sabato 15 settembre 2012

Una giornata (stra)ordinaria

Haiti, settembre 2012

Sono le 9 di mattina: dopo un paio d’ore d’auto e una buona colazione offerta dalla moglie di un collega (banana bollita con pesce), scendiamo dalla macchina e iniziamo a salire a piedi verso la parrocchia che dobbiamo visitare, perché da lì in poi la macchina non ci passa più. 

Parto molto spavalda cercando di tenere testa ai miei colleghi, ma già dopo un quarto d’ora faccio fatica a stargli dietro. La strada è tutta in salita e sotto al sole, ci sono ogni tanto degli alberi, ma gli oltre 50 gradi del sole haitiano mi stordiscono. Inizio a rallentare e sento la testa pulsare, ogni tanto mi fermo all’ombra di un albero a bere, ma mi scoccia farli aspettare e proseguo subito.

Meaurin bello baldanzoso cammina tranquillo e chiacchiera ridendo con Fritz, lui è nato qua e questa strada l’ha già fatta un sacco di volte. Fritz è un po’ più alto e robusto di Meaurin, ed è di città, rallenta anche lui e inizia a grondare sudore, si vede che fa fatica, anche se riesce comunque a continuare a chiacchierare. Io sono letteralmente in un bagno di sudore, la mia maglietta gronda e mi scivolano gli occhiali per le goccioline che dalla fronte scendono fino alla punta del naso, i miei piedi fanno fatica ad alzarsi e mi costringo a fermarmi perché mi sento svenire. La gente che incontriamo ci saluta ed è uno sforzo anche solo rispondere con un “Bonjou”. Mentre sono ferma a bere vedo le donne che scendono con dei catini pieni di roba in testa, sudate anche loro ma belle in forma continuano la discesa. Mi affianca una vecchiettina che sta salendo con il suo bel carico in testa, mi guarda un po’, mi fa un sorriso e mi dice “Kenbé fò” che vuole dire “tieni duro” o “tieniti bene”, qualsiasi delle due intendesse mi fa molto piacere, le sorrido anch’io e lei mi supera sgambettando molto più veloce di me …”ma come fa?!”. Mi faccio forza e mi dico: “devi dimostrare ai tuoi colleghi quanto ci tieni a questo progetto, è stata una tua idea venire qua per stimolarli a darsi da fare e se ce la fa la vecchiettina ce la devi fare anche tu! Devi dimostrare a tutti quelli in ufficio che non volevano venire qua che è una questione di responsabilità, non di fatica”. Quindi, seppur con molta difficoltà, continuo a infilare un passo dietro l’altro. E mentre inizio a sentirmi un’eroina perché sto continuando a salire, continuano a superarmi donnine incinte o vecchiettine che sgambettano tranquille … riprendo a sentirmi molto più stupida che eroica.

Dopo già un paio di momenti in cui mi sono dovuta fermare per non svenire e circa un’oretta di strada, Meaurin ci ferma per farci vedere sull’altra montagna una chiesetta bianca e ci dice tutto allegro: “ecco,  è lì che dobbiamo arrivare!” Mi sento mancare, è lontanissima! Fritz ha la mia stessa espressione sbigottita e quasi all’unisono gli chiediamo “ma si deve salire ancora tanto?”, Meaurin tutto tranquillo ci dice “no no, arriviamo a quell’altezza e poi è tutto in piano”. Mah … continuiamo a camminare …

Dopo un’altra oretta di salita arriviamo sulla stradina in piano che unisce le due montagne. A questo punto ricomincio a pensare lucidamente e inizio a guardarmi intorno. È uno spettacolo mozzafiato! Da qua si vede il mare, si vede la città sotto di noi e la Tortuga di fronte, rimango incantata dalla bellezza del paesaggio Haitiano. Riesco persino ad osservare le persone che incontriamo, le case e gli animali. Ci sono molte persone che vivono quassù, quasi tutte che portano qualcosa avanti e indietro, mi ricordo che per strada abbiamo incontrato anche un paio di buoi trainati che si arrampicavano su quella stradina trasportando qualcosa anche loro. La maggior parte delle case ha le pareti composte da legni intrecciati, alcuni lasciati allo scoperto e altri stuccati che quasi non si riconosce che c’è del legno sotto. Alcune case, poche, sono fatte in mattoni e cemento, e rimango stupita chiedendomi come han fatto a trasportare il cemento su questa strada. L’aria è più fresca e qualche nuvola clemente sta coprendo il sole.

