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lunedì 24 giugno 2013

AYITI, PALESTRA DI VITA

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Non mi manchera’ il “blanc” costante urlato per strada, come se non fossimo altro che quello…
Mi manchera’ lo sperimentarmi ogni giorno per entrare in relazione con persone cosi’ diverse da me.

Non mi mancheranno queste strade disastrate, che sai quando parti ma non se e quando arriverai…
Mi manchera’ la sfida quotidiana e il mettersi alla prova costante.

Non mi mancheranno il fango che sommerge ogni cosa o la polvere che ti entra nei polmoni…
Mi manchera’ l’accettare ogni giorno con cio’ che portera’, senza troppe pretese o troppa premura.

Non mi mancheranno le continue richieste di soldi a qualsiasi livello di relazione…
Mi mancheranno tutti gli interrogativi e le riflessioni che queste richieste facevano nascere in me.

Non mi manchera’ il grigio di Port-de-Paix o la spazzatura in cui sguazzano i maiali…
Mi mancheranno gli arcobaleni, la Tortuga di fronte ogni mattina e la luna e le stelle la notte.


Non mi mancheranno le camminate sotto al sole o i viaggi in mototaxi saltando e slittando…
Mi manchera’ la sensazione di “avercela fatta” ogni volta che si concludevano.
 
 

Non mi manchera’ il caldo soffocante di quest’isola o la sensazione di essere sempre sudati…
Ma mi mancheranno le sue spiaggie e il suo mare paradisiaci.

Non mi mancheranno i momenti difficili, che ti fanno pensare di mollare tutto…
Mi manchera’ il cambiamento costante e continuo che ho sentito dentro di me.

Non mi manchera’ il pregiudizio incessante nei miei confronti…
Mi mancheranno le riflessioni condivise con persone cosi’ diverse da me, forse poi non cosi’ distanti.

Non mi mancheranno le delusioni relazionali e non che hanno reso difficile piu’ di un momento…
Mi manchera’ il ragionare insieme e il tentativo costante di spronarli a lavorare per una Haiti migliore.

Non mi manchera’ il muro di un colore della pelle diverso… 
Mi manchera’ il loro affetto dimostrato nei modi piu’ diversi e cosi’ differenti dai nostri.

Mi mancheranno soprattutto le persone che in questo contesto cosi’ complicato ci sono nate e ci vivono, quelle persone che continuano a lottare per una Haiti migliore, sapendo quanto sia difficile.

Queste esperienze riempiono e cambiano la vita di qualsiasi persona, io spero di conservare come un dono prezioso tutto cio’ che ho potuto imparare in questi due anni in un contesto cosi’ diverso.

Ringrazio Caritas Ambrosiana per avermi dato la possibilita’ di mettermi alla prova un’altra volta, contenta del cammino fatto insieme a loro e per loro. Questo, sicuramente, mi manchera’.

lunedì 6 maggio 2013

Un affiancamento che disseta

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Dopo un anno di osservazione del territorio, accompagnando i colleghi locali, è nato il progetto “Rafforzamento del circuito Caritas per una migliore capacità d’intervento nella comunità”.

La Caritas ad Haiti viene considerata dai più come una semplice ONG che vive solo di finanziamenti ai progetti, e perde quindi di vista alcune delle sue funzioni principali, che non portano soldi. Il valore pastorale, pedagogico e di testimonianza, tipico delle nostre Caritas italiane, non viene né visto, né considerato né, tantomeno, messo in pratica. Questo tipo di logica logora anche tutta la dinamica delle relazioni tra le Caritas di vario livello: le Caritas più in alto vengono viste come mangia-soldi, mentre le Caritas più in basso vengono viste come potenziali problemi. Invece che viversi a vicenda come risorsa organizzativa e funzionale, si vive tutta la rete Caritas come un groviglio che complica le cose.

La missione degli operatori in loco di Caritas Ambrosiana
è proprio quella di cercare di invertire queste dinamiche, di valorizzare ogni tassello della rete come una risorsa, di cercare di farsi “invischiare” sempre di più nel meccanismo, un po’ arrugginito, del circuito Caritas Haitiano. E come fare per rispondere a questa grande sfida? L’unica risposta è il “farsi prossimo”: il camminare insieme, affiancando e accompagnando per cercare di valorizzare i principi fondanti di Caritas e di creare insieme percorsi di vicinanza.



E’ per questi motivi che è nato il progetto di rafforzamento delle Caritas parrocchiali nella diocesi di Port-de-Paix. Questo progetto prevede la creazione di un nuovo settore di animazione, all’interno della Caritas diocesana, che giochi il ruolo di ponte tra le Caritas di vario livello. Tramite questo settore si rafforzeranno i legami tra la Caritas diocesana e le Caritas parrocchiali, e si avvieranno dei progetti di formazione e di promozione delle Caritas parrocchiali.

