giovedì 30 giugno 2016

"Infettarsi" di vita

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-Zia, dove vai quest'estate?
-In Libano, vicino alla Siria.
-Ma in Siria c'è la guerra: puoi prenderla!
-Prenderla? Ma non è mica una malattia!
-E invece si. Io e Pietro ne abbiamo discusso. E' un virus che entra nel cuore della gente e li fa combattere.
(M., 9 anni)

E se la guerra fosse un virus?
Come un brutto raffreddore che siamo convinti passerà, ma anzi che guarire si annida dentro di noi, impadronendosi di tutto quello che sentiamo. Diventa così forte che quasi ci dimentichiamo la ragione del primo starnuto, come ci siamo infettati e perché non ci siamo curati. All'inizio pensavamo di poter tenere tutto sotto controllo. Ad ogni sguardo di invidia e di cattiveria ci ripetevamo che sarebbe stato "solo per quella volta". Ma poi non è stata più una volta, ma un'altra ancora, e ancora, la guerra ci è entrata dentro e noi l'abbiamo lasciata fare. E' quasi diventata un'abitudine, un'abitudine del cuore. 
E come si fa a liberarsi da un'abitudine del cuore?

Ma se la guerra ci infetta, non può infettarci anche la vita buona?
Forse che la speranza, la gioia, l'amore, la solidarietà, facciano più fatica a farsi largo nel cuore rispetto alla guerra? Allora forse infettarsi di vita buona è una scelta. Una scelta sincera, voluta, coraggiosa, da prendere ogni giorno, perché altrimenti la guerra si farà padrone di noi. E se funziona come un virus, con il nostro scegliere infetteremo anche gli altri. Anche loro, forse, sceglieranno di non lasciare annidare la guerra nei loro cuori.
E se dessimo vita a una vera e propria epidemia?

Io parto per infettarmi e, perché no, anche infettare.
Infettarmi di vita buona, ma anche di guerra. Perché non si può chiudere la guerra fuori dagli occhi e lontano dal cuore e far finta che non esista. Perché la guerra esiste. Che sia quella delle bombe e dei soldati, quella dell'ingiustizia e del razzismo, quella dell'ignoranza e della povertà, quella del potere e dell'avidità.
Voglio infettarmi della vita, in tutti i suoi lati, quelli più belli e quelli più bui. Per poi scegliere di non lasciare vivere dentro di me la guerra, voglio poterla circondare di vita buona.
Voglio infettare della vita buona che ho incontrato lungo la mia strada fino a qui. Voglio portare le storie e i gesti e il bene delle persone che hanno fatto un pezzo di strada insieme a me per poter dire a chi incontro che la vita buona esiste. La generosità, la solidarietà, l'amore sono cose vere, non solo parole dei libri delle fiabe. 

Forse, un giorno, tutti noi sceglieremo la vita buona, spegnendo e zittendo quella guerra che nasce nei nostri cuori. E forse, quel giorno, sarà la vera rivoluzione.


Giu :)

venerdì 24 giugno 2016

AAA Cercasi: CiViLtA' della TeNeReZza...

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“C’è una bella differenza tra pacifismo e non violenza. Oggi viviamo in un sistema profondamente violento, essenzialmente violento, patriarcale e maschilista, da cui dobbiamo uscire per approdare a una civiltà della tenerezza.” Korogocho di Alex Zanotelli p.151


Una foto fa aprire un’inchiesta sulla violenza della polizia in Kenya

[articolo di Internazionale 30/5/2016]

Il 16 maggio il caposervizio della sezione fotografica dell’Associated press in Africa orientale, Ben Curtis, stava seguendo le proteste contro la commissione elettorale a Nairoibi, in Kenya, quando ha visto la polizia che picchiava i manifestanti.
Una delle immagini che ha scattato durante le proteste ha documentato la brutalità delle repressioni in maniera così evidente, che il capo della polizia è stato convocato per un’inchiesta interna. Secondo la commissione nazionale del Kenya per i diritti umani, si è trattato di abuso di violenza e violazione dei diritti umani.