Ancora una lieve salita e ci si staglia davanti una chiesa enorme. Entriamo nella casa parrocchiale e incontriamo il parroco che ha buone notizie per noi: siete arrivati troppo presto, pensavamo che la bianca ci avrebbe messo di più a salire e quindi abbiamo fissato l’incontro alle 12:00, anche se bisogna considerare che qua noi (come in molti altri villaggi) non abbiamo cambiato l’ora quindi per voi dovrebbe essere intorno alle 13. Ottimo, e che ore sono adesso? Le 11 e un quarto. Fantastico.

Père Pheshner ci spiega che quella parrocchia è in una posizione centrale rispetto ad altri piccoli villaggetti su tutta la montagna, lui per raggiungere le due chapelles (le divisioni della parrocchia) ci mette lo stesso tempo che ci abbiamo messo noi a salire. Decide di offrirci un caffè con del pane e un po’ di avocadi, mai frutto è stato più dolce al mio gusto! Sono proprio contenta di essere qua e inizio a chiacchierare con Meaurin. Lui ha vissuto qua finché non ha dovuto fare le superiori, alché si è trasferito con la famiglia a Port-de-Paix dove vive adesso. Racconta che tutta la gente di questi villaggi vive di agricoltura, che c’è un piccolo mercatino qua ma che la maggior parte fa avanti e indietro per andare a vendere nella città ai piedi della montagna. Gli chiedo come mai non ho visto asini in giro e mi spiega che gli asini non riescono a salire quella strada, e che la maggior parte muore … quindi la gente preferisce usare i buoi.

Mi propone di fare un giro del paese intanto che aspettiamo, accetto volentieri. Ormai sono tutta infreddolita da quanto ero bagnata di sudore, e stare un po’ al sole mi asciugherà. Superata la Chiesa (‘Ma come avranno fatto a trasportare tutto sto materiale su quel sentierino?’) troviamo il salone parrocchiale (‘Il parroco deve avere tanti bravi fedeli disposti a lavorare per essere riuscito a far trasportare tutte queste cose!’) e proseguiamo per la stradina.

Mentre passeggiamo si sentono delle grida, vediamo comparire una donna che urla piangendo e sembra che faccia fatica a reggersi in piedi. Tutti la guardano e nessuno dice o fa niente, Fritz mi sussurra che deve essere morto qualcuno, perché quando c’è un morto ci sono anche le grida. Subito dopo compare un’altra donna che urla e si tira i vestiti in un’ostentazione di disperazione, dietro di lei compaiono due uomini che reggono una bara sulla testa cantando e danzando. Dietro la bara arriva un corteo di donne di cui alcune cantano e ballano mentre altre ripetono le scene delle prime due donne comparse sorreggendosi a vicenda … mi tornano alla mente le parole di un anziano frate: qua bisogna ostentare la disperazione per il morto perché altrimenti il suo spirito potrebbe tornare a tormentarti … mi sembra quasi di essere in un film. Tutti quanti le guardano passare, si chiedono a vicenda chi sia morto e continuano quel che stavano facendo prima che arrivasse la prima donna urlante, come se nulla fosse successo.

Mentre attraversiamo il piccolo mercato del villaggio (8 gruppetti di signore che vendono frutta e poco più appoggiate su dei teli per terra) sento una signora che mi ha appena detto “Good morning” spiegare alle sue vicine: “Good morning in inglese vuol dire dammi i soldi!”, mi giro e le dico: “No madam, good morning se pa bay mwen lajan, se selman bonjou” (No signora, non vuol dire dammi i soldi ma solo buongiorno!) … scoppiano tutti a ridere e la signora si fa suggerire un’altra frase : “give me one dollar”, alché replico: “Bravo madam, counyea u parle byen langle” (Brava signora, ora sì che parli bene l’inglese) altra risata generale e ridendo proseguo. Finito il mercato, finito il paese. Ci giriamo e torniamo verso la Chiesa.