Il settore è stato creato a inizio aprile con l’assunzione di un manager e di un animatore,
che hanno già iniziato ad entrare in contatto con le parrocchie facendo partire la fase di formazione del progetto.






Le formazioni previste vertono soprattutto sul ruolo pastorale della Caritas,
fortemente richiesto da ogni Caritas parrocchiale visitata nel corso dell’osservazione fatta durante quest’anno. Si tratta di un processo di formazione che mira a riprendere le fondamenta costitutive di Caritas, al quale parteciperanno anche gli stessi dipendenti della Caritas diocesana, di modo da assicurare che il rinnovamento si avverta a tutti i livelli.

Il percorso precedente alla creazione di questo progetto ha permesso già di avvicinare la realtà diocesana alle realtà parrocchiali, tramite le visite organizzate da una degli operatori in loco e un’équipe di operatori locali. Questa équipe ha visitato e incontrato ognuna delle 21 parrocchie della diocesi, visitando anche le parrocchie più difficili da raggiungere, in cui la Caritas diocesana non aveva mai messo piede prima. Questo evento è stato letto in modo molto positivo dai membri delle Caritas parrocchiali incontrate, che erano ormai pervasi da un senso di sfiducia profondo nei confronti della Caritas diocesana. Il fatto di ricevere una visita in casa da parte dei “quartieri alti” di Caritas ha dato nuovo slancio alla relazione, ha aiutato il confronto e ha dato nuove idee e nuovo spirito d’iniziativa in quei comitati che esistevano ormai solo di nome ma che non svolgevano attività da diversi anni.

In quest’anno e più di presenza quotidiana di Caritas Ambrosiana negli uffici di Caritas Port-de-Paix e di visite negli angoli più reconditi della diocesi, sembra essersi instaurata una relazione genuina e spontanea tra gli operatori in loco e alcuni dei dipendenti della Caritas diocesana. Questo ha contribuito a creare un buon clima di lavoro in cui confrontarsi apertamente e riflettere insieme sulle modalità migliori per avviare questo progetto.


Il progetto è stato avviato ufficialmente l’11 di aprile, con un incontro cui hanno partecipato tutte le parrocchie. Subito dopo a questo incontro è stata realizzata la prima delle dieci formazioni mensili a cui parteciperanno i rappresentanti dei comitati Caritas di ogni parrocchia, che si incaricheranno di replicare la formazione a tutti i membri del loro comitato.


Il lancio del progetto, oltre che la prima formazione, sono state davvero un’occasione di respirare quell’aria di collaborazione e di rinnovamento a cui tanto si puntava, un primo passo verso il raggiungimento del nostro obiettivo.

Le sfide continuano, e Caritas Ambrosiana cerca in ogni modo di accompagnare Caritas Port-de-Paix. Continuerà ancora ad accompagnarla nell’instaurare delle relazioni durature, quelle relazioni che aiutano e supportano in quella difficile missione che ha la Caritas in ogni luogo: sviluppare quel tipo di aiuto che diventa testimonianza vera dell’amore di Cristo, che si propaga invece che bastare a se stesso, come quell’acqua che disseta per sempre offerta alla samaritana al pozzo, e non come l’acqua che possiamo trovare noi, disseta per un momento, e il momento dopo è già finita.

mercoledì 5 dicembre 2012

…Un Arcobaleno nel Fango…

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Questa città è piena di spazzatura dappertutto: sui bordi delle strade, nel mare, nei fiumi…una spazzatura che si mischia e che prende tutta un solo colore: il grigio. La città ne è ricoperta e, di conseguenza, riflette il grigio che la riempie.

Questa città sfoggia anche un paesaggio meraviglioso: il mare davanti, le colline alle spalle e la Tortuga di fronte.

Questa città è tormentata da un vento fortissimo, che da sollievo nei momenti in cui il caldo fonderebbe qualsiasi cosa, ma che in alcuni periodi non cessa mai e crea enormi disagi.

Questa città, in alcuni periodi dell’anno, rimane bloccata dalle piogge. Arrivano 3 strade in città, ma in caso di pioggia due si trasformano in fango, e l’altra non è percorribile per via dei fiumi in piena da attraversare.

Questa città, in quei periodi dell’anno, viene sovrastata da stupendi arcobaleni.

Questa città ha tanti, troppi abitanti che vanno in giro e ti guardano con diffidenza, al punto da sembrare sempre arrabbiati, ma che ad un semplice “bonjour” sfoggiano dei sorrisi dolcissimi.