La foto cha ha fatto aprire l’inchiesta sulle violenze della polizia keniana, scattata il 16 maggio 2016 a Nairobi. - Ben Curtis, Ap/AnsaLa foto cha ha fatto aprire l’inchiesta sulle violenze della polizia keniana, scattata il 16 maggio 2016 a Nairobi. - Ben Curtis, Ap/Ansa
La foto cha ha fatto aprire l’inchiesta sulle violenze della polizia keniana, scattata il 16 maggio 2016 a Nairobi. - Ben Curtis, Ap/Ansa
La foto cha ha fatto aprire l’inchiesta sulle violenze della polizia keniana, scattata il 16 maggio 2016 a Nairobi. (Ben Curtis, Ap/Ansa)
Manifestanti scappano dai lacrimogeni della polizia, durante le proteste a Nairobi, in Kenya, il 16 maggio 2016. - Ben Curtis, Ap/AnsaL’uomo della foto è stato inizialmente dichiarato morto, mentre più tardi la radio nazionale ha dato la notizia che è ancora vivo. Si tratta di Boniface Manono, 36 anni, e vive nella baraccopoli di Kibera. Manono ha raccontato di aver provato a fuggire, ma quando è inciampato i poliziotti hanno cominciato a colpirlo mentre era steso a terra. Ha ricevuto otto colpi finché il bastone si è spezzato. In quel momento sono arrivati altre due poliziotti e hanno continuato a colpirlo. Poi un agente è intervenuto e ha fermato le violenze.
Il 23 maggio i keniani sono tornati in piazza in diverse città del paese. I manifestanti, guidati dal leader dell’opposizione Raila Odinga, accusano i componenti della Independent electoral and boundaries commission (Iebc) di non essere imparziali. Odinga sostiene che la Iebc sia favorevole al presidente Uhuru Kenyatta e che non possa quindi garantire l’equità alle prossime elezioni.
Manifestanti scappano dai lacrimogeni della polizia, durante le proteste a Nairobi, in Kenya, il 16 maggio 2016. (Ben Curtis, Ap/Ansa)
Durante gli scontri in Kenya sono morte almeno tre persone. Due sono morte a Siaya, nell’ovest del paese, dove gli agenti in tenuta antisommossa hanno dichiarato di aver sparato per legittima difesa. Nella vicina Kisumu una persona è morta per un trauma cranico cadendo mentre fuggiva dai gas lacrimogeni sparati dalla polizia.


Questo è uno degli esempi di articoli di giornale riguardo notizie in Africa – Kenya -, ma ce ne sono tantissimi altri localizzati in Europa come a Parigi, Svizzera, Milano ed anche in America Latina.
Tornando alla mia breve esperienza keniota di questi primi dieci mesi, mi vengono in mente molte situazioni violente a cui ho assistito e ne sono stata parte.
Questo pensiero ha iniziato a prender piede nel mese di Marzo appena prima di partire per le vacanze in Tanzania e Zanzibar con due amiche; ho iniziato ad interrogarmi sul fare servizio: sul ricevere e sul dare gratuitamente, ma fino a quando ci si annulla? Come si fa a porre un limite al dare/darsi? Quando bisogna pensare solo a se stessi? E tante altre domande…
Arrivata a Zanzibar mi sono detta: “Basta pensieri, voglio solo farmi coccolare dal mare cristallino, dai coralli, dalla sabbia bianchissima e dal silenzio che regna!”.  
E … invece No!
Sono rimasta colpita da alcune scene piuttosto limpide di turismo sessuale (anche tra bianchi/bianche che vanno in terra africana per lavori nel sociale) e sono stata “scavallata” (termine tecnico suggerito dal fratello) della mia borsetta di ritorno al campeggio dal ristorantino di una Mama molto gentile.
Tornata a Nairobi dopo le ferie, ho incontrato un amico e ho cercato di godermi un fine-settimana di svago.
E … invece No!
Mi sono fatta spiegare il motivo del suo viaggio in Kenya e mi ha raccontato dell’ultimo rinoceronte bianco sulla terra e di come viene protetto; alla fine del suo racconto però il focus era completamente cambiato: il gruppo di guardie che protegge ogni giorno quest’animale ha ucciso a sangue freddo durante la notte un gruppo di bracconieri che aveva cercato di entrare nell’area protetta.
Qui un link piacevole e allo stesso tempo interessante da leggere:

