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lunedì 20 febbraio 2017

Sconfìnati: venti di partecipazione

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Giovedi 23 febbraio raggiungiamo quota 20.


Oltre 1600 persone incontrate in giro per la Diocesi. 

E al termine di ogni incontro tante persone si avvicinano, ringraziano, chiedono di poter far qualcosa.

Capita a volte di ricevere uno scritto che questa volta l'autore ha deciso di spedire alle redazioni di un po' di testate (grazie!). Anche questo è un modo per attivarsi, non rimanere indifferenti e noi lo pubblichiamo con grande piacere nel blog.

Sconfìnati, con l'accento sulla "i", prosegue il cammino: abbiamo ancora un po' di km da fare e almeno altri 10 incontri in programma. 

Intanto grazie di cuore a tutti quelli che hanno deciso di Sconfinare con noi!

Sergio e Alessandro

venerdì 3 febbraio 2017

Ai confini della realtà

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Lo dico subito: il direttore del Centro di Subotica e il personale che abbiamo incontrato oggi sono stati molto disponibili e hanno risposto alle nostre domande per oltre un'ora e mezza.

Ci forniscono dati aggiornati degli ospiti, ci spiegano come funziona il protocollo delle liste di attesa per attraversare il confine serbo-ungherese e non nascondono fatiche e preoccupazioni.

E la violazione dei diritti umani della polizia ungherese.

Raccolgono storie e ferite, non metaforiche, da uomini,  donne e bambini respinti dopo essere entrati in Unione europea.

Ce lo dicono senza ipocrisia: "uno schiaffo ci può anche stare. Ma non è tollerabile che, avvistato un migrante,  vengano lasciati liberi i cani oppure che si bagnino completamente con l'acqua."
Non è raro che il piccolo ambulatorio del Centro curi casi di congelamento.

No, non è tollerabile.

Così come è incomprensibile che le famiglie vengano deliberatamente spezzate.
Sì, perché oggi la regola ungherese consente il passaggio di 10 richiedenti asilo al giorno (pochi mesi fa ne passavano 60, poi 30) ma da due confini diversi (5+5).


In questi giorni abbiamo incontrato nuclei famigliari numerosi: come faranno?
Chi sceglieranno di lasciare indietro? 
Questo è un campo piccolo ma su 103 ospiti 34 sono minori e 16 sono non accompagnati.

L'IOM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) è autorizzata ad accompagnare a Subotica i migranti che sono accolti in altri Centri ma non possono accompagnare al confine chi finalmente ha acquisito il diritto di sconfinare.
I due punti di uscita si trovano rispettivamente a 10 e a 30 km di distanza.
O ci vai a piedi oppure paghi un taxista.

Inoltre i migranti possono iniziare le pratiche per l'ingresso in Ungheria la mattina presto ma sono obbligati a presentarsi la sera prima, pena il respingimento.  Significa rimanere una notte intera all'aperto.

Il direttore conclude l'incontro dicendo:
"Se l'UE decide di chiudere definitivamente i confini si passerà da una crisi migratoria a una catastrofe migratoria".

Torniamo a casa ottimisti?


Sergio Malacrida

giovedì 2 febbraio 2017

Mi sono sentito molto felice

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Adasevci, Sid, Principovac.

Silvia mi sgrida quando sbaglio a pronunciare dignitosamente nomi, parole, città in una lingua che non mi appartiene. 

Figurati quante volte B., giovane iraniano, ha provato a dirmi come si chiama.
A un certo punto mi chiede di aspettarlo un attimo: vuole farmi vedere un quaderno che conserva nel suo posto letto a Principovac  (ex ospedale psichiatrico pediatrico abbandonato per mancanza di fondi, ora centro di accoglienza al confine con la Croazia).


È un déjà vu: lo scorso anno avevo conosciuto Said, di Kabul.
Anche B. sta imparando l'italiano da autodidatta perché c'è qualcuno che lo aspetta a Pisa. 


Ma a differenza di Said, B. non è un transitante.  Lui è in lista di attesa per poter varcare legalmente il confine con l'Ungheria. 
Faccio finta di non sapere quanto tempo dovrà attendere. 