Gli abitanti di questa città, al primo sguardo, hanno tutti la stessa sfumatura di colore:

C’è la piccola A., che è in un ospedale da più di un anno e ne ha solo 3, e i suoi genitori non sono ancora mai venuti a trovarla…

C’è G., che ha un padre e una figlia disabili che non hanno nessun tipo di aiutoda parte di nessuno, men che meno dallo stato, e che lo obbligano a prendersi dei giorni dal lavoro per stargli dietro e curarli…

C’è S., che ha appena avuto una bambina, ma sua moglie non ha ricevuto le cure adeguate in ospedale e non è ancora riuscita a tornare al lavoro dopo un anno dalla sua nascita…

C’è s.J., che vive in un convento circondato da mura altissime contornate da filo spinato, si sente insicura ad uscire perché il contesto è pericoloso e non riesce ad essere accogliente quanto vorrebbe…

C’è P., che quest’anno non aveva abbastanza soldi per mandare i due figli a scuola, quindi ha mandato solo la più grande…

…certo… ma hanno anche meravigliose sfumature di profondi colori:

La piccola A. rideogni volta che faccio rumori con la bocca sfiorandole la mano e protegge in tutto e per tutto il suo piccolo amico strabico…

G. ha un sacco di idee, pensa ai problemi del suo popolo e si impegna nel lavoro e nella vita a fare del suo meglio per contribuire alla crescita del paese e a migliorare la mentalità delle persone che ha attorno…

S. lavora sodo ed è sempre gentile e premuroso. Si impegna a risolvere i problemi di tutti ed è sempre disponibile. Si spende in tutto e per tutto nel desiderio di aiutare le comunità con cui lavora a crescere e a svilupparsi…

s.J. cerca comunque con la sua vocazione di dare un po’ di respiro e di accoglienza a chi ha bisogno di re-incontrare Cristo, offre momenti di preghiera e con la sua gioia riesce a far sentire tutti a casa…

P. ha deciso che il bene della sua parrocchiaviene prima del suo, passa intere giornate a distribuire generi alimentari agli abitanti della sua zona, senza chiedere nulla per sé…

Certo…il grigio c’è…ovunque! Ma non c’è solo quello!

Il problema qua, e forse non solo qua, è che è più facile vedere il grigio che viene messo in mostra che i colori nascosti dell’arcobaleno, che si mostrano solo se alzi la testa e solo per pochi attimi …

Se continuiamo a guardare i nostri piedi e a pensare solo ai problemi che ci sono, non facciamo altro che diventare grigi a nostra volta; se invece alziamo lo sguardo e andiamo oltre al grigiume, riusciamo anche ad ammirare il valore incredibile delle persone che abbiamo davanti.

…perché è difficile amarli e farsi prossimi

quando non riusciamo a vederli come totalità, come persone,

se continuiamo a identificarli come “il loro problema” o “la loro qualità”…


… amando ognuno come persona, valorizziamo coloro che incontriamo …

E in questo modo riusciamo a colorare sempre più quel grigio da cui ormai ci si sente un po’ invischiati anche noi.



sabato 15 settembre 2012

Una giornata (stra)ordinaria

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Haiti, settembre 2012

Sono le 9 di mattina: dopo un paio d’ore d’auto e una buona colazione offerta dalla moglie di un collega (banana bollita con pesce), scendiamo dalla macchina e iniziamo a salire a piedi verso la parrocchia che dobbiamo visitare, perché da lì in poi la macchina non ci passa più. 

Parto molto spavalda cercando di tenere testa ai miei colleghi, ma già dopo un quarto d’ora faccio fatica a stargli dietro. La strada è tutta in salita e sotto al sole, ci sono ogni tanto degli alberi, ma gli oltre 50 gradi del sole haitiano mi stordiscono. Inizio a rallentare e sento la testa pulsare, ogni tanto mi fermo all’ombra di un albero a bere, ma mi scoccia farli aspettare e proseguo subito.

Meaurin bello baldanzoso cammina tranquillo e chiacchiera ridendo con Fritz, lui è nato qua e questa strada l’ha già fatta un sacco di volte. Fritz è un po’ più alto e robusto di Meaurin, ed è di città, rallenta anche lui e inizia a grondare sudore, si vede che fa fatica, anche se riesce comunque a continuare a chiacchierare. Io sono letteralmente in un bagno di sudore, la mia maglietta gronda e mi scivolano gli occhiali per le goccioline che dalla fronte scendono fino alla punta del naso, i miei piedi fanno fatica ad alzarsi e mi costringo a fermarmi perché mi sento svenire. La gente che incontriamo ci saluta ed è uno sforzo anche solo rispondere con un “Bonjou”. Mentre sono ferma a bere vedo le donne che scendono con dei catini pieni di roba in testa, sudate anche loro ma belle in forma continuano la discesa. Mi affianca una vecchiettina che sta salendo con il suo bel carico in testa, mi guarda un po’, mi fa un sorriso e mi dice “Kenbé fò” che vuole dire “tieni duro” o “tieniti bene”, qualsiasi delle due intendesse mi fa molto piacere, le sorrido anch’io e lei mi supera sgambettando molto più veloce di me …”ma come fa?!”. Mi faccio forza e mi dico: “devi dimostrare ai tuoi colleghi quanto ci tieni a questo progetto, è stata una tua idea venire qua per stimolarli a darsi da fare e se ce la fa la vecchiettina ce la devi fare anche tu! Devi dimostrare a tutti quelli in ufficio che non volevano venire qua che è una questione di responsabilità, non di fatica”. Quindi, seppur con molta difficoltà, continuo a infilare un passo dietro l’altro. E mentre inizio a sentirmi un’eroina perché sto continuando a salire, continuano a superarmi donnine incinte o vecchiettine che sgambettano tranquille … riprendo a sentirmi molto più stupida che eroica.