A contrasto di tutto ciò, hanno iniziato a venirmi alcuni dubbi sull’uomo bianco, sulla colonizzazione, su come il popolo bianco ha sottomesso in maniera violenta quello nero e di come il passato si ripercuote sul presente.
A gennaio ho scritto in un post in cui raccontavo che uscendo da casa vedevo di continuo genitori che accompagnavano i propri figli a scuola, portando loro la cartella e la mattina quando ho la possibilità e voglio iniziare con carica positiva la giornata cerco di uscire alle 7.30 così da vedere questa scena.
E … Sì!
Quest’immagine rimane impressa nella mia mente e mi trasmette energia, mi stampa letteralmente un sorriso sulla faccia.
Dopo circa dieci mesi che vivo a Nairobi, o comunque nella sua periferia, è raro che mi accorga di coppie, giovani, adulti o anziani, che si tengano per mano o mostrino dei gesti di affetto in pubblico.
E … Sì!
Mi succede a volte di vedere molto più spesso due ragazzi giovani camminare mano nella mano oppure uomini adulti aprire la porta alla donna che lo accompagna o farla salire prima sul matatu. Questo mi ricorda i momenti di felicità tra le coppie della mia famiglia: le carezze tra i miei nonni, i baci tra i miei genitori e soprattutto la relazione con il mio ragazzo, che mi manca.
Insomma, molto probabilmente, non è d’usanza della cultura keniota fare regali.
E … Sì!
Io ne ho ricevuti ben due di numero!!! Il primo (la mia prima sottogonna bianca rifinita con pizzo) l’ho ricevuto come regalo a sorpresa da una Mama, ovvero dall’house-mother di Kibiko, una comunità vicino a Nairobi che ospita ex-bambini di strada provenienti dallo slum di Korogocho. Il secondo (un mazzo di 15/20 rose colorate) me lo ha donato una coppia in una stradina del centro città senza un motivo preciso.
Senza doverlo dire: ho ricevuto due regali bellissimi, è vero anche che mi accontento con poco ma è stato fantastico veramente ricevere da quasi sconosciuti un qualcosa per me stessa, anche per valorizzare il mio essere femmina e donna, cosa che a Cafasso tralascio un po’.


P.S. Era da un po’di tempo che continuavo a dirmi e a dire: devo ri-iniziare a scrivere sul blog, ma…blocco della scrittrice?!? Connessione internet?!? Poca voglia?!? Mancanza di tempo?!?…
Bah, vedetela un po’ come volete
J
Ora mi fido dei Cantieristi che in sette potranno scrivere molto più di me e Gianlu messi insieme!!!

giovedì 23 giugno 2016

Ad agosto vado in Libano. “Ma chi te lo fa fare?”

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Stupore, paura, ammirazione, scherno, a volte indignazione: le reazioni di amici e parenti alla notizia di una tua prossima partenza per il Libano sono molto variegate ma allo stesso tempo monotone, spente, scondite, inappropriate. 



“È pericoloso!”