Se tutto va bene, se l'Europa nel frattempo non si dissolve, se riuscirà a non farsi prendere dallo sconforto,  se uscirà il numero giusto sulla ruota di Principovac, forse, fra un paio d'anni riuscirà a vedere la torre pendente.
Prima passano le donne con i bimbi ammalati,  poi gli ammalati, poi i nuclei famigliari, alla fine gli uomini soli.

Massimo 10 al giorno.

Ad Adasevci,  altro centro ufficiale, ex autogrill abbandonato,  vivono oltre 1000 persone (1/3 minori). Un papà afgano, che attende il suo turno da 7 mesi insieme al suo nucleo famigliare composto da 9 persone, mi dice: "Hallo. Cold."
Nel frattempo,  nel nuovo autogrill alle spalle del centro, da un finestrino di un auto ripartita dopo il pit stop, un gentile signore regala una merendina a un bimbo che cammina nella neve.



Ma di che numeri stiamo parlando?

I dati ufficiali dell'UNHCR dicono 6346. Ma nei centri c'è posto solo per 6000. Fuori dal conto ufficiale, ce ne sono almeno altri 1000.

Chi è rimasto incastrato in Serbia, da transitante si è trasformato in (potenziale) richiedente asilo. E ora vive nei centri che lo scorso anno erano pensati per accogliere persone una giornata o poco più.


Ma non tutti fruiscono degli stessi servizi. Qualcuno mangia, qualcuno no.
Qualcuno, se vuole, può andare a scuola, altri (tutti) no.
I vestiti, forniti dalle organizzazioni, si sa, dopo un tot (misura di tempo variabile) si sporcano. E se non li puoi lavare, soprattutto d'inverno, è un problema.

Ah, le organizzazioni! Lo scorso anno, negli hotspot, era un fiorire di pettorine, cappellini, tende brandizzate.
Ora, finita l'emergenza (?), chiusa la rotta (?), sono rimasti solo adesivi e vetrofanie.

Caritas ha continuato a distribuire pasti caldi a Sid, Adesevci e Principovac: colazione, pranzo e cena per 2000 persone.
In totale oltre 220.000 pasti.



E poi abiti invernali, kit igienico-sanitari. Ha installato anche lavatrici e asciugatrici.

Un anno dopo mi sembra tutto uguale, se non peggio.

Le condizioni di vita nei centri sono pessime. Tutti vivono stipati in pochi centimetri quadrati e, non essendoci spazi comunitari, passano giornate interminabili seduti sulla propria brandina.

Domani si va verso il confine con l'Ungheria.
Chissà se riusciremo a trovare qualcuno che potrà finalmente dire ad alta voce:
"Mi sono sentito molto felice"

Sergio

martedì 31 gennaio 2017

L' Ungheria è lunga 8 km

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La bocca è impastata e dalle tempie senti il ritmo accelerato del tuo battito cardiaco.

Poi c'è quell'odore che non se ne va.

Le orecchie sentono ancora i colpi di tosse che sembrano non fermarsi mai.
Le mani, troppo fredde per rimanere scoperte, si sono salvate.
Per gli occhi,  ne riparliamo domattina al risveglio.

C'è un senso?


Sicuramente c'è una direzione, precisa.
L'EUROPA.

Che da qui si cerca di raggiungere attraverso l'Ungheria.
Ma se la polizia ti trova entro 8 km dal confine,  per legge ti rimandano da dove sei venuto.

Tra i migranti ormai gira voce che "l'Ungheria è lunga 8 km".
Non si passa.
E se ti prendono, anche oltre gli 8 km, ti riempiono di botte.
L'uomo con le stampelle e un piede ingessato arriva da lì.


Ora vive a Belgrado, nell'ex terminal doganale, insieme ad altri #sconfinati.
Ce ne sono tanti, non saprei dire quanti. Molti sono sotto cumuli di coperte, altri bruciano quel che c'è, altri ancora sono all'esterno a cercare acqua per lavarsi.

Altri ancora escono dall'inferno dove nessuno può entrare a dare una mano, per tornare poi alla sera.


Nessuno li può aiutare ufficialmente.
Se lo vuoi fare, dopo non ti è più permesso lavorare nei campi governativi.
I trafficanti dicono loro che se si fanno registrare dopo non potranno più proseguire.
Sono arrivati dall'Afghanistan, dal Pakistan, per raggiungere l'Europa,  non per stare in Serbia.