Dopo già un paio di momenti in cui mi sono dovuta fermare per non svenire e circa un’oretta di strada, Meaurin ci ferma per farci vedere sull’altra montagna una chiesetta bianca e ci dice tutto allegro: “ecco,  è lì che dobbiamo arrivare!” Mi sento mancare, è lontanissima! Fritz ha la mia stessa espressione sbigottita e quasi all’unisono gli chiediamo “ma si deve salire ancora tanto?”, Meaurin tutto tranquillo ci dice “no no, arriviamo a quell’altezza e poi è tutto in piano”. Mah … continuiamo a camminare …

Dopo un’altra oretta di salita arriviamo sulla stradina in piano che unisce le due montagne. A questo punto ricomincio a pensare lucidamente e inizio a guardarmi intorno. È uno spettacolo mozzafiato! Da qua si vede il mare, si vede la città sotto di noi e la Tortuga di fronte, rimango incantata dalla bellezza del paesaggio Haitiano. Riesco persino ad osservare le persone che incontriamo, le case e gli animali. Ci sono molte persone che vivono quassù, quasi tutte che portano qualcosa avanti e indietro, mi ricordo che per strada abbiamo incontrato anche un paio di buoi trainati che si arrampicavano su quella stradina trasportando qualcosa anche loro. La maggior parte delle case ha le pareti composte da legni intrecciati, alcuni lasciati allo scoperto e altri stuccati che quasi non si riconosce che c’è del legno sotto. Alcune case, poche, sono fatte in mattoni e cemento, e rimango stupita chiedendomi come han fatto a trasportare il cemento su questa strada. L’aria è più fresca e qualche nuvola clemente sta coprendo il sole.

Ancora una lieve salita e ci si staglia davanti una chiesa enorme. Entriamo nella casa parrocchiale e incontriamo il parroco che ha buone notizie per noi: siete arrivati troppo presto, pensavamo che la bianca ci avrebbe messo di più a salire e quindi abbiamo fissato l’incontro alle 12:00, anche se bisogna considerare che qua noi (come in molti altri villaggi) non abbiamo cambiato l’ora quindi per voi dovrebbe essere intorno alle 13. Ottimo, e che ore sono adesso? Le 11 e un quarto. Fantastico.

Père Pheshner ci spiega che quella parrocchia è in una posizione centrale rispetto ad altri piccoli villaggetti su tutta la montagna, lui per raggiungere le due chapelles (le divisioni della parrocchia) ci mette lo stesso tempo che ci abbiamo messo noi a salire. Decide di offrirci un caffè con del pane e un po’ di avocadi, mai frutto è stato più dolce al mio gusto! Sono proprio contenta di essere qua e inizio a chiacchierare con Meaurin. Lui ha vissuto qua finché non ha dovuto fare le superiori, alché si è trasferito con la famiglia a Port-de-Paix dove vive adesso. Racconta che tutta la gente di questi villaggi vive di agricoltura, che c’è un piccolo mercatino qua ma che la maggior parte fa avanti e indietro per andare a vendere nella città ai piedi della montagna. Gli chiedo come mai non ho visto asini in giro e mi spiega che gli asini non riescono a salire quella strada, e che la maggior parte muore … quindi la gente preferisce usare i buoi.

Mi propone di fare un giro del paese intanto che aspettiamo, accetto volentieri. Ormai sono tutta infreddolita da quanto ero bagnata di sudore, e stare un po’ al sole mi asciugherà. Superata la Chiesa (‘Ma come avranno fatto a trasportare tutto sto materiale su quel sentierino?’) troviamo il salone parrocchiale (‘Il parroco deve avere tanti bravi fedeli disposti a lavorare per essere riuscito a far trasportare tutte queste cose!’) e proseguiamo per la stradina.