Ma va? E io che pensavo di andare ad Ondaland. Che poi, se ci si pensa bene, all’oggi cosa non è pericoloso? Ci sarebbe da chiudersi in casa e vivere di stenti, di tragitti brevi casa-lavoro-casa, divano-bagno-cucina, tv-pc-smartphone: ma forse il pericolo è proprio quello, no? Forse è più pericoloso non lasciarsi trasportare dalle proprie inclinazioni. E se corpo e mente ti dicono di partire, tu giustamente parti: altrimenti sarebbe “pericoloso”.


“Ma lì ci sono la guerra, l’Isis, le bombe, i neri, i dinosauri…”


Ma va? Che poi a rispondere così sembra che io stia sottovalutando la minaccia, autoproclamandomi come l’eroe coraggioso a dispetto di tanti codardi. Beh, così non è. Ognuno trova il proprio coraggio nel quotidiano, nell’inseguire i propri obiettivi. Ma se il vostro non è uguale al mio, non prendetemi per scemo o per spericolato. Voglio farlo, ho l’opportunità di farlo e quindi lo faccio. Ho alle spalle Caritas, un’organizzazione molto solida e ben affermata sul territorio, che si occupa e preoccupa di tutto quanto concerne la nostra sicurezza. Non sto partendo zaino in spalla verso l’ignoto: c’è dietro un progetto di formazione preliminare che ti prepara e ti assiste in tutte le fasi.


“Ti ammiro, usi l’unico mese di ferie per il volontariato”


Sì, è così, potrei sicuramente spendere quel tempo in maniera più convenzionale. Ma sfatiamo un mito: non parto per salvare il mondo, non parto solo e soltanto per gli altri: parto in primo luogo per me stesso. Non parto con pacchi di lasagne precotte da distribuire ai bambini che si vedono nelle pubblicità all’ora di pranzo, come non parto per fermare le guerre, le bombe, l’Isis e i dinosauri. Parto per ascoltare, quindi per ricevere: credo nelle persone e in tutto quello che mi potranno regalare raccontandomi la loro storia, consegnandomela in dono perché io possa, tornato a Legnano, montare lenti nuove sugli occhiali da cui guardo il mondo.

Quindi sì, parto per volontariato, ma vi assicuro che non sarà affatto un sacrificio. Sarà anche relax, divertimento, gruppo, sorrisi, canti, balli. Quello che cerco è la genuinità del rapporto tra persone.
Giacomo

martedì 21 giugno 2016

domenica 19 giugno 2016

ITALIA: un viaggio a km zero!

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Costruire una casa in Cile? Necessario.
Assistere i malati in Camerun? Indispensabile.
Animare i pomeriggi dei bambini in Romania? Riempie di gioia.
Ma..sei sicuro che il tuo aiuto non possa servire anche qui, in Italia?
Noi siamo i cantieristi di Milano e presteremo servizio presso i centri di Caritas Ambrosiana dedicati alle persone in situazioni di grave emarginazione adulta, senza lasciarci scoraggiare dal caldo afoso di un agosto in città! Proporremo attività ludiche e ricreative agli ospiti del centro diurno La Piazzetta, del Refettorio Ambrosiano e del Rifugio Sammartini.

Loro hanno le età più varie, tanti uomini e alcune donne, italiani, ma anche stranieri, tante storie inaspettate e simili alle nostre, forse più di quanto pensiamo.

Noi siamo sette, giovani di tutte le età, più donne che uomini, italiani di nascita ma cittadini del mondo, con qualche esperienza da condividere e tanta voglia di viverne di nuove!

Siamo Ilaria, Valeria, Giorgia, Giulia, Benedetta, Stefano e Daniele:

Noi siamo quelli per cui #sconfinare significa #restare.

Pronti per viaggiare, cambiare, interrogarci, ad un passo da casa nostra! 

Marocco : CdS 2016 - Maghrebini on the road

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N.B. :
post da destra a sinistra – Sì. Ci siamo già acculturati
I nomi arabi tradotti rispettano il senso etimologico italiano.
  Ci conosciamo da 50 ore (a star larghi).

