle problematiche della Costa dell’Atlantico Sud. La Costa ha ottenuto l’autonomia nel 1987, ma per molti aspetti questa autonomia non viene riconosciuta e la lotta che Dolene porta avanti è di riappropriazione del senso di questa autonomia, promuovendo la partecipazione della comunitá nella costruzione della stessa.
Lottie Cunningham, che arriva invece dalla provincia di Waspan nella regione dell’Atlantico Nord, è di origine Miskito, il gruppo indigeno maggioritario in Nicaragua. Parla, infatti, della legge 445, quella che riconosce nel Paese i diritti dei popoli indigeni e la proprietá comune della terra, legge che, a detta dell’oratrice, viene costantemente calpestata.
Nell’area dell’Atlantico Nord numerosi sono stati gli scontri fra gli indigeni e i “coloni”, gruppi sfollati da altre zone del Paese e ricollocati dal governo nel territorio Miskito. Questo porta, secondo Lottie, ad una continua tensione nella zona.

Dall’Atlantico si passa poi all’entroterra: prende parola Haydee Castillo, della Nuova Segovia.
Comincia dicendo che, in quanto femminista, il primo territorio che difende è il suo proprio corpo e accenna alla guerra che si sta portando avanti contro le donne di questo Paese e i loro corpi.
Della nuova Segovia racconta di ettari e ettari di terra, un  tempo foresta, svenduti a potenze straniere, privando gli abitanti delle proprie risorse. I contadini della Segovia ora hanno come unica alternativa alla migrazione, lo sfruttamento.

Infine parla Francisca Ramirez, detta Doña Chica, celebre leader del movimento campesino in difesa delle terre minacciate dalla costruzione di un canale interoceanico.
L’accordo del 2013, firmato dal presidente Ortega e l’imprenditore cinese Wang Jing per la costruzione del canale, viene sigillato da una legge, la 840: “ Legge speciale per lo sviluppo di infrastrutture e trasporti nella zona del canale, zone di libero commercio e simili”. La legge permette all’imprenditore di disporre per piú di cento anni di tutte le risorse naturali, proprietá pubbliche, private o comunitarie in qualsiasi parte della nazione, che siano necessarie per il progetto.  Ed è proprio alla svendita del territorio ad un impresa straniera, nel totale disinteresse dei suoi abitanti, che il movimento campesino, guidato da doña Chica, si sta opponendo.
Francisca Ramirez ricorda che la lotta non è solo dei contadini che verranno colpiti dal canale, ma deve necessariamente essere una lotta di tutti gli abitanti di questo paese.

Il 22 Aprile, Giorno Internazionale della Terra, si svolgerá a Juigalpa la ottantasettesima marcia contro il canale e in difesa della terra; l’invito viene rivolto a tutti.

Donne afrodiscendenti, indigene, campesinas sono le indiscutibili protagoniste di questi nuovi movimenti in difesa della terra che stanno prendendo piede in tutto il Nicaragua. Marginalizzate da sempre, ora alzano la voce rivendicando sovranitá e autonomia. Come non ascoltarle?

martedì 7 marzo 2017

8M Paro Mundial de Mujeres

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                 E anche a Nueva Vida, ci si prepara allo sciopero globale delle donne!



il nostro contributo, con tutto l'analfabetismo tecnologico del caso e la strumentazione decisamente vintage, a questa giornata di lotta.

Buona visione!