Mentre passeggiamo si sentono delle grida, vediamo comparire una donna che urla piangendo e sembra che faccia fatica a reggersi in piedi. Tutti la guardano e nessuno dice o fa niente, Fritz mi sussurra che deve essere morto qualcuno, perché quando c’è un morto ci sono anche le grida. Subito dopo compare un’altra donna che urla e si tira i vestiti in un’ostentazione di disperazione, dietro di lei compaiono due uomini che reggono una bara sulla testa cantando e danzando. Dietro la bara arriva un corteo di donne di cui alcune cantano e ballano mentre altre ripetono le scene delle prime due donne comparse sorreggendosi a vicenda … mi tornano alla mente le parole di un anziano frate: qua bisogna ostentare la disperazione per il morto perché altrimenti il suo spirito potrebbe tornare a tormentarti … mi sembra quasi di essere in un film. Tutti quanti le guardano passare, si chiedono a vicenda chi sia morto e continuano quel che stavano facendo prima che arrivasse la prima donna urlante, come se nulla fosse successo.

Mentre attraversiamo il piccolo mercato del villaggio (8 gruppetti di signore che vendono frutta e poco più appoggiate su dei teli per terra) sento una signora che mi ha appena detto “Good morning” spiegare alle sue vicine: “Good morning in inglese vuol dire dammi i soldi!”, mi giro e le dico: “No madam, good morning se pa bay mwen lajan, se selman bonjou” (No signora, non vuol dire dammi i soldi ma solo buongiorno!) … scoppiano tutti a ridere e la signora si fa suggerire un’altra frase : “give me one dollar”, alché replico: “Bravo madam, counyea u parle byen langle” (Brava signora, ora sì che parli bene l’inglese) altra risata generale e ridendo proseguo. Finito il mercato, finito il paese. Ci giriamo e torniamo verso la Chiesa.

Arriviamo alla parrocchia e dopo un po’ di attesa arrivano i membri della Caritas parrocchiale. Ci dividiamo per le interviste: Meaurin e Fritz con la Caritas parrocchiale e io col parroco. Scopriamo che è una comunità molto attiva, i membri sono molto legati al proprio parroco e sono orgogliosi delle attività che portano avanti per il loro villaggio. I problemi principali sono i soliti: manca l’acqua, non ci sono latrine e non ci sono strade, ma mentre parlano mi sento quasi commossa, queste sì che sono persone che cercano di aiutare, nulla a che vedere con l’assistenzialismo e la diffidenza che abbiamo trovato finora. Contenti e soddisfatti del nostro incontro ringraziamo gli intervistati, li esortiamo a continuare così dandogli qualche piccolo consiglio su come migliorare ancora e gli presentiamo le nostre proposte per i prossimi mesi.

Beviamo un po’ di cocco prima di ripartire e iniziamo la discesa, con tante idee in testa e contenti di questa giornata. Un’ora e mezza di tempo e saremo già arrivati al punto in cui l’autista è tornato ad aspettarci.

 

E’ stata decisamente una giornata straordinaria, non avrei mai potuto immaginare tutta questa fatica e tutta quella bellezza … una giornata straordinaria per me, certamente, ma quella strada è invece l’ordinario di molti.
Del resto, se un abitante di Gaspard venisse a casa mia a Milano vivrebbe un’esperienza sicuramente straordinaria, in qualcosa che per me e per tanti altri è semplicemente l’ordinario.
E’ bello sapere che c’è così tanta diversità al mondo, e credo che ogni tanto, quando mi lamenterò che l’ascensore è rotto o che l’autobus è in ritardo, mi ricorderò della fatica che fanno gli abitanti di Gaspard a scalare quella montagna tutti i giorni.
Irene

domenica 10 giugno 2012

FANGO CONCHIGLIE E SPAZZATURA

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Fango...

fango che ricopre le strade...fango che inonda le case...

fango che corre giù dalle colline.

Qualche ora di pioggia e il fango ha iniziato a scorrere e a coprire tutto quanto. Questa città, questo paese, è in continua emergenza. Ci si sveglia una mattina e un muro è crollato perché la collina ha rigurgitato troppo fango. Ci si sveglia una mattina e non puoi più uscire con la macchina perché un fiume ha deciso di deviare il suo corso e ha buttato giù il ponticello di fronte a casa lasciando sui lati un cumulo di spazzatura a farti da barricata.

Spazzatura … la città ne è piena.

Straborda dai fiumi quando piove, riempie i fiumi quando c’è siccità. Si accumula ai bordi delle strade e si mischia al fango. Una signora mette a posto le mercanzie della sua bancarella, disimballa delle confezioni e ne butta la plastica per terra. Una ragazzina sta mangiando delle patatine, le finisce e butta il pacchetto per terra. Un bimbo divora il suo mango e sputa buccia e nocciolo per terra. Per terra … dove se no?

Fango... fango... fango dappertutto.

Ma tu non lo sai che questo è dovuto al carbone con cui cucini e alla spazzatura che riempie i fiumi... no, non lo sai.

Senza alberi la terra non tiene e la tua casa si riempie di fango, ma tu come puoi saperlo? E’ più grande di te, è tutto più grande di te. E allora ci si adatta, e si reagisce man mano che le cose succedono: vivi alla giornata, non dice forse così anche il Vangelo? E quindi se il fango arriva e riempie tutto, pian piano lo toglieremo. E se butta giù un muro, un ponte, una casa...pian piano ricostruiremo.