Francesca – Mu‘allima (“Socia”) : dictum vitae “minchia sì”. Detta anche “la veterana”, ci farà scompisciare dal ridere, a suon di beat-box durante le Messe. Amante della televisione trash italiana, ci stupirà con “effetti speciali”. KABOOM.    

Serena – Farah (“Gioia”) : psicologa del gruppo, amante del guano di piccione. Eletta all’unisono (proprio all’unisono!) e a caso cuoca del gruppo. Prova grande pena per gli “animali malconci”.

Beatrice – Tuba (“Beata”) : cuore che bela. La sportiva del gruppo nonché protettrice delle sbarbine. Potenziale: è in grado di svegliarsi con un’energia devastante, risveglio muscolare  assicurato a suon di yoga.

Stefania – Malika (“Regina”) : eletta anche lei all’unisono (e a ragione) come contabile del gruppo. Navigata dei Cantieri e pronta a sconfinare. Potenziale: buone doti nella contrattazione selvaggia.

Federica – Umm Salam (“Mamma della Pace”) : dictum vitae: “birretta?”. Sarta del gruppo. Motivazioni personali: in cerca di prestante sceicco, offresi per tre cammelli (trattabili). Potenzialità: big mama del gruppo

Caterina – Salafa (“Pura”) : giurista della cumpa. Depositaria della ragione, colei che sussurra ai migranti. Potenzialità: Libera nos a malo dalle prigioni marocchine.

Michela – Malāk (“Angelo”) : dictum vitae: “andiamo  a comandare!” (con annesso balletto). Infermiera del gruppo nonché grande cestista. Per ogni riccio un capriccio.  

Simone Samī - (“Dio ascolta”):  Una barba intorno ad un uomo. Senza cuffia rotatoria, si è fatto male prima, per non fare danni dopo. Custode delle quote rosa. Potenziale: speriamo di non perderlo tra i beduini.

Davide – Habibi (l’amato) : di origine austro-ungarica, non verrà sicuramente scambiato per autoctono. Potenzialità: il poeta equilibrato, epistassi improvvisa, gentilezza diffusa.

Don Luca (Abuna) – dictum vitae: “Bagnetto?” il prete del gruppo, volpino del deserto. Potenzialità: a sorpresa.

Riccardo - Ba Ghali (papà ricco). Sommo promotore della sobrietà del gruppo.
Multi lingue e multi tasking e poli strumentista, rumorista e imitatore. HAH! Potenzialità: bussola del gruppo.  


Ora seri: siamo pronti a partire, con lo zaino in spalla, che aspetta di essere riempito. Gruppo eterogeneo ma affiatato, soffriremo il caldo, ma non la noia. Salamelecchi marocchini per concludere: giorno di bene, giorno di luce, giorno di gioia. Ma’a Salama. 
      
Al-Selfie al-maghrebino

Maldive? No, MOLDOVA!

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Quest’estate pensavamo che saremmo finite su una bella spiaggia assolata con un mojito  in mano. E invece no! Eccoci qua quasi pronte a partire per questo Paesino semisconosciuto: la Moldova, dove del mare neanche l’ombra!