E l'Europa? 
Finanzia la Serbia perché li tenga a casa propria.
Ma i soldi non bastano, non c'è da mangiare e da dormire per tutti.
E la #Balkanroute non è poi così chiusa. Piano piano, giorno dopo giorno, ne arrivano altri, grazie al prospero business dei trafficanti.



Dimenticavo.
Tutti quelli che ce l'hanno fatta e sono arrivati in Europa attraversando la Serbia, ora sono in attesa di una risposta e se la domanda di asilo verrà rifiutata, potrebbero essere rispediti qui.

Perché le merci passano, gli uomini no.

Oppure se passano, si fermano a marcire nella dogana.




giovedì 3 aprile 2014

Georgia: danzare la vita

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Ed eccoci arrivati a Kutaisi, città di 150.000 abitanti, sede (non si sa ancora per quanto) del Parlamento. Provate a fare uno sforzo di fantasia e immaginare i nostri rappresentanti romani che per raggiungere gli scranni e sedersi nell'emiciclo devono mettersi in viaggio per almeno 4 ore, in auto, su una provinciale a 2 corsie (una per senso di marcia) e mettersi in coda ai tir che dall'Azerbaijan trasportano petrolio (e quindi sono piuttosto lenti).
Eh si, perché il parlamento non è a Tbilisi ma, grazie ad un simpatico architetto spagnolo, ora a Kutaisi c'è un edificio (enorme), a forma di lumaca che ospita i legislatori locali, costretti a fare i pendolari e a velocizzare l'iter parlamentare.

Ma la storia di oggi ve la raccontiamo attraverso un breve filmato.

A Kutaisi, di interessante c'è un centro diurno. 

curato da Caritas Georgia, diretto da un prof. locale, voluto e amato instancabilmente da suor Loredana che da almeno dieci anni accoglie ogni giorno oltre 100 bambini in stato di necessità socio-economica.

Che per la legge significa vivere con meno di 5 lari al giorno (circa 2€)

Doposcuola, laboratori di informatica,  inglese, cucito, falegnameria e danza tradizionale.


Qui vi facciamo vedere le prove: peccato che i bimbi non indossino gli abiti tradizionali!



martedì 1 aprile 2014

Georgia: profughi per sempre

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Chi si ricorda della guerra dei 5 giorni dell'agosto 2008?
Queste 3000 famiglie (circa 12000 persone) certamente sí.

Nessuno oggi crede (ma molti lo sostenevano già 6 anni fa) di poter far ritorno in Ossezia del sud, la cui indipendenza non è mai stata riconosciuta dalla comunità internazionale tranne che dalla Russia e dal Nicaragua (!?!).

Ecco, la connessione non ci permette di raccontare altro, ma la foto racconta a sufficienza l'immobilismo delle diplomazie e le analogie con la complessità della situazione attuale in Ucraina.  Speriamo di sbagliarci. Speriamo...

Georgia: born in the USA (?)

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Succede anche questo: sommerso nel traffico di Tbilisi, mentre il cuore batte a mille a causa della guida allegra di Kaka, non credi ai tuoi occhi quando ti imbatti in quello che vorresti fosse un vecchio manifesto pubblicitario e invece è il toponimo di una via non proprio secondaria della capitale.


Ma, bizzarrie a parte (è tutto vero!), oggi ci siamo concentrati su chi è nato nella Georgia Euro(?)Asiatica(?) e per biografie diverse non ha una famiglia su cui poter pienamente contare.

Ma oggi non vogliamo raccontare storie strappalacrime di minori in istituto che vivono in condizioni subumane.
Vogliamo dirvi che, grazie alle politiche di de-istituzionalizzazione introdotte a partire dal 2006, ora nel Paese (il primo in assoluto, parlando di stati ex sovietici) sono rimasti solo 3 istituti (prima 49) che ospitano ancora 120 minori (prima 5.000) privi di cure genitoriali.