Conchiglie...

montagne di conchiglie...grandi e piccole, in riva al mare gettate così.

Passiamo e da lontano sembrano montagne di sassi, curioso, ma nulla di che. Guardiamo meglio: conchiglie! Ci fermiamo e ci avviciniamo. Conchiglie enormi e stupende, rosa e bianche, vuote e sporche. Pian piano ci circondano un po’ di bambini e di adulti incuriositi, “Dei bianchi? Da queste parti? Cosa vorranno mai?”. Il villaggetto di pescatori è in subbuglio, dalle case ci osservano tutti. Loro mangiano l’interno della conchiglia, e della conchiglia non sanno che farsene. Decidiamo di raccoglierne un po’ per fare dei regali, abbiamo dei sacchetti e le mettiamo lì. Pian piano un bimbo segue il nostro esempio e ci mostra conchiglie ancora più belle che non avevamo notato sotto le altre, gli porgiamo il sacchetto e ce le infila dentro. Allora tutti gli altri bimbi si mettono a raccogliere e alla fine ci ritroviamo con un sacco di sacchetti pieni. Contenti del nostro bottino decidiamo di andarcene. I bimbi ci salutano senza chiederci niente, contenti di averci aiutato. Perfino la gente dalle case ci saluta senza chiedere niente. Per loro è un giorno diverso dal solito, sono già contenti di questo. Non hanno acqua, non hanno soldi, mangiano solo pesce e molluschi tutti i giorni. Ma non chiedono nulla. Sono abituati così. E quando si è abituati, ci si adatta, e si reagisce man mano che le cose succedono: vivi alla giornata, non dice forse così anche il Vangelo? Il mare porterà il tuo cibo, e se piove l’acqua arriverà...e se non piove si aspetterà.





Vivi alla giornata...certo, la Provvidenza esiste e ne sono certa. Vivere alla giornata aiuta in molte situazioni, aiuta a superare molti momenti difficili, aiuta a non preoccuparsi troppo del futuro. Aiuta a non disperarsi delle proprie condizioni, aiuta a sperare nella pioggia e ad accontentarsi del mollusco che si mangia per cena. Il Padre nostro che è nei cieli si prenderà cura di noi, valiamo certamente più di un passero o di un giglio nei campi. Ma non può fare tutto solo Lui, ci ha creati apposta. Noi siamo qua, e in qualche modo qualcosa facciamo. Bruciamo gli alberi e ci si riempiono di fango le case, buttiamo tutto per terra e i fiumi strabordano...bisogna guardare anche al domani. Bisogna preoccuparsi anche del domani. Lui c’è, e ci aiuta in modi per noi inaspettati. Questo è vero, ma noi dobbiamo muoverci verso di Lui. Questa gente non sa che può fare qualcosa per il proprio paese, non sa che basterebbe non buttare la cartaccia per migliorare, non sa che basterebbe organizzarsi per risolvere qualcosa. Questa è la difficilissima sfida che viviamo noi ogni giorno, cercare di ragionare con loro su come si può “fare qualcosa”. E non è facile perché qua vince il “vivi alla giornata” e il “tanto arriverà il bianco a mettere a posto questo paese”, e fargli capire che si possono prendere in mano le cose, partendo anche dal piccolo, è un compito arduo...se non quasi impossibile. Eppure qualche spiraglio si vede, qualche haitiano con una minima coscienza civica che vuole aiutarci a convincere gli altri, qualche mamma che insegna al proprio figlio a non buttare le carte per terra, qualcuno che decide di darsi da fare per cambiare la mentalità di questo paese... e su questi vogliamo puntare, su questi vogliamo scommettere.

E andiamo avanti, così … aspettando che arrivi il momento giusto in cui il “vivi alla giornata” viene rimpiazzato dal “progettiamo il nostro sviluppo”, e in quei momenti riusciamo a vedere un futuro per questo paese.




lunedì 12 marzo 2012

La storia di Jacques...

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Ciao a tutti!


Sono Jacques. Ho quattro anni e quello che leggete non l’ho scritto io, perché non so ancora scrivere.


Io sono il più piccolo dei miei fratelli e in tutto siamo 9. Abbiamo tutti la stessa mamma ma io ho un padre tutto mio. Alcuni dei miei fratelli hanno lo stesso padre, e si sentono più “fratelli” per questo. Io sono l’unico che non va ancora a scuola, ma la mamma alla mattina mi porta sempre alla prescolare di quei bianchi che danno la corrente elettrica a quasi tutto il quartiere, tranne che a noi perché non possiamo pagarli…



è bella la mia mamma, sapete? Non è tanto alta, mio fratello Peterson (che è il più grande e ha il papà a Santo Domingo) è più alto di lei di un bel po’. Ha dei bei capelli lunghi che lava ogni settimana e io le do una mano a pettinarli con le mie sorelle più grandi (non tutte perché Ketlyvive già con un altro signore e ha già un bambino che è tanto più piccolo di me).