Ma come siamo arrivate all'inizio di quest’avventura?
Io, Silvia, la prima di tante, da ingegnere edile a astrofisica e infine studentessa di portoghese, ho deciso di mettermi in gioco, da panda color giallo, per conoscere un posto di cui non conoscevo proprio nulla.
Io, un’altra Silvia, parto un po’per fuggire, un po’ per scoprire (e scoprirmi), un po’ il perché non lo so bene neanche io. Forse per questo ho scelto un Paese di cui ho solo da scoprire.
Io, Chiara, affascinata dall’Est Europa, parto per curiosità e per mettermi in gioco in un’esperienza per me completamente nuova.
Io, Martina, se fossi un fiore sarei il girasole che, instancabile e silenzioso, cerca sempre il sole. Ed è così che mi definisco: una ragazza in continua ricerca, desiderosa di ripartire quest’estate per una nuova meta, un nuovo viaggio in un Paese tutto da scoprire.
Io, Anna, curiosa di conoscere e cominciare questa esperienza a stretto contatto con una realtà diversa dalla nostra.
Io, Irene, da piccola volevo fare il soldato: non per fare la guerra, ma per portare la pace. Oggi parto alla ricerca della pace e pronta ad accogliere l’inaspettato che la Moldova mi vorrà offrire.
Io, Silvia, la piccola del gruppo, sogno un Cantiere da tanto. Da paleontologa a giudice a medico, i miei sogni sono tanti e confusi: spero che questa esperienza sia utile per conoscere me stessa e chiarire ciò che mi frulla nella testa.
Chiudo io, Giulia, che a parlare di me sono pessima! Infatti ho cercato di  sabotare l’idea di presentarci singolarmente ma ops, le mie compagne non hanno sentito ragioni. Quel (poco) che so della Moldova lo devo alle mie ragazze della scuola d’italiano, quindi parto un po’ per verificare, un po’per curiosità, un po’ per dare una scossa alla mia quotidianità e un po’ per “pareggiare alcuni conti”…vedremo!

Pronte? 3…2…1…SI PARTE!



PRONTI, PARTENZA.... BOLI - VIA!!!

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Reduci da tre intensi giorni di formazione e dopo aver ricevuto un assaggio di Bolivia (la botta di vita del Mate di foglie di coca) grazie alla mitica Piera e preziose informazioni sul cantiere dalle nostre coordinatrici Francesca e Lucia in diretta esclusiva da Cochabamba... possiamo dirci pronti.
Pronti per cosa?
Pronti per affrontare un’orda di bambini iperattivi.
Pronti per difenderci dalle scimmie molestatrici.
Pronti  per un viaggio della durata di circa 21 ore (con la speranza di non perderci in aeroporto viste le premesse…).
Pronti per farci inondare dalla musica, dai colori, dal folklore della grande festa di agosto di Cochabamba.
Pronti per raggiungere Hermana Cherubina a 4000 metri di altezza!!

.…pronti per tantissime altre cose e per tutto quello che verrà!

Nelle nostre valigie non mancheranno il giga materasso di Michela (e i due fondamentali cuscini se no chi riesce a dormire?!), i broccolamenti di Pietro che mannaggia a lui se non passa Procedura Penale, l’importantissima carta d’identità di Francesca (la più anziana del gruppo ma che nonostante tutto deve ancora dimostrare la sua maggiore età) e infine, dato il grande numero di bergamaschi a Cochabamba, un travestimento per Laura, che invece è bresciana fes e in netta minoranza ( e comunque chi non salta tifa l’Atalanta).

Los Quatro Fantasticos estan listos!




Benvenuti sulla nostra Barca, destinazione Nicaragua!

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Oggi vi presentiamo il nostro equipaggio:

Anna: con le sue spiccate competenze tecnologiche sarà l’addetta al diario di bordo  e alla segnalazione dell’avvistamento terraaaaa! 

Federica: la nostra piccola studentessa di medicina si occuperà delle scialuppe di salvataggio e del kit di sopravvivenza... se mai ci imbatteremo in un iceberg ;) 

Sara: ballerina provetta che non si stancherà di allietare la ciurma con balli latino americani (se riuscirà ad impararli per tempo)


Chiara: la fotografa ufficiale, ruberà scatti mozzafiato per ricordare ogni momento del viaggio (con mare calmo o in burrasca).

Non sappiamo se queste competenze saranno sufficienti per approdare in Nicaragua, ma sicuramente ce la metteremo tutta e scopriremo nuove parti di noi stesse che ci aiuteranno a continuare il viaggio una volta tornate.