Il vecchio Istituto di Rustavi oggi ospita una comunità di pronto intervento per adolescenti di strada. 
E quei 5.000? Dove sono finiti?
La priorità è stata data al reinserimento nella rete famigliare allargata, in seconda istanza l'affido e/o l'adozione nazionale. In tutti gli altri casi, l'invio presso Case Famiglia.
Le strutture, finanziate al 75% dallo Stato, sono gestite dal privato sociale: Caritas Georgia è in prima linea nel settore del sostegno dell'infanzia e dell'adolescenza e anche Caritas Ambrosiana ha voluto offrire il proprio contributo per sostenere e incoraggiare il preziosissimo lavoro avviato.




domenica 30 marzo 2014

Georgia: back in the USSR

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L'atterraggio non è stato proprio una passeggiata, ma alla fine siamo arrivati in Gruzia stanotte con l'emozione di un doppio cambio di fuso orario in diretta: l'ora legale italiana (+1) + il fuso orario locale (+3) - l'ora legale locale che qui non viene applicata. In sostanza, ogni quarto d'ora chiedo a Matteo che ora è e che ora sarà in Italia.
Poche ore di sonno (diciamo dalle 7 alle 11 a.m, ora locale) e poi un primo giro per prendere confidenza con il Gurjistan. Anche stavolta (Elisa può testimoniare), siamo arrivati con il colbacco partendo da Milano in canotta e abbiamo fatto bene! Un potente vento gelido ci ha accompagnato tutto il giorno mentre la temperatura eterna non arrivava ai 3 gradi. Diciamo che non abbiamo avuto problemi a rimanere svegli.
Ma dove siamo arrivati?
Ecco la prima impressione (dal punto di vista dell'amico Vlad)




questa foto è un cameo per chi conosce la Moldova


Sergio e Matteo

martedì 26 novembre 2013

Il Cantiere di Fetesti non finisce qui

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Occhei la formazione, i progetti, le rendicontazioni.
Una missione però è anche viaggio, kilometri macinati a guardare il paesaggio e a chiacchierare ore e ore (e a me e Igor riesce piuttosto bene...). E' fermarsi per strada a recuperare borse piene di prodotti della terra da portare a casa: quelli comprati in capitale hanno un altro sapore.
E continuare a stupirsi perchè quella macchina appesa lassù, serve come richiamo per la  scuola guida (che si fa sullo sterrato, perchè qui le strade non è che siano proprio piene di incroci).


Parinte Igor ci aspetta da un po'. "Ho già stappato una bottiglia di vino, quando arrivate?".
In effetti sono le 14:30 e l'ora di pranzo è passata da un po'. 
Suo figlio si è appena svegliato ma non sembra essere intimorito da presenze straniere. Probabilmente il ricordo degli 11 + 2 cantieristi 2013 non è poi così lontano e la lingua italiana non così ostile.



E' felice parinte, e anche i volontari che oggi, come tutti i giorni, accolgono una ventina di bimbi a cui offrono un pasto caldo e un pomeriggio di compiti e giochi. 
I volontari sono una trentina, il più giovane ha 11 anni. Come il più vecchio degli ospiti del doposcuola.
Fa freddo a Fetesti e la casetta, piccola piccola, che accoglie i bambini, è poco illuminata, ma riscaldata da una bella stufa tradizionale appena rinnovata per prepararsi a combattere l'inverno. "Parinte, ma ci sono più volontari che beneficiari, che bello!"



"Si, Sergio. I volontari si turnano durante la settimana perchè c'è poco spazio e perchè per poter aiutare i più piccoli devono arrivare quando ancora non sono finite le lezioni al liceo. Turnandosi, perdono meno giorni di scuola. A dire il vero vorremmo accogliere più bambini, ce ne sarebbe bisogno, ma non abbiamo abbastanza risorse per dar da mangiare a tutti ogni giorno".

"Ragazzi, grazie per la bella esperienza di questa estate! Vi porto i saluti di tutti i cantieristi, ma proprio tutti!"
E vi cito uno ad uno. I loro volti si riempiono di sorrisi, ripetono i nomi dei volontari italiani senza dimenticar nessuno. Ringraziano. E vi mandano un bel saluto.



L'anno prossimo, a Fetesti, ci torniamo di sicuro!



lunedì 25 novembre 2013

(ancora) In Moldova con Matteo

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Stavolta la sveglia suona prima del solito. Il nostro aereo parte alle 7 da Malpensa e così capita di trovarsi a chiacchierare alle 4 del mattino con Guido a Cadorna.  Lui è preoccupato: gli omoni della vigilanza notturna della centrale stazione milanese, gli hanno intimato di non importunare i viaggiatori in attesa del primo treno x l'aeroporto. "Scusa! Guido non disturba. Guido ascolta la musica al telefono ma ora è scarico.  Se sali sul treno posso collegare il caricatore. Se salgo con te non mi cacciano: sei mio amico? Ti disturbo? Guido non disturba!"