Arriviamo alla parrocchia e dopo un po’ di attesa arrivano i membri della Caritas parrocchiale. Ci dividiamo per le interviste: Meaurin e Fritz con la Caritas parrocchiale e io col parroco. Scopriamo che è una comunità molto attiva, i membri sono molto legati al proprio parroco e sono orgogliosi delle attività che portano avanti per il loro villaggio. I problemi principali sono i soliti: manca l’acqua, non ci sono latrine e non ci sono strade, ma mentre parlano mi sento quasi commossa, queste sì che sono persone che cercano di aiutare, nulla a che vedere con l’assistenzialismo e la diffidenza che abbiamo trovato finora. Contenti e soddisfatti del nostro incontro ringraziamo gli intervistati, li esortiamo a continuare così dandogli qualche piccolo consiglio su come migliorare ancora e gli presentiamo le nostre proposte per i prossimi mesi.

Beviamo un po’ di cocco prima di ripartire e iniziamo la discesa, con tante idee in testa e contenti di questa giornata. Un’ora e mezza di tempo e saremo già arrivati al punto in cui l’autista è tornato ad aspettarci.

 

E’ stata decisamente una giornata straordinaria, non avrei mai potuto immaginare tutta questa fatica e tutta quella bellezza … una giornata straordinaria per me, certamente, ma quella strada è invece l’ordinario di molti.
Del resto, se un abitante di Gaspard venisse a casa mia a Milano vivrebbe un’esperienza sicuramente straordinaria, in qualcosa che per me e per tanti altri è semplicemente l’ordinario.
E’ bello sapere che c’è così tanta diversità al mondo, e credo che ogni tanto, quando mi lamenterò che l’ascensore è rotto o che l’autobus è in ritardo, mi ricorderò della fatica che fanno gli abitanti di Gaspard a scalare quella montagna tutti i giorni.
Irene

4 commenti:

  1. I miei compagni di servizio civile mi derideranno perchè dico che commmento troppo, ma se un post è bello: comico, interessante,un pizzico commovente, perchè non dire "CHE BELLO!"? :DD

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    1. Grazie Mariaclaudia!
      beh...se anche ti prendono in giro è comunque una cosa che fa piacere, quindi perché non continuare a farla??
      Buona continuazione di avventura e ti auguro di avere tanti altri "che bello!" ancora da dire, scrivere, commentare...

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  2. Quest'estate mentre facevo snorkeling (che poi è "nuotare con maschera &boccaglio") mi son sorpreso in una considerazione banale, già fatta, eppure percepita con rinnovata forza: cioè, mentre io faccio tutte le mie cosine questi qua (i pesci) se la sbrazzano qua sotto come stan facendo ora. E lo faranno anche settimana prossima mentre io sarò in ufficio. E allora ho fatto un po' il gioco mentale del "Chissà cosa starà facendo ora...", orientando il pensiero a persone di cui ho perso le tracce da mò. Che poi il gioco non vale per quelli che non senti da mò ma che hanno facebook.

    Come disse quella bimba: "Ma quindi voi c'eravate prima che io nascessi?" (che fa un po' Truman Show).

    Ciao Irene!

    Blo

    (Tipo: come starà Sneija?)

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  3. Già...io me lo chiedo spesso stando qua...ma in Italia cosa starà facendo Blo (ke non ho capito se è la firma o un saluto...eheh!)? E così per tutti quelli che mi vengono in mente... certo è vero che facebook falsa l'immaginazione!

    In ogni caso immagino che quando saremo un po' più vecchi ce lo chiederemo di più persone, se ce le ricorderemo (magari facendoci altre domande un po' più "gravi"), e vorrà dire che saremo stati ricchi di incontri nel nostro vissuto ...

    ... però è bello sapere che quella vita, che abbiamo assaggiato per un momento, continui ad andare avanti, magari esattamente come l'abbiamo assaggiata noi: con i chebabchi unti e bisunti o con una ciorba di pesce dal colore strano... e così via per tutte le vite in cui ci è capitato di passare (tante tante vite... di persone di cui ci si chiede ogni tanto se ancora esistono).
    E' una cosa decisamente affascinante!!

    Ciao Blo!

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