Non dimentichiamoci delle nostre capitane: Arianna e Elisa, saranno le nostre bussole che ci guideranno nel nostro viaggio!

Avanti tutta!!! Siamo pronte a salpare!!!

Pronti, partenza....mambo!

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18 giugno 2016

Ore 9, stazione di Melegnano

Il sole è ancora tiepido ma, nonostante l’alzataccia delle 6, bastano pochi sguardi per riconoscere tra i binari i nostri futuri compagni di avventura dal pesante zaino, l’immancabile sacco a pelo e il sorriso stampato sul volto. 

A comporre il nostro team ci sono la Tere, alias the doc, già fornitissima di medicine per curare ogni puntura di zanzara; Gre, che grazie alla sua esperienza in terra africana diventa fin da subito la nostra manager di riferimento per consigli culturali ed economici; Fra, vincitore del titolo “Tritatutto CdS 2016”, che oltre a divorare anche gli avanzi altrui, sarà in grado, grazie alla sua conoscenza ingegneristica, di scongiurare ogni eventuale black out; Ele, caporedattore, correttore automatico e T9 di ogni nostro strafalcione; Gio, spacciafarmaci di fiducia e futuro inventore di una lozione Autan, imbattibile anche contro le pantegane; Lore, mganga del gruppo, che con il suo potere taumaturgico ci risusciterà da ogni torcicollo.
Insieme ci dirigiamo verso l’oratorio S. Giuseppe, dove ha ufficialmente inizio il nostro cantiere. 
Dopo una lunga attesa, conosciamo finalmente le nostre coordinatrici, giunte appena in tempo dal Kenya per incontrare questa banda di folli cantieristi: le Mariangelas.


Giochi di ruolo, quizzettoni, momenti di riflessioni, urla di Gio e sfide agonistiche: questi gli ingredienti che hanno reso il fine settimana indimenticabile.

Negli incontri di formazione con le coordinatrici, impossibile non iniziare già a sognare tutto quello che ci aspetterà sulle rive dell’oceano Indiano: i tanti giochi con i bambini, la caccia alla pantegana, l’incontro con la cultura Swahili, ugali alle blatte ricche di proteine, chiacchierate e risate sulla spiaggia dissetati da un gustoso succo di mango.
Team Mombasa al completo


I nostri passaporti sono pronti per partire, ci manca solo... SCONFINARE!


Teresa, Greta, Francesco, Elena, Giovanni, Lorenzo

Kenya-Nairobi: YYYYYAAAAAAAAH!

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avaNti tutta
Asfissia in casetta
amicI nuovi
Rutto libero
scambiO di culture
safari in Bicicletta
Insieme partiamo



Questa è la maxi storia di come la nostra vita
Cambiata capovolta sottosopra sia finita
Seduto su due piedi qui con te
Ti parlerò dei cantieristi più fighi di Nairobì
Col matatu, ma che sballo
Ascelle pezzate in quel di Cafasso
Se questa è la vita che fanno a Kamiti
Per noi poi tanto male non è
Ho chiamato un piki-piki
Con il nostro fischio collaudato
Come in MotoGP ci sentivamo gasati
Una vita tutta nuova sta esplodendo per noi
Avanti tutta forza portaci a zappar!

Anna, Margherita, Federica, Dana, Stefano, Filippo, Giorgia


Ps. Un coordinatore (non ben identificato) ha già cercato di uccidere uno di noi con una schiacciata ben impostata. Diremmo una bella partenza, non immaginiamo come sarà quando saremo in Kenya!

#GeorgiasAngels

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Eccoci qui a scrivere il nostro primo post:



un'isterica, un procione, una sognatrice, un lupo problematico, una divoratrice di libri incostante, una fredda cronica, una mezzofondista solitaria, un riccio ascoltatore, un'improvvisata scrittrice guidati da una scimmia spulciatrice e da un'affamata cantierista.