La mia mamma è fortissima, quando mi accompagna a scuola porta sulla testa il banchetto con cui poi va al mercato a vendere tutte le sue cose, io lo vedo che fa fatica e ogni tanto le do una mano portando qualche sacchetto pieno zeppo di roba. Non vedo l’ora di essere grande così quel banchetto lo potrò portare io, e lei potrà riposarsi un po’…che la sento tutte le mattine che fa fatica ad alzarsi per il mal di schiena, e la pancia le sta diventando sempre più grossa. Ogni tanto io e le mie sorelle le diciamo di rimanere a letto ma lei si alza lo stesso e continua a portare quel coso pesante…per fortuna che ci siamo noi ad aiutarla!


Quando sarò grande voglio fare il lavoro del mio papà: voglio guidare le macchine dei bianchi, che poi mi danno i soldini e posso fare tutti i regali che voglio alla mia mamma, e anche alle mie sorelle, che giocano sempre con me.


Il mio papà lo vedo spesso che passa con la macchina dei bianchi e mi saluta, ogni tanto viene a trovarci e noi sappiamo che dobbiamo stare fuori a giocare così lui può stare con la mamma. Quando viene a trovarci mi porta sempre qualcosa di buono da mangiare, mi dice di non darlo ai miei fratelli, ma le mie sorelle ne prendono sempre un po’ anche se io mi arrabbio.


Mio fratello Ronald e mia sorella Sonya hanno il papà più ricco di tutti, lavora a Miami e non viene mai a trovarli, ma ogni tanto manda alla mamma un po’ di soldi, e noi siamo tutti contenti per qualche giorno.


Stamattina mentre facevamo la fila per prendere l’acqua mia sorella Sonya ci ha raccontato che fra qualche anno lei andrà dal suo papà per andare in scuole più belle…io spero proprio di no perché Sonya gioca sempre conme e non vorrei giocare da solo quando il suo papà la porterà via.


Mia sorella Marie-Rose invece mi racconta sempre storie di bianchi, vuole diventare bianca lei, e mi dice che è possibile…continua a comprare quei saponi arancioni che dice che la fanno diventare più bianca…per me puzzano e basta, ma ogni tanto glieli rubo e ci provo anch’io. Anche i miei compagni alla prescolare mi hanno detto che i bianchi hanno tante cose: hanno l’acqua che gli esce da un tubo in casa, hanno il cibo che gli esce da una scatola fredda, hanno più macchine che asini, dormono su dei letti tutti soli, hanno tanti giocattoli e tanti amici e hanno un papà a casa. Io credo proprio che se non riesco a fare il lavoro del mio papà voglio provare a diventare bianco anch’io. Eh sì, sarebbe bello!


Aspetta…ma tu che stai scrivendo tutte ste cose sei bianco, vero?

E anche tu che leggi, vero?


...mi fate diventare come voi?...

giovedì 12 agosto 2010

Seconde dalla Georgia...

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Siamo quasi giunte alla fine della nostra settimana solitaria in georgia...tra poco arriveranno i nostri volontari dalle mille domande e ci risolleveranno da questa patina di nullafacenza che ci ha avvolto in questi giorni...

La sveglia del mattino col profumo delle brioches calde (che non ci abbandona nè di giorno nè di notte)...abitiamo sopra un forno!
Ormai abbiamo fatto amicizia con la città, abbiamo dei baby sitter che si occupano di noi ogni volta che ci stiamo per perdere...che sia un vecchietto che ci dice che dobbiamo scendere dalla marshrutka o un operaio che ci dice che stiamo sbagliando strada, ognuno si occupa di noi in questa città dalle mille salite! Abbiamo inoltre degli amici che incontriamo e riincontriamo e che ci salutano per strada...come la guida turistica con l'ufficio in macchina...per non parlare degli amici di caritas georgia: Dato, Kety e Bianca...con loro pranziamo e facciamo le pause caffè e inoltre ci portano in giro a gustare le bellezze della città! Ad ogni pausa pranzo il divertimento è assicurato: ieri Dato è saltato su urlando "decoriamo il pollo come al tempo sovietico" e vi alleghiamo la foto per mostrarvi il risultato...
Ma nel frattempo siamo riuscite a testare e migliorare la nostra conoscenza della lingua(la foto sotto evidenzia bene la nostra scioltezza nella lettura del Kartuli), a combinare involontariamente incontri ufficiali, a scoprire i meandri e le fermate degli autobus di tutta Tbilisi e possiamo diventare guide ufficiali, pronte quindi ad accogliere i nostri volontari al meglio!!
 Abbiamo pure trovato una modesta dimora ben areata, di cui vi mandiamo la foto: da notare che la camera arredata è nostra, quindi volontari non fatevi illusioni!!



lunedì 9 agosto 2010

La dura vita di due coordinatrici in missione esplorativa in Georgia...