L'aereo è mezzo vuoto e la signorina al check-in ci piazza quasi in prima fila: giornata fredda e cielo terso: Matteo mi può raccontare, con dovizia di particolari,  l'orografia dell'intero arco alpino.
Il monte Rosa,  il Verbano,  Varese e il Sacro monte,  Como, il monte Generoso,  Erba e i laghetti, Lecco, il Legnone e poi piú avanti, finalmente le dolomiti.
Turbolenze, biscottini e succo, turbolenze, atterraggio un po' lungo, che l'aereo deve fare inversione per imboccare la strada x il terminal e poi Oleg.  Siamo arrivati a casa!

Le porte della città ci accolgono ancora, imponenti, forse un po' opprimenti ma sempre a braccia aperte.

"Sergio,  fra 20 minuti iniziamo la prima plenaria.  Nell'attesa riguardiamo insieme il programma di questi giorni."


Igor sa che dobbiamo sfruttare ogni minuto possibile e poi ci invita a scendere in sala riunioni.



La multi ani Viktor! Quando un collega compie gli anni,  in Diaconia si fa festa, ci si siede intorno alla tavola e si condivide. Non solo le preoccupazioni, i progetti, le storie faticose degli ospiti dei servizi.
Si condivide e si ringrazia.  E poi si torna al lavoro.


Pronti? Via! 
Ora è tempo di iniziare: Matteo con l'equipe del Centro Maternale, io e Igor a fare il punto sui progetti.

giovedì 7 marzo 2013

Qui Maurizio, a voi Milano (Radio mushauri 2)

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[09:00]

cari colleghi,

oggi è quasi come essere in ufficio. sarò tutto il giorno (o quasi) davanti al pc a scivere la relazione. se avete bisogno parlate e/o scrivete. oggi, qui a Goma, sembra che tutto funzioni un po' meglio...anche la posta.

[...]

allego per sergio il testo della trasmissione di radio vaticana in cui si comunica dell'apertura di Radio Mushauri e si parla anche di Caritas Ambrosiana!...se può servire...visto che è in francese.


salutoni...e...

se mi giro a destra vedo il lago.





 

 
 
 
[09:34]

non riuscivo ad allegare, te l'ho copiato nel messaggio:




Province du Maniema:
Une radio dont le matériel est financé par la Caritas Ambrosiana et appartenant au diocèse de Kindu inaugure ses émissions.



Vendredi, 01 Mars 2013 08:52
 
Radio Vatican News Letter annonce la naissance de la Radio catholique Mushauri au diocèse de Kindu, dans la province du Maniema, dans le centre de la République Démocratique du Congo. En langue swahili parlé dans ce diocèse « mushauri » veut dire : « le conseiller ».
 
==Click here to read the English Version==
 
Mgr NGUMBI du diocèse de Kindu, initiateur de la nouvelle radio diocesaineLa Radio catholique Mushauri est la plus puissante de la province du Maniema. Le matériel de cette nouvelle radio a été acquis grâce au financement de la Caritas Abrosiana d’Italie. La communauté à la base a contribué à l’installation de ce matériel. L’initiateur de ce média est l’Evêque de Kindu, Mgr Willy NGUMBI, rapporte caritasdev.cd

L’émetteur de la Radio catholique Mushauri est de 1.000 watts, avec un pilonne de 40 mètres doté de 8 dipôles. Cette station aura ainsi le statut d’une radio communautaire, émettant sur 99.2 en Modulation de Fréquence. Elle porte sur un rayon de 250 km, suivant les premiers rapports d’écoute dressés par son directeur, monsieur l’Abbé Jules LUKUSUMBE.
 
La Radio Mushauri, la trente-troisième radio catholique dans le pays
La nouvelle station, la trente-troisième radio catholique dans le pays, couvrira donc les trois quarts de la superficie du diocèse de Kindu. Dans la ville de Kindu, chef-lieu de la province du Maniema où émet ladite radio fonctionnent aussi une radio musulmane, deux radios des Eglises dites de réveil, trois radios privées appartenant à des partis politiques et la station provinciale de la Radio-Télévision Nationale Congolaise.
 