Classico schema, da una parte grandi paure e dall'altra tanta voglia di curiosità.
Ieri, durante l'incontro di formazione, erano due le domande fondamentali: noi cosa ci aspettiamo? E come ritorneremo?

Noi ci aspettiamo badilate di cibo, litri e litri di vino, mucche che ci tengono compagnia mentre laviamo i vestiti alla fontana del villaggio, gonne lunghe variopinte e veli per coprire il capo, carenza di ombrelli, ma anche tanti sorrisi sdentati nei visi dei bambini che incontreremo.

Ritorneremo grasse ragazze, con problemi di alcolismo, ma sicuramente con un nuovo modo di vedere e approcciare le cose, con la stessa gioia negli occhi che abbiamo riscontrato ieri nella testimonianza di Sara.

Manca poco alla partenza, le Georgia's Angels sono pronte!

Libano: I voli erano finiti!

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Volevamo risparmiare aspettando l'ultimo momento per un volo last-minute, ma ci è andata male.

Ma, grazie alle barchette di Caritas Ambrosiana, niente potrà fermarci.

Libano, arriviamo! (prima o poi..)

Indonesia: la pratica del pasung

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Questa è una storia di quelle che non vengono raccontate. Una storia sbagliata, come direbbe de Andrè. Tante sono qui a Nias le storie simili a questa anche se la gente si vergogna a raccontarle. Tace.  
In Indonesia la condizione dei disabili è molto complicata. Da parte delle istituzioni non vi è alcun tipo di aiuto e se parliamo di coloro che vivono nei villaggi la situazione si complica ulteriormente a causa del forte isolamento.
Ancora oggi, infatti, in alcune zone dell'Indonesia si ripete una pratica che è stata bandita nel 1977. 
Si chiama PASUNG.
I Pasung sono molto diffusi e ve ne sono di vario tipo. Una cella, una stanza o l'ovile. Il pasung è un luogo in cui si viene rinchiusi e dove la persona è costretta a dormire, mangiare, urinare e defecare nello stesso spazio.
Possiamo pensare che queste storie non esistano perché tale condizione viola i diritti fondamentali dell'essere umano e invece sono reali e non sono poi così lontane da noi.

Il mese scorso, durante una chiacchierata con Suster Shinta, le ho posto questa domanda: "Suster, c'è un bambino del programma CBR che nel corso degli anni lei non ha dimenticato? Un bambino che ancora ricorda con particolare affetto?"
Non ci ha pensato nemmeno per un attimo, mi ha guardata e mi ha detto: "Oktavianus Zebua".
La sua sicurezza mi ha spiazzata. È stata diretta, forse per la prima volta da quando ci conosciamo.

Suster Shinta e Oktavianus

Suster Shinta è arrivata a Nias il 10 Maggio 2006. Sono passati dieci anni ormai e di bambini con disabilità ne ha visti moltissimi ma Oktavianus le è rimasto in mente. 

Quando lo ha incontrato per la prima volta, nel villaggio di Namohalu, aveva 17 anni ed aveva una disabilità motoria e psichica molto grave. Oktavianus non poteva vivere nella casa dei suoi genitori. Dormiva con i polli, in una piccola costruzione di legno, senza pavimento e senza alcun tipo di comfort. Il suo letto era un'asse appoggiata a terra.
Non era in grado di camminare o di parlare e per questa ragione i suoi genitori desideravano che vivesse nascosto.
La volontà del padre di tenerlo lontano era molto più forte di quella della madre che avrebbe voluto occuparsi di lui ma aveva paura della reazione di suo marito.
Una volta al mese Suster Shinta si recava in visita a casa Zebua, per fare il bagno ad Oktavianus. Mi racconta che quando la vedeva arrivare affermava: "Ibu, aku lapar" - "Signora, ho fame".
Forse lo facevano mangiare una volta al giorno ma mai in famiglia, mai in casa tutti insieme.