Video: 8M Paro mundial de mujeres

https://www.youtube.com/watch?v=qkRNOWngX58&t=13s





lunedì 20 febbraio 2017

Nicaragua tanto violentemente dolce

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"Muy pocos meses después de su liberación, Nicaragua se lanza a una campaña general de alfabetización que durante un plazo todavía imprevisible convertirá la totalidad del país en una gigantesca escuela en la que de alguna manera la mitad de la población enseñerá a leer y a ecribir a la otra mitad." 
Julio Cortazar, "Nicaragua tan violentamente dulce"
 L’educazione popolare é un concetto che si definisce nella pratica, che per sua natura sfugge a qualsiasi tipo di sistematizzazione e teorizzazione che possano limitarne l’azione e la diffusione.
Freire, pedagogo brasiliano, considerato il padre di questa disciplina, la definisce come: “ una proposta teorico-pratica, in continua costruzione in centinaia di pratiche, in molti diversi scenari della nostra America (e anche piú in lá). la sua visione é impegnata, compromessa socialmente e politicamente.”
Ci sono alcuni elementi che sono alla base di questo metodo educativo e che ne costituiscono l’essenza, primo fra tutti la prospettiva di trasformazione, l’idea cioé che educare sia sinonimo di trasformare,  che sia una strada fondamentale verso il cambiamento sociale.
Per questa stessa ragione l’educazione popolare non puó e non vuole essere neutrale, intendendo neutralitá come forma di sostenere e perpetrare lo staus quo, ma al contrario, con le parole di Freire, "prende sempre il punto di vista dei dannati della terra".
Altro elemento cardine consiste nel fatto di vedere educatore ed educando come conpartecipi di questa opera di trasformazione e di ricollocarli, dunque, in un asse orizzontale e non piú verticale.
L’educazione diventa così strumento di creazione e immaginazione, lo studente non è piú un vaso vuoto da riempire di contenuti, ma una mente fantasiosa capace di scrivere la sua storia.
Il Nicaragua ha una lunga tradizione di educazione popolare, le esperienze del piccolo Paese centroamericano, hanno contribuito moltissimo, infatti, alla sua nascita e alla sua diffusione in america e nel mondo.
Augusto Sandino, rivoluzionario nicaraguense, che spinse il popolo alla resitenza fino alla liberazione del Paese dalle forze militari statunitensi nel 1933, viene considerato un precursore dell’educazione popolare. Nelle montagne della Segovia dove si costituí il primo accampamento della resistenza, Sandino promosse un “dipartimento docente” con l’obiettivo di insegnare a leggere e a scrivere e per stimolare il pensiero critico di tutti i componenti dell’esercito.
I metodi innovativi sperimentati da Sandino, non ebbero lunga vita dopo la liberazione, a partire dalla sua morte si instauró il regime dei Somoza che sarebbe durato per i successivi 40 anni e che avrebbe annientato qualsiasi forma di pensiero libero.
Sará con la fine della dittatura Somoza e con la vittoria della Rivoluzione sandinista nel 1979 che si tornerá a parlare di educazione popolare e si svilupperá una delle iniziative educative piú interessanti di tutti i tempi.
Quando la dittatura Somoza fu sconfitta il 50% della popolazione nicaraguense si dichiarava analfabeta, il tasso cresceva spostandosi dalla cittá alle zone rurali.
L’idea dei sandinisti era che dopo aver vinto contro la dittatura era ora necessario cominciare una nuova battaglia per sconfiggere l’ignoranza.
L’obiettivo era promuovere non solo un educazione per tutti, ma soprattutto una “nuova” educazione per tutti.
Fu così che si diede l’impulso alla “Cruzada de alfabetización” che nel 1980 portó 180 mila giovani alfabetizatori a lasciare le proprie case per dirigersi nelle zone piú remote del Paese ad insegnare a leggere e a scrivere.
Con la “Cruzada de alfabetización” 406.056 persone impararono a leggere e a scrivere e la popolazione studentesca raddoppió.
Si racconta che fra educatori ed educandi si creó un rapporto molto speciale, gli alfabetizatori vennero accolti come parte della famiglia, impararono a coltivare la terra e allevare il bestiame e sopratutto vennero difesi quando cominciarono gli attacchi dei “contras” con l’avanzare della controrivoluzione.
Quando la crociata prese vita, il paese viveva un momento di estrema difficoltá, fra la guerra dei controrivoluzionari supportati dalla Cia, la morte e la distruzione. Quello che si tentava di fare era “educare nella povertá”, dove il materiale fondamentale era il potenziale umano, la coscienza popolare, i suoi strumenti e la sua creativitá. Mancando i libri, le scuole, le aule, l’educazione non poteva che essere un processo collettivo e partecipativo e non poteva che avere come obiettivo la fine della guerra. Questo significava educazione popolare in Nicaragua.
Pensando al Nicaragua di oggi, girando per le scuole di Nueva Vida e Ciudad Sandino, a tratti sembra che di questa bella storia non resti che un paragrafo sul libro di testo, che è bene imparare a memoria, ma, per caritá, certo non mettere in pratica.
Il Nicaragua sta lentamente scivolando verso la supremazia assoluta di una “dinastia familiare”, dove poco spazio é lasciato alla critica, all’opposizione e al pensiero libero (ma solo al pensiero, perché il mercato é liberissimo). Recuperare la vera essenza di quella “educazione nella povertá” o educazione popolare della crociata di alfabetizzazione significherebbe mettere in discussione lo status quo e aspirare ad una trasformazione del presente. 
La logica secondo la quale vengono utilizzate le parole d'ordine del socialismo e del sandinismo per promuovere un sistema improntato al neoliberalismo, impregnato di fondamentalismo religioso e in odor di dittatura é a dir poco perverso, ma quanto potrá ancora durare?