Pour l’évangélisation et le développement du diocèse de Kindu
La Radio catholique Mushauri a commencé ses émissions le mercredi 16 janvier 2013 dans la matinée (11 h 00’), a précisé Radio Vatican News Letter dans son édition du 27 février 2013 parvenue à caritasdev.cd Les auditeurs de la nouvelle station vont assurer dans l’avenir l’achat du carburant pour le fonctionnement de son générateur d’énergie et pour la paie du personnel de cette radio voulue par Mgr Willy NGUMBI comme étant un média pour l’évangélisation et le développement du diocèse de Kindu.

[JOSEPH KIALA]

 
[11:03]

ciao sergio. ho parlato troppo presto. sta tornando tutto molto lento. non ho link. ti ho incollato l'inizio del file che mi hanno dato, magari tu riesci a cavarci qualcosa che ti faccia risalire al link.

non ho provato ad aprire il blog per i tempi proibitivi....

 

[11:08] SMS

 

Ciao. Abbandono per 1 ora (sperando che riprenda vita la connessione).

 
 
[...........................]
 
 
Ciao Maurizio, buon rientro a casa!
[Sergio]


lunedì 26 novembre 2012

giovedì 22 novembre 2012

Domnul sef

2 commenti:

Quando ti prepari per andare in missione (n.d.r. “svolgere un compito particolare fuori dalla sede abituale di lavoro”, nel nostro caso in Moldova) sei concentrato sugli obiettivi, le persone da incontrare, i progetti da conoscere o da valutare.
Se poi la meta da raggiungere è abituale, non ti preoccupi troppo del contenuto della valigia. Sai che gli amici ti accoglieranno come in famiglia e non incontrerai ombre di cui aver paura.



Punti la sveglia alle 4.30, il decollo a Malpensa è previsto alle 8. Affronti la fatica con serenità, perché hai la certezza che alla fine della giornata varcherai senza incertezze la soglia di casa.
Ad avere un po’ più di tempo, avrei corredato il post di una musica strappalacrime ma si sa, “noi abbiamo gli orologi…sono gli africani che hanno il tempo”.

Anche M&M&M, nonostante quintali di formazione interculturale, non hanno avuto il tempo…di pagare la bolletta della luce!!!!!!!

E così da un paio di giorni mi tocca condividere con il collega (altro M, un incubo!), in una romantica atmosfera, gli spazi vitali (ma proprio TUTTI) che una casa può offrire.
Per rimediare al nefasto scarto culturale, M cerca di rimediare colorandosi di nero e colorando M che stoicamente non oppone resistenza.


Decidiamo di immergerci nella cultura moldava e accogliamo con piacere la proposta di una cena in un locale non propriamente turistico. La città riserva sempre sorprese e così, mentre ci incamminiamo verso la ridente trattoria “Più sotto del bagno” (c’è poco da ridere…), rimaniamo colpiti da almeno un paio di stranezze.

La prima

La seconda merita il lancio di un nuovo concorso (scrivere le ipotesi nei commenti al post): 
cosa rappresenta questo cartello stradale?




La serata scorre piacevolmente…in particolare per M e M a turno vengono abbordati da un cortese quanto brillo signore che, ebbro di felicità, ci dona una caraffa di vino della casa!
Si torna a casa e ci si prepara all’evento della settimana:  tutto l’ufficio è fibrillazione per la conferenza che racconterà pubblicamente gli esiti di anni di un processo di lavoro promosso dalla chiesa locale e condiviso con generazioni di SCE.
Un manifesto pubblicitario ci ricorda che qui la strada da percorrere è ancora lunga…

Verso l'Europa: verso un futuro decente
Ore 7, suona la sveglia! Abbiamo messo in valigia il vestito della festa e finalmente, ora che la luce è tornata, possiamo guardarci allo specchio per farci belli.


La sala è gremita, gli studenti dell’Università che ci ospita, gli operatori sociali e le autorità ascoltano con attenzione i relatori. M termina il suo intervento tra gli applausi, gli amici di Diaconia sono contenti! 