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Tutto cominciò quando ci incontrammo ad istanbul circondate da gruppi di uomini in asciugamano! Purtroppo le foto sono rimaste sul telefono e non possiamo mandarvele...ma provvederemo al nostro rientro!

Dopo un po' di cambi e ritardi arriviamo finalmente a Tbilisi dove incontriamo Dato e il parroco della parrocchia di irene che non si sa bene che ci facesse qui...

Il bravo Kaha non è cambiato in questi mesi, a parte un nuovo nipote a soli 41 anni, e ci ha portate con la sua guida sprint fino alla caritas, dove passeremo tutti tutti i nostri giorni fino all'arrivo dei volontari.

Sabato abbiamo capito che il clima georgiano non è proprio fresco: 44 gradi alle 17:00!!! Per questo abbiamo optato per una passeggiata nel tardo pomeriggio nel giardino botanico al riparo di una bella e fresca cascata, tbilisi by night e tanto tanto cibo!

La nostra fantastica guida è un coetaneo di Elisa che conosce un sacco di lingue e tutte le piante del mondo e tutti i particolari di ogni cosa (quanto pesa la statua, quanto costa il ristorante e chi ci lavora, persino le tendenze sessuali dei vicini di tavolo!!)...oltre a prendersi cura di noi comprandoci la colazione tutte le mattine e litri d'acqua ad ogni passo, è attento anche alle necessità dei bambini e regala palloncini a destra e a manca!!!

Ora siamo qui in attesa di sapere come scorreranno le nostre giornate e di capire come e dove si svolgerà il nostro campo...ma non vi preoccupate, lo scopriremo presto e nel frattempo mangeremo quintali di khinkali!

Vi alleghiamo le foto della cascata e dei Khinkali e dei simpatici compagni di viaggio che incontriamo per strada....


martedì 27 aprile 2010

dalla Bulgaria al Ruanda (alla Bulgaria)

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(Irene è stata SCE2007 in Bulgaria e sarà coordinatrice dei prossimi CdS proprio là. Si trova attualmente a svolgere un tirocinio in Ruanda, da cui scrive questo post)

Ciao a tutti! Scrivo perchè ho un po' di tempo col computer a mia disposizione. Scrivo per dire che le cose stanno andando abbastanza bene, è davvero un altro mondo qua!

In alcuni momenti un mondo fantastico in cui si è liberi da tante cose, si ha una fede aperta e profonda e si vive in modo autentico e con poco...

In altri momenti però è un mondo devastante, povertà estrema, e lo stare a stretto contatto con la malattia e la disabilità tutto il giorno tutti i giorni...

...anche se non riesci a parlare nella loro lingua glielo si legge in faccia e nelle gambe quello che possono o non possono fare... poi quelli con cui riesci un minimo a comunicare in inglese o in francese ti raccontano senza nessun tipo di trauma o imbarazzo che sono senza genitori perchè morti nel genocidio e che vorrebbero studiare ma non possono perchè non hanno abbastanza soldi... bam... ti abbatte davvero! Soprattutto il modo in cui lo raccontano, come se fosse la cosa più normale del mondo!

E poi altri racconti... meglio avere tanti figli qua in Rwanda, perchè solo così sei sicuro che almeno qualcuno rimane vivo... tante persone, tanti vissuti, tante ferite... vorresti fare qualcosa, regalargli tutti i soldi che hai... ma cosa risolveresti? Nulla... e rimane l'interrogativo nel fondo che ti corrode...

Però poi ti rendi conto dei miracoli a cui assisti tutti i giorni... dei sorrisi di quei bimbi ke t sembran senza speranza e dei sorrisi di quelle persone che incontri per strada... dei racconti dei ragazzi che sono arrivati qua senza poter nemmeno stare in piedi e che escono camminando con le proprie gambe!

Ti torna anche in mente la nonna di Uimana, nella sua pacatezza in quella capanna isolata dal resto del mondo... vive... vive... non si sa di che cosa ma vive e piange lacrime di felicità nel riabbracciare la nipote!

E la fede con cui cantano e danzano... tutti i giorni a cantare colmi di felicità, di fede e di speranza!!!

Davvero qua si può intuire cos'è l'essenziale... oggi m sn fatta tradurre una canzone ke cantan sempre: "Ndashaka kuituriro murukundo rwawe, nyagasani Yezu ndogukunda" ("Ti amo Signore Gesù, per vivere ho bisogno solo del tuo amore")... e effettivamente, sembra che qua l'unica cosa che possono avere sia davvero quella, e hanno lo stesso una gioia di vivere indescrivibile!!
Irene Baldissarri