Ora però pubblico il post che stasera si festeggia!


p.s. Dimenticavo. Questa volta mi porto a casa una  gratificazione grande almeno quanto il risotto alla salsiccia e il tiramisù cucinati da M. Il mitico signor Jacob, uomo tuttofare nonché “agente immobiliare nostrano”, interpellato per l’emergenza buio, entra in casa Caritas, mi riconosce (!?!), interrompe il vano tentativo di aggirare l’embargo dell’ENEL locale (collegando un numero imprecisato di prolunghe) e mi saluta dicendo: “Buna ziua domnul sef!"(buona sera signor capo!.
Questo si che è sentirsi a casa!

martedì 31 gennaio 2012

digital divide

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Che poi tornato a casa mi sono detto per l'ennesima volta: tutto il mondo è paese.
Mentre sei dall'altro capo del mondo scopri che a Milano la scadenza per iscrivere i bambini alle elementari è mobile. Anzi no, è fissa. Anzi no, dipende dall'istituto. O forse dal capo dell'istituto (preside? dirigente scolastico?..vabbè, il capo).
Ma non tutti hanno la fortuna di trovare il burocrate che rispetta la legge.
E così penso che tutto sommato se Pippo, figlio di immigrati, non ha diritto ad avere il modulo di iscrizione per tentare di essere estratto (anche in Italia i giochi a premi piacciono assai) per entrare come studente fuori bacino, in una scuola che non è fatta solo di immigrati, alla fine funziona come in Thailandia.
Dove i figli dei birmani (gli immigrati per i Thai) devono vincere la lotteria promossa dal capo più umano.

E' come nei film di Villaggio: solo che se il capo è una belva, allora in Thailandia a scuola non ci vai. Se sei fortunato trovi un Learning Center.



Ma se ci arrivi a 12 anni, ti alfabetizzano e superi gli esami, allora, forse, puoi entrare in una scuola pubblica in 1a elementare.
Ma questo accade al 4% dei bambini.
Gli altri possono continuare a cantare simpatiche canzoncine e a imparare a far di conto che così, quando al pomeriggio tornano a casa nello slum, riescono a mettere su un bel mercatino senza timore di perderci un baht.

domenica 15 gennaio 2012

Thailandia, Asia, I atto

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Ranong è una piccola città "border line".
E la ritengo il mio primo incontro con la Thailandia.

L'appuntamento è fissato alle 8.30, dopo la colazione Thai. Ma il nostro ospite, che ci accompagnerà in barca a visitare il progetto che finanziamo a favore della comunità Morgan, non è ancora arrivato.



E' in ritardo (e non sarà un caso isolato...).
Inganniamo il tempo sbirciando il mercato del pesce. L'odore è intenso: sarà che sono abituato alle fredde temperature est europee. Mi rimane attaccato addosso per un po'. Gli scambi commerciali che ogni giorno animano i dintorni del piccolo porto mi sembrano apparentemente ordinati.
Il miei occhi fuggono, curiosi, e si fermano ad osservare granchi, abilmente impacchettati con gli elastici, tante specie di pesci, a me poco noti e, con mia sorpresa, un piccolo squalo.





I sidecar sono pronti ad accogliere il pesce appena acquistato e si affollano senza alcun timore di scontrarsi con chi gli è vicino. I venditori di pesce (o pollo) grigliato rifocillano i passanti.
Forse è meglio i dire "i transitanti". Numerosi sono i Thai che sono in attesa di imbarcarsi per il Myanmar.

Mi affaccio sulla via principale: oggi è la giornata dello studente. In modo composto, squadre di bambini si avvicinano al piazzale dove la festa ha inizio.
Chiedo a father Suwat (consapevole che la risposta non chiarirà i mie dubbi) che tipo di frutto sia quello che a miei occhi appare come una specie di tralcio d'uva fuori misura.



Mi chiede se desidero assaggiarlo e subito acquista un grappolo: è dolce, il sapore è noto, ma l'involucro no. Il Natale è appena passato, il ricordo è vicino, ma la buccia non c'entra proprio niente con i lycees.
E così dimentico in fretta la colazione locale, consumata insieme ad altri Thai, ok provare ad integrarsi, ma...



Ecco! E' arrivato. Ora ci possiamo imbarcare: Morgan, arriviamo!